Pagine da Fisiologia dell'esercizio in età giovanile

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FISIOLOGIA DELL’ESERCIZIO FISICO IN ETà GIOVANILE

In questo capitolo esamineremo • le conseguenze delle dimensioni corporee sulla funzione fisiologica • l’espressione delle variabili fisiologiche relative alle dimensioni del corpo. Gli adulti hanno dimensioni corporee maggiori rispetto ai bambini. I bambini con un’età maggiore sono più sviluppati rispetto a quelli di età inferiore. E per chi si occupa di pediatria le dimensioni contano. All’interno del nostro ambito di interesse, in media, un ragazzo di 18 anni pesa 70 kg e un bambino di 5 anni pesa 20 kg. L’altezza è rispettivamente di 175 e di 115 cm, e l’area della superficie corporea è di 1,85 e 0,80 m2. Quindi, all’interno di questo periodo di crescita, il peso differisce di un fattore di 3,5, l’altezza di 1,5, e l’area della superficie di 2,3, il che equivale come ordine di grandezza rispettivamente a 100,54, 100,18 e 100,36. All’interno di queste differenze nelle dimensioni, i bambini piccoli e il giovane adulto non sono assolutamente simili da un punto di vista geometrico. Infatti, i diversi segmenti corporei non presentano le stesse proporzioni rispetto alle dimensioni totali del corpo: la loro forma è differente, e l’importanza di questo aspetto verrà evidenziata in seguito in questo capitolo. Le gambe di un bambino piccolo, ad esempio, sono corte in rapporto all’altezza, in confronto con l’anziano. Questo diventa evidente se si mette a confronto il rapporto tra l’altezza in posizione seduta e in piedi, che è di circa il 68% alla nascita e declina al 50% nella maturità. La testa è relativamente grande nel bambino piccolo, e il rapporto tra larghezza delle spalle e della vita nel maschio nel corso della pubertà diminuisce del 7% (17, pp. 39-65). Tali differenze nelle proporzioni sono estremamente evidenti nell’infanzia, mentre già al decimo anno di età la situazione diventa simile a quella all’adulto. Questo capitolo affronterà il tema di come le variabili fisiologiche nel bambino, durante il riposo o nel corso dell’esercizio, siano in relazione alle variazioni delle dimensioni corporee. La prima se-

zione focalizzerà l’attenzione su come le differenti correlazioni tra funzioni fisiologiche e dimensioni corporee possano migliorare le nostre conoscenze (a) dei meccanismi tramite i quali le dimensioni del corpo influenzano l’efficienza fisiologica e (b) delle differenze negli aspetti fisiologici tra individui di diverse misure. Tenendo conto dell’aumento delle misure corporee durante la crescita, queste considerazioni possono aiutarci a comprendere i cambiamenti che avvengono nel corso dello sviluppo biologico. La seconda sezione si sofferma sul problema di come esprimere le variabili fisiologiche in relazione alle dimensioni del corpo. Questo problema presenta in qualche modo aspetti critici per i pediatri che si occupano di fisiologia dell’esercizio, dal momento che è necessario “normalizzare” le variabili alle dimensioni corporee se si vogliono confrontare in modo accurato i fattori fisiologici tra i gruppi o longitudinalmente nello stesso individuo. L’esperienza ha dimostrato l’importanza di selezionare delle misure medie per risolvere questo problema, in quanto aggiustamenti inappropriati delle variabili fisiologiche alle dimensioni corporee, possono indurre a risultati ingannevoli e conclusioni errate. DIMENSIONI E FUNZIONI: LEZIONI DALL’ALLOMETRIA Nella primavera del 1927, Sir Julian Huxley studiò le dimensioni delle uova di uccello. Era particolarmente attratto dall’osservare come degli uccelli di piccole dimensioni tendessero a deporre delle uova grandi, in proporzione a quelle degli uccelli di dimensioni maggiori (15). Un uovo di struzzo normalmente pesa 1700 g, in contrasto con le uova di colibrì che pesano 0,6 g (un fattore pari a 103,5). Comunque, considerando la maggiore massa dello struzzo femmina (113380 g) rispetto al colibrì (3,6 g), il rapporto tra massa dell’uovo e massa dell’uccello è di 0,015 per il primo e di 0,167 per il secondo. In proporzione alla massa dell’adulto, quindi, la massa delle uova del colibrì è di 11 volte maggiore rispetto a quella dello struzzo. In seguito


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FISIOLOGIA DELL’ESERCIZIO FISICO IN ETà GIOVANILE

In questo capitolo esamineremo • del ruolo della crescita somatica nello sviluppo del fitness fisico; • di come la pratica sportiva e l’attività fisica possono influire sul processo di accrescimento corporeo. Comprendere il processo della crescita corporea è essenziale per cogliere l’importanza dei cambiamenti legati allo sviluppo nell’ambito della fisiologia dell’esercizio fisico. I fattori determinanti della fisiologia dell’esercizio fisico e della prestazione, sono strettamente legati alla crescita somatica e, come si vedrà successivamente in questo capitolo, l’attività fisica in sé può a sua volta influire sul processo di crescita. I fattori che svolgono un ruolo attivo all’interno di questo legame tra attività fisica e crescita, dunque, sono di particolare interesse. Si è ancora lontani dal conoscere i “misteriosi meccanismi della crescita” (79). Durante gli anni ’90, tuttavia, sono stati realizzati progressi enormi, con il riconoscimento dei numerosi fattori responsabili della crescita umana, nonché della base genetica per il controllo dell’espressione fenotipica di questi agenti. Queste recenti informazioni hanno dimostrato chiaramente che le ipotesi teoriche sullo sviluppo umano accettate fino a 20 anni fa erano poco accurate ed eccessivamente semplicistiche. Sembra, in effetti, che ogni nuova teoria, piuttosto che far luce sul problema, ribadisca in modo inequivocabile l’estrema complessità del processo di accrescimento. Il periodo di crescita postnatale, che dalla nascita si protrae fino a circa i 1718 anni di età, è il lasso di tempo disponibile in cui i processi biologici possono maturare giungendo alla condizione adulta. Dato questo vincolo temporale, ad interessare non è solo l’entità dello sviluppo somatico durante gli anni della crescita, ma anche il ritmo relativo, o velocità di cambiamento. Da tempo è stato assodato che per gli esseri umani il tempo disponibile per la maturazione biologica è di gran lunga superiore rispetto a quello concesso ad altri mammiferi (47), un’osservazione che è stata utilizzata come base per la discussione fi-

