Lo Strutturista - Anno I Nr. 2/2020 | Aprile 2020 - Reg. Trib. di Pisa nr. 2754/2019 R.N.C. - 22/19
LE STRUTTURE TRA SCIENZA, TECNICA E ARTE
Focus
LE CUPOLE GEODETICHE una sfida per grandi coperture Applicazioni e analisi del comportamento strutturale a cura dell’ing. Federico M. Mazzolani
Esclusiva
Caso Studio
ing. Marmo:
ing. Salvatori, ing. Leonori:
“Archi e volte: forma, equilibrio e resistenza”
“Tecnologie innovative per il miglioramento sismico di un aggregato antico: Casale Sant’Antonio a L’Aquila”
Nr. 02 Aprile 2020
Focus
LE CUPOLE GEODETICHE una sfida per grandi coperture
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ing. Federico M. Mazzolani Professore Emerito di Ingegneria Strutturale presso il Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura dell’Università di Napoli “Federico II”, tra i massimi esperti di strutture metalliche, a livello mondiale. Autore di più di mille pubblicazioni, di cui circa 50 monografie e 36 libri, ha ricevuto vari premi nazionali e internazionali per la ricerca e la progettazione. Presidente di Commissioni normative europee e nazionali; membro della Canadian Standard Association e del Consiglio Direttivo dell’Associazione francese APK. Presidente di svariati congressi internazionali.
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Focus
Le applicazioni delle cupole geodetiche Si definisce cupola geodetica una struttura emisferica composta da una rete di aste giacenti sui cerchi massimi della superficie sferica (geodetiche), che si intersecano formando elementi triangolari molto simili fra loro. Fra tutte le strutture composte da aste, la cupola geodetica è quella con il massimo rapporto fra volume racchiuso e peso strutturale. Questa proprietà affascinò Fuller che ne propose un’applicazione, utilizzando l’acciaio come materiale strutturale e realizzando una sfera con diametro di 76 m (Figura 1). Tale sfera fu esposta al grande pubblico nell’Expo 1967 di Montréal, in Canada, come parte del padiglione americano e che tuttora, ribattezzata come Biosfera, ospita un museo dedicato all’ambiente. Un importante salto dimensionale si è avuto nella costruzione nel 1997 della cupola geodetica di acciaio del Nagoya Dome in Giappone con diametro di 161,50 m (Figura 2). Precedentemente, nella cupola geodetica, costruita nel 1975 per ospitare la stazione antartica Amundsen-Scott (Figura 3), al posto dell’acciaio si utilizzò per la prima volta l’alluminio, sfruttando la specifica proprietà di questo materiale di migliorare la sua tenacità al diminuire della temperatura, contrariamente a quanto avviene per l’acciaio. A questa prerogativa, se ne aggiungono altre – in particolare la resistenza alla corrosione - che, in alcuni casi, rendono le leghe di alluminio competitive con l’acciaio [1,2].
>> Figura 1 La Biosfera di Montreal (Quebec, Canada)
>> Figura 2 Lo stadio di baseballdi Nagoya (Giappone)
>> Figura 3 La stazione scientifica del Polo Sud
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Per sfruttare al massimo la principale proprietà di questa tipologia strutturale (massimo volume con il minimo peso), le leghe di alluminio sono largamente utilizzate negli Stati Uniti per realizzare molte cupole geodetiche di grandi dimensioni dalle Società Tem-
cor, Conservatex e Geometrica, non solo per scopi industriali a copertura di serbatoi petroliferi sfruttandone l’elevata resistenza alla corrosione (Figura 4), ma anche, e soprattutto, per coprire importanti spazi dedicati ad eventi sportivi e culturali (Figura 5).
