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1.1 LA CELLULA La cellula è la più piccola unità vivente di ciascun organismo, specializzata nel compiere una o poche funzioni (differenziamento cellulare), capace di rigenerare le sue strutture (biogenesi) e, nella maggior parte dei casi, capace di produrre anche nuova vita, ovvero di riprodursi. Negli organismi pluricellulari si aggrega con altre cellule contigue, per mezzo di strutture di sostegno, al fine di costituire i tessuti. A loro volta, i tessuti, si compenetrano tridimensionalmente originando gli organi, unità di lavoro specializzate degli organismi viventi. Le dimensioni di una cellula, nell’uomo, possono variare da 5 a circa 100 micron1 (le dimensioni medie sono pari a 20 μm) e, la vita di ciascuna cellula, può anch’essa oscillare da pochi giorni a tutta la vita dell’individuo che la ospita. involucro nucleare reticolo endoplasmatico rugoso

membrana plasmatica

reticolo endoplasmatico liscio

lisosomi

nucleolo

apparato di Golgi

mitocondri

centrioli

6

1

glicogeno

granuli di secrezione

Micron: μm, o micrometro rappresenta un milionesimo di metro (10-6) metri.


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2.1 PERCHÉ E COME EFFETTUARE UNA VALUTAZIONE PRELIMINARE

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La valutazione antropometrica e funzionale di un soggetto, sia esso un neofita o un professionista delle attività motorie, consente una prima analisi dello stato di fitness dell’individuo. Tale analisi permette di strutturare al meglio gli interventi allenanti, al fine di ottimizzare e modulare il carico di lavoro finalizzato al raggiungimento di un dato obiettivo. È da tener presente che, a seguito di tale valutazione, si potrebbe riscontrare anche un’elevata discrepanza fra gli obiettivi che si intende raggiungere e quelli realmente raggiungibili. Ad esempio, un individuo sottopeso, o con bassa distribuzione di grasso corporeo, che volesse strutturare un allenamento finalizzato al dimagrimento, potrebbe oggettivamente desumere che, tale aspettativa o obiettivo, è scarsamente migliorabile, o addirittura sconsigliabile. Gli strumenti offerti per eseguire tali valutazioni sono molteplici. In questo volume si è scelto di considerare quelli facilmente alla portata di tutti, tralasciando volutamente l’esame di protocolli valutativi che richiedano complesse attrezzature o specifiche competenze professionali. Prima dell’avvio della pratica sportiva sarebbe inoltre doveroso eseguire una visita medica specialistica, che possa scongiurare la presenza di situazioni che mal si conciliano con l’attività motoria. È da sottolineare che, di norma, più che sconsigliare del tutto una pratica sportiva, un’attenta valutazione medica potrà evidenziare delle discipline che, per taluni, possono risultare inadeguate, suggerendo valide alternative. Sarà compito del medico determinare gli esami clinici più idonei, senza trascurare un’accurata valutazione delle prestazioni cardiache, dei valori pressori, dei parametri respiratori, e della funzionalità articolare. Eccettuando quanto di competenza medica, per l’esecuzione della valutazione antropometrica e funzionale si farà ricorso a misurazioni e test che, di seguito, saranno illustrati. È importante ricordare come, tali test e misurazioni, dovranno essere precisi ed oggettivamente rilevati. Questo consentirà non solo di valutare lo stato del soggetto, ma anche di poter effettuare una comparazione in tempi successivi. La comparazione dei dati è un aspetto fondamentale. Solo mediante una ciclica valutazione dell’individuo è possibile determinare se, l’allenamento somministrato, sta producendo gli adattamenti ed i miglioramenti auspicati e nei tempi previsti. In caso contrario si potrà tempestivamente procedere alla correzione, all’incremento o al decremento del carico e tipologia di lavoro da eseguire.