losofica e biologica degli ultimi 300 anni. Nel loro studio comparativo su 21 specie di primati antropomorfi, Leigh e Park (47) hanno riscontrato negli umani un periodo di crescita più lungo in rapporto alle dimensioni corporee, a causa di un primo periodo di sviluppo (dalla nascita all’inizio dello scatto di crescita dell’età adolescenziale) estremamente prolungato. Sono state fornite numerose spiegazioni, ma quella che gode dei consensi più ampi afferma che gli esseri umani, dato l’alto quoziente intellettivo, necessitano di un periodo più lungo per acquisire una serie più complessa di informazioni di base. È stata inoltre suggerita la necessità di uno sviluppo prolungato delle capacità locomotorie negli esseri umani. Il passaggio evolutivo alla locomozione bipede e alla postura eretta ha messo a dura prova sia il sistema neuromuscolare che quello cardiovascolare, rendendo forse necessario un prolungamento del periodo di sviluppo. Come hanno fatto notare Leigh e Park, “il ritardo temporale nell’ontogenesi per permettere il ‘riallacciamento’ può essere considerato un fattore chiave nella risposta degli antenati ominidi alla selezione in favore della locomozione bipede (47, p. 333)”. Un altro aspetto temporale della crescita somatica che può influire sui cambiamenti a lungo termine nella capacità di compiere esercizio fisico è il cambiamento del periodo di tempo concomitante alla maturazione biologica. (35, 85). I pattern di crescita riscontrati in bambini appartenenti a popoli diversi negli ultimi 200 anni indicano generalmente un aumento progressivo dell’altezza e del peso e una riduzione del periodo di crescita. Il primo può essere attribuito principalmente all’aumento in lunghezza delle gambe, mentre un’età più precoce del menarca è l’indicatore più evidente dell’avvenuta accelerazione del tempo di maturazione biologica. In Europa e in Nord America, l’aumento di altezza fra il 1880 e il 1980 è stato di circa 1,5 cm per decade nei bambini e 2,5 cm per decade negli adolescenti (51). L’età media del menarca è stata anticipata di 4,5 mesi per decade fra il 1920 e il 1960 nelle ragazze belghe.


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FISIOLOGIA DELL’ESERCIZIO FISICO IN ETà GIOVANILE

In questo capitolo esamineremo • il normale sviluppo della pubertà e i metodi per valutarlo; • l’impatto dei cambiamenti ormonali concomitanti alla pubertà sull’efficienza fisica e come questi siano influenzati dal sesso; • l’influenza dell’esercizio fisico e della partecipazione ad attività sportive sullo sviluppo nella pubertà e sulle capacità riproduttive.

Partendo dalla definizione del termine pediatrico, che comprende soggetti da 0 a 20 anni, possiamo dividere l’arco di tempo che presenta un interesse per i fisiologi dello sport nell’infanzia in due segmenti quasi uguali. Il primo comprende lo sviluppo del bambino fino a 12 anni, principalmente influenzato dall’azione dell’asse GH/IGF-1. In seguito, nel secondo periodo, gli effetti anabolici sono incrementati dall’influsso esercitato dagli ormoni sessuali nel corso della pubertà, ovvero della maturazione delle capacità riproduttive. I cambiamenti ormonali nella pubertà manifestano effetti profondi, per quanto riguarda la fisiologia dell’esercizio e il rendimento nell’attività fisica. Queste influenze sono in larga parte legate al genere e stabiliscono delle differenze nette tra i sessi, che erano solo marginali negli anni precedenti la pubertà. Inoltre, le caratteristiche anatomiche e fisiologiche che compaiono nella pubertà hanno la funzione di caratterizzare le differenze tra le risposte fisiologiche all’esercizio fisico tra bambini e adulti. La comprensione delle influenze ormonali della pubertà, per quanto riguarda gli esiti dell’attività fisica, richiede dunque un’attenta considerazione dei livelli di maturazione sessuale negli studi fisiologici che riguardano bambini e adolescenti. Questo capitolo si occupa delle basi della pubertà a livello endocrino e dell’impatto di tali cambiamenti ormonali sulla fisiologia e sul rendimento fisico. Come già nel capitolo precedente, è importante considerare la relazione tra pubertà ed esercizio fisico anche da un’ottica opposta: in che modo le attività fisiche in-

tense e ripetute (ad esempio, l’allenamento all’attività sportiva) influenzano il processo di maturazione sessuale dei ragazzi e delle ragazze? LA FASE DELLA PUBERTà La pubertà consiste in una serie di cambiamenti anatomici e fisiologici che avvengono nella prima adolescenza e rimarcano il periodo di transizione da una fase sessualmente immatura alla fase di piena fertilità. Questo processo non è caratterizzato solamente dallo sviluppo della capacità riproduttiva, ma anche da alterazioni nella dimensione e nella composizione corporea, e si manifesta in risposta alle attività degli estrogeni (nelle femmine) e del testosterone (nei maschi). I meccanismi di azione degli ormoni sessuali sono simili, ma i risultati sono ampiamente diversi, portando così a definire le caratteristiche sessuali nell’adolescenza. Queste caratteristiche includono l’accumulo di grasso e la maturazione ossea nelle femmine e la crescita e lo sviluppo della massa muscolare nei maschi (102). Nelle femmine l’estradiolo, sintetizzato nelle cellule ovariche della teca e della granulosa, è l’ormone più attivo della famiglia degli estrogeni. La produzione dell’estradiolo è controllata dal rilascio intermittente di due gonadotropine, l’ormone follicolo-stimolante (FSH) e l’ormone luteinizzante (LH), rilasciati dal lobo anteriore della ghiandola pituitaria, che a sua volta è stimolata dall’ormone liberante gonadotropine (GnRH), prodotto nell’ipotalamo. Prima della pubertà, il “centro di controllo” dell’azione delle gonadi a livello del sistema nervoso centrale è estremamente sensibile all’azione di feedback negativo svolta da piccole quantità di estrogeni in circolazione, e la produzione di GnRH viene soppressa. Di conseguenza, nelle ragazze giovani il rilascio di LH e FSH è rispettivamente pari a circa il 3% e il 15% rispetto ai valori normali, riscontrati nelle donne. Con la pubertà, la soglia di sensibilità di questo “centro di controllo” si abbassa in modo notevole, e il GnRH stimola la produzione di


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In questo capitolo esamineremo • processi metabolici che sostengono la contrazione muscolare durante l’attività fisica; • il metodo per la valutazione del metabolismo cellulare aerobico ed anaerobico; • i modelli secondo i quali questi processi biochimici si evolvono durante la crescita del giovane; • come i cambiamenti biochimici possono influenzare lo sviluppo della condizione fisica.