>> Figura 4 Coperture geodetiche di alluminio perimpianti industriali
Università del Connecticut (USA)
Epcot Center (Florida, USA)
Bell Country Arena (Temple, Texas, USA)
>> Figura 5 Alcune cupole geodetiche di alluminio realizzate negli Stati Uniti:
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Case study
TECNOLOGIE INNOVATIVE PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO DI UN AGGREGATO ANTICO: “CASALE SANT’ANTONIO” A L’AQUILA
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e esigenze di conservazione e di tutela degli edifici storici spesso confliggono con le esigenze di salvaguardia e sicurezza sismica da assicurare sia nei confronti delle strutture che nei confronti degli occupanti, specialmente in quegli edifici, di interesse storico, sedi di istituzioni pubbliche o di scuole, in cui il fattore esposizione diviene rilevante ai fini della valutazione dell’intervento da effettuare sull’edificio. Esistono due principali approcci al problema dell’adeguamento o miglioramento sismico degli edifici esistenti. L’uno legato all’abbattimento della domanda sismica alla struttura, e quindi si è nel campo dei sistemi di isolamento e dissipativi, l’altro legato all’aumento della capacità resistente degli elementi strutturali, e quindi a tutta la vasta famiglia dei sistemi di consolidamento strutturale. Non è detto che questi due approcci non possano coesistere; è il caso, ad esempio, di isolamento sismico posto su strutture che presentino già carenze per i soli carichi statici o di rinforzi locali in corrispondenza delle porzioni adibite al posizionamento dei dispositivi. La tecnica dell’isolamento in retrofitting è sicuramente una
ing. Antonello Salvatori Nome professore associato Università Ruolo/incarico degli Studi dell’Aquila e progettista strutturale
ing. Marianna Leonori Ufficio Tecnico EDIL CAM® Sistemi, impresa esecutrice lavorazioni CAM®
delle più efficaci per salvaguardare le strutture, in quanto è l’unica che permette di avere danneggiamento nullo a valle di un evento sismico. Tuttavia tale tecnologia risulta di difficile applicazione nel caso di fabbricati inseriti in contesti edilizi complessi. Il secondo approccio, generalmente sempre applicabile, riguarda l’incremento in capacità, raggiungibile applicando differenti tecniche di consolidamento sulle strutture in c.a. e in muratura. È di fondamentale importanza, indipendentemente dall’approccio scelto e dalla/e tecniche di consolidamento impiegate per il raggiungimento dell’obiettivo, affrontare in maniera dettagliata lo studio della struttura, al fine di raggiungere il massimo livello conoscitivo in termini di materiali, geometria e dettagli costruttivi. Le informazioni preliminari ricavate da questo studio sono infatti fondamentali non solo alla conoscenza delle carenze ‘tipiche’ anche in base all’epoca di costruzione, ma soprattutto risultano fondamentali nella scelta della/ delle tecniche di intervento senza snaturare il comportamento della struttura nella sua concezione originaria. A parte i casi limite di edifici monumentali, ove evidentemente le esigenze di tutela sono molto spesso prevalenti
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Case study
sulle tipologie di intervento antisismico (quando e dove applicabili), nel caso di edifici storici (pubblici e privati) di carattere ordinario, la tutela può divenire compatibile mediante l’applicazione corretta delle metodologie, tradizionali o innovative, di restauro antisismico. Il caso dell’aggregato storico del “Casale Sant’Antonio”, con parti dell’edificio risalente a prima del 1200, alle porte del centro storico dell’Aquila, rappresenta un valido esempio in cui le moderne tecniche di consolidamento antisismico ben si coniugano al miglioramento sismico delle strutture, pur mantenendo intatta l’identità storica del fabbricato. L’aggregato considerato è composto da edifici in muratura ed una chiesa costruiti a partire dall’anno Mille, ed aggregati in varie maniere. Sono presenti rimaneggiamenti del secolo XX molto marcati, con elementi orizzontali in c.a. inseriti all’interno della struttura in muratura. S. Antonio, Chiesa fuori dell’Aquila, era un ospedale istituito per servizio dei lebbrosi, ed altri affetti da mali incurabili. A giudicare da notizie prese dal Leosini, S. Antonio doveva essere una chiesa con annesso convento. I religiosi che vi prestavano servizio sembra fossero quelli dell’ordine di S. Antonio di Vienne o Antoniani. Essi avevano il compito di assistere i malati affetti da Herpes Zoster (volgarmente detto fuoco di S. Antonio). È presumibile che la Chiesa fosse stata costruita nella stessa epoca in cui fu costruito l’ospedale, ciò anche a giudicare da quel poco che si può desumere dalla struttura attuale dell’intera fabbrica. Qualche autore avanza l’ipotesi che l’ospedale annesso alla chiesa esistesse fin dal 1138. “Le prime notizie sicure del Convento - Ospedale risalgono al tempo di Gregorio IX (1227 - 1241) il quale dichiarò l’ospizio fuori della giurisdizione vescovile ed immediatamente soggetto alla S. Sede. Celestino V (1294) e Clemente V (1130)
