PNF tecniche di stretching facilitate

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CAPITOLO 1

Le nozioni di base dello stretching

In questo capitolo vengono trattati alcuni dei principi su cui si basa lo stretching: i tipi di contrazione muscolare e i riflessi da stiramento; vengono quindi introdotte alcune delle nuove tecniche di stretching. Questo capitolo è propedeutico al successivo, in cui verrà preso in esame lo stretching facilitato.

Tipi di contrazione muscolare

Due sono i tipi di contrazione muscolare di particolare interesse: isotonica e isometrica. Una contrazione isotonica è una contrazione volontaria che provoca il movimento dei capi articolari collegati al muscolo. A sua volta, la contrazione isotonica si suddivide in: contrazione concentrica, in cui il muscolo si accorcia e contrazione eccentrica, in cui il muscolo produce una tensione opponendosi ad una forza esterna che ne provoca l’allungamento. Nell’esempio classico della contrazione concentrica del bicipite brachiale, si ottiene la flessione a livello del gomito dell’avambraccio sul braccio, come nell’esempio del curl coi manubri (Figura 1.1). Considerando lo stesso esercizio in senso inverso, si ottiene la contrazione eccentrica del bicipite. In questo secondo caso il muscolo, pur esercitando una tensione, in relazione al peso del manubrio, determina una estensione controllata dell’avambraccio.

Bicipite brachiale (agonista) 100° 100°

Contrazione Concentrica: il muscolo si accorcia Contrazione Isometrica: la lunghezza del muscolo rimane invariata

Tricipite brachiale (antagonista)

Contrazione Eccentrica: il muscolo si allunga Figura 1.1 Contrazione concentrica, eccentrica e isometrica del bicipite.

Una contrazione eccentrica è definita anche lavoro negativo. Una contrazione isometrica volontaria è una contrazione in cui non si verifica alcun movimento dei capi articolari, sui quali il muscolo si inserisce. Nell’esempio della flessione bicipiti col manubrio, allorquando si tiene lo stesso manubrio fermo, con un determinato angolo del gomito, si sta realizzando una contrazione isometrica.

Riflessi rilevanti per lo stretching

Secondo un concetto tradizionale, si definisce come riflesso una risposta automatica, quindi involontaria, ad uno stimolo. Occorre però meglio precisare questa generica definizione, sulla base di conoscenze scientifiche


CAPITOLO 2

Lo stretching facilitato Come è noto, lo stretching è una componente fondamentale dell’allenamento per ogni sport; ma oltre le applicazioni sportive, lo stretching è estremamente utile per mantenere la flessibilità del corpo nella normale routine quotidiana e in particolare nel caso di attività lavorative ripetitive o “staticizzanti”. Come già osservato nel primo capitolo, esisitono molti modi di praticare lo stretching, derivati da esperienze, ricerche ed applicazioni specifiche. Lo stretching facilitato è una tecnica terapeutica che si caratterizza per l’assistenza attiva e si basa sui principi della facilitazione neuromuscolare propriocettiva (PNF).

Osservazioni sul PNF Prima di entrare nei dettagli dello stretching facilitato, è bene tratteggiare brevemente la storia del PNF ed esaminare gli schemi spiralidiagonali.

Cenni storici del metodo PNF

La facilitazione propriocettiva neuromuscolare è un metodo che fu sviluppato negli anni ‘40 e ‘50 dal dottor Herman Kabat e dalle fisioterapiste Margaret Knott e Dorothy Voss. Il dottor Kabat era un neurofisiologo che basò la formulazione del PNF sui lavori di Charles Sherrington, le cui ricerche furono determinanti per costruire un modello di funzionamento del sistema neuromuscolare (1947). Il Dr. Kabat riteneva che i principi di neurofisiologia sviluppati da Sherrington, oltre alle leggi dell’irradiazione, alla successiva induzione e innervazione reciproca, fossero applicabili nella riabilitazione