Nel corso dello sviluppo, il rendimento dei bambini nelle attività motorie migliora in modo costante. Un ragazzo di 12 anni è in grado di correre sulla distanza del miglio più velocemente rispetto a quando aveva 6 anni. Una ragazza in età prepubere può eseguire un numero maggiore di esercizi di sollevamento da terra rispetto a quando aveva cinque anni in meno. Tutte le curve del rendimento fisico nel corso dello sviluppo crescono, almeno fino all’adolescenza. Ciò che si può osservare è un progressivo incremento nella soglia della fatica fisica. Con l’aumento dell’età, uno o più fattori fanno aumentare la quantità di lavoro che può essere svolto dal sistema motorio prima che insorga la fatica. I fattori determinanti, responsabili della fatica fisica e il modo in cui questi cambino nel corso dello sviluppo biologico, diventano quindi un aspetto critico nella comprensione di tale processo. Negli adulti la ricerca delle variabili che determinano la soglia della fatica si è concentrata sulla spiegazione: (a) dell’incremento nella capacità di sopportare la fase di stress che segue un periodo di attività fisica, e (b) delle caratteristiche che differenziano il rendimento tra atleti allenati e persone non allenate. Ritenere che i fattori che influenzano i cambiamenti nella soglia della fatica nel corso dello sviluppo dei bambini, siano gli stessi degli adulti potrebbe non essere del tutto corretto. Tuttavia, potrebbe essere utile prendere in considerazione questi fattori per la loro azione potenziale sui cambiamenti della resistenza sotto sforzo. D’altra parte, la comprensione dei fattori che incidono sulla soglia

della fatica nel corso dello sviluppo possono fornire degli spunti per quanto riguarda i meccanismi fondamentali della resistenza sotto sforzo per tutte le età. La fatica fisica è stata generalmente attribuita ad una moltitudine di fattori, come l’innervazione muscolare, la funzione contrattile di actina e miosina, i flussi cellulari di calcio e gli impulsi trasmessi dal sistema nervoso centrale. Tuttavia, l’insufficiente livello di energia è stata la causa tradizionalmente più accettata per spiegare l’insorgere della fatica sotto sforzo. La funzione del “motore” fisico (cioè della contrazione dei muscoli scheletrici) dipende dal carburante adeguato (grassi, carboidrati) e, per quanto riguarda gli sforzi prolungati, dai processi di ossidazione (rifornimento di ossigeno attraverso il sistema circolatorio). In questo modello “la velocità della produzione di ATP tramite ossidazione diviene inadeguata e le alte percentuali di produzione di ATP tramite glicolisi anaerobica producono dei metaboliti, in particolare H+, che interferiscono con la produzione di energia e con il ciclo dei ponti trasversali, provocando la fatica e la diminuzione della forza di contrazione muscolare (69, p. 133). (Si rinvia alla lettura dell’interessante articolo in cui Noakes descrive la debolezza di tale modello, augurandosi che “una nuova generazione di fisiologi dello sport sfidino questo dogma e si avvicinino in tal modo alla verità - 9, p. 142 -). In questo capitolo prenderemo in considerazione le variazioni nello sviluppo della fatica fisica a partire dal punto d’inizio, esaminando lo sviluppo della struttura metabolica cellulare di per sé. I capitoli seguenti si occuperanno dell’influenza potenziale degli altri fattori, come il rifornimento di ossigeno, l’economia dell’esercizio submassimale e lo stress termico. Boisseau e Delamarche hanno fornito una panoramica completa delle risposte metaboliche all’attività nell’adolescenza, a cui si rimanda il lettore per ulteriori informazioni (7). La nostra comprensione dei processi metabolici che avvengono all’interno dei muscoli scheletrici nei bambini è chiaramente limitata. La maggior parte delle


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In questo capitolo esamineremo • Il normale sviluppo della massima potenza aerobica e i metodi corretti per esprimere i valori del massimo consumo di ossigeno in rapporto alla massa corporea; • I fattori che influenzano le differenze individuali e di genere per quanto riguarda il massimo consumo di ossigeno (VO2max); • la relazione tra il massimo consumo di ossigeno (VO2max), l’efficienza e l’attività fisica sotto sforzo.

L’attività aerobica può essere definita dal punto di vista fisiologico in termini di massimo consumo di ossigeno (d’ora in poi indicato con la sigla VO2max), ovvero della massima velocità con cui le cellule dell’apparato muscolo-scheletrico possono utilizzare l’ossigeno come fonte di energia per il movimento. Essa può essere anche descritta dal punto di vista funzionale come rendimento sotto sforzo, prendendo in considerazione il tempo impiegato per coprire una certa distanza in bicicletta, correndo, camminando o sciando, oppure la distanza che può essere raggiunta in un dato tempo. Mentre la prima definizione si collega alla seconda (il VO2max è cioè correlato con il rendimento sotto sforzo), i fattori che definiscono i limiti nell’utilizzazione dell’ossigeno e i fattori che determinano il rendimento sul campo, non sono gli stessi. Le componenti che regolano lo scambio di ossigeno, in particolare la gittata sistolica, sono state generalmente considerate come limitanti per il VO2max. Il rendimento sotto sforzo è d’altra parte influenzato da numerosi fattori, che comprendono non solo il VO2max, ma anche l’economia dell’esercizio in condizioni di lavoro submassimale, l’attività degli enzimi aerobici cellulari, le riserve di substrato, l’efficienza anaerobica, la motivazione e le condizioni ambientali. Tutti i fattori che determinano le variazioni individuali nell’attività aerobica non sembrano essere differenti nei bambini rispetto agli adulti. Un fattore ulteriore da prendere in considerazione durante

