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Racconti sotterranei | L’universo del sottosuolo

Dalle miniere di Carbone del Cile all’Abisso del Saragato, sulle Apuane: storia di una passione, le grotte, e di una professione, quella del produttore cinematografico

di Marco Visalberghi

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La prima volta che ho avuto a che fare con il sottosuolo per motivi professionali è stato in Cile nel 1993. Ero lì come documentarista per raccontare il ritorno alla democrazia di questo paese dopo la sanguinosa dittatura di Pinochet. Volevo raccontare le condizioni disumane in cui i cileni erano costretti a lavorare nelle miniere di carbone di Conception. Cunicoli scavati a mano, che si insinuavano per chilometri sotto l’oceano, sorretti da pali fradici sotto un martellante gocciolio di acqua salmastra che fa temere crolli e allagamenti improvvisi. La polvere nera si infilava nella cinepresa e posizionare anche una sola luce in quel buio minaccioso era un’impresa complessa. Per farla breve, un’esperienza che assomigliava così da vicino all’inferno da giurare che non si sarebbe mai più ripetuta. Poi, come succede spesso nella vita, ho incontrato Tullio Bernabei, uno speleologo nato con la passione dell’esplorazione scientifica del sottosuolo. Poco alla volta Tullio mi ha convinto a produrre insieme al suo gruppo di appassionati geologi e speleologi documentari alla scoperta delle grotte lungo il Rio La Venta, nei Cenotes del Messico, e oggi insieme a lui stiamo filmando nelle grotte di ghiaccio delle nostre Alpi.

UNA FRONTIERA INESPLORATA

Poco alla volta l’universo del sottosuolo mi ha conquistato perché era una frontiera quasi del tutto inesplorata. Per dirla con le parole di Francesco Sauro, anch’egli grande speleologo, geologo ed esploratore di fama internazionale, «Le grotte sono testimoni della storia del nostro pianeta. Conservano molto più della superficie. Sono archivi del tempo; dell’evoluzione del paesaggio e della vita». Proprio in questi mesi, con Tullio e Francesco stiamo Ω anzi a onor del vero stanno Ω portando avanti, perché io li accompagno solo fino all’imboccatura delle grotte e sono loro a scendere, un progetto sulla scomparsa dei ghiacciai. Le loro ricerche puntano a capire quali sono i veri meccanismi che minano e fondono i ghiacciai dall’interno fino a farli collassare, uno studio che ci permetterà di stimare la velocità con cui rischiano di scomparire dall’arco alpino. Secondo le prime stime, tra 30 anni dei nostri maestosi ghiacciai resterà meno del 10%. Senza l’accumulo di neve e ghiaccio, l’umanità perderà qualcosa come il 70% delle riserve di acqua dolce, con le catastrofiche conseguenze che tutti possono facilmente immaginare.

STORIA DI UOMO E DELLA SUA CAVERNA

Vorrei a questo punto attirare l’attenzione sulle complicazioni che filmare in grotta aggiunge a quelle “normali” dello speleologo. Ogni chilo aggiuntivo al peso di corde, chiodi, cibo, insomma tutto il bagaglio tipico dello speleologo, moltiplica la fatica e allunga i tempi. Oltretutto le attrezzature da ripresa, già pesanti, richiedono un importante corredo di luci per illuminare i grandi spazi sotterranei. Ciascuna lampada poi va saldamente fissata alla parete di roccia. E ogni sorgente luminosa ha bisogno di batterie che devono tornare regolarmente in superficie per essere ricaricate. Lascio a voi immaginare quanti tecnici/speleologi esperti ci vogliano per filmare in grotta. Vi faccio un esempio. Forse il più paradossale. Come si sa, l’appetito vien mangiando, e nel mio caso dopo le molte collaborazioni con Tullio, mi sono imbattuto nella storia di un uomo e della sua caverna, anzi del suo abisso, alla quale non ho saputo resistere. Un giovane scultore, dall’indole ribelle e dalla grande passione per un compagno speleologo, decide di scolpire un grande gigante di marmo che giace abbandonato, forse proprio dopo aver fatto l’amore, sul fondo di uno degli abissi più inaccessibili e profondi di Italia, quello del Saragato nelle Alpi Apuane. Il gigante dormiente è un’opera che ha richiesto 30 anni del lavoro dello scultore, Filippo Dobrilla, che ha trascorso settimane intere da solo e nel buio assoluto in fondo alla grotta, dove giorno e notte non esistono e la solitudine è assoluta. Un’impresa alla Fitzcarraldo, tanto assurda da costringerci a riflettere a fondo su noi stessi.

L’IMPRESA PIÙ DIFFICILE

Quando l’autore e regista Tommaso Landucci è venuto da me parlandomi di questa storia, non sono riuscito a resistere. Ho chiamato Tullio Bernabei e insieme abbiamo deciso di organizzare una spedizione per documentare questa folle impresa. Anche perché senza le immagini nessuno ci avrebbe mai creduto. Con l’aiuto del gruppo speleologico toscano dei Lupi Mannari, da sempre compagni di esplorazione di Filippo Dobrilla, abbiamo passato giorni a sostituire chiodi e funi per mettere la grotta in sicurezza per la troupe. Poi, una volta nuovamente armato il percorso, la nostra troupe guidata dal giovane speleologo e filmmaker Mattia Bernabei, è scomparsa inghiottita dal buio insieme allo scultore speleologo. Per 36 ore li abbiamo aspettati pazientemente, senza notizie, come ben sa chi si avventura nel sottosuolo dove le comunicazioni radio non funzionano. Con molte ore di ritardo, e molta apprensione per noi, i nostri sono finalmente ricomparsi, con l’aria stremata e poche parole affannate: «È stata l’impresa più difficile mai affrontata…». Difficile fino al limite dell’impossibile, ma le immagini che ci hanno riportato sono di una tale bellezza da farci dire che ne è davvero valsa la pena. Il film documentario si chiama Caveman - Il gigante nascosto, è stato presentato al Festival di Venezia e proprio a novembre sarà protagonista di un evento speciale al Festival dei Popoli di Firenze. Se volete vederlo anche voi, uscirà presto al cinema.

Le grotte sono testimoni della storia del nostro pianeta. Conservano molto più della superficie. Sono archivi del tempo

le immagini realizzate in occasione delle riprese del documentario Caveman - Il gigante nascosto, nell'Abisso del Saragato, sulle Alpi Apuane (foto Doclab)

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