delle paralisi causate dalla poliomielite. Prima dello sviluppo delle tecniche PNF, i pazienti paralizzati venivano riabilitati con un metodo che enfatizzava “un movimento, un’articolazione, un muscolo per volta”, (Voss, lonta, e Myers 1985). Con il sostegno dell’industriale Henry Kaiser, il dottor Kabat fondò l’istituto Kabat-Kaiser a Washington nel 1946, e iniziò a lavorare con i pazienti affetti da paralisi per trovare combinazioni e schemi di movimento coerenti con la struttura teoretica. Nel 1951, Kabat e Knott delinearono nove tecniche per la riabilitazione muscolare. Il dottor Knott e la sua assistente Dorothy Voss si resero conto che la PNF era una metodologia di ampia portata, che avrebbe potuto essere estesa ad altri settori ben oltre al trattamento delle paralisi. Si trattava quindi di una nuova concezione di utilizzo del movimento e dell’esercizio terapeutico. Nel 1952 Knott e Voss istituirono un seminario rivolto ai fisioterapisti per istruirli sulle tecniche della PNF. Negli anni successivi ampliarono questi corsi di formazione sulla PNF e nel 1956 pubblicarono il libro Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva. Negli anni ‘60 le metodiche relative alla PNF vennero inserite nei programmi di molte università e la loro popolarità si è diffusa in modo sempre crescente. Attualmente la PNF è parte integrante dei corsi di laurea in terapia fisica ed è presa in esame in diversi insegnamenti.


CAPITOLO 3

Utilizzo degli schemi PNF spirali-diagonali Come già accennato il PNF si basa sugli schemi spirali-diagonali che sono il risultato del disegno anatomico dello scheletro e delle inserzioni muscolari su di esso. I muscoli, infatti, nei rapporti con i capi ossei, si avvolgono agli stessi a spirale con la conseguenza che, una volta che questi si contraggono, si realizzano pure dei movimenti a spirale. Queste spirali si evidenziano specialmente nel movimento degli arti superiori, che oscillano lungo il corpo quando si cammina. Nella contrazione del bicipite, l’avambraccio non solo si flette, ma ruota anche in supinazione (Figura 3.1). Sono molti i muscoli che attraverso la loro contrazione sono in grado di determinare il movimento di un arto sui tre piani. Ad esempio, lo psoas flette l’anca, azione dominante, ma interviene anche nell’adduzione e nella rotazione esterna del femore (Figura 3.2). Se la motricità dell’uomo fosse priva di schemi a spirale e diagonali risulterebbe rigida, come imbrigliata e goffa. La coordinazione e la grazia dei movimenti trovano la loro massima espressione proprio attraverso l’armonizzarsi degli schemi a spirale diagonale e, al contrario, sono limitate dalla ripetitività quotidiana.

Uno dei principali benefici dell’apprendimento e utilizzo degli schemi spirali-diagonali è il ristabilire delle coordinazioni che riuniscano dei movimenti proprio su assi e piani multipli.

Pratica degli schemi intesi come movimento libero Voss e colleghi (1985) suggerirono di imparare gli schemi a spirale attraverso il movimento libero. Ciò corrisponde a dare un senso di ritmo naturale agli schemi e contemporaneamente lascia percepire le ampie potenzialità del proprio corpo nell’espandersi in ogni direzione. Sebbene vengono utilizzati solo in parte gli schemi così intesi nello stretching facilitato, il loro apprendimento renderà possibile intravedere le reali potenzialità della motricità umana da questo punto di vista. Questi schemi possono essere utilizzati per migliorare la propria coordinazione e possono essere resi più complessi allorquando si richieda l’esecuzione di pattern diversi ad ognuno dei due arti nello stesso momento o addirittura a tutti e quattro gli arti contemporaneamente. Eseguendo prove libere del genere descritto risulta sicuramente divertente il tentativo di esplorare determinate connessioni tra muscoli e cervello.