l’infanzia è lo sviluppo dell’efficienza, sia a livello fisiologico che funzionale, accanto ai fattori determinanti nel cambiamento ontogenetico, che possono presentare differenze rispetto a quelli che definiscono le variazioni individuali. Questo è dunque il tema del presente capitolo. È stato suggerito che i principali fattori nello sviluppo del VO2max in relazione alla massa corporea, nel corso dello sviluppo del bambino siano: (a) la crescita delle dimensioni dell’apparato motorio e muscolo-scheletrico; e (b) il relativo decremento nell’attività enzimatica ossidativa all’interno delle stesse cellule dell’apparato muscolo-scheletrico. Inoltre, in accordo con i principi della morfologia simmetrica dello sviluppo, tutti i fattori coinvolti nella definizione del cambiamento del VO2max nel corso dello sviluppo dovrebbero procedere di pari passo. In altre parole, non c’è una motivazione biologica per cui la parte di un sistema possegga una maggiore o una migliore capacità funzionale rispetto agli altri elementi del sistema, nel corso dello sviluppo biologico. Verrà infatti dimostrato in seguito che le dimensioni del cuore e dell’apparato circolatorio aumentano di pari passo, per soddisfare le maggiori richieste di ossigeno provenienti dai muscoli sottoposti ad attività. I miglioramenti nell’efficienza sotto sforzo nel corso dello sviluppo non sono invece influenzati dal VO2max. Il rendimento in un’attività come ad esempio una corsa della durata di un miglio (1 miglio corrisponde a 1,609 km n.d.t.), è piuttosto influenzato dal miglioramento dell’economia energetica durante un esercizio submassimale nel corso dello sviluppo e dai cambiamenti nella soglia dell’intensità dell’esercizio che può essere sostenuto per lunghi periodi di tempo. Quest’ultima ha probabilmente una base metabolica, che riflette la capacità funzionale del metabolismo aerobico di utilizzare il piruvato, ne previene la trasformazione in acido lattico e il conseguente aumento nella concentrazione di ioni idrogeno.


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In questo capitolo esamineremo • In che modo il sistema cardiovascolare risponde all’attività fisica; • come queste risposte variano nel corso dell’infanzia; • i modi adeguati per mettere in rapporto le variabili cardiache alla dimensione corporea.

È stata espressa la preoccupazione, tuttora ricorrente, che il cuore di un bambino possa non essere in grado di sopportare l’attività fisica quanto il cuore di un adulto. Nel tardo ’800 Beneke e altri studiosi, hanno sottolineato una discrepanza rilevabile tra la crescita del cuore e la dimensione dell’aorta e dell’arteria polmonare (vedi il riferimento 43). Mentre il volume del cuore cresce in modo proporzionale rispetto alla massa corporea, la circonferenza dei grandi vasi sanguigni cresce in relazione all’altezza (ovvero in modo lineare). Questa “disarmonia naturale” è stata considerata un fattore che predispone il bambino all’ipertensione e che “diminuisce il vigore del bambino nel corso dell’infanzia” (43). Più di recente è stata sollevata un’altra questione: gli studi sull’attività fisica nei bambini hanno sempre dimostrato come ad un dato livello di consumo di ossigeno, la gittata cardiaca tenda ad essere inferiore nel bambino rispetto all’adulto (8). Ad un VO2 di 1,4 L min–1, ad esempio, la gittata cardiaca tipica di un adulto è di circa 14 L min–1, mentre in un bambino è di 11 L min–1. Questa risposta inferiore è stata considerata limitante per quanto riguarda l’adattamento del bambino ad un’attività ad alta intensità, specialmente in ambiente caldo (31). Entrambe le questioni sembrano tuttavia infondate. Nel primo caso, l’interpretazione di Beneke dimostra la sua mancata comprensione dei principi fondamentali dell’idrodinamica. Come è stato dimostrato da Karpovich, il flusso di sangue nell’aorta e nell’arteria polmonare non è in relazione con la circonferenza di questi vasi sanguigni, ma piuttosto con la

superficie della loro sezione trasversale (43), ed è stato verificato come l’area della sezione trasversale aumenti in parallelo al volume del cuore nel corso dello sviluppo. Per molti decenni i bambini hanno subito restrizioni nella loro attività a scuola a causa di un tale errore di geometria. La seconda questione potrebbe essere considerata irrilevante dal punto di vista biologico, dal momento che bambini e adulti non praticano in genere attività allo stesso livello di potenza aerobica assoluta. Ad un dato valore di VO2, il bambino presenta un volume di gittata sistolica inferiore rispetto ad un adulto, dal momento che il cuore è più piccolo; tuttavia se il volume di gittata sistolica viene espresso in proporzione alla dimensione corporea, il valore risulta lo stesso nei due gruppi. Come vedremo in seguito, tutti i dati a disposizione indicano come non esista alcuna differenza dovuta alla maturazione per quanto riguarda la funzione cardiaca nel corso di una attività fisica, quando le variabili sono correttamente rapportate alla dimensione corporea. Nel corso dell’attività l’indice cardiaco e della gittata sistolica, la risposta del volume della gittata sistolica, la funzione del miocardio, i cambiamenti nelle dimensioni relative dei ventricoli, la durata della sistole e della fase di riempimento diastolico, la deriva cardiovascolare e il fattore di attività (variazione della gittata cardiaca in rapporto al crescere del consumo di ossigeno), sono simili nei bambini e negli adulti (77). Numerose tecniche di misurazione non invasive hanno reso possibili queste conoscenze sulle risposte cardiache all’at-


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In questo capitolo esamineremo • come si evolvano durante l’infanzia i fattori che contribuiscono alla ventilazione polmonare (volume dell’aria corrente, frequenza respiratoria) a riposo e durante l’esercizio, fisico • meccanismi attraverso i quali il controllo della ventilazione può differire nei bambini e negli adulti, e • risposte ventilatorie a esercizi intensi nei giovani.

