Scansione in blu
Per stampare o pubblicare qualità in piccolo e medio formato Massimo Cremagnani
L’interfaccia di scansione presenta diverse finestre per ogni tipo di intervento qualitativo o cromatico. Non tutte le funzioni risultano però di accesso immediato
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LaCie, azienda francese già nota per monitor e sistemi di storage professionali, lancia sul mercato uno scanner piano A4 con cassetto per trasparenti dall’interessante rapporto qualità-prezzo. Le caratteristiche produttive di BlueScan48 lo indirizzano verso studi grafici, fotografici e piccole tipografie. Grazie al potente driver SilverFast AI, giunto alla sesta release arricchito da un pratico Job Manager, presenta diversi livelli di utilizzo, accontentando sia i neofiti e i pigri sia i perfezionisti e i professionisti del color management.
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na buona qualità delle immagini e un prezzo contenuto. Ecco riassunti in breve i pregi del BlueScan48, nuovo parto di LaCie dedicato a studi grafici, fotografi e piccole tipografie, ovvero a coloro che scannerizzano abbastanza frequentemente per stampare o pubblicare in piccolo e medio formato. Per evitare di perdere troppo tempo a sistemare le immagini, entrano in gioco le funzioni batch del software Silverfast AI di LaserSoft, fondamentali per l’ottimizzazione delle acquisizioni in serie, anche di quelle già realizzate.
Dati oggettivi
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Massiccio, nel classico blu profondo di LaCie, Bluescan48 offre un piano di scansione di 21,6 per 35,6 centimetri, e un cassetto per trasparenti corredato da telai per i più diffusi formati di
pellicola. Il vassoio viene inserito tramite il vano frontale, al di sotto del sensore che ruota (molto rumorosamente, la prima volta dà un po’ di preoccupazione) insieme alla lampada, a seconda del tipo di originale. Lo spazio necessario all’operazione di caricamento, circa quaranta centimetri, è da tenere in seria considerazione nel posizionamento dello scanner; un neo che si sopporta più facilmente pensando alla mancanza del piano di cristallo tra gli originali e il sensore, soluzione che evita interferenze come gli anelli di Newton. La risoluzione ottica è di 2.400 per 1.200 dpi, con una profondità di colore fino a 48 bit; interpolando, si arriva a 9.600 per 9.600 dpi. È supportato sia da Mac, sia da Pc attraverso collegamenti Usb o Firewire.
Il Jpb Pilot presenta la sequenza cronologica delle impostazioni di scansione da effettuare. Le singole fasi possono essere aggiunte o eliminate dalla barra, a seconda delle esigenze
La deretinatura viene impostata sulla base del reticolo di stampa
Tanto software Il Bluescan è gestito tramite il software SilverFast AI 6 di Lasersoft, un’interfaccia completa dei più sottili accorgimenti di regolazione, forse anche troppi per uno scanner di questa fascia. Dimenticando la scarna manualistica cartacea e il suo corrispettivo digitale, assolutamente superficiali, è opportuno appoggiarsi sin dal primo momento ai file Pdf contenuti nel cd di installazione, nascosti sotto la voce Italiano/ Documentation. Organizzati per argomento, i manuali specifici analizzano dettagliatamente le funzioni più avanzate del programma, come le diverse possibilità di regolazione cromatica, l’ottimizzazione qualitativa dell’immagine sorgente e tutti i sistemi professionali di color management. Il software provvede in ogni caso
ad agevolare il lavoro agli utenti meno esperti. All’apertura compare un’insolita barra wizard denominata ScanPilot. Un aeroplanino indica la giusta sequenza nelle fasi preparatorie alla scansione, dall’anteprima all’acquisizione finale, passando per diverse opzioni di correzione cromatica o qualitativa. I singoli passaggi possono essere inclusi o esclusi dalla tavolozza in base alle diverse necessità. Il Job Pilot può comunque essere tranquillamente ignorato, intervenendo solamente sui punti essenziali per la scansione dal menù principale. Nel caso le procedure guidate non portino ai risultati voluti, si può invece passare al Dialogo Esperti, che consente una gestione manuale e millimetrica del colore. Un discorso a parte va dedicato al Job Manager, introdotto in quest’ultima edizione del software. Si
La calibrazione con i modelli IT8 ha dato risultati differenti a seconda del tipo di originale. Con il riflessivo (foto 7) è stata riscontrata una leggera saturazione dei toni rossi, al contrario della pellicola (foto 8), che inoltre rimaneva un po’ scura sui toni leggeri
tratta di un sistema di ottimizzazione del flusso di lavoro in grado di gestire interi blocchi di scansione, memorizzando le impostazioni per ogni singolo riquadro di acquisizione. Una volta identificati i parametri di acquisizione, è possibile applicare le correzioni non solo alle immagini in fase di acquisizione, ma anche a file già scannerizzati e presenti su disco fisso o in rete. Comodo per lavori ripetitivi, ma anche per impostare serie di finestre (i modelli dei telai per trasparenti non sono inclusi), rimane ancora un po’ spartano nell’interfaccia utente, in cui molte funzioni non risultano immediate.
Prova su strada Disimballato, sistemato e collegato lo scanner, abbiamo proceduto all’installazione del software (standalone o plug-in per Photoshop) che, a parte qualche interferenza in lingua germanica e un paio di sviste, è in italiano. Le calibrazioni, una per i lucidi e una per gli opachi, si effettuano tramite i campioni IT8 forniti nella confezione. Quella per supporti opachi ha dato subito una buona corrispondenza, mentre i trasparenti presentavano un abbassamento dei toni chiari, che abbiamo dovuto correggere manualmente. La scansione di una pagina stampata mostrava subito un’ottima definizione. Il sistema di deretinatura è regolabile in base al (presupposto) numero di linee utilizzate per l’originale; dopo qualche prova, gratificata da una lenta ma funzionale preview, la scelta del parametro più adatto diventa intuitiva. Anche per le fotografie, stampate sia su carta lucida sia opaca, è apparsa una buona qualità nei dettagli e nella corrispondenza cromatica. Ovviamente parliamo di risoluzione ottica; interpolando leggermente si ottiene una tenue sgranatura, mentre esagerando con il ricampionamento l’immagine diviene sfocata. Agendo su originali trasparenti, l’allineamento dei negativi nel telaio ha dato qualche problema, a causa del
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La scansione di immagini buie ad alto contrasto tende a scurire le ombre. Un ritocco eccessivo dei valori di luminosità può mettere in risalto la grana della pellicola
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Un uso corretto del contrasto in fase di acquisizione aiuta a mettere in risalto piccoli dettagli come la trama della stoffa o le venature del legno
meccanismo di chiusura, che sposta la pellicola di qualche millimetro; anche qui, serve un po’ di pratica. Per i negativi, la cui ottimizzazione è ben illustrata in uno dei manuali “seri”, abbiamo riscontrato una buona acquisizione delle luci e dei toni alti in generale, mentre c’è una leggera perdita di informazioni sui toni più scuri, soprattutto con pellicole a grana pesante, che crea un po’ di interferenza. Simili i risultati ottenuti con le diapositive, per le quali abbiamo sperimentato il Job Manager. Una volta impostata la griglia, la scansione in serie di dodici dia in 35 millimetri ha impiegato circa 7 minuti, con la risoluzione a 1200 dpi e nessuna correzione in fase di acquisizione. Ulteriori accorgimenti (correzione cromatica aggiuntiva, parametri di nitidezza) provocano ovviamente un leggero aumento dei tempi, anche in relazione alla potenza del computer utilizzato.
