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Alpinismo | Il mio Everest
L’importanza di rialzarmi dopo le ripetute cadute e la voglia d’inseguire i sogni mi ha portato a essere il primo atleta pluriamputato al mondo ad aver compiuto l’impresa. E così oggi vi racconto come ho conquistato l'Everest
di Andrea Lanfri, Atleta paralimpico e alpinista pluriamputato
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Alla fine ce l’ho fatta. Per quanto possa sembrare incredibile, sono riuscito a conquistare la cima più alta del mondo. L’ho capito quando le fatiche erano tante ed eravamo sull’Hillary Step, che rappresenta un passaggio particolarmente delicato e roccioso. È stata un’emozione enorme, smisurata. Ho accelerato per l’emozione, ma ancora non ci credevo. Avrei voluto correre verso la vetta nell’ultimo tratto, relativamente più facile e leggermente pianeggiante, ma ho dovuto fare due pause a causa del fiato corto. Proprio quando le bandierine di vetta mi sventolavano di fronte agli occhi. Quell’immagine era già dentro di me, la sognavo da anni. E finalmente ero lì, di fronte a un panorama pazzesco. Sì, all’alba del 13 maggio 2022, alle 05.40 ore locali, ho conquistato l’Everest. Senza gambe e con sole tre dita.
LA FORZA DELLA DETERMINAZIONE
Una cosa incredibile. Mai nella mia vita avrei detto di godere di così tanta bellezza e felicità, soprattutto dopo gli anni difficile che ho vissuto e attraversato. Continuavo a ripetermi “Ma dove sono? Ehi, Andrea, guarda fin dove sei arrivato”. Pensavo di sognare, invece era tutto vero. Ho pensato agli inizi, a quando fallivo costantemente. Se all’inizio non mi fossi rialzato a ogni caduta con le protesi da quel sentiero sopra casa, a Sant’Andrea di Compito? Mi sono risposto che se non mi fossi rialzato, là sui sentieri alle pendici del versante lucchese dei Monti Pisani, be’, quante cose mi sarei perso. Tutte le fatiche, tutti gli allenamenti e tutte le persone che ho conosciuto lungo questo cammino mi hanno portato a vivere questa gioia. Ma cominciano il racconto dal principio.
L’INIZIO DEL VIAGGIO
Dopo mesi di preparazione siamo partiti il 23 marzo 2022. Con me c’erano Luca Montanari (guida alpina e amico impareggiabile), alcuni amici appassionati di alpinismo, la fotografa Ilaria Cariello, il videomaker Giacomo Biancalani e un ospite d’eccezione: mio padre, che ci ha seguiti fino al Campo base. Il trekking di avvicinamento parte con entusiasmo e il 25 marzo la prima tappa è già conquistata: Phakding, quota 2.610 m. Prima tappa, primo villaggio, prima pasticceria. Perché al di là della conquista della vetta, l’aspetto più straordinario di questa impresa è stato attraversare paesi e villaggi, conoscere le persone, le tradizioni e la cucina locale. Tutte esperienze arricchenti. Sui ponti sospesi sul fiume Dudh Koshi, compreso il rinomato Hillary Bridge che deve il suo nome all’esploratore Sir Edmund Percival Hillary (primo alpinista ad effettuare l’ascensione dell’Everest nel 1953), sventolano le preghiere. Proseguiamo in un’atmosfera di pace scandita dal rumore dei passi e delle acque scroscianti del fiume. A Namche Bazaar ci acclimatiamo, ci riposiamo e visitiamo il museo dedicato agli Sherpa.
ECCO L’EVEREST
Arrivati a 4000 m di quota, sotto l’attento sguardo del Thamserku (6608 m), lo vediamo per la prima volta. Eccolo, da qua si scorge la cima del grande Everest, proprio dietro l’icona principale del popolo sherpa, Tenzing, il primo a raggiungere la vetta insieme a Hillary. Per me e per Luca è una grande emozione. E poi vedere il villaggio di Namche dall’alto è uno spettacolo unico. Le abitazioni sono letteralmente “abbracciate” dalle montagne himalayane. Un’immagine accogliente e al tempo stesso piena di forza. Cosa accade in quei giorni? Provo a correre sulle lame, camminiamo, i portatori si sfidano in una partita di pallavolo, riceviamo la benedizione in un tempio buddista, incontriamo gli Yak e raggiungiamo la sommità del Nangkartsang (5083 m). Il tempo ci assiste, arrivati ai 5000 m, sulla morena del ghiacciaio dell’Everest, notiamo il paesaggio che cambia.