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>> Figura 1 Veduta complessiva dell’aggregato Sant’Antonio
confermarono i privilegi”. Da una lapide, letta dall’Antinori, ci è noto che nello stesso anno 1309 fu aperta la porta laterale della chiesa, ornata di basso-rilievi, forse l’ultimo lavoro nel programma dei miglioramenti, iniziato l’anno precedente. L’ospedale funzionava ancora verso la metà del XVI secolo. Tredici anni dopo l’ospedale fu restaurato, ma al principio del XVII secolo doveva aver cessato di esistere, poiché il Ciurci, nella cronistoria della pestilenza del 1621, ricordava solo la chiesa di S. Antonio fuori città, «dove furono scavate le fosse», ma non accennava affatto all’ospedale Nel secolo XVII doveva essere in completo abbandono se, come riporta l’Antinori, presso di esso vi erano le fosse comuni per la sepoltura degli appestati, fosse scavate alla bene e meglio dove cani ed altri animali mangiavano e sparsero pei campi d’intorno ossa e membra lacerate. Nel secolo XVIII le proprietà terriere e i locali dell’ospedale cominciarono ad essere ceduti ad altri. I locali, almeno in parte, furono adibiti ad osteria, a macello ed altro. L’edificio ha subito notevoli danni dal sisma del 2009, in particolare in corrispondenza dell’ala più antica e della chiesa. I danni subiti hanno messo
in evidenza rimaneggiamenti, e tracce di precedenti crolli dei terremoti distruttivi passati (1349, 1461, 1703). La forma irregolare in pianta (una C con la chiesa in appendice) è frutto delle molte manipolazioni ed estensioni avvenute nel corso dei secoli, con aggiunte e sopraelevazioni che hanno mutato l’antica funzione di lazzaretto al di fuori delle mura cittadine in edificio adibito a residenze, locali commerciali, uffici e chiesa. La Chiesa si presta ad una difficile lettura di come poteva essere originariamente, varie manipolazioni nel tempo hanno alterato il suo aspetto originario, non lasciando nessuna possibilità di adottare tecniche di restauro per il ripristino o il recupero di elementi storici. Da una prima analisi dello spazio esistente risulterebbe che la Chiesa avesse l’accesso da un’altra parte, dove si ritrova facilmente leggibile una tamponatura di un grande portale, il luogo dove è posizionato l’altare certamente un locale aggiunto, la struttura lignea della copertura a capriate dimostrerebbe che la chiesa si sviluppava nell’altro verso e l’altare doveva essere sulla parete di confine con l’ex Convento - Ospedale. Da una prima analisi conoscitiva risulta che le murature, in pietra ed in mu-
>> Figura 2 Particolari della tessitura muraria interna e degli elementi in c.a. spuri effetto del rimaneggiamento nel tempo
ratura mista, hanno perso la continuità a causa, oltre dell’evento sismico, anche dell’inconsistenza delle malte. Inoltre, erano presenti ab origine disconnessioni tra pareti ortogonali, rendendo così possibile il cinematismo fuori del piano delle pareti stesse. Gli orizzontamenti voltati si presentano in un discreto stato di conservazione, mentre i solai piani (lignei e in acciaio e tavelloni) sono maggiormente danneggiati, in alcuni casi riscontrando anche un distacco con slittamento dalla muratura perimetrale. Molti sono gli elementi decorativi in gesso, internamente, mentre all’esterno sono presenti bassorilievi e portali decorati in materiale lapideo. Come antitesi i rimaneggiamenti avvenuti anche in epoche recenti hanno portato all’introduzione di elementi spuri quali travi in c.a. e pilastri in muratura e struttura mista addossati e parzialmente inseriti nella struttura muraria. Davanti a questo quadro di insieme l’intervento a livello strutturale, per poter mettere in sicurezza questo bene storico architettonico di pregio, tramite un insieme di opere mirate a migliorare le debolezze individuate, in particolare i meccanismi di collasso, e per risolvere le deficienze individuate nel rispetto del lessico architettonico e strutturale originale, è stato effet-
tuato applicando tecnologie innovative, quale principalmente la tecnologia CAM® per il consolidamento diffuso della muratura, ma compatibili con le esigenze di conservazione del bene storico. L’intervento strutturale è stato programmato senza contaminare il “genius loci”: ogni intervento è stato calibrato e volto a mantenere l’integrità materiale e ad assicurare la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali, facendo in modo che le caratteristiche della costruzione, anche migliorate, rimangano della stessa natura di quelle originali e che i miglioramenti strutturali presentino un lessico costruttivo coerente con quello originario. Inoltre, l’intervento è stato progettato per non aumentare le masse strutturali nel contempo integrando un notevole miglioramento del comportamento sismico dell’aggregato, sia con riferimento ai cinematismi locali che al comportamento globale della struttura in muratura, ivi compreso la parte relativa alla chiesa di S. Antonio, che ha evidenziato, durante il sisma, numerosi danni e notevoli criticità strutturali, in particolar modo nell’antica facciata sul lato Est.
