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Adattamento di Nina Badile dall’originale di Andrea di Furia Disegni del piccolo Luca Tagliavini
CambiaMenti
Prologo
C’
era una volta, tanto tempo fa, quasi appoggiato su una verde vallata, un villaggio che ora non esiste più (ma forse sarebbe meglio dire che non si sa più dove sia, perché su di esso si raccontano ormai solo leggende). Si dice che custodisse un tempio, abitato da uomini saggi, molto vecchi, capaci di leggere il futuro del mondo. E nel momento in cui questi saggi videro che stava per arrivare un’enorme frana, così terribile da seppellire l’intero villaggio con i suoi abitanti, fecero rifugiare tutti in gran fretta sulla cima di un’altissima nuvola. Da allora essi vivono tra quelle altezze, in mezzo alle nuvole. I pochi che riescono ad arrivare fin lassù, se sono capaci di aprire il loro cuore, possono sentire storie meravigliose sulla Terra e sugli uomini… Ma quando tra i fortunati viandanti si trova anche un bambino, allora il Grande Sacerdote chiama tutti intorno a sé per raccontare la storia di una delle ultime abitanti di quel villaggio felice e fortunato: la storia di Smeraldina.
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Una bambina molto speciale
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meraldina era una bambina generosa, bella e buona, che viveva con la mamma in una casa del villaggio. Il padre era un nobile cavaliere, famoso per coraggio e bontà, che spesso doveva partire a combattere per il suo Re in terre lontane. Quando questa bimba nacque, la gioia nella casa fu grandissima; spesso i genitori si avvicinavano alla sua culla mentre dormiva, per ammirare quel visetto delicato e gentile. Ma un giorno, trovarono ai piedi della piccola due doni misteriosi: una focaccia dolce e fragrante, appena sfornata, e una piccola scatola con dentro i sette colori dell’arcobaleno. Non seppero mai chi avesse portato questi doni, e li accettarono con gratitudine: la focaccia era così buona, che la mamma di Smeraldina provò tante volte a rifarla; quando finalmente ci fu riuscita, la chiamò “il pane degli Angeli”; ogni tanto la preparava alla bambina, per ricordarle ciò che era successo alla sua nascita. I colori, invece, vennero conservati fino a quando Smeraldina non fu abbastanza grande da poterli usare: scoprì allora che, strofinandoli sulla punta delle dita, si poteva dipingere dappertutto. Erano splendenti, luminosi, e… non si consumavano mai! Smeraldina, crescendo, prese l’abitudine di portarli sempre con sé: era così piacevole disegnare quando se ne aveva voglia!
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Ogni tanto il padre tornava e raccontava alla bimba qualcuna delle sue avventure: per lei era una festa ascoltare questi meravigliosi racconti in cui si potevano vivere coraggio e paura, speranza e desolazione, ma anche immaginare luoghi mai visti, paesaggi e popoli così tanto diversi dal suo, da sembrare quasi incredibili…. Racconti così, la portavano spesso a vivere lunghi sogni pieni di colori; e qualche volta capitava pure che nel sogno vedesse il Mondo degli Angeli. Allora raccontava quello che le era capitato, e il padre raccomandava sempre di tenerlo per sé, come un segreto: ormai nel villaggio sempre più persone sapevano credere solo a ciò che si può vedere con gli occhi e toccare con le mani. Quindi sarebbe stato difficile che qualcuno capisse davvero ciò che le succedeva nel sonno. «Smeraldina – le diceva il padre – purtroppo quasi nessuno si è accorto che due diavoletti piccoli, ma molto malvagi, ci stanno rubando la fantasia. Essa è un grande dono, ma se vogliamo conservarla dentro di noi dobbiamo essere ben attenti: la sua luce va protetta e curata come quella di una candelina accesa. In questo modo, quando sulla terra sarà buio proprio a causa del diavoletto del Fuoco e di quello del Ghiaccio, solo chi avrà ancora accesa la sua candelina della fantasia potrà vedere l’arrivo del Grande Re venuto a riportare la luce». E Smeraldina sognava, sognava… . Quei sogni erano così vivi, così pieni di meravigliose immagini, da restare impressi a lungo nella sua memoria: e poi, c’era ancora qualcuno a cui raccontarli!
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Un pomeriggio nel bosco
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uando il padre era in viaggio, Smeraldina andava spesso a trovare la nonna: le piaceva molto passare i pomeriggi con lei. La sera, poi, preparavano insieme il pane, cuocendolo in un grande forno che stava in giardino. Ogni tanto passava per il bosco a raccogliere legna per il forno; questo era un grande piacere, dato che la bimba conosceva un posto magico: in una radura stavano sette piante di rosa, che ogni anno producevano fiori profumatissimi. E proprio accanto al roseto, si ergeva una vecchia, enorme quercia sotto la quale viveva il Piccolo Popolo delle Radici. Smeraldina era uno degli ultimi bambini rimasti a poter vedere questi piccoli esseri, a poter parlare con loro. E gli omini le permettevano volentieri di raccogliere i rami caduti a terra, perché lei in cambio raccontava loro le meravigliose storie dei viaggi di suo padre. In un pomeriggio caldo e assolato, Smeraldina passò appunto in questa radura e si sentì stanca del lungo cammino; si sedette ai piedi della quercia per riposare un po’, ma subito cadde in un sonno profondo. Forse perché faceva tanto caldo, o forse perché si trovava in un posto così particolare, la bimba dormì e sognò molto a lungo. Al suo risveglio, la luce del sole ormai quasi al tramonto colorava d’oro tutto il mondo verde in cui era immersa.
