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Alpinismo - Ortles 1804 | La prima vera salita di Joseph Pichler

Come in un giallo

di Luca Calzolari

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Non si finisce mai d’imparare. Chi pensa che tutto sia stato scoperto, conosciuto e svelato si sbaglia di grosso. Soprattutto quando il tema ha a che fare con la montagna, con l’alpinismo, con vicende lontane secoli e con le tracce che queste storie hanno lasciato nel tempo, proprio come le briciole di pane di Pollicino. Solo che questa non è una fiaba e non c’è un sentiero da segnare, bensì una via alpinistica da riscoprire. Ebbene, dopo più di due secoli il mistero della prima ascensione dell’Ortles potrebbe essere stato finalmente risolto. Quella di cui stiamo parlando è una cronaca affascinante. A sedurre e incantare è la collocazione storica, ma sono anche i personaggi e le testimonianze di ieri e di oggi. Quella che abbiamo di fronte è la ricostruzione di una concatenazione di fatti che, col senno di poi, sembrano usciti dalla mente vivace di uno sceneggiatore creativo. Tutto ha inizio nel lontanissimo 1804, con la prima salita di Joseph Pichler, localmente conosciuto come Pseyrer Josele, sulla montagna più alta della Contea del Tirolo e di tutto l’Impero austriaco. L’Ortles, appunto. Tutto questo accade quando l’alpinismo ha meno di due decenni di storia e la sua diffusione, a causa delle guerre napoleoniche, è molto lenta. Oltretutto, Joseph Pichler sembra tutto fuorché un alpinista. Di lui non esistono testimonianze iconografiche, non un disegno e nemmeno un’incisione. Quindi la fantasia può essere alimentata e fortificata dai pochi elementi in nostro possesso. Come il fatto che Josele sia un cacciatore di camosci, abile come nessun altro in quel periodo. Minuto, forte, taciturno, determinato. Sappiamo anche che sui pendii rocciosi dove gli altri, in quegli anni lontani, arrancano e salgono a stento, lui si muove agile, sicuro e veloce. Tuttavia, quando si presenta di fronte all’ufficiale dell’Arciduca Giovanni d’Austria sicuro di arrivare in cima all’Ortles ed effettuare la misurazione della quota – compito in cui tutti i predecessori hanno fallito – non è che il suo aspetto convinca del tutto il suo interlocutore. “Fallirà anche questo piccoletto” avrà pensato l’ufficiale. Eppure, Joseph Pichler porta a termine la sua impresa. Anzi, c’è di più: fino al giorno della sua morte, arrivata mezzo secolo più tardi, sarà l’unico in grado di ripercorrere la via accompagnando altre persone in vetta. A lungo, gli storici dell’alpinismo hanno pensato di aver individuato il tracciato scoperto e percorso da Pichler. Invece non è così. I dubbi di molti, la curiosità di alcuni e le approfondite ricerche di pochissimi hanno permesso di scoprire quella che appare come una rinnovata verità storica. Merito di Davide Chiesa, e del bilinguismo del suo amico Alfio Capraro. Come si è arrivati alla risoluzione è ben narrato nelle prossime pagine che alla lettura paiono puntuali, affascinanti e dettagliate.

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