Le tecnologie di riparazione e miglioramento sismico Raggiunta una approfondita conoscenza del fabbricato, il difficile compito consiste nel ricercare quelle soluzioni che permettano di portare il comportamento della struttura esistente a quello dell’analoga idealmente ben progettata in origine per resistere ai carichi statici e sismici. Un buon comportamento nei confronti delle azioni orizzontali possiamo definirlo come un comportamento “duttile” a livello globale, ovvero in cui il massimo numero di elementi sono chiamati a sopportare insieme l’azione esterna. Vanno quindi ostacolati i meccanismi fragili di collasso sia locali che globali. Nei fabbricati intelaiati in c.a. questo corrisponde all’eliminazione delle carenze di armatura trasversale in travi, pilastri e nodi che ne determinano la prematura rottura a taglio, mentre a livello globale si deve attuare una strategia di consolidamento volta al massimo sfruttamento delle iperstaticità del sistema strutturale. Tale strategia altro non è che il riproporre la progettazione ‘in gerarchia’ nel problema del consolidamento. Se le strutture in c.a. nascono come sistemi continui e connessi, le strut-
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Case study
ture murarie presentano molto spesso, più che un comportamento di insieme, un insieme di comportamenti locali che non concorrono ad un assorbimento efficiente dell’energia trasmessa dal sisma. Questo è dovuto alla diffusa mancanza di scatolarità di comportamento per via di carenze di connessione tra i singoli corpi murari e tra questi e gli orizzontamenti. Tali discontinuità nei fabbricati murari portano a collassi prematuri che pertanto possono essere considerati come fragili primari. La problematica della continuità strutturale sugli edifici in muratura non solo si evidenzia tra macroelementi ma arriva fino alla costituzione del singolo elemento o maschio murario. La disgregazione della parete muraria per effetto della dislocazione degli elementi lapidei è una mancanza di continuità che si osserva a livello locale (di tessitura) mentre il collasso per ribaltamento di singole porzioni o pareti è assenza di continuità tra macroelementi (tra pareti o tra pareti e orizzontamenti). Nei manufatti in muratura, quindi, il meccanismo fragile è determinato dall’attivazione di un meccanismo resistente “in serie” piuttosto che “in parallelo”, in cui gli elementi (microelementi lapidei, macroelementi le singole pareti e i solai) collassano singolarmente senza capacità di ridistribuzione delle azioni esterne. Un manufatto ben legato, in cui il comportamento è “scatolare”, permette l’attivazione dei meccanismi resistenti più energivori (resistenza nel piano di tutti i pannelli). Solo intervenendo scongiurando i fenomeni appena descritti attraverso una serie di rinforzi localizzati, il fabbricato può essere caratterizzato sismicamente dal suo comportamento globale, dove i solai consentono una corretta ripartizione delle masse (quindi azioni) di piano tra i maschi murari e questi collaborano (tutti) nell’assorbire le azioni sismiche. Ovviamente quest’ultimo funzionamento (pareti in parallelo) si raggiunge non solo attraverso il ripristi-
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>> Figura 3 Collasso per disgregazione della muratura
>> Figura 4 Collasso per cinematismi di ribaltamento
Riassumendo per intensità sismica di attivazione:
Tipo di collasso
Tipo di intervento
Collasso per disintegrazione
Necessità di ricompattare e omogeneizzare l’apparecchio murario
Collasso per ribaltamento fuori dal piano
Necessità di legare insieme le pareti ortogonali e i solai alle pareti
Collasso nel piano dei pannelli (rottura a pressoflessione, taglio, schiacciamento)
Necessità del contributo resistente dell’armatura diffusa
no dei vincoli, ma anche attraverso un’ulteriore fase di intervento, capace di incrementare la duttilità nel piano, cioè aumentare la capacità di mantenere una certa resistenza post-fessurazione con spostamenti di interpiano (drift) elevati. Il funzionamento “in parallelo” consente l’attivazione della resistenza del numero massimo di elementi, aumentando la capacità massima del fabbricato sia in termini di resistenza alle azioni che in termini di dissipazione dell’energia sismica. Ciascun punto obiettivo (ricompattazione dell’apparecchio murario – incatenamenti e ammorsature tra pareti ortogonali e vincoli tra pareti ed orizzontamenti – incremento resistente per meccanismi a taglio e a pressoflessione nel piano e fuori piano) deve essere raggiunto. Nell’ottica economica globale e nel rispetto dei vincoli imposti, gli interventi volti al raggiungimento degli obiettivi prefissati con il minimo impatto complessivo sono identificati nella soluzione di progetto tra cui interventi diffusi
Case study MSC Associati Nome società Ruolo/incarico di progettazione e consulenza ingegneristica
PORTA NUOVA GARIBALDI MILANO EDIFICIO E3 EAST
L’
edificio nasce sopra una struttura esistente in c.a. di tre piani che ospitano parcheggi e attività commerciali. Gli esiti delle analisi hanno evidenziato la necessità di opere di rinforzo delle strutture esistenti, aggiungendo nuovi setti e irrobustendo i controventi esistenti, le fondazioni sono risultate idonee a sopportare l’incremento di carico. Al primo piano interrato, è stato realizzato un graticcio di travi parete di altezza pari all’interpiano tale da sostenere “in falso” tutte le nuove strutture in elevazione. Per le opere di rinforzo delle strutture interrate esistenti si è impiegato un calcestruzzo di classe C45/55, le nuove strutture in elevazione sono state realizzate con calcestruzzi leggeri (LC 35/38 e LC 30/33). Sono di particolare importanza le strutture a sbalzo che realizzano l’arretramento delle strutture verticali a livello del piano strada. Si presenta del tutto particolare il rivestimento esterno in legno, che dà origine ad una geometria “divergente” rispetto al filo facciata.