Conclusioni
Nonostante il prezzo relativamente contenuto − 862 Euro più Iva − BlueScan48 non è certo un giocattolo. Il sensore e la meccanica di qualità regalano immagini nitide e colori fedeli, con una certa predisposizione per gli originali opachi. Trattandosi di un “due in uno”, la resa sui trasparenti è limitata rispetto ai risultati ottenibili con scanner appositamente dedicati a questo genere di supporti, ma comunque più che adatta agli usi più comuni nel campo dell’editoria, della stampa su piccolo e medio formato e, ovviamente, del Web design. Alle alte risoluzioni, una scansione al limite dei valori ottici permette — con una buona stampante — di stirare un 35 millimetri quasi alle dimensioni di un A4 senza perdita sensibile di dettaglio. In caso di uscita in offset, in cui la retinatura influisce leggermente sull’immagine, questo limite può essere tranquillamente eluso.
Il complesso software SilverFast AI si è rivelato all’altezza della situazione, anche se con qualche difetto di traduzione e un’interfaccia migliorabile. Adatto anche a utenti inesperti, permette una personalizzazione avanzata della conversione colorimetrica e di numerose altre funzioni, anche se per averne ragione servono discreti sforzi e una buona cultura della materia.
LaCie Bluescan48
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Scanner piano per originali opachi e pellicole trasparenti Risoluzione ottica/interpolata: 2400x1200/9600x9600 dpi Compatibilità: Mac OS 9 e X; Windows 98 e successivi Connessione: Usb e Firewire Software di scansione: LaserSoft SilverFast AI 6 Metodi di output: Rgb, Cmyk, scala di grigio, lineart, Cie-Lab Prezzo: Euro 862,00 Iva esclusa
Garanzia: tre anni on site Informazioni: www.lacie.it - Numero Verde: 800.70.10.40 Informazioni sul software: www.silverfast.com
Il Dialogo Esperti per la correzione selettiva del colore permette regolazioni precise, a patto di avere già conoscenza della materia
Un Paint Shop quasi Pro
Un applicativo di fotoritocco tra il semiprofessionale e il professionale per Web design e fotografia Massimo Cremagnani
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Grazie a una nuova interfaccia, alla riorganizzazione di alcuni comandi e alla gestione in script di operazioni batch, Jasc Paint Shop Pro guadagna in ergonomia e funzionalità. Il sempre più ricco numero di funzioni e il prezzo decisamente contenuto lasciano presupporre una riconquista del mercato semiprofessionale, più alcune nicchie di quello professionale. Unici limiti del programma, il motore un po’ lento e la particolare impostazione di comandi e scorciatoie, dettagli che suggeriscono un utilizzo prevalentemente ripetitivo e per immagini di dimensioni contenute; in altre parole dedicato al Web design e alla fotografia di piccolo formato.
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L’interfaccia è stata ristrutturata, favorendo sia la raggiungibilità di molti comandi, sia la gestione delle palette. La barra contestuale, sul lato superiore, specifica le possibilità dei diversi strumenti
La palette Materials (2a) incorpora la gestione di colore (2b), sfumatura (2c) e trama (2d), ma le opzioni avanzate aprono una finestra indipendente
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al nome potrebbe anche non sembrare, ma Paint Shop Pro è un programma di fotoritocco. La denominazione è giustificata dal carattere ibrido, diviso tra fotografia e pittura digitale, tipico dei software di elaborazione raster dei primi anni novanta, di cui PSP è uno dei pochi (e meritevoli) sopravvissuti. Nella lunga strada percorsa, le release si succedevano appoggiando a volte l’una, a volte l’altra materia, accumulando funzioni su funzioni con un risultato spesso più confuso che risolutivo. Ma la moda dell’ergonomia ha colpito anche casa Jasc stimolandola, con questa ottava versione, a fare un po’ di ordine sulla scrivania. Si trova quindi un ambiente più pratico, dominato da menù a scomparsa e barre contestuali. La struttura del programma, ancora un po’ caotica nelle funzioni avanzate, viene rivestita di modernità ispirata alla concorrenza, lasciando comunque al software una personalità leggermente fuori dagli standard. Nel corso della recensione ci riferiamo ai comandi in lingua inglese, poiché la versione testata è quella originale americana. Attualmente è già disponibile, per la prima volta nella
storia di PSP, la versione in lingua italiana, manualistica compresa.
Ordine... Aprendo il programma, troviamo le palette ben ordinate sul lato destro, come in uno scaffale; possiamo comunque estrarle, per sistemarle in ogni parte dello schermo. Al di là del posizionamento, la struttura gerarchica di palette e menù in genere è stata pesantemente rivista, favorendo così la raggiungibilità di numerose funzioni. L’innovazione più evidente riguarda con tutta probabilità la palette Colour, ora rinominata Materials in quanto gestisce, oltre ai colori solidi, alle sfumature e ai pattern, anche texture di carattere grafico o naturalistico. Il controllo sui materiali è più flessibile, con possibilità di ruotare le sfumature e ruotare e scalare le texture; queste ultime possono anche essere caricate da ogni formato di file compatibile, o altrimenti salvate per un uso futuro. A ogni materiale corrisponde comunque una finestra indipendente che si apre al centro dello schermo, vanificando in parte lo sforzo organizzativo. Nella palette Layer (livelli), più intuitiva delle versioni precedenti, sono stati aggiunti
Un solo click per ripristinare problemi di esposizione e di equilibrio cromatico, grazie al One Step Photo Fix
i Layer Groups, utili per regolare il metodo di fusione o la percentuale di trasparenza di tutti i livelli raggruppati oppure, per esempio, applicare una maschera all’intero blocco. Sempre tramite questa palette si può agire sulle selezioni, utilizzando la modalità Edit selection: la selezione viene tramutata in un livello maschera, permettendo ogni genere di modifica applicabile a un’immagine. Le Tool Options, utili per le regolazioni dei singoli strumenti principali, sono state convertite in una molto più pratica barra contestuale, posta orizzontalmente sopra il tavolo di lavoro; esattamente come in Photoshop o, prima ancora, in CorelDRAW!. Anche l’apertura dei file è facilitata, grazie alla finestra Browser e alle sue classiche diapositive.
