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GIORNALE ITALIANO

DI PSICOLOGIA DELLO SPORT

RICERCHE

Aspetti motivazionali e fair play: una ricerca nel calcio giovanile Laura Bortoli*, Giovanni Messina**, Maurizio Zorba** e Claudio Robazza* * Facoltà di Scienze dell’Educazione Motorie, Università di Chieti ** Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scienze Motorie, Università di Udine

RIASSUNTO

La ricerca, realizzata in collaborazione con il Settore Giovanile e Scolastico della Federazione Italiana Gioco Calcio del Friuli Venezia Giulia, era finalizzata ad esaminare le relazioni fra orientamento individuale, percezione del clima motivazionale, stati psico-bio-sociali e fair play in calciatori delle categorie giovanili. Hanno partecipato alla ricerca 383 giovani calciatori (187 di categoria Allievi e 196 di categoria Giovanissimi) appartenenti a 25 squadre. Dai risultati è emerso che i ragazzi che percepiscono nella propria squadra un clima orientato sulla competenza vivono maggiormente stati psicobiosociali piacevoli, mentre la percezione di un clima orientato sulla prestazione si correla a stati psicobiosociali spiacevoli. Si sono anche evidenziate differenze per categoria: gli Allievi, rispetto ai Giovanissimi, sono più orientati sull’io, percepiscono maggiormente un clima orientato sulla prestazione, manifestano minor rispetto per le convenzioni sociali, le regole e gli arbitri; a questo si associa anche un maggior vissuto di stati psicobiosociali spiacevoli. La formazione degli allenatori dei settori giovanili dovrebbe considerare il loro ruolo anche per gli aspetti di etica sportiva e sottolineare l’importanza di un clima motivazionale centrato sulla competenza. In questo modo diviene possibile garantire ai giovani calciatori un’esperienza non solo significativa sul piano educativo, ma anche più gratificante e piacevole.

PAROLE CHIAVE Calcio giovanile; clima motivazionale; fair play; stati psicobiosociali

SUMMARY

The research, conducted in collaboration with the Youngsters Section of the Italian Soccer Federation of Friuli Venezia Giulia, was aimed at investigating the relationships among individual motivational orientation, perception of motivational climate, psycho-bio-social states, and sportspersonship in young soccer players. The study involved 383 youngsters drawn from 25 teams. Findings showed that those youngsters who perceive a mastery involving climate within their team tend to experience more pleasant psycho-bio-social states, whereas the perception of a performance climate correlates with unpleasant psycho-biosocial states. Differences also emerged by age: compared to 13/14-year-olds, 15/16-year-old players are more ego oriented, perceive a more performance oriented motivational climate, and report a lower respect to social norms, rules, and referees. This trend is associated with a higher level of unpleasant psychobio-social states. From an applied perspective, our findings could be used to stimulate coaches to reflect about their educational function and the importance of a mastery involving climate.

KEYWORDS Soccer; youngsters, motivational climate; psycho-bio-social states

Nota: la ricerca è stata realizzata con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia in collaborazione con il Settore Giovanile e Scolastico della Federazione Italiana Gioco Calcio del Friuli Venezia Giulia