CAPITOLO 4

Stretching per gli arti inferiori

Una buona flessibilità a livello delle anche e degli arti inferiori è una condizione insostituibile per tutti gli sport e per la fisiologica esecuzione delle comuni attività motorie. Nel caso in cui un muscolo sia cronicamente accorciato, lo stesso non può disporre della sua normale forza contrattile; inoltre, questa condizione diminuisce le possibilità di escursione articolare. A questo proposito si consideri la corsa e in particolare la fase di spinta. Gli ischiocrurali accorciati e tesi determinano nel quadricipite un super lavoro per il fatto che questo ne

deve vincere la resistenza e gli stessi ischiocrurali faticano più del dovuto. È facile dedurre come da questa situazione di “eccessiva contrapposizione tra gli antagonisti”, la prestazione perda in scioltezza ed efficacia; inoltre diventa più facile incorrere in lesioni muscolari. Gli esercizi indicati in questo capitolo sono mirati allo sviluppo della flessibilità delle anche e degli arti inferiori, condizione questa propedeutica al miglioramento della performance sportiva e a svolgere con maggior disinvoltura le quotidiane attività motorie.


CAPITOLO 5

Stretching per gli arti superiori Questo capitolo riguarda i muscoli della spalla, del braccio e del polso. Vengono presi in esame dapprima i quattro muscoli della cuffia dei rotatori, quindi gli altri muscoli della spalla, del braccio, avambraccio e polso. Ăˆ bene ricordare che la spalla possiede le piĂš ampie possibilitĂ di movimento rispetto ad ogni altra articolazione del corpo umano.


CAPITOLO 6 Stretching per il collo e per il tronco In questo capitolo vengono presi in esame i muscoli del collo e del tronco. Tensioni eccessive a livello del collo e della parte bassa della schiena sono molto diffuse tra la popolazione e, per queste aree lo stretching facilitato si presta in modo particolare alla soluzione dei problemi connessi per semplicità d’approccio ed efficacia. Le attività quotidiane richiedono un notevole lavoro in termini di flessioni a livello del collo e del tronco: sedersi ad un tavolo, sedersi in auto, sedersi di fronte ad un computer o alla televisione. Le sedie e poltrone che si usano comunemente non sono normalmente progettate avendo come scopo la “corretta postura” ed è sull’apparato locomotore che ricadono queste carenze. Per contro, le attività sportive, frequentemente, richiedono anche un notevole lavoro muscolare non equilibrato che va poi a sommarsi in negativo agli effetti della vita sedentaria. In questo contesto, gli esercizi che seguono possono essere utilizzati sia come terapia preventiva che in seguito al manifestarsi di specifiche problematiche muscolari.


CAPITOLO 7 Tecniche per il trattamento dei tessuti fibrotici

I muscoli infortunati solitamente si rimarginano formando cicatrici nella zona lesionata. La cicatrice che ne deriva è spesso densa e anelastica e, in ultima analisi, limita l’escursione articolare nel range dell’assenza di dolore. Per ristabilire quest’ultima caratteristica basilare del muscolo, il tessuto cicatriziale deve essere stimolato a modificarsi in qualche modo. L’approccio medico tradizionale spesso si limita ai farmaci o agli interventi chirurgici, i quali, solitamente, possono fare ben poco sulle cicatrici. Molti fisioterapisti ancora hanno fiducia nella terapia del caldo e freddo negli ultrasuoni e nella elettrostimolazione. Questi interventi risultano spesso efficaci in particolare nelle fasi iniziali del trattamento del trauma ai tessuti molli, ma sono inadeguati se si intende modificare un tessuto cicatriziale che si è consolidato. Alcuni tipi di terapie manuali, quali il massaggio o la distensione miofasciale, sono necessarie per ridurre effettivamente il tessuto cicatriziale e ristabilire il grado di mobilità. Lo stretching facilitato, quando utilizzato in modo appropriato in combinazione con le terapie manuali sui tessuti molli, può incrementare le probabilità, in termini di sicurezza ed efficacia, di ristabilire l’escursione articolare in assenza di dolore.