...e Caos Chi cerca trova, si dice. Con Paint Shop Pro, a volte, si rischia di trovare più soluzioni di quanto ci si aspetti, talvolta così simili tra loro da confondere le idee. Ci riferiamo in particolare agli strumenti di regolazione dell’immagine, come la correzione del colore o della definizione, raccolti sotto il menù a tendina Adjust. Occorre infatti un po’ di pratica per districarsi tra le mille possibilità offerte dal Un comando per ogni necessità. Il menù Adjust offre una dotazione imponente di funzioni correttive; si consiglia un po’ di training
programma (come i numerosi filtri per la rimozione di polvere, graffi e altre imperfezioni), tutte funzionali ma anche eccessivamente specifiche per un rapido intervento. D’altra parte, questo assortimento lascia molta libertà nella scelta del proprio metodo di lavoro e, dopo un buon training, la possibilità di agire con lo strumento più idoneo. Anche a questo Jasc ha messo “una pezza”, fornendo ai novizi (e a chi si era fermato a versioni precedenti o proviene da altri programmi) un’altrettanto vasta collezione di guide all’uso. La classica Guida in linea è affiancata dal comodissimo Context Help, il punto di domanda per aprire la guida alla pagina relativa allo strumento cliccato, mentre per i più passivi è a disposizione un tour animato sulle novità e sulle funzioni principali. Il materiale in linea comprende anche una trentina di tutorial e una scheda sulle scorciatoie da tastiera (che hanno subìto alcune modifiche rispetto alle versioni precedenti, e sono comunque diverse da quelle convenzionalmente utilizzate in molti programmi), mentre il manuale cartaceo è ben strutturato, anche se interamente in bianco e nero. Un altro dettaglio da tenere in considerazione riguarda la mancanza di menù contestuale. Cliccando con il
tasto destro del mouse (PSP esiste solo per Pc) si attiva, nella maggioranza dei casi, lo strumento complementare a quello utilizzato: con il Pennello si passa dal colore di primo piano a quello di sfondo, mentre con la Gomma si ricostruisce ciò che si è cancellato.
Comodi, comodi Aggirando il problema dell’apprendimento avanzato, va ricordato che PSP fornisce una discreta quantità di processi automatici o semiautomatici. Pur senza promettere la medesima qualità di un attento lavoro manuale, raggiungono il più delle volte risultati soddisfacenti. Quasi stupefacenti gli effetti ottenuti con One step Photo Fix (letteralmente “sistema la foto in un click”), che opera regolazioni automatiche di bilanciamento delle luci e dei colori, ripristina la saturazione e alterna contrasti e sfocature per restituire profondità all’immagine. Appositamente studiato per fotografie con problemi di esposizione e di equilibrio cromatico - difetti purtroppo ricorrenti nella fotografia digitale, soprattutto in condizioni di poca luce - One step si è comportato più che bene; le uniche difficoltà incontrate riguardano immagini con grosse campiture di colore, che influiscono
La complessa interfaccia per la correzione di occhi rossi permette diverse tipologie di azione, anche semiautomatiche; l’intervento manuale, però, è spesso preferibile
Con il Background Eraser è possibile scontornare con facilità, almeno quando il soggetto è sufficientemente distinto dallo sfondo
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Le opzioni di stampa includono numerosi preset basati sui formati più utilizzati e sui modelli di carta in commercio I filtri, come i comandi di correzione, aprono una finestra di preview ridimensionabile. Il risultato presentato può però differire leggermente da quello finale, obbligandoci a selezionare la preview intera
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negativamente sul bilanciamento generale delle tonalità.Le funzioni incluse in questo miracoloso automatismo sono attivabili anche separatamente, oppure si possono creare script personalizzati per l’avvio in sequenze e quantità prescelte. Tra le innovazioni pratiche ritroviamo la Gomma per sfondo (Background Eraser), per scontornare soggetti già abbastanza distinti dallo sfondo, e il Warp Brush, un pennello per deformazioni simile al Kai’s Power Goo. Sempre in ambito distorsione, sono disponibili il Perspective Correction, comodo per raddrizzare prospettive accentuate, e il Lens Distortion Correction, che rimedia a grandangoli o zoomate; è possibile anche agire al contrario, simulando obiettivi particolari su inquadrature corrette.
Pretenziosi preset
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Per quanto riguarda gli strumenti di ritocco o i filtri, PSP apre quasi sempre una finestra di gestione indipendente. Se non si desidera agire tramite i diversi parametri di regolazione, ci si può sempre affidare ai preset, oppure al tasto random, caratterizzato da un dado, che fornisce di volta in volta parametri casuali. In alcuni casi, il tocco umano si rivela però necessario. La complessa finestra per la correzione di occhi rossi (Red-eye removal), per esempio, è ricca di impostazioni predefinite, ma limitate. Senza intervento manuale, non è facile ottenere buoni risultati. I preset relativi all’area da modificare, Auto human eye e Auto animal eye, considerano come campo d’azione solamente occhi (pupilla + iride) perfettamente rotondi, occasione che si verifica solamente se spalancati e ripresi frontalmente, sovrapponendosi quindi a qualsiasi
La palette dei livelli è più versatile delle versioni precedenti, anche grazie ai gruppi di livello
taglio delle palpebre o all’inclinazione dello sguardo. Nella maggior parte dei casi, è necessario selezionare l’area manualmente (Freehand Pupil Outline) con il Lazo. In alcuni casi i preset si rivelano più pratici. Lo strumento di ritaglio (Crop) possiede diverse dimensioni predefinite, basate sui formati di stampa più utilizzati e tenendo conto di un eventuale ricampionamento della fotografia. Lo Zoom può essere gestito “a occhio” o tramite diverse percentuali di ingrandimento, sia dalla finestra di navigazione che nella palette Overview. Ogni filtro o effetto di correzione possiede una più o meno lunga lista di impostazioni standard; ogni impostazione definita dall’utente può altresì essere salvata nella medesima lista. Esistono infine numerosi layout di stampa per la composizione di una o più immagini sulla stessa pagina, anche in modalità automatica.
Godibilmente imperfetto Come spesso succede in questo
Paint Shop Power Suite
campo, la corsa alle innovazioni fa tralasciare altri peccatucci. Le finestre di preview di filtri ed effetti possono essere ingrandite a piacere, ma spesso mostrano risultati ben diversi dall’operazione finale. L’unico modo per andare sul sicuro è quello di attivare la preview completa (Proof o Auto Proof, le icone con l’occhio); è quindi provato l’effetto sull’intera immagine, con conseguente impegno di tempo e di risorse. Nel complesso, però, non ci si può lamentare. Le numerose funzioni lasciano ampia libertà di elaborazione e creatività. La nuova interfaccia è ancora migliorabile, ma risulta comunque molto più fruibile e intuitiva delle precedenti - e di quelle di molti programmi concorrenti - rendendo il programma pienamente sfruttabile a più livelli. Non dimentichiamo infine il pregio della localizzazione in italiano, l’ampia disponibilità di guide e tutorial e, soprattutto, l’ottimo rapporto qualità/ prezzo.