L’opera: informazioni principali L’edificio E3 EAST, progettato dall’arch. Mario Cucinella (MC A Mario Cucinella Architects), risulta essere un intervento altamente rappresentativo a supporto delle attività direzionali dell’area urbana in cui è inserito. Come la vicina Porta Garibaldi introduce alla piazza XXV Aprile, anche questo edificio vuole presentarsi come un elemento di collegamento filtrante tra il tessuto urbano e il parco adiacente, imponendosi quasi come quinta scenica, un portale. Il progetto esplora il tema della sintesi tra ‘naturale’ e ’artificiale’ sotto il profilo formale e ambientale. Con i suoi 2.400 mq, è stato concepito come un unicum in cui, il ritmo dei grandi portali, crea un’ampia pergola che si affaccia sulla piazza e sul parco. La ripetizione degli elementi strutturali e formali, secondo un ritmo serrato e regolare, genera il volume dell’edificio e frammenta il landscape in scorci modulari che movimentano il percorso che, da Piazza Gae Aulenti, porta alle Varesine.
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Case study
>> Figura 1 Edificio E3 East
>> Figura 2 Edificio E3 East
L’edificio si distingue per forma e carattere dagli edifici limitrofi, riprendendo il legno quale elemento di contrasto in un landscape dominato dalle vetrate.
Le opere strutturali: interazione con la struttura esistente
Dal punto di vista strutturale, l’edificio nasce da una struttura esistente di tre piani interrati, nel seguito chiamato “Podio”, interamente realizzato in calcestruzzo armato, che ospita parcheggi e attività commerciali. Il collegamento tra l’E3 East e l’esistente sottostruttura è di tipo rigido e quindi in fase di progettazione si è proceduto all’analisi del comportamento d’insieme della struttura risultante, soggetta alle azioni statiche e dinamiche. Gli esiti di queste analisi hanno evidenziato la necessità di interventi di rinforzo delle strutture in c.a. esistenti, aggiungendo nuovi setti e incrementando i controventi in essere; le fondazioni, invece, sono risultate idonee a sopportare il carico aggiunto derivante dalle nuove strutture di elevazione. Le opere di rinforzo di maggiore rilevanza hanno riguardato il primo piano interrato, dove è stato realizzato un graticcio di nuove travi parete, di altezza pari all’interpiano, in luce ai setti in c.a. esistenti, adeguatamente rinforzati. Tali travi pareti sono state progettate al fine di poter sostenere “in falso” tutte le nuove strutture di elevazione dell’E3 East, senza indurre deformazioni sull’esistente in grado di compromettere le opere di finitura. Si è optato per realizzare tutti i rinforzi della volumetria interrata con calcestruzzi ad alte prestazioni, di classe C45/55.
>> Figura 4 Metodo agli elementi finiti
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>> Figura 3 Edificio E3 East
>> Figura 5 Sezione longitudinale
Ricerca e innovazione
ARCHI E VOLTE: FORMA, EQUILIBRIO E RESISTENZA
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li archi e le volte sono elementi caratteristici delle strutture in muratura e fin da tempi antichi hanno reso difficile il compito dei costruttori che affrontavano i problemi legati alla definizione della loro forma, allo studio del loro equilibrio e alla determinazione della loro resistenza. Come vedremo, la forma e l’equilibrio di questi elementi sono profondamente correlati e ne determinano in maniera fondamentale la resistenza, più di quanto non avvenga per strutture in calcestruzzo armato, in acciaio o in legno, dove, invece, è il comportamento del materiale a condizionare maggiormente la resistenza della struttura. Questo non deve far pensare che la qualità del materiale non influisca affatto sulla resistenza di archi e volte. Come vedremo, molti metodi di analisi si basano su ipotesi ben precise che riguardano il comportamento meccanico del materiale. La muratura è un materiale dal comportamento irregolare e complesso, che non può essere determinato unicamente dalla qualità dei materiali costituenti (blocchi e malte), ma anche dal modo in cui questi sono assemblati, dal loro degrado e
ing. Francesco Marmo ricercatore di Scienza delle Costruzioni presso il Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura della Università di Napoli Federico II
da condizioni esterne alla struttura (cedimenti, temperatura, ecc.). Per questo motivo, i metodi di analisi con più larga applicabilità devono necessariamente basarsi su ipotesi semplici e di facile verificabilità. Ciò non esclude che esistano metodi più efficienti ed accurati per la soluzione di problemi specifici, che però sono difficili da applicare al di fuori del loro particolare ambito. Per meglio comprendere in che modo la forma e l’equilibrio sono determinanti per la resistenza di archi e volte è opportuno illustrare i concetti su cui si basa l’analisi di questi elementi strutturali. Nel fare questo, seguirò, per comodità, l’ordine cronologico con cui questi concetti sono stati compresi. Il mio intento non è quello di tracciare lo sviluppo storico dei metodi di analisi, ma di introdurre con ordine i principi su cui essi si basano. La descrizione che segue non può, certo, essere esaustiva. Il lettore interessato potrà consultare testi dedicati, alcuni dei quali sono riportati in bibliografia.