Come prima parte del sistema di distribuzione dell’ossigeno, i polmoni servono come punto di collegamento tra l’aria presente nell’ambiente e la circolazione del sangue, che trasporta l’ossigeno ai muscoli in stato di attività. Mantenere la respirazione esterna nel corso dell’esercizio fisico non è un compito semplice. Devono essere consentite variazioni assai limitate della quantità di ossigeno e di anidride carbonica presenti nel sangue arterioso, e la concentrazione di H+ nel sangue deve essere mantenuta all’interno di stretti limiti di tolleranza. Inoltre, l’omeostasi dei gas e dell’equilibrio acidobase all’interno del sangue deve essere mantenuta mentre la richiesta ventilatoria sale, durante lo sforzo massimo, fino a valori 20 o 30 volte superiori rispetto a quelli richiesti a riposo. L’aumento della ventilazione si verifica attraverso un incremento sia della frequenza respiratoria (fR) che del volume dell’aria corrente (VT). I contributi relativi di entrambi i fattori devono essere bilanciati, al fine di prevenire aumenti inappropriati della resistenza delle vie respiratorie, degli ostacoli al passaggio dell’aria, o dello spazio morto ventilatorio (VD). In più, deve esistere un qualche meccanismo che correli strettamente le risposte ventilatorie alle richieste metaboliche dei muscoli in attività. Come hanno concluso Whipp e Ward, “l’adeguatezza della risposta ventilatoria all’esercizio fisico è presa meglio in considerazione quando non è messa in relazione al livello di ventilazione ottenuto in quel momento, ma al grado di omeostasi dei

gas presenti nel sangue arterioso in uno sforzo moderato, e dal grado di iperventilazione compensatoria a livelli di lavoro che generano acidosi metabolica” (49, p. 13). Nel corso dell’attività motoria, il lavoro legato alla ventilazione, necessario per distendere i polmoni e superare le resistenze delle vie respiratorie, implica un costo metabolico. Al massimo sforzo, la richiesta metabolica dovuta alla respirazione in un adulto sano può raggiungere dal 10% al 14% del VO2 totale. Ad ogni modo, la capacità ventilatoria non raggiunge il suo picco durante un’attività molto pesante. La ventilazione per minuto (VE) durante un’attività massimale si aggira di solito tra il 60% ed il 70% della massima ventilazione volontaria (MVV), il valore più alto della ventilazione che può essere raggiunto nel corso di un breve test respiratorio massimale a riposo. Sarebbe interessante individuare parallelismi tra le riposte circolatorie e ventilatorie all’esercizio fisico di intensità progressivamente crescente, dato che in entrambi i casi queste coinvolgono aumenti combinati in (a) un volume che è in relazione con la taglia corporea (gittata sistolica nel caso della circolazione e volume dell’aria corrente nel caso della respirazione) e (b) un fattore indipendente dalla taglia corporea, definito dal tempo (frequenza cardiaca o respiratoria). Comunque, i fattori determinanti che causano l’incremento della gittata cardiaca e della ventilazione per minuto nel corso dell’attività fisica sono diversi.


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In questo capitolo esamineremo • In che modo diminuisca con l’età il costo energetico della locomozione in relazione alle dimensioni corporee; • i meccanismi che possono servire a migliorare, a seconda dell’età, l’economia dell’esercizio in attività che implicano il trasporto di un carico; • l’influenza del sesso, della forma fisica e dell’impegno della corsa nell’economia dell’esercizio.

La maggiore quantità di energia richiesta ai bambini per spostare la massa corporea ad una determinata velocità nella corsa o nella marcia, è forse l’aspetto maggiormente documentato della fisiologia dell’esercizio in età pediatrica. In anticipo sui tempi, Robinson fu il primo a descrivere le differenze dell’economia della locomozione legate alla maturazione, nel suo lavoro svolto presso l’Harvard Fatigue Laboratory nel 1938 (39). Gruppi di soggetti di sesso maschile tra i 6 e i 75 anni furono fatti camminare per 15 minuti a 5,6 km h–1 su un tapis roulant, inclinato con una pendenza dell’8,6%. Il VO2 scendeva da un valore medio di 33,0 ml kg–1 min–1 nel gruppo dei più giovani, fino a 23,9 ml kg– 1 min–1 in quello dei più vecchi. Durante gli anni della crescita, il valore medio di VO2 in relazione alla massa, scendeva del 16% negli ultimi anni dell’adolescenza. Questa ricerca, quindi, non solo indicò che i bambini presentano un dispendio energetico maggiore degli adulti ad una data impostazione del tapis roulant, ma anche che i miglioramenti nell’economia energetica in condizioni sub-massimali avvengono in modo costante durante gli anni della crescita. A partire da quel momento, questa tendenza nel corso di un esercizio con un carico è stata confermata da diversi Autori. Nel suo articolo di rassegna del 2000, Morgan riassume i dati ricavati da 17 studi differenti, che confrontano l’economia della marcia o della corsa svolte

da bambini o adulti, o da ragazzi giovani o maggiori d’età (30). Nei lavori originali le condizioni sperimentali e le differenze d’età variavano ampiamente, e di conseguenza anche le differenze di VO2 per chilogrammo tra i gruppi studiati erano molto alte. Ad ogni modo, l’ampiezza delle differenze del costo energetico della locomozione su tapis roulant in relazione alla massa, osservate tra bambini e adulti, era simile a quella descritta da Robinson (39) circa 70 anni prima (approssimativamente dal 15% al 20%). Mentre la maggior parte di questi studi era trasversale, le indagini effettuate in senso longitudinale hanno mostrato variazioni simili nell’economia dell’esercizio con il passare del tempo. Nell’Amsterdam Growth, Health, and Fitness Study, durante la corsa su tapis roulant, nei maschi il VO2 scendeva da 37,6 a 30,3 ml kg–1 min–1 tra i 13 e i 27 anni (54). I valori corrispondenti nelle femmine variavano da 36,5 a 29,8 ml kg–1 min–1. Nel loro studio longitudinale sulla marcia su tapis roulant, Rowland et al. hanno rilevato una diminuzione della domanda energetica da 31,0 ml kg–1 min–1 all’età di 9 anni, a 26,5 ml kg–1 min–1 all’età di 13 anni (44). Basandosi sui dati ricavati da studi longitudinali e trasversali, è possibile prevedere che il VO2 per chilogrammo, durante un dato livello di esercizio su tapis roulant, diminuirà durante la crescita di una media di circa 1,0 ml kg–1 min–1 ogni anno. IL SIgNIFICATO DELL’ECONOMIA: IL METODO ALLOMETRICO è ADEgUATO? Esistono una certa confusione e pareri discordi sulla interpretazione delle modalità con cui le richieste metaboliche della locomozione con carico sub-massimale, in relazione alla massa corporea, cambino nel corso dello sviluppo. Molti ricercatori le considerano semplicemente come un cambiamento nell’energetica necessaria a spostare la massa corporea. L’economia dell’esercizio è definita come la quantità di energia spesa per chilogrammo ad una data intensità di lavoro, e la massa corporea costituisce il carico


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In questo capitolo esamineremo • La base metabolica del fitness anaerobico; • lo sviluppo degli indicatori del fitness anaerobico durante la crescita dei bambini; • le relazioni tra i processi biochimici, i test di laboratorio, e le performance sul campo in attività brevi e intense in individui giovani.