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Smeraldina non avrebbe saputo dire se era già sveglia del tutto, quando scoprì vicino a sé un Omino minuscolo, vestito di petali di rosa, con il cappello e gli stivali formati da rametti spinosi intrecciati fra loro. «E tu chi sei?» chiese la bambina. «Sono il Custode delle Rose:» fu la risposta. «Ti conosco già – proseguì l’Omino – perché i miei fiori ti vogliono molto bene: quando passi di qui, si rallegrano sentendo la tua bella voce e le tue risate di gioia; e se poi racconti al Popolo delle Radici quelle storie così avventurose, anche noi stiamo ad ascoltare con grande piacere! Dato che questa sera ti trovi qui, sei nostra ospite. E se non hai sonno, forse potrò essere io a raccontarti qualcosa…». Smeraldina si sistemò più comodamente: ora che lo stupore era un po’ passato, poteva ascoltare con la massima attenzione. «Devi sapere – riprese l’Omino – che conosco tante
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storie: storie vere, che parlano del nostro futuro e del destino della Terra. E, sai, ti confiderò una cosa: anche molti uomini potrebbero conoscerle. Lo so di sicuro, perché quando si fermano a riposare tra le mie rose, spesso sognano proprio il Mondo degli Angeli e ciò che succede nel cielo… Ma poi si svegliano e dimenticano tutto. I loro sogni restano qui; noi li raccogliamo, li teniamo fedelmente in custodia. Purtroppo, però, possiamo ormai raccontarli a pochissime persone… quasi nessuno ci può ascoltare». «Io però ti sento molto bene» replicò la bimba. «È perché la tua candelina della fantasia non si è spenta. Grazie alla sua luce, la tua strada non sarà mai oscura, anche se tanti saranno gli ostacoli da superare. E ora, se vuoi, ti racconterò qualcosa che riguarda molto da vicino ciò che hai appena sognato». «Ma io non me lo ricordo…». «Non preoccuparti, e ascolta».
Il principio del racconto
L’
Omino divenne serio; stette un po’ in silenzio, quasi per cercare le parole giuste. Poi iniziò. «In un tempo molto lontano, quando la nostra Terra era appena stata creata da Dio Padre, un Arcangelo la osservava dall’alto del cielo con grande preoccupazione. Infatti aveva visto che i colori smaglianti di questo bel mondo stavano già cominciando a impallidire, e sapeva per quale ragione: due grandi, potenti signori del male, per contrastare la magnifica creazione, avevano in progetto di far diventare la Terra un mondo grigio, dominato da un terribile Drago e dai suoi servitori. L’Arcangelo, che aveva il compito di proteggere il mondo dalle insidie del Drago, chiese al Re del Sole un aiuto per salvare la Terra e l’Umanità. Ed il Re, dall’alto del suo trono splendente di luce, rispose così:
«O mio messaggero, l’unico essere che potrà restituire alla Terra i suoi splendenti colori è proprio uno dei suoi abitanti: dovrai perciò andare laggiù e cercare, cercare fino a quando non avrai trovato un uomo profondamente buono, fortemente generoso e capace di affrontare grandi prove per amore della sua Patria. Solo uno potrà riuscire in questo compito; e solo quando questo sarà avvenuto, Io stesso discenderò sulla Terra a salvare tutta l’Umanità dalla disperazione a cui l’ha destinata il Drago». Udite queste parole, l’Arcangelo partì subito per la Sua missione; attraversò senza esitare il ponte che univa Cielo e Terra e, giunto nel mondo degli uomini, si trovò un posto adatto per poter osservare e aspettare.
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Il giovane Romolo
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on molto lontano da lì era vissuto qualche tempo prima un bambino. Si chiamava Romolo, e viveva tutto solo e triste: da quando i suoi genitori erano tornati in cielo, egli non era più riuscito a trovare un po’ di gioia nelle sue giornate: al mattino non si svegliava certo cantando, come faceva prima, e il suo bel viso non veniva mai rischiarato da un sorriso. Romolo infatti sentiva sempre una specie di soffio gelido che rendeva tutto – le persone, le cose, il mondo – freddo e grigio come la pietra. Gli abitanti del villaggio, che gli volevano un gran bene, avevano tentato di tutto per rasserenarlo, ma inutilmente. Se Romolo provava a spiegare i motivi della sua tristezza, doveva dire quello che vedeva: i colori intorno a lui impallidire, spegnersi ogni giorno di più. Ma allora nessuno riusciva a capirlo, anzi, molti pensavano addirittura che i suoi occhi non vedessero bene! Così, il ragazzo aveva deciso di andar via , visitare paesi strani e selvaggi, non fermarsi fino a quando non avesse scoperto il perché dei cambiamenti che vedeva nel mondo. Dopo molto tempo, Romolo tornò verso il suo villaggio seguendo il volo di sette colombe bianche.
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Era ormai diventato un giovane bello e forte, ricco di esperienze… ma soprattutto aveva trovato la risposta alla sua domanda: il motivo per cui il mondo stava cambiando non era fuori, ma dentro ogni uomo, anche dentro di lui. Era come un’aria fredda che in alcuni momenti nasceva dal cuore delle persone e si spandeva intorno a loro, senza che se ne accorgessero. Questo soffio, a volte, era così forte da far impallidire i colori di tutte le cose intorno. Ora però Romolo aveva un’altra grande domanda: come fare per porre rimedio a questa situazione?
Come aiutare la Terra e tutti gli uomini?