Un’alternativa offerta recentemente da Questar propone Paint Shop Power Suite Photo Edition, un pacchetto che include le versioni complete di: Jasc Paint Shop Pro 8, Photo Album 4 (per organizzare, correggere e condividere le proprie fotografie digitali), Paint Shop Xtras creative edition 1 & 2 (più di 1000 risorse artistiche ed effetti divertenti e personalizzati) e Animation Shop (animazione GIF sul Web). Prezzo: 169,90 Euro (Iva inclusa) Jasc Paint Shop Pro 8 Compatibilità: Pentium o superiore, Windows® 98, NT4, 2000, ME o XP Requisiti di sistema: 128 Mb Ram, 200 Mb su disco, Internet Explorer 5.0. Prezzo: € 149,90; Education e aggiornamento € 99,90 (IVA inclusa). Info: www.questar.it/jasc/psp8
Letto piano, rotolo veloce
Durst raddoppia nella stampa flat-bed con la Rho 205
FLAT BED
Massimo Cremagnani
La Rho 160, già affermatasi nella sua natura dualistica flat-bed più bobina, torna arricchita da una testa di stampa più veloce e diverse opzioni di gestione. Al suo fianco viene presentato il modello 205, forte della medesima tecnologia piezoelettrica per inchiostri UV e interamente dedicato alla stampa su pannello. La progettazione modulare consente per entrambe le macchine aggiornamenti facilitati software e hardware, a conferma della continuità della ricerca Durst in questo campo. Abbiamo avuto l’occasione di provare le due stampanti in anteprima al Visual Communication di Milano, sperimentando produzioni su diversi tipi di materiali gentilmente forniti da Caledonia.
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La Rho 205, novità presentata in anteprima mondiale al Visual Communication 2003
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ell’arco dello scorso anno, non ero riuscito a mettere le mani sulla Rho 160. Nonostante i diversi accordi presi con Alberto Bassanello di Durst, numerosi impegni da entrambe le parti hanno dato il via a un’infinita serie di rimandi, fino ad arrivare alla presentazione del nuovo modello. Per evitare ulteriori imprevisti, quest’anno abbiamo colto la palla al balzo, organizzando un incontroprova al Sign Visual Communication Italia dello scorso novembre. Non è stato facile, vista la forte affluenza alla manifestazione, ritagliarsi una nicchia nello spazio-tempo degli espositori, ma grazie a qualche piccolo sacrificio ce l’abbiamo fatta. A dire il vero, la vera sorpresa riguardava il nuovo modello Rho 205, presentato in anteprima mondiale all’evento milanese. Dotato della medesima tecnologia ad inchiostri UV ma interamente dedicato alla stampa su pannello, si avvale di una luce di stampa di ben — indovinate un po’ — 205 centimetri. La versione Plus della 160, d’altro canto, non poteva essere lasciata in disparte, così abbiamo foraggiato qualche file anche a lei.
Materie prime
La recente diffusione della stampa digitale piana si rivela anche nella ricca disponibilità di supporti, molti dei quali derivano dal mondo della serigrafia. Abbiamo approfittato di questa occasione per verificare le possibilità di stampa e il relativo impatto visivo di alcuni di questi prodotti. Caledonia ci ha gentilmente fornito alcune lastre di Rilan - un PET trasparente da cinque millimetri - e di Relief, un polistirolo dalla finitura molto granulosa, tipo roccia. Con questi due supporti volevamo valutare il potere coprente della stampante: nel primo caso l’interpretazione delle trasparenze nella diffusione del getto d’inchiostro, nel secondo la copertura di una superficie dalla forte irregolarità nella distanza dalle testine. Per un utilizzo più comune, invece, abbiamo alternato un Microonda classico in polipropilene bianco opaco, del tipo più comunemente usato per segnaletica e comunicazione temporanea, e il nuovo MicroBond, sempre un microonda, ma rivestito con lamine in alluminio dalla finitura bianco lucida. La Rho 205, come anche
la 160, utilizza inchiostri di tipo UV. Per chi ancora non avesse familiarità con questo sistema, ricordiamo che si tratta di inchiostri pigmentati privi di solvente che vengono polimerizzati sul supporto tramite una lampada a raggi ultravioletti presente sulla testina di stampa. La caratteristica principale di questi inchiostri consiste quindi in una copertura di superficie resistente agli agenti esterni; spesso non necessitano di preparazione del supporto, permettendo così di stampare su una ricchissima tipologia di materiali, incluso legno, pietra, vetro, eccetera. Pur non disponendo di questi supporti “naturali” al momento del test, abbiamo potuto vedere alcune prove di stampa realizzate da Durst, indicative della libertà di sperimentazione possibile con questa tecnologia.
Rho 205 Presentata in anteprima mondiale al Visual Communication 2003, la Rho 205 si impone coi suoi 475 centimetri di larghezza; la profondità minima è di 195 centimetri, che diventano 425 con i piani di carico scorrevoli. Durst ha recentemente presentato anche un alimentatore/impilatore automatico opzionale, assente però all’evento milanese. I piani di carico standard sono composti da rulli di scorrimento sui quali vengono posizionate le lastre. Vista la possibilità di regolare l’altezza della testina di stampa, la 205 accetta supporti fino a 40 millimetri di spessore (70 con il modulo opzionale per applicazioni speciali). D’altro canto, supporti troppo sottili o flessibili, come ad esempio una lamina in polistirolo specchiante che avremmo
L’uso di inchiostri UV consente stampe su ogni tipo di materiale. Nel caso di trasparenti (qui un plexiglass da 4 mm) le sfumature subiscono qualche forzatura, soprattutto nei toni più leggeri. L’effetto migliora utilizzando texture invece di campiture
voluto utilizzare nel test, possono avere problemi di inserimento. La messa a registro avviene tramite speciali sensori a onde luminose. La macchina è gestita da un software proprietario installato su una workstation Unix incorporata. Sono supportati i formati grafici TIFF in ogni spazio colore, JPEG e bitmap, PostScript livello 2 e 3, EPS e PDF. All’importazione i file vengono convertiti in un formato proprietario. Il software consente quindi diverse operazioni di rettifica (dimensione, interpolazione dei pixel, correzione della nitidezza, inquadratura di un particolare, eccetera) e di impostazione (coda di stampa, elaborazioni batch, stampe multiple, finitura lucida o opaca, eccetera). La risoluzione di stampa è fissata a 363 dpi, con la possibilità di regolare il numero di passaggi. In modalità standard si
La regolazione della testina di stampa permette alla 205 di accettare pannelli fino a 40 millimetri di spessore. La diffusione dell’inchiostro è tale da consentire colori pieni ottima copertura anche su materiali irregolari, come legno, pietra o, in questo caso, il polistirolo Relief, gentilmente fornito da Caledonia
possono raggiungere i 20 metri quadri di stampa all’ora.