INTRODUZIONE Lo sport è spesso considerato un contesto in cui i ragazzi possono apprendere comportamenti pro-sociali, ed in particolare atteggiamenti agonistici caratterizzati da fair play e sportività. Il temine fair play (usato ampiamente all’interno della lingua italiana) è in genere riferito a comportamenti corretti e leali; il termine sportività (sportspersonship), invece, va oltre la correttezza e comprende anche altre dimensioni, come la capacità di impegnarsi lealmente per la vittoria, di reagire in modo positivo sia alla vittoria che alla sconfitta, e, con un significato ancora più ampio, di integrare la spinta competitiva con valori e obiettivi morali (Shields e Bredemeier, 1995). Shields, LaVoi, Bredemeier e Power (2007) lo riferiscono a tutti i comportamenti sportivi che possono avere una connotazione morale, in quanto legati ad aspetti fondamentali di lealtà e rispetto. Un contributo ad una migliore comprensione di tale concetto in termini operativi è stato dato da Vallerand, Brière, Blanchard e Provencher (1997), alla luce di un approccio socio-psicologico che integra sia caratteristiche individuali che fattori di tipo sociale. Nel concetto di sportspersonship sono dunque individuate diverse dimensioni: a) forte determinazione nella partecipazione sportiva, con serio impegno sia in allenamento che in gara, riconoscendo i propri errori e cercando di migliorare; b) rispetto delle convenzioni sociali presenti nello sport, come dare la mano agli avversari, riconoscerne i meriti, saper accettare anche le sconfitte; c) rispetto per le regole e per gli arbitri, anche quando questi possono sembrare poco competenti; d) rispetto per gli avversari, come il non approfittare dell’infortunio di un avversario, oppure accettare di giocare anche quando l’altra squadra è in ritardo, piuttosto che vincere a tavolino; e) assenza di atteggiamenti negativi, quali cercare di vincere a tutti i costi, temporeggiare dopo un errore o in situazione di vantaggio vicino al termine della partita. Considerazioni simili, comunque, sono espresse da Boixadós, Cruz, Miquel e Valiente (2004) anche per il concetto di fair play, nel quale vengono compresi, oltre al rispetto per le regole del gioco e ad una corretta relazione con gli avversari, anche la presenza di uguali opportunità e condizioni per tutti, il non ricercare la vittoria ad ogni costo, un atteggiamento dignitoso nella vittoria e nella sconfitta, l’impegno per dare il massimo possibile. Fair play e sportività sembrerebbero, dunque, poter essere utilizzati come sinonimi.

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RICERCHE

Competizione e prosocialità: un binomio possibile? Sebastiano Costa Università degli Studi di Messina - Sezione di Psicologia

RIASSUNTO

In letteratura risulta carente la ricerca di metodologie, applicate allo sport, che promuovano l’evoluzione di specifiche abilità sociali e, al contempo, siano in grado di contrastare l’insorgenza quasi automatica dei comportamenti socialmente inaccettabili. Questa ricerca si propone di verificare l’efficacia, in ambito sportivo, di due particolari metodologie di intervento: il Contratto Educativo e la Token-Economy. Lo studio è stato realizzato nei mesi di marzo aprile e maggio 2009 e hanno partecipato 11 bambini dai 7 agli 11 anni. Dopo un mese di osservazione, in cui sono stati registrati e definiti i comportamenti socialmente negativi da ridurre e i comportanti pro-sociali antagonisti da promuovere, è stato formalizzato il contratto educativo. A questi comportamenti sono stati assegnati i rispettivi punteggi, positivi o negativi, calibrati in relazione al grado di desiderabilità o inadeguatezza sociale. L’accumulo dei punti era finalizzato all’ottenimento di premi o privilegi. I risultati hanno mostrato che durante il periodo di applicazione delle due tecniche, i soggetti hanno fatto un uso minore dei comportamenti disfunzionali e hanno aumentato la frequenza d’uso dei comportamenti pro-sociali. I risultati mostrano come questa metodologia possa rendersi estremamente utile per la riduzione dei comportamenti antisociali in un contesto sportivo, rendendoli un grosso impedimento per la conquista dei premi e trasformando i comportamenti prosociali in un traguardo da raggiungere. Ovviamente, la breve durata del programma non consente di prevedere il mantenimento a lungo termine dei risultati conseguiti, ma tuttavia, ci offrono una sicura base di partenza per il prossimo avvio delle attività sportive.

PAROLE CHIAVE Contratto Educativo; Token-Economy; Sport; Prosocialità; Comportamento Antisociale.

ABSTRACT

Researches that examine methodologies to promote the development of specific social skills, and at the same time, are able to counteract the onset automatic socially unacceptable behaviours are limited. The aim of the present study is to examine the effectiveness, in sport, of two particular methods of intervention: Contingency Contract and TokenEconomy. This study was executed in 2009, from March to May, and the participants were 11 children who were between 7 and 11 years old. After a month of observation, the contingency contract was formalized. In this period were recorded and defined the negative social behaviours and their prosocial antagonists behaviours. Scores were assigned to these behaviours, positives or negatives, calibrated according to the degree of social desirability or inadequacy. The accumulation of points was aimed at obtaining rewards or privileges. Results showed that during the period of use of the techniques, the subjects have made less use of dysfunctional behaviour and increased the frequency of use of pro-social behaviour. Results show that this methodology may be very useful to reduce antisocial behaviours in a sport setting. In fact these techniques make antisocial behaviour an impediment to win prizes and transforming pro-social behaviour in a goal to reach. Obviously, the short duration of the program does not allow to predict the long-term maintenance of results achieved, but nevertheless, it offers a secure base for the future.