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LE SPALLE La muscolatura della spalla è fondamentalmente rappresentata dal deltoide e dal sopraspinato. Perlomeno se prendiamo in considerazione i muscoli che hanno il compito di abdurre il braccio. Il deltoide, in particolare, può essere considerato il principale abduttore. Fa parte dei muscoli che hanno origine dalla cintura toracica e prendono inserzione sull’omero. Assieme al sopraspinato consente l’abduzione del braccio sino a formare un angolo di 90°. Il deltoide ricopre la parte laterale della spalla, ha forma di delta con la base in alto e l’apice rivolto verso il basso, risulta essere appiattito, spesso e particolarmente robusto. Le sue fibre medie hanno andamento obliquo conferendogli il classico aspetto di muscolo multipennato. Origina dal margine anteriore della clavicola, dall’acromion, e dal labbro della spina della scapola. I suoi fasci si inseriscono tramite un robusto tendine sull’omero, esattamente sulla tuberosità deltoidea, posta sulla superficie laterale della diafisi. Risulta innervato dal nervo ascellare (C5 e C6) e, mediante la sua azione, abduce il braccio formando un angolo di 90°. Ricopre interamente l’articolazione scapolo omerale. Nel deltoide, vengono considerate tre aree funzionali: anteriore, mediale e posteriore e, ad un’analisi elettromiografica, si nota come queste entrino in gioco in momenti diversi, durante il movimento. Nel dettaglio, la parte mediale è incaricata dell’abduzione del braccio, la parte anteriore flette e ruota medialmente l’omero, la parte posteriore lo estende e ruota lateralmente, e asseconda l’adduzione del braccio. Le fibre muscolari che lo compongono sono in massima parte di tipo lento (60%) con un restante 40% di fibre rapide di tipo glicolitico (IIb)22. Il sopraspinato (o sovraspinato) garantisce la stabilità dell’omero nella cavità glenoidea, e avvia il movimento di abduzione del braccio (cui partecipa per i primi 20° circa), reso poi marcato e potente dalle fibre medie della muscolatura deltoidea. Origina dalla regione mediale della fossa sovraspinata della scapola, per poi inserirsi sulla grande tuberosità dell’omero. La sua contrazione è governata dalle radici del nervo sovrascapolare (C5), in grado di consentire un’efficace abduzione del braccio.

22

54

Johnson M. A., Polgar J., Weightman D., Appleton D., Data on the distribution of fibre types in thirty-six human muscles. An autopsy study, J Neurol Sci, 1973, Jan, 18(1): 111-129.


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4.1 DEFINIZIONE ED ORGANIZZAZIONE DELL’ALLENAMENTO

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Prima di addentrarsi nelle modalità organizzative, sarà opportuno chiarire cosa si intende in questa sede con il termine “allenamento”. Definiamo l’allenamento come l’insieme degli interventi e stimoli di tipo fisico e psicologico finalizzati al miglioramento di una prestazione. Va da se che, ciascuna prestazione, è altresì assoggettata ad un margine di miglioramento, anche definito “allenabilità”. L’allenabilità di una prestazione costituisce il suo potenziale grado di miglioramento, ed è fondamentalmente dipendente da fattori genetici ed organici. L’allenabilità di un soggetto, in senso più generale, è dovuta alla sua riserva attuale di adattamento (spesso definita potenziale atletico). Intendendo con questo termine il limite massimo di adattamento dell’organismo, strettamente dipendente dalla riserva funzionale, dai sistemi ormonali, oltre che dagli adattamenti in atto conseguenti i precedenti input allenanti somministrati. Ne consegue che, il processo di adattamento fisiologico di un individuo, non è illimitato e, il margine di miglioramento in un dato momento, sarà tanto minore quanto più elevato è il livello funzionale raggiunto. In altri termini si potrebbe dire che, quanto più allenato risulta essere un soggetto, tanto meno allenabili (nel senso di migliorabili) saranno le sue prestazioni motorie. Ciascun individuo possiede una diversa riserva attuale di adattamento. Nella strutturazione di un programma di allenamento sarà utile valutare sia il livello di partenza (ossia gli adattamenti già prodotti) sia l’ottimale carico allenante da fornire al soggetto. L’organizzazione di un programma di allenamento si compone di varie fasi. Come già anticipato, la prima importante operazione da eseguire, è una valutazione funzionale ed antropometrica dell'atleta. Tale valutazione consente di avere un quadro conoscitivo dell’individuo e delle sue potenzialità. La fase successiva prevede di determinare gli obiettivi a breve, medio e lungo termine. Individuare quindi quali sono le aspettative di miglioramento che si vogliono realizzare, sulla scorta delle caratteristiche individuali, ma anche tenuto conto delle finalità. Ossia se l’allenamento è mirato alla pratica agonistica, al miglioramento dello stato di forma, o all’incremento prestazionale a fini personali, appagamento psicologico, esigenze estetiche, ecc. Non ultimo è importante tenere presente l’età del soggetto, poiché negli individui particolarmente giovani sarà opportuno non intervenire con specializzazioni precoci. Inoltre, il differente grado di maturazione organica, mal si presta al miglioramento di alcune capacità, come ad