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Ricerca e innovazione
La regola delle proporzioni I primi archi e le prime volte a botte, di modeste dimensioni, comparirono 6000 anni fa, in medio-oriente e venivano utilizzati per coprire ambienti sotterranei. L’arco di Nippur, il più antico conosciuto, fu costruito intorno al 3800 a.C. e copriva un canale di drenaggio in Mesopotamia. Gli antichi costruttori erano in evidente difficoltà nel risolvere un problema statico di basilare importanza per archi e volte: essi riuscivano a costruire strutture sicure solo se interrate, dove la spinta laterale poteva essere contrastata dalla resistenza del terreno. Successivamente, in Egitto si ebbe una notevole evoluzione della tecnica costruttiva. Le volte del Ramesseum, il tempio funerario del faraone Ramses II (Figura 1), risalgono al XIII secolo a.C. e furono realizzate a corsi inclinati, una tecnica costruttiva che ne consentiva la realizzazione senza la necessità di utilizzare sostegni provvisori o centine. Queste costruzioni dimostrano che gli antichi costruttori avevano una buona conoscenza delle relazioni tra forma ed equilibrio, anche se basata unicamente su regole euristiche. Gli archi e le volte furono introdotti in Europa dagli Etruschi, che però non dimostrarono di essere costruttori esperti come i loro predecessori. Furono loro a tramandare questa tipologia strutturale ai Romani, che ne fecero evolvere la tecnologia in modi mai utilizzati prima. La Roma Imperiale apprezzava il modo in cui questi elementi strutturali consentissero di coprire luci notevoli con materiali facili da reperire (blocchi in pietra) o da produrre (mattoni e calcestruzzo), ma con scarsa resistenza a trazione. Per utilizzarli al meglio, essi impararono a controllare il flusso delle forze modificando la forma della struttura e la densità dei materiali. Inventarono la cupola e la utilizzarono per coprire grandi spazi pubblici, come
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>> Figura 1 Le volte del Ramasseum, il tempio funerario del faraone Ramses II
quelli delle Terme di Baia. La tecnica costruttiva romana raggiunse il suo culmine all’inizio del secondo secolo d.C,, quando Apollodoro riuscì a coprire la ragguardevole luce di 43 metri del Pantheon e a padroneggiare la complessità strutturale delle Terme di Traiano. Da allora, durante tutto il Medioevo e fino alla fine del Rinascimento, i metodi di costruzione di archi e volte si affinarono raggiungendo traguardi impressionanti, rappresentati dalla stupenda struttura della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, progettata e costruita da Filippo Brunelleschi a cavallo tra queste due epoche storiche. In questi edifici i costruttori medievali e rinascimentali dimostrarono la loro capacità nel progettare forme strutturali complesse e confermarono la loro abilità di intuire come queste forme fossero correlate con i carichi agenti sulla struttura, accortamente dosati e controllati con maestria. Oggi sappiamo che le tecniche da loro utilizzate seguivano un unico approccio basato sulla regola delle
proporzioni. Questa metodologia si basa sull’assunto che una struttura può essere scalata proporzionalmente in tutte le sue parti, senza modificarne la resistenza. Questo ragionamento giustifica l’utilizzo di semplici costruzioni geometriche per determinare le dimensioni di una struttura voltata. In altre parole, secondo questo approccio, i rapporti tra le dimensioni degli elementi strutturali sarebbero stati gli stessi tanto per un disegno di pochi centimetri, quanto per una struttura di diversi metri. Così, una volta dimensionata la struttura su carta, il disegno veniva ingigantito lasciando inalterato il rapporto tra le dimensioni dei singoli elementi. Questo metodo di progettazione non considerava in nessun modo la resistenza del materiale e, come sappiamo, questo va in contraddizione con i moderni metodi di progettazione delle strutture.