KEYWORDS Contingency Contract; Token-Economy; Sport; Prosocial Behaviour; Antisocial Behaviour.

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INTRODUZIONE Le motivazioni che spingono i ragazzi ad intraprendere un’attività sportiva sono legate allo svago e alla passione per un determinato sport. Nonostante il carattere prevalentemente ludico che contraddistingue la pratica sportiva, lo sport può avere un'influenza educativa forte verso i partecipanti. Decenni di ricerche hanno, infatti, convalidato l’importanza che lo sport e le attività ricreative rivestono nello sviluppo giovanile. In modo specifico, è stato osservato che il coinvolgimento di bambini in attività sportive organizzate possa essere considerato una opportunità per lo sviluppo non solo di capacità motorie, ma anche di capacità sociali (Wright e Coté, 2003). Tuttavia, Fraser-Thomas e colleghi (2005) riferiscono che la crescente competitività nello sport sta portando a conseguenze sociali negative. Gli atti di violenza e aggressività all’interno di alcuni ambienti sportivi sembrano essere ormai sempre più frequenti e, in alcuni casi, vengono considerati accettabili e legittimi (Gardner and Janelle 2002). Nella letteratura scientifica, risulta tuttora carente la ricerca di metodologie che, promuovano l’evoluzione di specifiche abilità sociali, in grado di contrastare l’insorgenza quasi automatica dei comportamenti socialmente inaccettabili. Emerge, dunque, l’esigenza di sviluppare programmi che enfatizzino, in modo intenzionale, i comportamenti prosociali tra i partecipanti (Ryska, 2002), per progettare training volti a intervenire sui comportamenti inadeguati, sviluppando contemporaneamente comportamenti antagonisti socialmente funzionali. Da decenni, la psicologia comportamentale ha convalidato l’efficacia di specifiche metodologie in grado di modificare comportamenti socialmente inaccettabili, promuovendo lo sviluppo di comportamenti socialmente competenti. Una metodologia particolarmente adatta allo scopo è il “contratto educativo” supportato dalla “token economy”. I contratti educativi prevedono un accordo iniziale tra il soggetto e lo psicologo su quali comportamenti emettere e sulle conseguenze che ne derivano.


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Mindfulness e preparazione mentale dell’atleta Antonio De Martino Psicologo clinico specializzando in Psicoterapia Sistemico Relazionale, Formatore

RIASSUNTO

L’articolo si focalizza sulla analisi della distorsione dell’immagine corporea in alcune categorie di atleti, approfondendo il concetto di vigoressia. Viene presentato uno studio pilota, su un campione di 154 soggetti praticanti fitness, che ha analizzato variabili psicologiche associate ai disturbi del comportamento alimentare, quali l’impulso alla magrezza, il senso di inadeguatezza e di perfezionismo. I questionari utilizzati per la ricerca sono l’EDI-2 e il GHQ-28, i cui risultati hanno evidenziato l’influenza positiva del fitness sul benessere psicofisico dei partecipanti, favorendo riflessioni sul legame tra l’autostima e la pratica del fitness. Un risultato particolarmente interessante emerso dalla ricerca è rappresentato dalla tendenza, da parte delle donne che praticano fitness, ad “emulare” in un certo senso il corpo maschile. Tale tendenza trova riscontro nella letteratura inerente i disturbi alimentari che sottolinea la predisposizione delle donne anoressiche verso un ideale di corpo mascolino, evidenziando un rifiuto delle proprie caratteristiche femminili, vissute come fonte di disagio.

PAROLE CHIAVE Immagine corporea; vigoressia; fitness.

ABSTRACT

This paper focuses on the analysis of the distortion of body image in some categories of athletes, studying in deep the concept of vigorexia. A pilot study is presented, on a sample of 154 people regularly practitioners of fitness, that analyzes psychological variables associated with eating disorders, as the drive for thinness, sense of inadequacy and perfectionism. Questionnaires used in the research are EDI-2 and GHQ-28, that showed a positive influence of fitness on psychophysical well-being of participants, encouraging reflections on the link between self-esteem and fitness. A relevant result from the research is the tendency, among women practicing fitness, “to emulate” in a way male body. Literature on eating disorders covers this tendency, that underlines anorexic women predisposition towards a masculine body ideal, showing a rejection of their female characteristics, perceived as a source of discomfort.

