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Prove di vita in montagna

Luca Calzolari, Direttore di Montagne360

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È di nuovo primavera. Sottolinearlo, stavolta, non è un fatto scontato. Non perché ci attendevamo un Armageddon e poi d’improvviso abbiamo scoperto che la vita continua a procedere nonostante tutto. Quelli appena trascorsi sono stati due anni difficili, anzi difficilissimi. Però – concedeteci un po’ di ottimismo – pensiamo che, come ci sta dicendo la scienza, stiamo andando verso la fine di questo strano tempo a ritmo alternato e possiamo tornare a immaginare il futuro con più serenità. Quando pensiamo al domani, non possiamo però prescindere dall’oggi. Più volte abbiamo scritto del problema dello spopolamento dei borghi montani, della difficoltà di mantenerli in vita. Aree interne, zone bellissime ma a volte dimenticate, spazi in cui la vita assume attributi qualitativamente impareggiabili. Eppure un contesto così fatto non sempre sembra essere premiante, e allora ecco che sono necessari progetti di rigenerazione o incentivi di vario genere. Se c’è una lezione che in molti hanno imparato durante la pandemia è saper riconoscere il valore della qualità dell’abitare, l’importanza della natura e della salubrità dell’aria, il benessere che può derivare dalla frequentazione della montagna. Tutto giusto, tutto vero, tutto molto bello. Poi però ci si guarda intorno e si scopre che anche per vivere (e frequentare) la montagna è necessaria un’educazione al bello e al rispetto del paesaggio, perché non si possono né si devono replicare certi comportamenti urbani anche in zone che meritano e necessitano di tutt’altro rispetto e cura. Il primo effetto di tutto questo l’ha registrato il mercato immobiliare, che certifica l’aumento di un punto percentuale su base annua degli acquisti di case in montagna, con attenzione rivolta soprattutto alla Valle d’Aosta, al Piemonte e alla Lombardia. Una buona notizia? Insomma. Perché da quanto si evince per lo più si tratta di seconde case, ovvero case per le vacanze acquistate sull’onda lunga dell’effetto lockdown. Vivere in montagna è un’altra cosa. Nel tempo ci sono state lodevoli iniziative con la vendita di case a un prezzo simbolico. Come a un euro, ad esempio. L’equivalente del costo di un caffè. In diversi casi è stato un successo. Ma poi che succede? Perché senza un progetto specifico capace di coinvolgere la comunità, le professioni e la produttività si va poco lontano. E quella che a tutti sembra una ghiotta opportunità per cambiare la propria vita si traduce in una mera transazione finanziaria legata a un bene materiale. C’è però chi ha fatto qualche passo in avanti e il progetto l’ha costruito davvero. Mi sono imbattuto quasi casualmente nella storia del borgo di Albinen, nella Svizzera tedesca. Siamo nel Canton Vallese, distretto di Leuk, a 1300 metri di altitudine e con 240 abitanti in tutto. Per contrastare lo spopolamento, ai giovani di Albinen è venuta in mente l’idea di aprire le porte della comunità a uomini e donne provenienti da altri Paesi (una bella apertura al mondo), ma a determinate condizioni. Il governo ha sposato e sostenuto il progetto, e ora se hai meno di 45 anni, puoi ottenere 72mila dollari per iniziare questa nuova vita, che incomincia tassativamente con una casa in affitto. L’importante è inserirsi nella comunità, essere produttivi, contribuire all’economia (e alla vita) del paese. Di fatto, in questo modo, offrono l’opportunità di fare una prova di vita in montagna. Sappiamo che non c’è nulla che conti più dell’esperienza, e ad Albinen questo l’hanno capito. Poi, se tutto andrà bene, il resto è una conseguenza naturale: l’acquisto di una casa, il trasferimento della famiglia e via così. In Italia abbiamo l’occasione di sostenere nuove progettualità grazie al Piano nazionale ripresa resilienza (comunemente conosciuto con l’acronimo Pnrr). In tanti si sono mossi in tal senso. E qualche progetto ha trovato eco sulla stampa internazionale. È il caso di Trevinano, bellissimo borgo nel Comune di Acquapendente in provincia di Viterbo che conta poco più di 140 anime e si trova a 619 metri di quota. Del progetto, che si chiama ʻTrevinano Re-Wind’, ha parlato anche il britannico The Guardian. È un progetto di rigenerazione – che prevede tra le altre cose un albergo diffuso e il cohousing sociale per anziani – e ora, dopo essersi aggiudicato il primo posto in un bando della Regione Lazio, è in corsa per ottenere un finanziamento di circa 20 milioni di euro dal Pnrr. Il segnale è chiaro: se ci sono opportunità e progetti sostenibili, la prova della vita in montagna (media e alta) può tradursi in scelta di vita. Poi ben vengano anche iniziative come quelle della cooperativa di comunità Sigeric di Pontremoli che, negli anni della pandemia, ha proposto “pacchetti” per lo smart working nel loro paese con tanto di introduzione alla cultura (anche gastronomica), agli usi e ai costumi della Lunigiana. Anche in questo caso non c’è solo il lavoro, ma una prova di vita.

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