Ricerca e innovazione
DIMENSIONAMENTO DI CERCHIATURE PER VANI PORTE O FINESTRE IN MURATURE PORTANTI
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a realizzazione di nuovi vani porta o finestra (o la modifica di quelli esistenti) in murature portanti di edifici esistenti è un intervento quasi sempre presente nei progetti più ampi di ristrutturazione con adeguamento funzionale di edifici esistenti. Le mutate esigenze della committenza infatti sollecitano il tecnico nella ricerca di nuove soluzioni distributive in modo da soddisfare le richieste espresse. Dal punto di vista normativo, la tipologia d’intervento da prendere in considerazione nel caso dell’apertura di nuovi vani in pareti portanti (o la modifica di quelli esistenti) è certamente quella della “riparazione o intervento locale”. Secondo il punto 8.4.1 delle NTC: “Gli interventi di questo tipo riguarderanno singole parti e/o elementi della struttura. Essi non debbono cambiare significativamente il comportamento globale della costruzione… Il progetto e la valutazione della sicurezza potranno essere riferiti alle sole parti e/o elementi interessati…” Inoltre, al punto C8.4.1 della Circolare applicativa n. 7/ CSLLPP dell’11 febbraio 2019 si legge:
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ing. Claudio Ciavattini ingegnere civile e autore di testi per l’ingegneria strutturale
“Infine, la modifica di una parte limitata della struttura (ad es. l’apertura di un vano in una parete, accompagnata da opportuni rinforzi) può rientrare in questa categoria, a condizione che si dimostri che l’insieme degli interventi non modifichi significativamente rigidezza, resistenza nei confronti delle azioni orizzontali e capacità di deformazione della struttura.”. Occorre pertanto dimostrare che l’intervento non produca variazioni “significative” di rigidezza, resistenza e deformabilità. L’entità numerica della variazione “significativa” non è contenuta nelle norme, ma deve essere ricercata altrove, ad esempio con il documento del 28 settembre 2009 (e s.m.i.) predisposto dall’Ufficio del Genio Civile Area Vasta (FI-PO-PT-AR) dal titolo “Orientamenti interpretativi in merito a interventi locali o di riparazione in edifici esistenti” la Regione Toscana si è pronunciata circa l’entità del termine “significativamente” quantificandolo in una percentuale di ±15% rispetto alla rigidezza iniziale; cioè, si accetta anche che la rigidezza finale possa essere in-
feriore rispetto a quella iniziale al massimo del 15%. Le variazioni di rigidezza (K), resistenza (V) e deformabilità (δ) dovute alla realizzazione (o modifica) di un varco in una parete, si calcolano come differenza tra i corrispondenti valori di tali caratteristiche nello stato iniziale e in quello modificato (Figura 1).
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Prospetto della parete nello stato iniziale (due maschi murari – una apertura) Kiniziale - Viniziale - δiniziale
Occorre valutare attentamente la geometria della parete per individuare correttamente i maschi murari da considerare nel calcolo della rigidezza (modellazione della parete). In pratica i pannelli di muratura compresi tra le aperture contigue vengono a costituire i ritti della struttura (maschi murari), che sarà poi completata dai traversi orizzontali (fasce di piano), supposti al solito infinitamente rigidi (comportamento tipo shear type). La differenza tra la rigidezza iniziale e quella nella configurazione modificata ci permette di conoscere la perdita di rigidezza subìta dalla parete, perdita che deve essere reintegrata attraverso l’adozione di opportune misure, ad esempio quella di dotare le due aperture di una cerchiatura metallica o in c.a. o anche in muratura armata o altro oppure di intervenire sui maschi murari residui attraverso varie tecniche di rinforzo (iniezioni, lastre di placcaggio, FRP ecc).
>> Figura 1 Prospetti della parete a confronto
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Prospetto della parete nello stato modificato (tre maschi murari – due aperture) Kmod. - Vmod. - δmod.
Nel caso di pareti portanti interne (Figura 2), le aperture sono normalmente costituite dalle porte cosicché l’altezza dei maschi murari adiacenti coincide con quella della porta (da pavimento ad architrave).