KEYWORDS Body image; vigorexia; fitness.

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INTRODUZIONE Il seguente articolo ha lo scopo di esplorare la dimensione della percezione dell’immagine corporea che rappresenta un aspetto significativo nell’ambito dello studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), ponendo l’accento sulla distorsione della percezione corporea, quale denominatore comune tra gli anoressici e alcune categorie di atleti, in diversi ambiti sportivi, approfondendo il concetto di vigoressia e le relative implicazioni cliniche. Sarà presentato uno studio pilota, allo scopo di analizzare gli aspetti psicologici che sono generalmente associati ai disturbi del comportamento alimentare in un gruppo di soggetti praticanti fitness, facendo riferimento con questo termine a varie attività che vengono praticate in palestra (in questo caso, bodybuilding, aerobica, ginnastica a corpo libero e spinning). I risultati ottenuti si sono dimostrati interessanti ed hanno permesso di ampliare il panorama di ipotesi e riflessioni in una area tutt’oggi non completamente esplorata. I disturbi alimentari nello sport La letteratura inerente i DCA evidenzia come i soggetti affetti da anoressia, percepiscano il proprio corpo più grasso di quanto sia realmente; ciò riguarda soprattutto il genere femminile, per il quale gli aspetti psicologici relativi ai disturbi alimentari sono presenti con una percentuale nettamente maggiore rispetto agli uomini (Semi, 1989). Tale patologia di origine nervosa si esprime principalmente attraverso il rifiuto del cibo e causa molteplici scompensi a livello biologico. Al contrario, l’eccessiva alimentazione può essere sintomo di bulimia nervosa, anch’essa di origine psicogena, che si accompagna ad una alimentazione a dismisura; quest’ultima, può presentarsi strettamente legata all’anoressia, per cui si parlerà in questo caso di anoressia bulimica, caratterizzata da digiuni estenuanti, a cui seguono crisi bulimiche ed infine vomito autoindotto (Rosenzweig, Leiman e Breedlove, 1996). Diversi studi hanno evidenziato la presenza di DCA in ambito sportivo, anche in questo ambito con una netta prevalenza per il genere femminile (Johnson, Powers e Dick, 1999). Sebbene tali studi siano stati ricondotti a diversi tipi di sport, le ricerche riportano una maggiore presenza di tali disturbi in alcune attività sportive piuttosto che in altre: ad esempio, uno degli sport in cui emerge un’alta percentuale di donne affette da anoressia è la danza. In letteratura è presente una vasta pubblicazione di articoli, in continua espansione, che si occupano di valutare diversi aspetti dei DCA tra gli sportivi, analizzando l’eventuale presenza di tale patologia in una determinata categoria di atleti, oltre alla relazione tra disturbi alimentari e sport praticato, i trattamenti adottati in tale ambito sportivo e i diversi problemi legati al trattamento stesso.

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Gli stati dell’umore e la carriera sportiva Barbara Rossi Centro Regionale di Psicologia dello Sport

RIASSUNTO

La ricerca ha dimostrato che le persone con i livelli più alti di ansia di tratto percepiscono un grado maggiore di rischio nei contesti competitivi di quanto facciano, invece, soggetti con livelli inferiori di ansia di tratto (Martens e Bump, 1991). Tra le principali determinanti dell'umore sembrano esserci il benessere psicofisico (precondizione della possibilità di agire) ed il successo delle esperienze recenti rispetto agli obbiettivi. L'umore influenza fortemente la percezione, la valutazione e la descrizione di sé e dell'ambiente e, quindi, può avere forti influenze in ambito sportivo sia nella preparazione mentale ad ogni gara che nello svilupparsi dell’intera carriera. Lo scopo della ricerca è quello di verificare se esistono delle differenze tra gli atleti professionisti e gli atleti dilettanti per ciò che concerne l’autopercezione dei propri stati dell’umore prima delle gare e prima degli allenamenti. Le ultime teorie in materia di psicologia della personalità applicata allo sport vedono le differenze di personalità tra atleti di successo e atleti che non realizzano i risultati sportivi dei primi, non più tanto in correlazione con dei caratteri stabili della personalità quanto con la capacità del soggetto di essere resiliente, di cambiare e di adattarsi alle difficoltà che si incontrano in campo e fuori. In questo senso, la ricerca non si pone lo scopo di evidenziare correlati personologici che contraddistinguano stabilmente la personalità degli sportivi che approdano al professionismo, ma cerca delle indicazioni per la costruzione di un efficace approccio emotivo alla gara e all’allenamento. È nostra convinzione, infatti, che gli stati dell’umore, così vicini alla capacità di vivere le emozioni in maniera funzionale, possano essere ottimizzati attraverso le tecniche cognitive e la pratica dell’ allenamento mentale.