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5.1 LA MASSA MUSCOLARE ED IL SUO ALLENAMENTO L’accrescimento della massa muscolare è dipendente dalla composizione muscolare del singolo individuo, quindi da fattori strutturali, dalle unità motorie utilizzate e da fattori nervosi che determinano la potenza della contrazione. L’aumento della massa muscolare è imputabile ad un processo adattativo che comporta l’aumento delle miofibrille, lo sviluppo del tessuto connettivo costituente le guaine muscolari, l’ipervascolarizzazione, l’aumento del numero di fibre (iperplasia) e della dimensione di quelle già esistenti (ipertrofia). L’iperplasia è tuttavia ancora oggetto di controversia tra gli studiosi, fra chi afferma che il processo avvenga, sia pure in maniera relativamente limitata, ed in concreto promosso dallo sdoppiamento longitudinale di fibre ipertrofiche, e quanti sostengono che, l’aumento nelle dimensioni muscolari, sia dipendente in maniera esclusiva all’ipertrofia. Nonostante la teoria dell’iperplasia sia ormai accetta da una larga fascia di autori, l’ipertrofia delle fibre spiega ugualmente la gran parte dell’incremento di volume dei muscoli. Naturalmente l’immediato corollario di questa affermazione è nell’avere un limite genetico, determinato alla nascita, in merito alle dimensioni massime raggiungibili da un muscolo. In altri termini, se l’ipertrofia è la principale causa di un incremento delle masse muscolari, avendo un numero di fibre maggiore, sarà altrettanto maggiore il potenziale accrescimento. Pertanto anche la genetica rappresenta un potenziale limite in un programma allenante finalizzato all’incremento della massa muscolare. La genetica interviene anche per quanto attiene la distribuzione delle fibre, ed essendo le fibre veloci maggiormente predisposte all’ipertrofia, ancora una volta un maggior numero di fibre bianche predisporrà a più agevoli incrementi di volume e di forza. L’allenamento finalizzato all’ipertrofia dovrebbe prevedere esercizi di sollecitazione muscolare che consentano di lavorare sia “lungo le fibre” che “contro le fibre”.51 Ad esempio, nel caso dei pettorali, le croci su panca piana o la pectoral machine, sono esercizi che stimolano il muscolo lungo le fibre, ossia parallelamente ad esse. Le distensioni su panca piana stimolano il muscolo contro le sue fibre, ossia in maniera perpendicolare ad esse.

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51

Il potenziamento muscolare, AAVV, Società Stampa Sportiva, Roma, 2002.


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6.1 L’ATP COME MOLECOLA ENERGETICA FONDAMENTALE Ciascun muscolo, per potersi contrarre, sfrutta l’energia accumulata dall’ATP (adenosina trifosfato) che rappresenta una molecola energetica di immediato accesso, normalmente presente nelle cellule muscolari (come nelle altre cellule dell’organismo essendo implicata in tutti i processi che richiedono energia).

adenosina

adenosina

Pi ATP

Pi

energia

Pi

Pi

adenosina

energia

Pi

Pi

Pi

energia

Pi

Pi

energia

ADP

Rappresentazione schematica del meccanismo di trasformazione dell’energia.