Quando vengono rilevati i risultati ottenuti da un soggetto in una serie di test basati sull’esercizio a carico di lavoro variabile, la potenza esterna viene messa in relazione con la durata dell’esercizio attraverso una curva ad iperbole (ossia, minore è il carico, più a lungo può essere sostenuto l’esercizio). Questo concetto è stato discusso nel capitolo 5 a proposito della potenza critica. La figura 9.1, che confronta le curve della relazione potenza-durata tra i bambini e gli adulti, non mette in evidenza alcuna differenza netta legata alla maturazione (66). In qualsiasi punto lungo questa curva, il processo di contrazione muscolare (lo scivolamento dei filamenti di actina e 700

Adulti ciclisti Ragazzi ciclisti di 12 anni Ragazze cicliste di 12 anni Bambini ciclisti di 7 anni

600

Potenza (W)

500 400 300 200 100 0 0,5 1

2 3 4 Durata (minuti)

5

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Figura 9.1 Relazione potenza-durata per gli adulti (76) e i bambini (66), stilata da Van Praagh (66).

miosina) e la fonte energetica necessaria per compierlo (ATP) sono gli stessi. Le differenze relative all’intensità e alla durata del lavoro sono basate sui processi metabolici – e i prodotti da essi risultanti – mediante i quali viene soddisfatta la richiesta di energia. In questo capitolo vengono prese in esame le attività che coinvolgono la porzione più ripida della relazione potenza-durata, quelle che avvengono nei primi uno o due minuti dell’esercizio, quando a piccole variazioni nello sviluppo esterno di potenza corrispondono cambiamenti molto più marcati nella capacità di mantenere l’esercizio. Questa porzione della curva viene associata di solito ai contributi energetici della glicolisi anaerobica, e si è pensato di conseguenza che la capacità di compiere brevi attività intense riflettesse il “fitness anaerobico”, o i limiti della capacità metabolica anaerobica. Nel passato, si pensava che le attività intense di breve durata fossero sostenute unicamente dal metabolismo anaerobico. Oggi invece si sa che, anche se questa ipotesi tendenzialmente è valida, c’è un considerevole sovrapporsi tra i contributi aerobici e anaerobici nella relazione potenza-durata. Infatti, entrambe le forme del metabolismo contribuiscono all’esercizio, a quasi tutte le intensità e per durate diverse. Il metabolismo anaerobico risponde rapidamente alle richieste di energia dell’esercizio, ed è capace di sostenere il fabbisogno energetico di un lavoro ad altissima intensità. Gastin ha dimostrato che durante un breve esercizio al massimo della capacità, della durata di 15 s, negli adulti l’88% del contributo energetico è anaerobico, e il 12% è aerobico (32). In un test massimale che duri dai 60 ai 75 s, l’apporto energetico aerobico e quello anaerobico sono circa uguali. A 4 minuti, l’80% delle necessità energetiche per un esercizio massimale, vengono soddisfatte dal metabolismo aerobico. Per quanto riguarda i bambini, su questo argomento sono disponibili pochi dati. Chia et al. hanno affermato che, a seconda dell’efficienza meccanica del bambino, dal 19% al 44% dell’energia utilizzata per un test Wingate deriva da fonti


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FISIOLOGIA DELL’ESERCIZIO FISICO IN ETà GIOVANILE

In questo capitolo esamineremo • Lo sviluppo della forza muscolare nel corso dell'infanzia; • i fattori qualitativi e quantitativi responsabili dell’aumento della forza nel corso dello sviluppo; • gli eventuali danni muscolari indotti dall'attività fisica nei giovani.

L’idoneità fisica (o fitness) nei bambini è stata presa in considerazione finora nei termini descritti dalla curva potenza-durata: maggiore è la forza impiegata, minore è la durata dell’attività sostenibile prima dell’insorgere della fatica. Il meccanismo di base della contrazione muscolare è identico in ogni punto della curva, ma i fattori che limitano il processo di contrazione dipendono dalla durata dell’attività fisica (ovvero, dalla forza sviluppata). Il rendimento nel corso di un esercizio costante a bassa intensità (fitness aerobico), a un estremo della curva, viene determinato dall’energia che deriva dai processi metabolici ossidativi e dalla disponibilità dei substrati energetici, mentre le attività intense, all’estremo opposto della curva, sono limitate da fattori quali l’energia che deriva dalla glicolisi anaerobica, la forza muscolare, lo sviluppo neuromuscolare e le caratteristiche antropometriche. Le modalità dello sviluppo dell’efficienza aerobica e anaerobica nel corso della maturazione biologica sono influenzate pertanto da vari fattori. Questo capitolo verte soprattutto sulla parte iniziale della curva potenza-durata, ovvero sulla massima forza che può venire generata in una singola contrazione, in altre parole la potenza muscolare. Quando la contrazione avviene contro una resistenza fissa, questa non comporta un accorciamento del muscolo (forza statica o isometrica); se avviene contro una resistenza mobile, l’andamento della contrazione è descritto da un tracciato ad arco (forza isocinetica).