PAROLE CHIAVE

Stati dell’umore; prestazione; carriera sportiva; preparazione mentale

SUMMARY

Research has shown that people with higher levels of trait anxiety feel an higher risk in competitive contexts than people that exhibit lower levels of trait anxiety (Martens and Bump, 1991). One of the most important mood’s determinant seems to be psychophysical well-being (precondition of human agency) and success in recent experiences. Mood strongly affects perception, evaluation and description of oneself and of the environment, and it can has strong influences in sport, both in mental training before competition and in the development of the entire career. The aim of the research is to examine any differences between professional athletes and amateur ones in the perception of their mood’s states before competitions and trainings. Recent theories of sport personality psychology interpret personality differences, between athletes who reached success and ones who didn’t, not as correlated to stable personality traits, but to personal ability of being resilient, of changing and of adapting to difficulties that might occur in or outside the field. According to that, this research is not focused on enlightening personal correlations of athlete personality that could strongly differentiate athletes that reached professionalism, but on the ways to create an effective emotive approach to competitions and trainings. In fact, mood state and the ability to feel emotions in a functional way, could be optimized through cognitive techniques and practice of mental training.

KEYWORDS

Mood states; performance; sport career; mental training

INTRODUZIONE La ricerca, negli ultimi trent’anni, ha dimostrato che le persone con i livelli più alti di ansia di tratto percepiscono un grado maggiore di rischio nei contesti competitivi di quanto facciano invece soggetti con livelli inferiori di ansia di tratto (Martens e Bump, 1991). In questo ambito di studi si possono inserire anche quelli che sostengono e studiano le relazioni fra l'umore ed i risultati dell'attività sportiva. Per umore (e per i suoi sinonimi, stato d'animo e stato affettivo) si intende l'autopercezione cosciente di uno stato, pervasivo ma transitorio e reversibile, che influenza la valutazione e la descrizione del mondo e di se stessi. Tra le principali determinanti dell'umore sembrano esserci il benessere psicofisico (precondizione della possibilità di agire) e il successo delle esperienze recenti rispetto agli obbiettivi. L'umore influenza fortemente la percezione, la valutazione e la descrizione di sé e dell'ambiente e quindi può avere forti influenze in ambito sportivo, sia nella preparazione mentale ad ogni gara che nello svilupparsi dell’intera carriera. Il questionario più frequentemente usato in quest'ambito di ricerca, che valuta sei dimensioni dell'umore mediante una lista di molteplici aggettivi, è il Profile of Mood States (POMS),

descritto nel dettaglio successivamente. La soggettività delle misure dell'umore rappresenta un limite rilevante ma, di fatto, poco importante, visto che non disponiamo di indicatori "obiettivi" migliori: infatti, non esistono attendibili indicatori fisiologici (Mackay,1980) e quelli basati sull'osservazione della mimica e della postura non sono altrettanto perfezionati di quelli usati per valutare le emozioni fondamentali (Russel, 1983). La relazione fra la pratica sportiva e l'umore è stata studiata in numerose ricerche e in studi epidemiologici, usando il POMS e altri strumenti: le indagini hanno evidenziato che, in generale, l'attività sportiva agisce da fattore di promozione e di protezione del benessere psicofisico. La correlazione positiva fra la pratica di attività sportive, l'umore e il benessere psicologico, non appare interamente spiegabile né da processi di autoselezione, che fanno sì che le attività sportive siano praticate dagli individui più sani e più in forma, né dall'adesione di chi pratica attività atletiche a stili di vita più salutari (Rooney, 1984). Un numero considerevole di studi ha esaminato in che misura l'umore correla con il successo nell'attività sportiva, evidenziando alcune differenze di profilo fra atleti di differenti livelli di abilità. In particolare, si è fatto riferimento ad un modello, detto della "salute mentale" (Morgan, 1985) che, in estrema sintesi, sostiene che il malessere psicologico ostacola il raggiungimento di prestazio-