La rigidezza La formula per il calcolo della rigidezza di una parete soggetta ad azione tagliante orizzontale in sommità, nell’ipotesi di traversi rigidi a flessione (shear type) tiene conto anche del contributo tagliante, non trascurabile specialmente in presenza di pareti tozze:
>> Figura 2 Pareti portanti interne
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Ricerca e innovazione
L’ipotesi di traverso infinitamente rigido consente di affermare che ciascun maschio murario subisce il medesimo spostamento d, corrispondente quindi a quello di piano. I due maschi murari possono essere assimilati a due molle in parallelo, di costanti elastiche rispettivamente K1 e K2. La rigidezza totale della parete sarà data da:
Nel caso di pareti esterne (di facciata) occorre distinguere tra aperture costituite da vani porta (balconi) e da vani finestra. Per queste ultime poi, occorre valutare la geometria del parapetto, ossia se il parapetto ha lo stesso spessore della fascia oppure se, come spesso accade, ha uno spessore ridotto (ad esempio per far posto ad un radiatore). Nel primo caso, cioè con parapetto di spessore e tipologia di apparecchiatura muraria uguale a quella della fascia di piano, l’altezza del maschio murario sarà uguale a quella della finestra adiacente ossia quella compresa tra l’architrave del vano e l’estradosso della fascia sottostante (Figura 3 – caso di parete con porta/balcone e finestre). Nel caso invece che il parapetto presenti una sensibile riduzione di spessore tale da far decadere l’ipotesi di fascia di piano rigida, allora l’altezza del maschio murario dovrà considerarsi estesa fino al pavimento (Figura 4), considerando quindi il parapetto come una struttura portata, senza funzioni statiche.
>> Figura 3 Caso di parete con porta/balcone e finestre
>> Figura 4 Altezza del maschio murario dovrà considerarsi estesa fino al pavimento
In ogni caso la rigidezza della parete sarà data da:
I valori del modulo elastico normale “E” e di quello tangenziale “G” da inserire nella formula della rigidezza si ricavano dalla tabella Tab. C8.5.I (eventualmente corretti con i coefficienti di
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tabella C8.5.II per tener conto della presenza di caratteristiche migliori della muratura rispetto a quelle standard), Circolare applicativa n. 7/2019 in funzione del tipo di muratura e del livello di conoscenza acquisito. I valori di E e G riportati in tabella si riferiscono a condizioni non fessurate, per cui, come suggerisce la Circolare
applicativa n. 7/2019, tali valori dovranno essere opportunamente ridotti per tener conto delle condizioni fessurate. In analogia a quanto prescritto, per le murature dalle NTC 2018 al punto 7.8.1.5.2, l’entità della riduzione potrà verosimilmente essere assunta pari al 50% del valore non fessurato.
A proposito del livello di conoscenza, occorre osservare che, a favore di sicurezza, conviene adottare i valori della tabella C8.5.I come se si potesse attribuire il livello di conoscenza LC3. Infatti, dal momento che la progettazione del rinforzo si basa sul calcolo dell’indebolimento potenziale subito dalla parete per la creazione di nuove aperture, attribuendo un livello di conoscenza LC3 si calcolerà il massimo indebolimento e quindi si progetterà un intervento di rinforzo sicuramente adeguato (perché dimensionato sul massimo indebolimento subito dalla parete). Viceversa, in caso di assenza di indagini e quindi in LC1, si dovrebbero utilizzare i valori minimi della tabella (divisi poi per il fattore di confidenza) progettando quindi un intervento di rinforzo minimo, basato cioè su un indebolimento minimo (perché calcolato con i valori minimi dei parametri meccanici) che potrebbe risultare non adeguato se la struttura possedesse migliori qualità rispetto alle minime da noi attribuite non avendola indagata. Pertanto, in tali tipi di calcoli, è sufficiente riferirsi ad un livello di conoscenza ipotizzato LC3 (cui corrisponde FC = 1).
La resistenza I meccanismi di crisi per pannelli di muratura (già presenti nella OPCM 20/3/2003 n. 3274) presi in considerazione dalle NTC 2018 (si veda circolare 7/19 punto C8.7.1.3.1.1) sono essenzialmente riconducibili a (Figura 5): a Crisi per pressoflessione; b Crisi per taglio da scorrimento; c Crisi per taglio da trazione
>> Figura 5 Meccanismi di crisi per pannelli di muratura
(fessurazione diagonale a “scaletta” lungo i giunti (c1) oppure attraverso gli elementi resistenti (c2)).
a
b
c1
c2
La crisi per taglio da trazione o per fessurazione diagonale, è contemplata solo nel caso di edifici esistenti (da distinguere il caso di muratura “regolare” oppure “irregolare”). La resistenza a taglio del maschio murario è calcolata come la minore tra quelle relative ai diversi possibili meccanismi di rottura e la capacità di spostamento è valutata di conseguenza, attraverso una deformazione angolare limite di elemento. Occorre pertanto calcolare i valori di resistenza a taglio del maschio murario per ciascun meccanismo di rottura.
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