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Segnali dal clima

Orsi polari e ghiaccio marino. La scoperta di una nuova popolazione di orsi polari in Groenlandia apre prospettive inedite per il futuro della specie

a cura di Mario Vianelli

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Quando nel 1774 il capitano inglese Constantine J. Phipps fornì la prima descrizione scientifica degli orsi che “si trovano in grande numero sulla terraferma di Spitsbergen e anche sulle isole e i campi di ghiaccio adiacenti” non ebbe dubbi nel chiamare la specie Ursus maritimus. Quegli animali, “molto più grandi dell’orso bruno” erano chiaramente legati all’ambiente marino e le osservazioni successive lo confermarono tanto che nella seconda metà del secolo scorso, complici anche le immagini e i filmati sempre più spettacolari, gli orsi polari divennero il simbolo dei mari artici e poi degli effetti della crisi climatica su quelle regioni remote e fragili. Effettivamente gli orsi polari sono perfettamente adattati alla vita marina: non necessitano di acqua dolce poiché la metabolizzano dai grassi animali, sono nuotatori capaci di percorrere centinaia di chilometri in mare aperto e le loro prede preferite, le foche, vengono cacciate solitamente dai lastroni di ghiaccio marino alla deriva. Soprattutto quest’ultima caratteristica fa temere per il futuro della specie, classificata come “vulnerabile” nonostante dal 1973 la caccia sia consentita in tutto l’Artico soltanto alle popolazioni locali e usando metodi tradizionali, e benché il disturbo ambientale negli areali abitati dall’orso sia minimo. La decrescente estensione e durata del ghiaccio marino è sicuramente una sfida per la sopravvivenza degli orsi, costretti a nuotare su distanze maggiori e a rinunciare a parte delle scorte di grasso garantiti dalle foche. Nelle zone meridionali del loro areale, come la Baia di Hudson, il ghiaccio scompare del tutto durante l’estate, costringendo gli orsi a terra per molti mesi in attesa del rigelo; altrove, come nel Mare di Beaufort, gli animali si stanno spostando a nord alla ricerca di acque ricche di ghiaccio tutto l’anno. Fino a poco fa si conoscevano 19 popolazioni di orsi polari, con un numero stimato di 22-30mila esemplari, ma i dati sono frammentari a causa delle difficoltà ambientali e della vastità dell’areale e la recente scoperta di una ventesima popolazione nella Groenlandia sud-orientale testimonia quanto ancora siano incomplete le conoscenze della specie. Questi orsi ‒ finora ne sono stati contati un centinaio ‒ vivono infatti in una zona impervia, stretta fra le montagne costiere e la calotta di ghiaccio continentale, affacciata su fiordi sgombri dal ghiaccio marino per gran parte dell’anno; l’isolamento è tale che la popolazione è risultata geneticamente separata da tutte le altre, si ritiene almeno da qualche secolo. La caratteristica più singolare di questi orsi è di dipendere soltanto marginalmente dal ghiaccio marino: quando questo scompare gli orsi si spostano all’interno dei fiordi dove trovano i blocchi di ghiaccio rilasciati dai fronti dei ghiacciai continentali, che vengono usati come piattaforme per proseguire la caccia alle foche. Questa semplice strategia indica che le abitudini alimentari e di caccia degli orsi sono abbastanza elastiche da potersi adattare a situazioni differenti: e l’adattamento è la chiave della sopravvivenza di fronte ai cambiamenti. L’avanzare delle ricerche ha anche un po’ ridimensionato il ruolo delle foche nell’alimentazione degli orsi polari: in realtà si nutrono anche di pesci, uccelli, uova, delfini e perfino di alghe marine oltre che delle carcasse di cetacei spiaggiati; gli esemplari costretti a passare molti mesi sulla terraferma predano anche caribù, lepri, volpi e giovani buoi muschiati, e non disdegnano di avvicinarsi agli insediamenti umani alla ricerca di cibo, creando spesso seri problemi di sicurezza per gli abitanti.

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