Rho 160 Plus Evoluzione naturale del modello 160 presentato nel 2002, la 160 Plus permette di stampare sia in piano, sia a bobina. Le nuove testine di stampa (le medesime utilizzate nella 205) consentono ora 4 diverse qualità di stampa, e una velocità fino a 80 metri quadri all’ora. La registrazione per il fronte/retro è stata aumentata di ±0,5 mm e il workflow, con relativo sistema di gestione del colore, è selezionabile dall’utente. Anche qui è possibile abbinare il modulo alimentatore/impilatore opzionale, per l’alimentazione automatica di fogli e pannelli senza la presenza dell’operatore. L’upgrade alla versione Plus è possibile per i modelli Rho 160 della generazione precedente.
La Rho 205 può stampare fino a 205 centimetri per infinito, ma accetta anche piccoli formati fino all’A3. Alcune caratteristiche come la risoluzione di stampa o la gestione hardware indicano chiaramente la sua predisposizione al grande formato
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Durst Rho 160 Plus
Stampante flat-bed di grande formato, tecnologia piezoelettrica, inchiostri UV Risoluzione: 363 dpi ; 3 livelli di qualità Dimensioni (LAP): 475x175x195 cm; con piani scorrevoli 475x425x175 cm Formato di stampa: 205 cm per infinito; altezza supporto 40 mm (70 mm opzionale) Produttività dichiarata: Standard 20 mq/h; Alta 15 mq/h; Massima 10 mq/h Software: Rho 7.0; workstation integrata Compaq Unix con processore Alpha Risc www.durst.it
Stampante di grande formato flat-bed e a bobina, tecnologia piezoelettrica, inchiostri UV Risoluzione: 363 dpi ; 4 livelli di qualità Dimensioni (LAP): 464x245x264 cm; con piani abbassati 464x245x440 cm Formato di stampa: 158 cm per infinito; bobine fino a 750 metri Produttività dichiarata: Manifesti 80 mq/h; Standard 42 mq/h; Alta 31 mq/h; Massima n.d. Software: Rho 7.0; workstation integrata Compaq Unix con processore Alpha Risc www.durst.it
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Durst Rho 205
Le immagini riprodotte (su Tyvek, nel nostro caso) con la 160 Plus si sono rivelate cromaticamente cariche e ben definite, sempre in considerazione del tipo di produzione cui la macchina è dedicata.
Le stampe
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I risultati ottenuti con la Rho 205 ne confermano la predisposizione per il grande formato. Sebbene sia possibile stampare su pannelli di dimensioni ridotte (fino ad A3), la risoluzione relativamente bassa, dedicata a immagini godibili da una certa distanza, viene sacrificata in favore della velocità produttiva, favorendo così immagini di grandi dimensioni. Un confronto diretto ha inoltre dimostrato come la risoluzione del file sorgente sia sufficiente a 72 dpi. Risoluzioni maggiori non comportano sostanziali miglioramenti nei risultati, influendo invece negativamente sui tempi di caricamento e rasterizzazione. A livello meccanico, inoltre, va sottolineato che la testina copre l’intera lunghezza del percorso, anche se il supporto è di dimensioni notevolmente inferiore alla luce di stampa, una forza lavoro che si spreca nelle piccole dimensioni, ma che al tempo stesso permette di inserire contemporaneamente in macchina più pannelli affiancati, aumentando la
produttività. Tenuto conto di questo, ci troviamo di fronte un prodotto mirato a diversi campi della comunicazione: cartellonistica, allestimento, decorazioni di vario genere. La possibilità di gestire il fissaggio degli inchiostri, variandone così la finitura da lucida a opaca è una marcia in più nel relazionamento al supporto utilizzato o al target e alla tipologia dell’immagine da riprodurre. In entrambi i casi la copertura e la saturazione rendono ottimamente anche su materiali opachi, come il normale microonda, ma l’impatto visivo guadagna con la finitura lucida, soprattutto con immagini dalla forte saturazione. La laccatura bianco lucida del Microbond, in particolare, si sposa perfettamente con questa finitura, riportando ottimi contrasti e una maggiore leggibilità. Questa differenza è meno visibile con materiali trasparenti come il plexiglass, in cui l’illuminazione (o la retroilluminazione) fanno la maggior parte del gioco. In entrambi i casi, comunque, la diffusione dell’inchiostro permette sfumature discrete, con passaggi continui ma un po’ forzati. L’uso di texture è comunque consigliato, soprattutto per dettagli più piccoli. Il Relief, è risultato perfettamente coperto anche nelle irregolarità, mescolando il gusto dell’immagine alla vibrazione propria del supporto.
Il grande assente Allo stand Durst mancava solo il nuovo alimentatore/impilatore dedicato alle stampanti Rho. La macchina consente l’alimentazione e l’impilatura automatica di fogli e di pannelli. I fogli vengono alimentati da una pila fornita su pallet, squadrati e allineati a destra verso la direzione di caricamento e trasportati ai rulli di prelevamento di Rho. La riduzione dei tempi di carico e scarico velocizza la produzione e promette vantaggi nell’intera gestione del sistema, ora governabile da un solo addetto che può maneggiare facilmente fogli di materiale pesanti o di grandi dimensioni e supporti con superfici delicate come vetro e policarbonati.
One man cinema
Final Cut Pro si afferma nel montaggio video creativo
VIDEOCREATIVITÀ
di Ernesto Fialdini e Massimo Cremagnani
Editing video ad alto livello per Final Cut Pro 4, reso più intuitivo nella gestione e nell’apprendimento e corredato da numerosi programmi complementari. La pratica struttura dell’interfaccia viene gestita con facilità, anche grazie alle oculate scorciatoie da tastiera, rivelando un’immediatezza favorevole al montaggio impulsivo e veloce, tipico dei videoartisti. Qualche difetto rende necessario l’aggiornamento alla versione 4.0.2, scaricabile da Internet. La gestione dell’audio e delle titolazioni si possono ora definire complete, mentre il Real Time potrebbe essere ancora migliorato. Per analizzare nel dettaglio tutte queste peculiarità, Graphicus ha chiesto il parere del regista indipendente Ernesto Fialdini, ideatore, produttore e operatore in prima persona di numerosi cortometraggi e del lungometraggio Perturbamento
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L’audio mixer è una delle novità più richieste dagli utenti di FCP
La schermata di lavoro di FCP con tutte le finestre aperte. Più intuitiva delle precedenti (e di molti concorrenti) permette di lavorare anche con un solo (grande) monitor
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pple non ci può più deludere. Dopo aver costretto alla resa Adobe, convincendola dell’inutilità di un Premiere per Mac, deve ora mantenere la promessa di un sistema di video editing completo, costituito dai propri prodotti hardware e software. Final Cut Pro 4 non è solo un programma di montaggio, ma integra effettistica e titolazione in maniera pratica e versatile. Il pacchetto include software complementari per la creazione di colonne sonore (SoundTrack), per gestire il materiale telecinemato (Cinema Tools) e per l’esportazione (Compressor). Completano la dotazione LiveType, ottimo per titolazioni animate di alto livello, e Peak3 per l’editing audio,
purtroppo solo in versione light. Per la prova ci siamo affidati alle capaci mani di Ernesto Fialdini, autore in toto di numerosi cortometraggi e sperimentatore nel campo del video digitale. Utile al confronto, la sua esperienza con sistemi Avid e Premiere. Il test si è svolto utilizzando un PowerMac Dual G4 da 1,25 Mhz (sistema operativo OSX 10.2.6) con 1,2 GB Ram, dotato di scheda ATI Radeon 9000 e due hard disk da 80 GB,di cui uno di sistema e l’altro interamente dedicato all’acquisizione audio/video. Dopo alcune settimane di preoccupante delusione, si è resa disponibile presso il sito Apple (http://docs.info.apple.com/ article.html?artnum=120241) una patch correttiva (versione 4.0.2). E’ bene tener presente che l’aggiornamento è di tale importanza da dover essere considerato come una parte mancante del programma. Farne a meno significa incorrere in numerosi problemi: in primo luogo è stata riscontrata discontinuità audio nell’esportazione su periferiche DV, ma anche la semplice apertura di una clip rallentata poteva constare di diversi minuti di attesa.