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Un contributo alla validazione italiana del Physical Self-Description Questionnaire Short Stefano Scarpa*, Erica Gobbi*, Adriano Paggiaro** e Attilio Carraro* * Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Padova ** Dipartimento di Scienze Statistiche, Università di Padova

RIASSUNTO

Questo studio intende offrire un contributo critico alla validazione del Physical Self-Description Questionnaire Short (PSDQ-S) per il contesto socioculturale italiano. Il questionario originale in versione integrale (PSDQ) è stato predisposto da Marsh, Richards, Johnson, Roche e Tremayne (1994) con lo scopo di valutare 11 fattori dell’auto-descrizione del proprio corpo e delle proprie capacità/abilità motorie: Attività, Aspetto, Obesità, Coordinazione, Resistenza, Flessibilità, Salute, Abilità Sportiva, Forza, Fisico, Autostima. Il PSDQ-S in lingua italiana è stato ottenuto utilizzando 47 dei 70 item del PSDQ in versione integrale validato da Meleddu, Scalas e Guicciardi (2002), con l’obiettivo di ridurre sostanzialmente la lunghezza del questionario, mantenendo intatte le proprietà di misurazione dello strumento. Ha partecipato allo studio un gruppo di 951 studenti (548 femmine, 403 maschi) con età compresa tra gli 11 e i 36 anni, frequentanti la scuola secondaria di primo, la scuola secondaria di secondo grado e l’università nel Veneto. Le analisi statistiche condotte (Alpha di Cronbach, Analisi Fattoriale Esplorativa, Analisi Fattoriale Confermativa, analisi fattoriale sui singoli fattori, indici di valutazione dell’adattamento dei dati al modello) hanno mostrato una buona validità e attendibilità dello strumento, confermando la struttura fattoriale e l’invarianza rispetto al genere e all’età.

PAROLE CHIAVE

Auto-descrizione del proprio corpo; educazione fisica; autostima; adolescenti; giovani

ABSTRACT

This study presents a critical validation contribution of the Physical SelfDescription Questionnaire Short (PSDQ-S) for the Italian socio-cultural context. The original version of PSDQ was elaborated by Marsh, Richards, Johnson, Roche e Tremayne (1994). The aim of the questionnaire is to assess 11 factors related to the physical self-concept: Activity, Appearance, Body Fat, Coordination, Endurance, Flexibility, Health, Sport, Strength, Global Physical, Global Esteem. The Italian PSDQ-S was obtained using 47 of the 70 items of the whole version of the PSDQ validated by Meleddu, Scalas e Guicciardi (2002), with the aim of reducing the length of the questionnaire, maintaining the same measurement properties. Participants were 951 students (548 female, 403 male) aged 11-36, attending the secondary school and university in North Eastern Italy. Statistical analysis (Cronbach’s Alpha, Exploraty Factor Analysis, Confirmatory Factor Analysis, factor analysis on the single factors, indexes assessing data fit to the model) showed a good validity and reliability of the instrument, confirming the factor structure, invariance across gender and age.

KEYWORDS

Body self-description; physical education; self-esteem; adolescents; youngsters

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Da una esigenza sociale ad una figura professionale: competenze e spazi occupazionali del laureato in Scienze Motorie Francesca Vitali Università degli Studi di Genova, Corso di Laurea in Scienze Motorie Lucia Spoltore Dottoressa Magistrale in Scienze Motorie, Preparatrice atletica CUS Genova

RIASSUNTO

Questo studio analizza la figura del laureato in Scienze Motorie, con particolare attenzione alle competenze professionali ed agli spazi occupazionali che sono o dovrebbero essere legati a questa professione. L’analisi viene condotta nella cornice teorica del processo di sviluppo di una professione proposto da Sarchielli (2000). Questa ricerca è stata condotta con la finalità generale di porre l’accento sulla difficile corrispondenza tra le richieste sociali (non sempre debitamente considerate) e le risposte fornite dalle agenzie per la formazione professionale e universitaria nell’ambito delle Scienze Motorie. Gli obiettivi specifici sono quelli di approfondire le motivazioni del laureato in Scienze Motorie, la percezione del prestigio sociale attribuito a questa figura professionale e la chiarezza del proprio ruolo, oltre che i bisogni e l’utilità sociale cui risponde tale professionista. Vengono, inoltre, analizzate le competenze professionali di base e gli spazi occupazionali propri di questa figura professionale. Un questionario strutturato è stato proposto, in forma elettronica, a studenti in formazione e a professionisti esperti di scienze motorie. Dai risultati emerge la forte componente intrinseca motivazionale, la scarsa percezione di prestigio professionale per il laureato in Scienze Motorie, la mancata chiarezza di ruolo e dei bisogni sociali cui questa professione dovrebbe rispondere, a fronte di una alta percezione di utilità sociale e di contributo che questo professionista può dare alla società attuale. Il contributo dell’indagine risiede nell’arricchimento del dibattito più recente su questa tematica mai sufficientemente considerata e nell’utilità applicativa di individuare alcuni nuovi spazi occupazionali per la figura professionale del laureato in Scienze Motorie.