Modificare il tessuto fibrotico al fine di ridurre il dolore e ristabilire l’escursione articolare I tessuti cicatriziali o le aderenze, causate da saldature del tessuto, possono svilupparsi internamente ai muscoli oppure fra gli stessi, nelle fasce che lo contengono e nei tessuti neurali; tali aderenze possono causare altre problematiche, che vanno da disturbi di lieve entità a gravi e progressive disfunzioni compensative e anche a danni nervosi. I tessuti cicatriziali si possono sviluppare in seguito a traumi acuti ai tessuti o anche in seguito al ripetersi di microtraumi. Nonostante una cicatrice sia la normale risposta alla lesione, la formazione di un eccesso di tale tessuto riduce la funzionalità dell’apparato locomotore e contribuisce all’instaurarsi del dolore cronico. Le aderenze sono intrecci “non funzionali” tra le fibre all’interno di un muscolo o tra diversi fasci del muscolo o ancora a livello della fascia. Essi impediscono il movimento e questa limitazione è spesso accompagnata da dolore. Le aderenze possono formarsi come risultato di uno stress posturale, di ipertonicità cronica in un muscolo o per mancanza di movimento.


CAPITOLO 8 Stretching per attività specifiche

La pratica costante e regolare dell’allenamento è la premessa indispensabile per ottenere degli adattamenti efficaci e duraturi. Lo stretching è più efficace quando i muscoli siano stati precedentemente riscaldati. Per questo è consigliabile far precedere le sequenze di esercizi che seguono, a 5–15 minuti di leggera attività di riscaldamento. È diffusa e spontanea la tendenza di allungare soprattutto i gruppi muscolari distali del corpo, delle braccia e delle gambe, mentre le regioni prossimali, più complesse da allungare poiché possiedono un maggiore numero di gradi di movimento, vengono di frequente trascurate. Quindi è bene a controbilanciare questa tendenza, al fine di ottenere una completa e di equilibrata flessibilità del corpo. Eseguite due o tre serie di stretching per ogni muscolo, attività che richiede 30 o 45 secondi in totale. Ogni sport propone differenti richieste in termini di forza e flessibilità. Il migliore approccio per migliorare la prestazione e per prevenire gli infortuni è senza dubbio quello di attuare un programma equilibrato in termini di forza e allungamento di tutte le parti del corpo. Le schede che seguono contengono delle indicazioni di base, sulle quali è possibile apportare libere variazioni in funzione delle specifiche esigenze sia in funzione dello sport praticato che delle necessità proprie di ciascun soggetto.


CAPITOLO 9 Programmi di recupero dalle lesioni muscolari con la collaborazione di

Dave Charland, ATC, PT

In questo capitolo viene spiegato come utilizzare lo stretching facilitato in riferimento alle lesioni ai tessuti molli, conseguenti ai più diffusi infortuni. Lo stretching non è solo strumento utile al benessere generale, ma può anche avere un ruolo importante nella prevenzione o nella cura di specifiche problematiche post infortunio. In questo capitolo vengono prese in esame le esercitazioni utilizzabili in modo autonomo, a casa vostra o in palestra, per risolvere o perlomeno per alleviare situazioni preesistenti, per convivere meglio con le stesse o per il ritorno alla normalità. Esperienze pluridecennali, maturate su migliaia di clienti e pazienti, hanno prodotto quanto di seguito esposto frutto di una continua ed evoluzione per questi programmi ampiamente sperimentati: si raccomanda comunque di consultarsi col medico o specialista prima di cimentarsi nella pratica degli esercizi, quando si riscontrino anche lievi iniziali difficoltà.


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