L’adenosina è rappresentata dall’adenina (base azotata) legata al ribosio (molecola glucidica contenuta in ogni cellula). All’adenosina sono poi legati 3 gruppi fosforici mediante legami covalenti. Il rilascio di energia da parte dell’ATP avviene proprio mediante la rottura dell’ultimo legame covalente che tiene unito il gruppo fosfato. Il gruppo fosfato libero viene quindi legato ad una molecola coinvolta in una reazione, trasferendo a quest’ultima molecola l’energia dall’ATP. L’ATP immagazzinata nel muscolo è tuttavia relativamente limitata, di norma non supera i 100 grammi totali (circa 6 mmol/kg di muscolo nella cellula muscolare57), e non può garantire l’efficienza del sistema contrattile per lunghi periodi. L’ATP è inoltre utilizzata per tutte le funzioni corporee richiedenti energia, siamo quindi di fronte ad un ciclo continuo, tendente ad estrarre energia dall’ATP per i compiti dell’organismo, e pronto a “ricaricare” di energia l’ATP (o per meglio dire l’ADP

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57

Keul J., Doll E., Keppler D., Muskelstoffwechsel, Barth, Monaco, 1969.


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7.1 VALUTAZIONE DEL GRADO DI ALLENAMENTO IN ATLETI EVOLUTI Fin dall’inizio di questo lavoro è stata sottolineata l’importanza rivestita dai test al fine di valutare il livello di un atleta e i suoi progressi. Se nel primo capitolo si sono affrontati i test di valutazione indiretta, di semplice applicazione, in questo paragrafo accenneremo ad alcuni test diretti e indiretti la cui esecuzione, per la complessità dell’esame, è generalmente riservata ad atleti evoluti, o per i quali è possibile predisporre adeguate apparecchiature. I test di tipo chimico inoltre, eseguibili in laboratorio, offrono dati molto precisi ma restano tuttavia riservati a sportivi di lungo corso. Fra i test più utili nella valutazione di uno sportivo si possono annoverare: Test del lattato ematico Prevede un piccolo prelievo di sangue (normalmente da un lobo delle orecchie) e stabilisce la soglia anaerobica, la quantità di lavoro anaerobico somministrabile, la percentuale di lavoro anaerobico in un lavoro misto aerobico/anaerobico. I dati rilevati vengono interpretati come segue: • se la concentrazione di lattato è compresa fra 6 e 8 mmol/l significa che l’impegno atletico è stato modesto; • se la concentrazione di lattato ematico sale da 8 a 12, la sollecitazione è stata adeguata; • sino a 16 la prestazione è stata notevolmente impegnativa; • superato tale valore la prova è stata estremamente stressante. Una diminuzione del lattato ematico, a parità di prestazione o con una prestazione maggiormente impegnativa, indica un miglioramento da un punto di vista atletico del soggetto. Quindi, a parità di carico, il lattato prodotto è minore quanto più il soggetto risulta allenato. I risultati di questo test possono essere falsati da una dieta povera in glucidi. Infatti l’acido lattico prodotto è diretta conseguenza dell’utilizzo di glicogeno per via anaerobica. Un’alimentazione che non consente adeguate scorte, determinerà minori tassi di lattato ematico che, in questo caso, non sono sinonimo di miglioramento nelle prestazioni. Test dell’urea Prevede l’esame delle urine. L’urea è il prodotto di scarto conseguente all’utilizzo a fini energetici delle proteine. Il loro utilizzo in tal senso prevede la deaminazione ad opera del fegato e la conseguente liberazione di azoto sottoforma di urea che è escreta con le urine. Il test è in grado di determinare il livello di anabolismo o di catabolismo proteico.

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Test di recupero cardiaco Consente di valutare l’attività cardiaca sotto sforzo ed i tempi di recupero. Esistono test volti all’individuazione dei tempi di recupero che risultano di semplice applicazione anche al di fuori di studi medici, ma che ovviamente non sostituiscono il parere del personale sanitario. Ne è un esempio il test di Ruffier-Dickson.


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8.1 PRINCIPI DI ALLENAMENTO PER PRINCIPIANTI Principio della progressione dei carichi Parte dal presupposto che, per ottenere un idoneo adeguamento di qualsivoglia parametro (forza, volume muscolare, resistenza, ecc.), occorre sottoporre i muscoli ad un carico di lavoro maggiore rispetto a quanto sono normalmente abituati a fare. Pertanto i sovraccarichi non solo dovranno essere superiori a quelli normalmente utilizzati, ma dovranno tendere al progressivo aumento, in modo da fornire sempre un adeguato stimolo allenante via via che il grado di prestazione atletica migliora. Sebbene la progressione dei carichi è un principio base per tutti, nei principianti si assiste alla maggiore progressione in termini percentuali.