IL PRIMO RECORD
Due giorni dopo arriveremo al campo base. Ma prima accade qualcosa che nessuno sapeva. Nessuno eccetto me: correre veloce là dove non ha mai corso nessuno. Ho infatti stabilito il record sul miglio di corsa più alto al mondo, correndo sulle sue lame a 5160 m. L’obiettivo era di completare il miglio entro i 10 minuti. Ora è tutto al vaglio del Guinness world record, che ratificherà anche la prima conquista dell’Everest effettuata da un alpinista pluriamputato. Confesso che non è stato facile. Il terreno su cui ho corso era irregolare e disomogeneo. Ho fatto qualche giro di prova, poi sono partito. Quando negli ultimi cento metri ho guardato l’orologio mi sono reso conto che ce l’avrei fatta e sono scattato dando tutto quello che avevo in corpo. Alla fine ho fermato il cronometro a 9 minuti e 48 secondi.
VERSO L’ASCESA
Dopo tanti chilometri e altrettanti straordinari incontri raggiungiamo il campo base e per la prima volta vediamo da vicino l’Ice Fall, la cascata di ghiaccio che si trova lungo il fianco dell’Everest. Qua saluto mio padre e il gruppo che ci ha accompagnati. Da questo momento in poi saremo soltanto io e Luca. Passano i giorni, ci alleniamo, il campo si popola a poco a poco di altri alpinisti e nuove tende spuntano un po’ ovunque. Poi inizia l’acclimatamento. Nel frattempo saliremo anche sul Lobuche. Mi sento parte del luogo che stiamo vivendo. E tra un allenamento e una “faccenda domestica”, con il team (insieme a me e Luca ci sono ora Mingma, Lakpa e Dawa) pianifichiamo le rotazioni ai campi alti. Un mese dopo conquisteremo l’Everest. Le emozioni e le attività che hanno riempito quei trenta giorni scarsi sono difficile da raccontare e sintetizzare. Tra le cose più emotivamente coinvolgenti c’è stata senz’altro la Puja, ovvero la cerimonia con cui i viandanti chiedono il “permesso” alla montagna di passare.
LA CONQUISTA (E LE NUOVE SFIDE)
La prima traversata dell’Ice Fall e della Valle del Silenzio è stata incredibile, difficile da esprimere a parole. Ma questo è solo un frammento delle mille emozioni che ci hanno abbracciato in quei giorni. E quando la fase di acclimatamento si è conclusa siamo scesi di quota per recuperare energie e programmare la partenza per la vetta. Ci siamo goduti ogni momento di questa esperienza. Il 5 maggio il fixing team è partito per attrezzare la cima. La preparazione fisica necessaria per raggiungere la vetta è notevole, ma anche allenare la concentrazione è fondamentale. Pensavamo di provare a salire qualche giorno dopo, e così è stato: il 9 maggio inizia il primo ufficiale tentativo di vetta. Arrivati al campo 1 abbiamo scelto di continuare per il campo 2, dove siamo arrivati stanchissimi (dopo 12 ore) ma in buone condizioni. Stavolta però il meteo complica le cose. Freddo e vento ci bloccano in tenda per un giorno. L’11 maggio arriveremo al campo 3, il giorno dopo al campo 4. E alle 19.30 (ora locale) cominciamo a salire. Gli 8849 m del tetto del mondo li conquisteremo all’alba del giorno dopo. Sì, ce l’ho fatta davvero. Anzi, ce l’abbiamo fatta. In molti mi hanno chiesto: “E ora che farai?”. Continuerò a scalare. Mentre leggerete queste pagine io sarò nel cuore dell’Africa per scalare il Monte Kenya (5199 m) e il Kilimangiaro (5895 m). L’avrete capito, ma l’obiettivo è quello scalare le Seven Summits, le montagne più alte di ciascun continente. Di ritorno dal Nepal gli amici mi hanno regalato un collage di cornici, e in due di esse c’erano le foto delle conquiste già avvenute: Monte Bianco ed Everest. Al mio ritorno dall’Africa aggiungerò anche la terza foto.