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Lettere

Raccontarsi a uno sconosciuto

Caro direttore, è la prima volta che scrivo alla vostra redazione e non è detto che sia l’ultima. Fortunatamente da quando sono andato in pensione ho molto più tempo libero, anche se questo cambiamento nella mia vita è avvenuto poco prima che tutto il mondo conoscesse il significato dell’acronimo Covid-19. Trascorro parte della giornata con i miei bellissimi nipoti, che sto educando al rispetto e all’amore per la montagna, ma non rinuncio mai alla mia escursione settimanale. C’era un tempo in cui potevo organizzare gite solo al sabato o alla domenica, invece ora sono padrone del mio tempo e quindi, se le condizioni familiari e meteo lo permettono, preferisco scegliere un giorno infrasettimanale. Non solo perché percepisco la mia uscita come qualcosa di esclusivo e ancor più personale, ma anche perché la relazione con l’ambiente naturale sembra sia più pura e diretta. Forse non riesco a spiegare bene le emozioni che provo, ma sono sicuro che lei mi capirà. Leggo sempre con passione e attenzione la vostra rivista, che ricevo regolarmente ogni mese. Desidero ringraziarvi per il gran lavoro che fate. Le confesso che insieme alle proposte d’itinerari e alle cronache alpinistiche, quello che più mi appassiona sono le storie di montagna. Ed è proprio per questa ragione che ho deciso di scrivere, per raccontare a lei e a tutti i lettori di Montagne360 le esperienze di vita e le relazioni umane che nascono durante le escursioni. Ammetto di essere un po’ maniacale nella pianificazione delle mie gite, ma penso che anche questo sia il bello delle escursioni in montagna: immaginare, studiare, pianificare. Non ricordo chi l’ha detto, ma l’attesa del piacere è essa stessa il piacere. Quando studio e pianifico un percorso cerco sempre di inserire lungo il percorso paesi, piccoli borghi, fortificazioni e luoghi simbolo, perché mi piace unire alla dimensione paesaggistica e naturale anche la conoscenza delle tracce lasciate nel tempo dall’uomo. Mi capita spesso di incontrare persone che quei luoghi li abitano o camminatori che hanno le mie stesse passioni. Durante le mie uscite ho scoperto un mondo nuovo. Parlo sempre con le persone che incontro, ovviamente con rispetto. Ci scambiamo un saluto, una battuta ordinaria, e poi si capisce se hanno voglia di raccontarsi oppure no. Ho conosciuto persone straordinarie e ho scoperto che la maggior parte delle persone incontrate in montagna è ben disposta a parlare con gli sconosciuti come me. A volte mi raccontano frammenti della loro vita, anche molto personali. Conoscendo i luoghi si conoscono le vite delle persone, che in montagna sembrano sempre essere più generose. Ho conosciuto e parlato con vecchi che non hanno mai abbandonato le loro case, con giovani che sono tornati a vivere nelle case dei loro nonni, con contadini che hanno continuato senza sosta a lavorare la terra, con allevatori che vivono del formaggio prodotto, con proprietari di seconde case che appena possono abbandonano la vita a valle per ritrovare la pace sui monti. La lista sarebbe ancora lunga e di storie ne avrei tantissime, anche se forse non sarebbe neppure giusto condividerle perché so che sono state raccontate all’interno di uno spazio intimo, che solo in montagna si può creare con uno sconosciuto. Lo sento che mi danno fiducia e io voglio ripagare quella fiducia. Eppure non ho resistito alla tentazione di condividere con voi queste mie emozioni, forse nella speranza di trovare delle conferme del fatto che non sono il solo a essere appagato da queste relazioni estemporanee e profonde che la montagna è in grado di regalare.

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Alberto B.

Caro Alberto, grazie per questa sua lettera. Spero proprio che dia seguito a quanto ha promesso. Saremo più che lieti di leggere altre sue riflessioni che, come questa, colgono assolutamente nel segno. Più volte abbiamo dedicato energie e spazio alle narrazioni di cui parla. Non penso solo alle nuove economie di montagna, al fenomeno dei cosiddetti ritornanti e alle cooperative di comunità, ma anche agli antichi mestieri e al grande valore della socialità e delle relazioni umane. Del resto, come ho già avuto modo di ricordare altrove, secondo la Convenzione europea del paesaggio (articolo 1) il “paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Quindi sì, il paesaggio siamo anche noi. E le storie che lei ha raccolto e che anch’io, come molti, sono felice di ascoltare e magari di trasferire agli altri - complice il mestiere che faccio - ritengo siano straordinariamente ed emotivamente significative. In quei racconti c’è la nostra storia, ma soprattutto c’è il valore empatico di un rapporto che un istante prima non esisteva e che il contesto montano, con tutta la sua bellezza, ha favorito. Quindi, caro Alberto, non smetta mai di andare alla ricerca dei luoghi e delle persone.

Luca Calzolari Direttore Montagne360

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