Nelle pagine successive verranno presi in esame i fattori responsabili degli aumenti della forza muscolare nel corso dello sviluppo del bambino, e che distinguono la massima produzione di forza da altre forme di idoneità fisica nell’arco della curva potenza-durata. Il fattore principale nel determinare la forza è la dimensione muscolare, e non stupisce constatare come le misure assolute di forza muscolare crescano nel corso dello sviluppo. Risulta meno chiaro invece se esistano differenze tra la forza sviluppata da soggetti in età prepuberale, rispetto a quella sviluppata dagli adulti, quando la forza viene espressa in relazione all’unità di massa muscolare. Si tratta di un altro modo di chiedersi se l’aumento della massa muscolare possa dar conto in modo completo degli aumenti della forza nel corso dello sviluppo. Non è stata trovata, in effetti, una prova sicura di come fattori indipendenti dalla dimensione corporea, al di là della dimensione muscolare, contribuiscano allo sviluppo della forza nel bambino. A sostegno di questa ipotesi si porta l’osservazione secondo cui i bambini possono manifestare aumenti significativi della forza, in seguito ad un allenamento specifico, senza che si verifichi un contemporaneo aumento della massa muscolare. I cambiamenti della struttura muscolare, dell’innervazione e delle proprietà contrattili dei muscoli sono i fattori principali per dare una spiegazione a questo fenomeno, ma fino ad ora non vi sono prove sufficienti per attribuire un’importanza determinante ad un particolare fattore. In questo capitolo verranno presi in esame dati che indicano come altri fattori, oltre alla dimensione dei muscoli, siano coinvolti nello sviluppo della forza. In seguito, si passeranno in rassegna i dati relativi ai possibili fattori determinanti. Infine si affronteranno e analizzeranno le possibili differenze dovute alla maturazione che riguardano gli eventuali danni muscolari che possono verificarsi nel corso dell’attività fisica. Si rimanda al prossimo capitolo la discussione sulle risposte dei muscoli all’allenamento della resistenza che si osservano nei bambini.


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FISIOLOGIA DELL’ESERCIZIO FISICO IN ETà GIOVANILE

In questo capitolo esamineremo • Le risposte morfologiche e qualitative all’allenamento della forza nei bambini; • le ridotte risposte all’allenamento aerobico nei giovani; • la possibilità di allenare i bambini in attività brevi e intense.

Negli individui sani, i sistemi biologici rispondono allo stress ripetuto con un innalzamento della capacità funzionale. Questa è l’essenza della sindrome da adattamento generale proposta da Hans Selye, che descrive le alterazioni neurologiche e ormonali in risposta allo stress che, entro certi limiti, producono modificazioni vantaggiose che migliorano la performance (113). Al giorno d’oggi, questi adattamenti vengono presi in considerazione in relazione al rendimento nello sport, alla riabilitazione fisica e alla medicina preventiva, ma essi risalgono ad un passato molto lontano. Per i nostri progenitori della preistoria, l’efficienza fisica aveva un valore evolutivo, dal momento che permetteva di sfuggire ai predatori e di ottenere una maggiore mobilità per procurarsi del cibo e per fuggire da condizioni climatiche avverse, una vera e propria selezione naturale in termini darwiniani. Malina, tuttavia, osserva acutamente come l’efficienza fisica e il fitness genetico o darwiniano non siano propriamente la stessa cosa (70). Da un certo punto di vista, questi fattori possono risultare addirittura in conflitto. Il fitness darwiniano si riferisce, infatti, all’efficienza riproduttiva, ossia alla fertilità. L’efficienza fisica potrebbe concorrere al raggiungimento dell’obiettivo costituito dalla facoltà di procreare, perché conferisce al soggetto maggiori possibilità di sopravvivere alla fame e ai nemici; tuttavia, uno stato particolarmente elevato di fitness è caratterizzato, perlomeno nelle femmine, da un calo della capacità riproduttiva. Come abbiamo visto nel capitolo 3, un alto livello di allenamento fi-

sico è associato ad una disfunzione del ciclo mestruale, spesso con amenorrea e infertilità. Nell’ambito della curva potenza-durata, il meccanismo della contrazione muscolare è lo stesso, sia quando si sviluppi una contrazione massimale della durata di 0,5 s, o una serie di contrazioni ripetute, con sviluppo di una tensione inferiore, che portano all’affaticamento nel giro di un’ora. È stato tuttavia osservato come l’innervazione, i tipi di fibre muscolari in gioco, e il supporto metabolico alla contrazione muscolare, dipendano altamente dall’intensità e dalla durata dell’esercizio. Questo appare evidente nel miglioramento funzionale che avviene in risposta all’allenamento, nel corso del quale il tipo di stimolazione determina risultati altamente specifici. Per ottenere un aumento della potenza muscolare, un soggetto si deve impegnare in un allenamento ad alta intensità sotto sforzo, mentre contrazioni muscolari lente e ripetute sono necessarie per migliorare la resistenza fisica. Questa specificità nella relazione tra stimolo e risultato è a volte sorprendente, dal momento che anche piccole variazioni nella velocità di contrazione, nell’angolo di contrazione o nell’uso dei gruppi muscolari nel corso dell’allenamento, possono far diminuire i miglioramenti funzionali. Rispetto agli adulti, nei bambini non vi sono ragioni particolari per prevedere a priori una risposta diversa all’allenamento, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Tuttavia, l’idea che nei bambini la capacità di rispondere all’allenamento sia in qualche modo inferiore rispetto agli adulti è stata una costante nella storia della scienza dell’attività fisica. In almeno un caso, questo è vero. Quando i bambini sono inseriti in un programma di allenamento della resistenza, i miglioramenti del VO2max sono inferiori rispetto a quelli attesi negli adulti. Resta da definire se questo si possa tradurre in una risposta inferiore del rendimento all’allenamento della resistenza (ad esempio, nella corsa su lunghe distanze o nei tempi ottenuti nel nuoto). In altri casi, come nell’allenamento della forza, le idee preconcette riguardanti la


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FISIOLOGIA DELL’ESERCIZIO FISICO IN ETà GIOVANILE

In questo capitolo esamineremo • modalità con cui i bambini, in un ambiente caldo, sviluppano risposte termoregolatrici all’esercizio fisico diverse rispetto agli adulti; • fattori responsabili dell’intolleranza all’esercizio fisico in condizioni climatiche di caldo elevato; • variazioni del bilancio idrico nei giovani durante l’esercizio fisico a temperature elevate.