La finestra Viewer è suddivisa in Video, Stereo, Filters e Motion. Motion, qui in primo piano, consente di intervenire su alcuni parametri come Scale, Opacity, Rotation, Crop, Distort e Time Remap in RT
Primo contatto
Final Cut Pro 4 presenta caratteristiche innovative nell’ambito del software di editing non-lineare. L’aspetto che per primo balza agli occhi è senz’altro la concezione del montaggio in relazione alle esigenze che travalicano lo specifico del montaggio: Ho apprezzato il fatto che il pacchetto comprenda, oltre a Final Cut e al rispettivo manuale d’uso, ben cinque software dedicati all’intorno del montaggio vero e proprio, consentendo l’aggiunta di effetti visivi evoluti, di colonne sonore originali, titolazione avanzata e, non di meno, la distribuzione del materiale su supporti come CD-rom e DVD e attraverso Internet (puntando sul codec MPEG-4). Detto per inciso, il poderoso manuale è una lettura esaustiva e rigorosa, stilato in modo da far comprendere appieno il montaggio su computer. Al momento del primo utilizzo, FinalCut mi ha sorpreso favorevolmente. Facile e intuitiva, l’interfaccia del programma ha rivelato subito alcuni dei suoi segreti, permettendo sin dal primo momento di fare un primo, semplice montaggio senza sentire la necessità di leggere il manuale. Questo anche in virtù di conoscenze pregresse, certo, ma con altri programmi di montaggio che ho utilizzato, la curva di apprendimento nell’immediato era sempre stata sfavorevole, per poi migliorare molto più tardi. L’interfaccia di FinalCut, a differenza di quella di altri software, “parla agli occhi”, è immediata. Lo schema di base del programma è a quattro finestre. La Timeline, dove le clip vengono disposte in sequenza temporale; la finestra Canvas, dove scorre il contenuto della Timeline;
la finestra Browser, contenente l’acquisizione e le sequenze, e la finestra Viewer, dove editare le clip provenienti dalla Timeline o dal Browser. FinalCut dispone anche di molte altre finestre, spesso utili, dal Frame Viewer agli strumenti Vectorscopio e analizzatore di forma d’onda, al mixer audio e molto altro ancora. Ci sono poi gli audio meters e la palette degli strumenti. Grazie ad un impiego intelligente dei menu a linguetta, le finestre si
Ernesto Fialdini
L’autore di questa prova è un regista indipendente toscano, già autore di libri di poesie e di pitture digitali. La sua esperienza copre l’intero iter produttivo cinematografico in prima persona, anche se le sue doti più apprezzate riguardano la stesura dei soggetti, la direzione degli attori e la postproduzione digitale. Il suo lungometraggio Perturbamento è stato premiato per la migliore realizzazione tecnica al Sonar Film Festival, e con una menzione speciale all’Alternative Film Festival. Trailer delle sue opere sono disponibili all’indirizzo www.ernestofialdini.com
La finestra Canvas mostra il contenuto della Timeline (ovvero della sequenza in uso). Il time-code in alto a sinistra indica l’intervallo In/Out, quello a destra la posizione sulla Timeline. Le due linguette indicano le due sequenze attualmente in uso. In basso abbiamo i comandi di riproduzione dei media (shuttle control, transport control e Joggle control). I tasti colorati indicano rispettivamente Insert, Overwrite e Replace, mentre a destra troviamo i tasti per settare In e Out, Marker, Keyframe, marcare la clip e ottenere il match frame
sovrappongono ottimizzando in modo decisivo lo spazio, benché la presenza di un secondo monitor rimanga consigliabile.
Al lavoro Il logging dei media da nastro avviene tramite uno strumento formidabile (rapidamente azionabile tramite la combinazione Command+8), che consente numerose impostazioni tra cui l’aggiunta di markers, l’uso dei monitor Vectorscope e Waveform (i quali consentono di calibrare i livelli del segnale video) e la numerazione progressiva delle clip. I tasti J-K-L (rispettivamente indietro-pausa-avanti) permettono di scorrere il nastro a velocità variabile per settare i punti di in/out. I medesimi tasti consentono di visionare i media già acquisiti nelle finestre Canvas e Viewer. Nel caso di periferiche DV ho trovato molto utile la funzione Dv start/stop, che riconosce gli omonimi comandi della videocamera, consentendo la generazione di markers corrispondenti ad ogni inquadratura. Le clip, una volta acquisite, vengono visualizzate nel Browser e solitamente aperte nel Viewer per essere trimmate e inserite nella Timeline. Mi ha piacevolmente sorpreso la semplicità con cui è possibile splittare audio e video nella finestra Viewer. Questa finestra ha menu a linguetta che danno accesso al contenuto visivo, all’audio, ai settaggi dei filtri e a quelli del motion. L’audio consente uno Scrubbing accurato - che può arrivare fino ad 1/100 di secondo - caratteristica che farà la gioia degli audiofili non meno della gestione interna del suono a 32 bit. Il montaggio sulla Timeline si avvale
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VIDEOCREATIVITÀ
di strumenti chiave come ripple, slip, roll, razor, slide, ma dispone anche di strumenti per selezionare gruppi di clip e della Penna per gestire i keyframes. La Timeline prevede che le tracce siano sempre sincronizzate tra loro. Per desincronizzare è necessario usare il tasto lock/unlock, presente su ciascuna di esse. Ricorrendo alla scorciatoia universale del Copia/ Incolla, è molto facile copiare le clip da un punto all’altro della stessa Timeline o addirittura tra Timeline diverse (che peraltro possono anche essere nidificate) appartenenti allo stesso o a progetti differenti, anche aperti simultaneamente. La visualizzazione delle tracce con dimensione variabile è un aspetto utile per lavorare sui singoli keyframes, sia audio che video. Inoltre possono essere attivate le finestre chiamate Frame Viewer, che consentono efficaci paragoni tra fotogrammi diversi. Questo si rivela particolarmente gradito sia in fase di montaggio, sia di correzione colore. Altra nota favorevole, il layout di tastiera, personalizzabile. Un aspetto decisivo nel lavoro di molti, come del resto il layout delle finestre di lavoro, anch’esso modificabile, salvabile e richiamabile in qualunque momento. Notando la scelta di alcuni tasti e la presenza di alcuni strumenti, la Timeline di Final Cut è per certi versi simile a quella di Avid. Per altri ricorda Premiere, e si ha l’impressione che FCP abbia “tratto ispirazione” da entrambi per gli aspetti più intuitivi, rendendoli però disponibili in un’interfaccia ancora più efficace. Ho trovato molto efficiente e, ancora una volta, facile da usare, il Media Manager. Questo strumento permette di passare dall’offline all’on-line e viceversa, di eliminare le parti di media file non impiegate nel montaggio definitivo, di fare una copia dell’intero progetto e di far passare il vostro progetto da un codec ad un altro ricomprimendo i media files. Il Render Manager invece gestisce i file renderizzati, con la finalità di cancellarli per fare spazio, suddividendoli in base al progetto di appartenenza e alle sequenza in esso contenute.