Principio del sistema a serie Tale principio, in realtà, viene adottato per tutta la durata della vita sportiva di chi adopera i sovraccarichi. Al fine di poter eseguire un considerevole volume di lavoro, si adotterà il sistema a serie, ossia la suddivisione del carico in più serie con adeguata intensità, di modo che, la sommatoria del lavoro, costituisca un valido stress adattativo altrimenti difficilmente somministrabile.

Principio dell’isolamento I muscoli possono lavorare in sinergia, per gruppi, oppure lavorare in relativo isolamento uno dall’altro. Al fine del massimo potenziale di adattamento, sarà opportuno eseguire adeguati esercizi che tendano ad isolare il più possibile il lavoro su determinati muscoli, evitando lavori che stimolino la sinergia muscolare, fatti salvi i casi in cui si ricerchi proprio tale obiettivo.

Principio della confusione muscolare

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Sfrutta la regola secondo cui, per evitare lo stallo muscolare, bisognerà fornire sempre nuovi stimoli allenanti. Quindi propone la gestione delle routine d’allenamento con continue variazioni sul tipo di esercizio, il


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9.1 CENNI DI BIOENERGETICA, POTERE CALORICO DEGLI ALIMENTI E FABBISOGNO ENERGETICO

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È stata esaminata l’importanza di un adeguato supporto energetico per il lavoro muscolare, sottolineando come l’individuo abbisogni continuamente di energia, anche durante le fasi di riposo, e per la sua stessa sopravvivenza. Per quanto concerne la pratica sportiva, il termine di paragone frequentemente utilizzato richiama ad un triangolo equilatero, dove alla base c’è l’allenamento, e i lati sono rispettivamente occupati dal recupero e dell’alimentazione. L’uso del triangolo equilatero non è casuale, e sottende alla pari rilevanza dei tre elementi, finalizzati al conseguimento del risultato. L’energia utilizzata dall’uomo è fornita dagli alimenti ingeriti, che consentono di mantenere l’efficienza vitale dell’organismo mediante il loro impiego nel conservare gli equilibri cellulari, consentire l’espulsione di sostanze di rifiuto, determinare la sintesi di elementi utili e, non ultimo, permettere il lavoro muscolare e mentale. Quanto assunto con i pasti viene degradato dall’organismo in sostanze più piccole e più semplici durante il processo digestivo. I costituenti degli alimenti sono poi impiegati come materiale plastico, come fonte energetica di pronto utilizzo o da immagazzinare, come sostanze di rifiuto che vengono successivamente escrete. La determinazione del potere calorico degli alimenti (espresso in Calorie o Kilocalorie) è misurata per mezzo della bomba calorimetrica, costituita da una camera isolata in cui viene inserita la sostanza da valutare e ossigeno per la sua combustione. Viene fatto ossidare il contenuto sino alla riduzione in sostanze a minor livello energetico, e si misura la liberazione di calore che ne consegue. Nell’organismo, a differenza di quanto avviene nella bomba calorimetrica, non tutti i principi nutritivi sono completamente ossidati infatti, mentre nella bomba calorimetrica tutto l’azoto è ridotto ad ammoniaca (dalla quale non è più possibile estrarre energia), nell’organismo viene trasformato in urea ed altre sostanze dalle quali è possibile ottenere, seppur in piccola misura, ulteriore energia. Inoltre, parte degli alimenti ingeriti, viene espulsa con le feci prima di un completo assorbimento (alimenti a basso coefficiente di digeribilità). Questa situazione è tipica di alimenti che contengono cospicue dosi di fibra alimentare (vedi paragrafo 9.5.1), o che vengono assunti in concomitanza con altri alimenti la cui quota di fibre è particolarmente elevata. Ne consegue che, il potere calorico nell’organismo, è inferiore rispetto a quello rilevabile sperimentalmente.


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