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Escursionismo | L’arcipelago e le sue fortificazioni

Una posizione strategica, tra la Sardegna e la Corsica, ha fatto la storia de La Maddalena negli ultimi 250 anni. Questo itinerario ci conduce tra fortini e baluardi della difesa nostrana, tra i profumi della macchia mediterranea

di Andrea Morosi*

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L’Arcipelago di La Maddalena è un gioiello di spiagge bianche e scogliere di granito dalle forme più incredibili, incastonate tra il verde della macchia mediterranea e un mare cristallino che sfuma dall’azzurro chiarissimo al blu intenso degli alti fondali. Si trova al centro del bacino occidentale del Mediterraneo, tra la Sardegna e la Corsica; questa sua posizione strategica ne ha segnato la storia negli ultimi 250 anni. Abitato fin dal ’600 da pastori corsi in cerca di nuovi pascoli per il bestiame, fu occupato militarmente dai Savoia nel 1767. Qui, tra i numerosi ridossi garantiti dalle isole, trovarono riparo le prime navi da guerra del Regno di Sardegna, e qui venne fondata la Regia Marina. Per assicurare protezione alla flotta, l’arcipelago fu oggetto di massicce opere di fortificazione. Inizialmente (fine ’700) si trattava di forti costruiti in blocchi di granito posti in posizione dominante. Avevano una capacità di difesa relativa, ma erano comunque utili per scoraggiare un eventuale attacco nemico.

I SISTEMI DIFENSIVI

veduta d’insieme del fronte interno della Batteria Rubin de Cervin

Successivamente, a fine ’800, con l’evolversi delle capacità di offesa delle navi da guerra, fu necessario rivedere completamente i sistemi difensivi. Furono realizzate imponenti batterie protette da bastioni in calcestruzzo invisibili dal mare, con depositi munizioni in gallerie a prova di bomba e armate con potenti cannoni di grosso calibro, in grado di perforare le corazze delle moderne navi da guerra. Tutte queste opere furono rese nuovamente vane nei primi decenni del XX secolo con l’avvento dell’aviazione: le strutture, facilmente individuabili dall’alto, divennero facile bersaglio per gli attacchi aerei. Così, durante il fascismo, in linea col carattere bellicoso del regime, fu dato impulso alla costruzione di opere difensive di nuova concezione, improntate al più rigoroso mimetismo. L’obbiettivo fu mirabilmente centrato: ancora oggi è possibile imbattersi in una piazzola per cannone senza essersi accorti di trovarsi all’interno di un compendio militare. Le opere coprivano il tratto di costa che va da Santa Teresa Gallura a Baia Sardinia. L’isola di Spargi consentiva di controllare l’accesso di ponente all’arcipelago e fu armata con tre batterie: - Batteria Zavagli: opera antinave a Cala Corsara, sud dell’isola, presidiava il canale tra Spargi e la costa sarda; - Batteria M 199: opera doppio compito (antinave/antiaerea) a Punta Pietragliaccio, a nord-est, per il controllo dei cieli e del canale tra Spargi e La Maddalena; - Batteria Rubin De Cervin: opera antinave a Punta Zanotto, a nord-ovest, per chiudere il canale tra Corsica e Sardegna.

CAMMINANDO SUL GRANITO

Batteria M199: piazzola antiaerea per cannone 120/35 incassata nella roccia

L’itinerario qui descritto riguarda le ultime due strutture. Si parte dal pontile di cala Ferrigno (raggiungibile solo con imbarcazioni private) lungo un sentiero che segue la vecchia strada carrozzabile costruita dai militari a servizio delle batterie. Ci si inoltra nella fitta e profumata macchia mediterranea. È consigliabile l’uso di pantaloni lunghi per proteggere le gambe dagli arbusti che spesso intralciano il cammino. Dopo circa un quarto d’ora si attraversano due colonne in granito: è l’accesso alla batteria M 199. Si passa tra due casermoni a ridosso di una collinetta, che costituivano la mensa e il dormitorio per la truppa. Più avanti si trovano gli alloggi per gli ufficiali e, sulla costa rocciosa a pochi metri dal mare, la zona operativa, composta da sei postazioni per i cannoni disposte a semicerchio intorno ad un roccione su cui fu realizzata la stazione di direzione del tiro. I camminamenti sono realizzati in gradoni di granito e sono ancora visibili le canalette in cemento per i cavi elettrici e telefonici. La batteria era armata con cannoni da 120/35, le munizioni ricoverate in due gallerie scavate nel granito per garantirne la protezione in caso di bombardamento. Per raggiungere la seconda batteria, è necessario tornare indietro e, poco prima delle caserme per la truppa, imboccare il sentiero sulla destra. Si sale lungo la strada leggermente in salita che costeggia il fianco est della dorsale rocciosa che attraversa l’isola da nord a sud, sulla cui cima si trova la stazione di vedetta di Punta Banditi (126 m). Arrivati sulla sommità, il sentiero volge a destra, si attraversa un pianoro e si scende sul lato di ponente. Verso sud è visibile un vecchio stazzo, la tipica casa dei contadini galluresi, che qui hanno vissuto e lavorato fino alla fine degli anni Sessanta. Da allora l’isola è rimasta disabitata.

EFFETTO MIMETICO

Il sentiero continua verso nord, costeggiando sulla destra i vecchi muri a secco che proteggevano il prezioso orto dalle incursioni del bestiame che veniva lasciato allo stato brado. Anche qui l’inizio della zona militare è segnato da due colonne di granito. Lungo il percorso si incontrano l’infermeria, gli alloggi per i sottufficiali, per gli ufficiali e per la truppa, purtroppo oggi in pessimo stato di conservazione. Superati gli edifici ci si trova di fronte alla zona operativa vera e propria. La prima struttura, che ospitava il corpo di guardia, è stata realizzata tagliando la facciata di un gigantesco masso di granito e ricomponendola come un mosaico sulle opere in muratura. L’effetto mimetico è tale che è impossibile vederla già allontanandosi poche centinaia di metri. Da qui, scendendo verso la costa leggermente a sud-ovest, si arriva al deposito munizioni realizzato in profonde gallerie scavate nel granito e dotate di scaffalature in cemento armato per riporre ordinatamente i proietti per i cannoni e le munizioni per fucili e mitragliatrici. Ritornando col sentiero verso nord si incontra la stazione di direzione del tiro che domina le due piazzole per i cannoni da 203/45 montati in torri binate. Le batterie, disarmate nel dopoguerra, sono state abbandonate al loro destino. Visitarle ora, segnate dal tempo e dall’oblio, assediate dalla vegetazione e immerse nel silenzio assoluto equivale a fare un salto indietro nella storia, tornando a periodi in cui gli uomini hanno sopportato sacrifici per noi difficili anche solo da immaginare.

* Guida ambientale escursionistica della Regione Sardegna

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