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Il filtro di correzione del colore Color Corrctor 3-way, visualizzato sempre all’interno della finestra Viewer
Uno sguardo agli effetti I settaggi dei filtri funzionano tramite keyframes, visualizzabili sia lungo la Timeline interna al Viewer, sia su quella principale. Questo aspetto ribadisce ancora una volta la vicinanza di Final Cut agli strumenti di compositing, rinviando nostalgicamente alle Timeline di After effects. Altri aspetti riguardano il già citato nesting delle timelines, la disponibilità di 99 livelli video e la presenza dei transfer mode, parzialmente analoghi a quelli dei software Adobe. Certo non è come avere After Effects ma, in alcuni casi, Final Cut ne può fare a meno, cosa che lo rende aggiornato e sensibile a diverse necessità degli utilizzatori. Una caratteristica controversa del FinalCut è proprio quella relativa agli effetti. Il software li rende in buona parte disponibili in real-time, con risultati sorprendenti. Col mio Dual G4 ho provato ad effettuare un ralenti al 50%, con Color Correction 3-Way e crossfades in apertura e chiusura, ma anche una Color Correction 3Way, Distort, Scale, Opacity e Crop visualizzandoli in uscita sul monitor Pal esterno (tramite la connessione firewire del Mac), sempre con la possibilità di scorrere avanti e indietro l’effetto risultante. Niente male davvero, direi. Bisogna però considerare che, andando a modificare i valori dei keyframes, ci si trova ad attendere un costante aggiornamento dell’output video (anche quando non utilizziamo
l’uscita firewire); non potendo essere disabilitato, di fatto ci fa perdere la pazienza mostrandoci per tempi estenuanti la scritta “Preparing video for display”. Ma non è la sola scritta inopinatamente frequente: c’è anche il temibile cartello “Dropped Frames” che si apre invece quando le risorse disponibili non consentono di riprodurre tutti i fotogrammi richiesi e il playback si interrompe. E’ curioso notare che questo cartello non si presenta solo in corrispondenza di complessi effetti audiovisivi, ma appare anche senza aver applicato nessun effetto alla timeline con l’Hard disk pressoché vuoto. Discutendone con i tecnici Apple, mi è stato rivelato che si tratti di una anomalia causata dal file system impiegato da Mac OS X; spero venga risolta dal Panther. Tornando invece alle meraviglie del Real Time, l’altro strumento che lavora con risultati straordinari è il Time Remapping, che consente di modificare la velocità di una clip (senza alterarne la durata) in più punti, con passaggi graduali dal lento al veloce. Graficamente simile alla linea keyframabile del volume, consente di giocare impulsivamente con studiate aritmie, tecnica sfruttata ampiamente nel campo del videoclip musicale. L’elenco dei filtri, accessibile tramite il un menù omonimo, comprende eterni classicismi ma anche sorprese, come il filtro Blur. Il menu a linguetta Motion consente di modificare parametri utili come Distort e Crop (RT), ma anche
Apple Final Cut Pro 4
Requisiti di sistema: PowerPC G4, Mac OS X 10.2 o superiori, 512 Mb RAM, 15 Gb su hard disk, scheda grafica AGP, lettore DVD, QuickTime 6.1 Prezzo: Euro 1198,80; aggiornamento Euro 478,80 Iva inclusa Info: www.apple.com/it/finalcutpro/ Drop Shadow, Motion Blur e il già citato Time Remap, la cui presenza è di grande utilità. Infine ritengo degna di menzione la correzione colore, anch’essa in RT sul monitor esterno, gestita dai filtri Color Corrector e Color Corrector 3-Way. I risultati sono soddisfacenti e, per chi non se ne intendesse, il supporto del manuale si rivela utile con esemplificazioni visive dei concetti di base.
Titoli e altre onoreficenze Sulla mia configurazione i titoli escono in RT. Gli strumenti a disposizione sono semplici, ma consentono comunque titolazioni basilari soddisfacenti. Tuttavia, avendo in bundle il software LiveType, la qualità della titolazione può raggiungere alti livelli di professionalità. Tra i software di corredo è quello che mi ha maggiormente stupito: facile, veloce e pienamente integrato con il programma base. Sul piano audio godiamo finalmente della presenza dell’Audio Mixer, assente nelle versioni precedenti. Si tratta di uno strumento che molti apprezzeranno, anche perché consente di registrare i keyframes di un missaggio mentre la Timeline va in play. E’ possibile assegnare la singola traccia ad un determinato canale in uscita anche se, invece che dal mixer, bisogna partire dai settaggi audio della Timeline. Peraltro Final Cut arriva a disporre di ben 24 canali audio di output, sempre a patto di possedere
un hardware specifico che li gestisca. Come di consueto in un mixer audio digitale di base, troviamo i controlli del volume sia sul Master che sulle tracce individuali, con opzioni di Panning, Solo e Mute. Lo strumento migliore per l’esportazione del filmato su nastro è il comando Edit To Tape, che consente di aggiungere barre, tono a 1khz, slate, ed effettua la riproduzione in loop della sequenza. Una volta indicato il punto “IN” del timecode del nastro per iniziare la registrazione, dopo un rendering dai tempi insondabilmente variabili, si avvia la riproduzione. Per avere meno problemi possibile in questa fase, ribadisco la necessità della patch 4.0.2. Esportare il filmato in formati adatti al web è possibile sia usando il software addizionale in bundle, Compressor, sia ricorrendo alla compressione quicktime interna al Final Cut. Compressor è facile da usare e consente di scegliere tra MPEG-4 per il web, MPEG-2 per creare DVD, ma anche tra tutti i codec disponibili attraverso Quick Time.