PAROLE CHIAVE Laureato in Scienze Motorie; professione; spazi occupazionali; competenze professionali; motivazione

SUMMARY

This study examines the Sport and Motor Sciences graduate, with particular emphasis on professional skills and employment sectors that are or should be linked to this profession. The analysis is conducted in the theoretical framework of the development process of profession proposed by Sarchielli (2000). This research was carried out with the overall aim of highlighting the difficult correspondence between social demands (not always duly considered) and the responses provided by agencies for vocational training and university education in Sport and Motor Sciences. The specific objectives are to investigate the Sport and Motor Sciences graduate’s motivation, the perception of social prestige given to this profession and the clarity of its role, as well as the social needs and usefulness which this professional meets. We also considered the basic professional skills and sectors of employment of this profession. A structured questionnaire has been proposed, in electronic form, to students which are completing their training and to experts in sport and motor sciences. The results show the strong intrinsic motivation, the perceived lack of prestige for Sport and Motor Sciences graduate, the lack of clarity of role and social needs to which this profession should respond, against an high perception of social value and contribution that this profession can make to society. The contribution of the study is the enrichment of the most recent debate on this issue, never sufficiently considered, and its application to identify several new sectors of employment for the Sport and Motor Sciences graduate.

KEYWORDS Sport and Motor Sciences graduate; profession; employment sectors; professional skills; motivation

INTRODUZIONE La figura professionale del laureato in Scienze Motorie

Fin dalle età più antiche, il genere umano si è sempre dedicato ad esercizi fisici, finalizzati alla caccia per la sopravvivenza e a veri e propri rituali di gruppo. Il fine di queste manifestazioni di movimento era esercitare il proprio corpo e renderlo più efficiente nell’attività della caccia e nella lotta. In passato, popolazioni come quella greca e romana contemplavano tra i loro usi e costumi il gioco e l’esercizio fisico, espressione di una forte predisposizione alla competizione. Le origini dello sport, per come lo conosciamo noi oggi, si ritrovano nell’antica Grecia: la cultura ellenica presentava la forza e la bellezza come obiettivi da raggiungere, tendeva alla perfezione e all’equilibrio, grazie a strumenti quali l’arte e la ginnastica, che dovevano crescere in simbiosi (Frasca, 2003). Il pensiero positivo inerente l’educazione fisica, nel VI e V secolo a.C., si ritrova fra

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i grandi studiosi del tempo (si pensi a Platone, Aristotele, Ippocrate), nei quali il senso di devozione per questa pratica era evidente, poiché valutata come elemento determinante nella maturazione civica e morale dei cittadini. Le prime forme di organizzazione dell’educazione motoria e le relative strutture ad essa deputate (i ginnasi, che devono il nome a gymnòn, ovvero all’abitudine di praticare gli esercizi a corpo nudo) sorsero ad Atene, voluti proprio dai cittadini che avvertivano – anticipando i tempi in maniera sorprendente – l’utilità sociale di questa disciplina, tanto da volerla mettere al servizio e alla portata di tutti. Si deve all’epoca classica anche la prima definizione della professione legata alle Scienze Motorie. Nei ginnasi, i giovani trascorrevano le giornate ascoltando lezioni e praticando esercizi. Per la ginnastica (gymnastikè) potevano fare riferimento addirittura a due insegnanti: il gymnastès, che seguiva soprattutto la formazione degli atleti, ed il paidotrìbes, che si prendeva cura dell’educazione dei giovani, insieme ai docenti di grammatica e di musica. Le tre discipline, insieme, formavano la paidèia (che letteralmente significa “educazione”),

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