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Akio Fujita: lo chef della natura
AKIO FUJITA, EXECUTIVE CHEF DELL’ALPEN SUITE HOTEL E DEL RISTORANTE GOURMET “IL CONVIVIO”, RACCONTA LA RICERCA DELL’EQUILIBRIO PERFETTO TRA LA DELICATEZZA DELLA CUCINA GIAPPONESE, IL SAPORE DELLA GASTRONOMIA ITALIANA E LE NOTE INEDITE DEI PRODOTTI DELLA MONTAGNA. IL RISULTATO? GUSTI SORPRENDENTI CHE CONQUISTANO IL PALATO.
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Quando incontri la cucina di Akio Fujita, scopri che il sublime è una categoria in grado di descrivere anche la gastronomia. Basta assaggiare un suo piatto – riso, wasabi, mortandela e yuzu, ad esempio – per capire come il cibo possa trascendere i confini della provenienza e diventare, nelle sue mani, un’opera d’arte culinaria mai gustata prima. È sufficiente un sapore, appena accennato ma capace di sorprendere, per capire come un salume trentino e una piccante radice giapponese possano felicemente combinarsi in qualcosa di nuovo. Che l’equilibrio perfetto non sia conquistato una volta per sempre, ma sia sempre un traguardo da rinnovare, Akio Fujita te lo spiega con la sensibile e profonda delicatezza dei suoi modi giapponesi. La sua capacità di interpretare guarda lontano. La ricerca è costante e il piatto assoluto è sempre un passo avanti alla tecnica assimilata e alla saggezza conquistata. «C’è sempre qualcosa da imparare. Oggi sono tutto ciò che ho assorbito da quando ho iniziato a cucinare. Quello che voglio essere, come chef, si deve ancora realizzare, lo si potrà vedere tra qualche anno», afferma. Da Osaka, dove ha studiato, ai migliori ristoranti d’Italia, oggi è ai fornelli dell’Alpen Suite Hotel, cinque stelle di Madonna di Campiglio, e del suo ristorante interno, “Il Convivio”, magistralmente condotti dalla famiglia Masè - Cristina, Francesca e Mariella - che hanno aperto la prestigiosa struttura nel 2004. Fujita ha portato, in questa irrinunciabile méta gourmet all’ombra delle Dolomiti di Brenta, una fresca ventata di oriente capace di dialogare con i prodotti della terra di montagna: erbe selvatiche, funghi, pesci di fiume e dei laghetti alpini. Ama respirare l’aria pura dell’alta quota in lunghe passeggiate, dedicare tempo a pescare sulle rive dei torrenti e tradurre la sua conoscenza dei prodotti della natura, abbinata ad una straordinaria cultura della cucina, in piatti-ecosistema.
Quando ha scoperto l’amore per la cucina?
A sei anni aiutavo mia mamma a tagliare le verdure, a dodici distribuivo agli amici biscotti, bignè e caramelle e dopo scuola seguivo da solo un corso di pasticceria. Poi ho iniziato a studiare cucina in una famosa scuola di Osaka, una sorta di “Accademia Gualtiero Marchesi”, se vogliamo trovare una similitudine con un’analoga esperienza italiana. La scuola dava la possibilità di imparare tutte le cucine più importanti al mondo: la francese e la cinese, l’italiana e la giapponese e tutte le altre. A conclusione del primo anno, ho scelto quella che sarebbe stata la mia specializzazione: la cucina italiana, che desideravo apprendere più delle altre. Lavorare non mi stanca, il mio lavoro è il mio hobby: nel tempo libero cucino per i suoceri e gli amici.
Raggiungere una carriera prestigiosa è molto impegnativo, come sono stati i primi anni?
Sono rimasto ad Osaka fino a 25 anni, seguendo gli insegnamenti del mio maestro giapponese, un artista nella preparazione del pesce e nella sfilettatura dal quale ho imparato le basi della cucina italiana del sud. In quel periodo lavoravo dalle sette a mezzanotte e dormivo pochissimo, ma non m’importava, volevo imparare e desideravo superare il mio maestro. Sentivo, però, che per assimilare veramente i segreti della cucina italiana avrei dovuto raggiungere l’Italia. Così ho fatto.
Ci sono stati, nel suo percorso di conoscenza della cucina italiana, dei momenti particolari? Rivelatori?
Un giorno, seduto al tavolo del ristorante “Dolada”, 2 Stelle Michelin a Pieve d’Alpago (Belluno), assaggiando alcuni piatti, ho sentito qualcosa di caldo dentro, nell’anima. Mi sono fatto avanti e proposto. Sono rimasto lì per tre anni e mezzo. Facevamo tutto in casa: coltivavamo l’orto, raccoglievamo erbe, fiori e funghi, producevamo il formaggio e il miele, l’aceto balsamico, lo speck, i salumi, il lardo e il salame. Qui ho capito l’importanza delle materie prime e compreso le tecniche base della cucina, in particolare la preparazione della carne. Enzo De Prà (il fondatore del “Dolada”, ndr) faceva tutto a occhio, senza pesare alcun ingrediente, e non c’erano ricette. Ricordo questa esperienza come fosse ieri, è stata unica e irripetibile.