Il “motore” dei muscoli scheletrici dei bambini e degli adulti lavora in modo simile, con un rendimento del 20%. Ciò significa che, durante l’esercizio fisico, l’energia utilizzata produce una certa quantità di movimento, ma genera una quantità di calore quattro volte maggiore. Il calore prodotto deve essere dissipato perché, se ciò non accadesse, si avrebbe un aumento della temperatura interna e l’inibizione dei processi enzimatici cellulari sensibili alla temperatura. Ciò potrebbe dare, come risultato finale, non solo una diminuzione della performance fisica, ma anche il rischio di un collasso cardiovascolare. Il corpo dissipa calore tramite (a) l’incremento del flusso cutaneo di sangue, in modo da ottenere perdita di calore in maniera convettiva, e (b) l’incremento della sudorazione, per produrre raffreddamento tramite evaporazione. Sebbene questi metodi entrino in azione in modo sinergico per provvedere al raffreddamento corporeo, essi lo fanno seguendo modalità differenti. La produzione di sudore è una risposta diretta all’incremento del calore corporeo. Il tasso di evaporazione del sudore – e di conseguenza la sua efficacia nel dare raffreddamento – dipende dal gradiente di pressione dell’acqua tra la pelle e l’ambiente esterno. Di conseguenza, l’efficienza della sudorazione come meccanismo di raffreddamento è ridotta quando il clima è umido. Quindi, la perdita di calore tramite la sudorazione è determinata sia dalla pro-

duzione di sudore (effetto della temperatura corporea), che dal tasso di evaporazione (risposta controllata dall’umidità dell’ambiente esterno). D’altro canto, il raffreddamento tramite convezione, diventa progressivamente meno efficace con l’incremento della temperatura dell’ambiente esterno, poiché la perdita di calore tramite questo meccanismo dipende dal gradiente tra la temperatura della pelle e quella dell’ambiente. Come ha concluso Nadel: “Quando la temperatura ambientale è superiore a 36°C, tutto il calore metabolico dovuto all’esercizio fisico deve essere dissipato dal corpo tramite l’evaporazione del sudore, poiché non si possono verificare perdite tramite radiazione e convezione se la temperatura dell’ambiente è simile o maggiore della temperatura media della pelle” (34, p. 134). La perdita di calore tramite convezione dipende anche da un adeguato flusso cutaneo di sangue, che può essere compromesso se la disidratazione causa una riduzione del volume del plasma. La temperatura interna durante l’esercizio fisico è correlata al tasso metabolico: più è alta la spesa energetica, più sale la temperatura. Alcuni fattori sono responsabili di un’accelerazione nell’incremento della temperatura interna in condizio-


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FISIOLOGIA DELL’ESERCIZIO FISICO IN ETà GIOVANILE

In questo capitolo esamineremo • Ruolo del sistema nervoso centrale come possibile limitatore della performance, • differenze legate alla maturazione nella percezione dello stress da esercizio, • influenze del sistema nervoso autonomo sulla fisiologia dell’esercizio; • ruolo del sistema nervoso centrale nella regolazione del livello abituale di attività fisica.

C’è un vecchio indovinello che dice: “Che cosa disse George Washington ai suoi soldati prima di attraversare il fiume Delaware?” La risposta è: “Salite sulle navi, ragazzi!” Noi ridiamo per questa battuta poiché si prende gioco della nostra incapacità di cogliere le cose più ovvie. Nel campo della fisiologia dell’esercizio, si può dire che l’ovvio sia l’influenza esercitata dal sistema nervoso centrale (CNS), che sovente non viene presa in considerazione. Se da un lato si riconosce spesso l’esistenza di possibili influenze di origine nervosa, d’altro canto il loro ruolo come fattori determinanti critici delle risposte fisiologiche all’esercizio e ai livelli del fitness fisico viene di solito dimenticato. Ad ogni modo, i segnali di tipo volontario, autonomico o riflesso provenienti dal cervello hanno un’importanza considerevole sulla performance nel corso dell’esercizio. Infatti, è il sistema nervoso centrale a determinare quali muscoli debbano contribuire all’esecuzione di un esercizio, e quanta forza essi debbano sviluppare. I segnali che partono dal cervello determinano la forza di contrazione della pompa muscolare scheletrica. Se vogliamo aumentare la velocità nel secondo miglio di una corsa campestre, è il nostro cervello a determinare le variazioni della lunghezza e della frequenza del passo, responsabili dell’incremento della velocità. L’affaticamento, qualunque ne sia l’origine, costituisce un insieme di sensazioni negative percepite dal cervello che determinano i limiti dell’attività fisica. La motivazione a com-

piere uno sforzo molto grande nel corso dell’esercizio, oppure la capacità di sopportare un’attività sostenuta, viene determinata da fattori centrali che comprendono non solo l’integrazione dei segnali che giungono dai polmoni e dai muscoli, ma anche di tratti psicologici quali la percezione e la sicurezza di sé. Il sistema nervoso centrale gioca un ruolo integrato nelle risposte fisiologiche involontarie all’esercizio fisico. La funzione del sistema nervoso autonomo nella risposta al lavoro muscolare è molteplice, e comprende: variazioni del flusso cutaneo di sangue e del tasso di sudorazione, controllo della circolazione locale del sangue, stimolazione del metabolismo glicolitico, broncodilatazione, contrattilità miocardica, e così via. L’economia della corsa in condizioni submassimali viene influenzata dalle sue modalità, sotto il controllo dei fattori neuromuscolari che determinano l’andatura. Questi fattori determinanti, relativamente scontati, vengono spesso ignorati a causa della notevole difficoltà della loro misurazione. È di gran lunga più semplice determinare in maniera accurata il VO2max di un soggetto, la risposta all’esercizio in termini di produzione di lattato, o la forza muscolare, piuttosto che i fattori centrali soggettivi che contribuiscono al senso di fatica, e che impediscono ad una persona di proseguire l’esercizio in corso. Esistono tecniche recenti, quali la tomografia a emissione di positroni (PET) e l’induzione magnetica, che ci fanno sperare che nel futuro questi processi possano essere determinati in maniera più semplice. Le tecniche non invasive sono le più adatte per lo studio di soggetti in età pediatrica, nei quali l’uso di traccianti radioattivi o di tecniche che richiedono punture con aghi sono eticamente inaccettabili. Dal punto di vista di un fisiologo dell’esercizio in età pediatrica, il problema che si pone è il seguente: le variazioni dei fattori nervosi centrali possono essere responsabili dell’evoluzione delle risposte fisiologiche all’esercizio fisico nei bambini in fase di accrescimento? È chiaro che la maturazione del sistema nervoso è un fattore critico nello sviluppo delle abilità


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