Il viaggio a nord è proseguito poi verso il Lago di Garda, preludio all’approdo in Trentino e dell’arrivo a Locanda Margon…
Dopo il “Dolada” e un breve periodo a Londra eccomi sul Lago di Garda, al Grand Hotel Fasano, 5 stelle lusso, nel ruolo di sous chef per due stagioni. È stata l’opportunità di fare mio ciò che mi mancava: la guida del ristorante all’interno di una struttura alberghiera e la gestione del personale. Quando, poi, ho incontrato Alfio Ghezzi (lo chef trentino originario di Breguzzo, 2 stelle Michelin con “Locanda Margon” a Ravina- Trento, ndr), ero già desideroso di fare un nuovo passo avanti. Mi ha aperto la mente su una cucina nuova, tradizionale e nello stesso tempo moderna, sulla capacità espressiva del contrasto tra gusto, sapore e consistenza. E se parliamo di cultura della cucina, mi ha trasmesso davvero molto. Con lui ho lavorato tantissimo, era come se fossi tornato agli anni del Giappone, ma ho costruito anche un bel rapporto, tanto che ci vediamo ancora oggi e ci confrontiamo spesso.
Di luogo in luogo, di cucina in cucina. Qual è stata l’ultima tappa prima di Campiglio?
C’è sempre qualcosa da imparare e ad un certo punto è arrivato il momento di lasciare anche Locanda Margon per apprendere qualcosa che ancora non mi apparteneva. Così è arrivata l’occasione presso l’Aman Canal Grande Venice, hotel sette stelle con il giardino più grande di Venezia e ristorante interno. Sono stato executive chef con il compito di gestire tutti gli aspetti della cucina e di sviluppare competenze gestionali e manageriali. Poi, anche Venezia è diventata “piccola”. Mi sentivo pronto per costruire un mio piccolo mondo.
Come è arrivato a Campiglio?
Semplicemente, un giorno, Alfio mi chiama e mi dice che a Madonna di Campiglio un ristorante importante sta cercando uno chef. E così è iniziato il periodo della montagna. Ho completato il secondo inverno, la seconda estate è in corso.
A che punto della sua carriera sente di essere arrivato?
Ho iniziato a diciannove anni, oggi ne sono passati quasi venti e mi sento abbastanza pronto. Dopo tutto ciò che ho visto e messo via, sto cercando di fare la mia cucina: tecnica giapponese, cucina italiana vista e imparata, materie prime del posto. Ho imparato a riconoscere le erbe spontanee e commestibili di montagna da Ferruccio “Fèro” Valentini (il guru del foraging in Trentino, ispiratore di vari chef, mentore di altri raccoglitori d’erbe, ndr). Il suo sapere è molto vasto, conosce tutto di ogni pianta e ho un grande rispetto per lui. Con un tubero raccolto insieme, foglie di imperatoria e una radice giapponese ho realizzato un brodo vegetale per i cappelletti. Per creare, la ricerca è fondamentale. Cerco l’equilibrio del Giappone e il gusto dell’Italia, la delicatezza della cucina giapponese, con pochi grassi, e la forza della cucina italiana, saporita. Il piatto deve essere gustoso, buono da mangiare e bello da vedere, altrimenti non ha senso fare cucina.
Come avviene la scelta dei prodotti?
I prodotti che utilizziamo sono sempre freschi e scelti con grande attenzione. Il mercato di Verona esercita un grande fascino su di me e ad inizio stagione lo visito insieme al nostro fornitore. Ci arriviamo alle 4.30 del mattino per vedere il pesce e le verdure di persona. Ho anche un piccolo orto in casa dove faccio germogliare i legumi mentre alla signora Mariella Masè ho affidato dei semi giapponesi da far crescere nel suo orto.
Qualche nuova creazione in vista?
Nella pausa tra una stagione e l’altra si continua a studiare e sperimentare facendo le prove per creare qualcosa di speciale. E poi sì, sto studiando un nuovo piatto, ispirato al vivere in mezzo alla natura. Lo definisco “piatto ecosistema” dove ci saranno i prodotti dell'ambiente come i funghi, il crescione e la trota. Il fiume mi attira molto con la sua straordinaria ricchezza di vita: trote e altri pesci, ciascuno con le proprie inconfondibili peculiarità.
Può descrivere, in sintesi, la sua cucina?
La mia filosofia si esprime in semplicità, cortesia, gusto e interpretazione. Semplicità è ricerca dell’anima, cortesia è avere un approccio senza pregiudizi, gusto è valorizzare le materie prime, interpretazione è dedicarsi alla cucina italiana con una visione giapponese.