Conclusioni L’opinione che si può esprimere sul programma, dopo averne studiato le caratteristiche e aver verificato la risposta alle esigenze di un montatore, è complessivamente positiva. L’utente in definitiva più favorito è il videoartista, lo sperimentatore che spezza le regole e chiede ai colori e alle forme di esplodere, e vuole un software
di per sé creativo, privo di limitazioni. Il montatore “puro” incontrerà qualche limitazione alle proprie esigenze, qualche rallentamento durante il lavoro come chiusure inaspettate del programma o il caricamento obbligatorio dell’ultimo progetto in apertura. Inoltre non è possibile cancellare l’audio indipendentemente dal video e viceversa, e l’allineamento delle transizioni non è personalizzabile: abbiamo solo le tre posizioni left, right e center. Ma, in definitiva è impossibile non apprezzare uno strumento che sa di nuovo, che porta avanti e riconfigura il modo stesso di pensare al montaggio. Si potrebbe, per comodità dialettica, scindere il “montaggio puro”, imperniato sul decoupage e sulla sintassi basica di taglio e dissolvenza incrociata, dall’ “effettistica”, imperniata su quelle caratteristiche di elaborazione visiva che in parte ricadono nel compositing e in parte nella titolazione avanzata, individuando così l’essenza dualistica di FinalCut. L’impressione finale è che l’apparato effettistico e il real-time preponderante interferiscano di fatto con le potenzialità del programma, sia inibendo l’impiego degli effetti medesimi, sia ostruendo le vie di comunicazione con l’interfaccia visiva, il tutto a discapito del montaggio. Da qui, sorge spontanea la domanda conclusiva: sarà possibile, in una versione successiva, disabilitare temporaneamente la preview in Real Time?
In bundle Final Cut Pro 4 include nella confezione numerosi software complementari. Soundtrack (nella foto) è un software per creare colonne sonore che ricorda molto da vicino Acid della Sonic Foundry. È ottimo per creare e gestire loop in una Timeline che mette tutto a tempo. E’ veloce e dotato di effettistica audio. Cinema Tools serve a importare e gestire materiale telecinemato. Compressor è un’utilità integrata sia in FCP, sia nel sistema come applicazione stand alone; permette di esportare in formato mpg1, mpg2 a vari bitrate e mpeg 4 per il web streaming. LiveType è un ottimo programma per creare titoli animati con facilità e qualità professionale. Dotato anch’esso di una Timeline, offre tra l’altro alcune template da prendere come punto di partenza per ottenere risultati personalizzati. Peak 3 è un software per l’audio editing, l’unico dei cinque non in versione full.
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Una gita in fiera
Impressioni sul Visual Communication 2003
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Massimo Cremagnani
Sempre più digitale, ma stando attenti a non staccarsi troppo da serigrafia e offset. Questa è l’immagine che ha rappresentato la versione 2003 del Visual Communication di Milano, appuntamento fisso per gli operatori della grafica. Rispetto all’atmosfera satura di solventi che caratterizzava le passate edizioni, quest’anno spiccano gli inchiostri UV, la cui evoluzione in qualità e resistenza sembra essere giunta a risultati soddisfacenti. L’altra categoria protagonista riguarda la stampa flat-bed, ovvero direttamente su pannello, mentre il settore arte/fotografia non ha presentato novità di rilievo. Vediamo chi, dei 270 espositori - per quasi 400 case rappresentate - ha attirato maggiormente la nostra attenzione
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l Visual Communication cresce. Stando ai dati rilasciati dall’organizzazione, l’affluenza alla manifestazione milanese è aumentata del 10,8 percento, per un totale di oltre 15.000 visitatori. Questo sviluppo è, almeno in parte, da “imputare” al digitale: nuove tecnologie che i professionisti devono conoscere per rimanere competitivi, e nuovi professionisti che, grazie al computer, hanno intrapreso una strada altrimenti più selettiva (sic). Sta di fatto che, nonostante l’aumento
dello spazio fieristico, questo Visual è stato perennemente e terribilmente affollato. Tanti gli stand, tanta confusione negli spazi irregolari della fiera, tanti gli stili di presentazione dei prodotti, alcuni dei quali riportano l’accezione “fieristico” ai suoi albori. La caccia alla novità da parte dei visitatori si confondeva con la caccia al cliente approntata dagli agenti commerciali dei numerosi espositori, svelando sotto il variegato mondo della grafica una concorrenza sempre più palese tra prodotti di pari livello.
Ecologia relativa
L’esposizione dei prodotti, in una fiera di prodotti per esposizione, giocava su diversi piani attrattivi, anche se, a differenza di manifestazioni analoghe, in questa sede pare lecito invadere ogni centimetro quadrato con le proprie stampe. Chilometri di manifesti, calpestabili e non, si sprecavano per gli affollati corridoi in un’inondazione cartacea dal notevole impatto ambientale ed estetico, mentre il collezionismo di prove di stampa dilagava tra gli astanti, carichi di rotoli
TurboJet, il balenottero azzurro di ScitexVision, sfornava fino a 70 manifesti l’ora
e cartellette nel frenetico formicaio di cellulosa. Più ecologica è stata la scelta evolutiva di molte aziende che, abbandonato il cancerogeno solvente, si sono dedicate agli inchiostri ultravioletti o al pigmento. Il clima era fortunatamente più digeribile rispetto alla precedente edizione, favorendo il pellegrinaggio e i rapporti interpersonali.
Le dimensioni contano Imporsi all’attenzione del pubblico è un must che favoreggia i prodotti di grandi dimensioni. All’insegna di “grosso è bello”, Scitex Vision (www.scitexvision.com) ha presentato TurboJet, una stazione front-end a getto d’inchiostro per la produzione di manifesti a ritmo serrato. Annunciato a brevi intervalli di tempo da una fastidiosa sirena portuale, la presentazione del mastodonte metteva in risalto la velocità produttiva e la qualità degli inchiostri a pigmento VisionInk: sei colori e una risoluzione fino a 448 dpi, per una copertura di
Nessuna novità da Hp, rassicurata dal persistente successo dei suoi prodotti
tutto rispetto. L’accattivante scocca in vetroresina blu differenziava la macchina dai concorrenti dall’aspetto più “meccanico”, come Uni-Link o Vutek. Le grandi dimensioni privilegiavano anche il nuovo Durst Rho 205, un flat-bed di cui parliamo più approfonditamente a pagina 18. La competitività tra le aziende era evidente anche nella grande quantità di prototipi presentati. Piuttosto che rimanere indietro o mancare all’appuntamento, diversi produttori ospitavano nei propri spazi macchine ancora in fase di studio, le cui capacità ben presentate sulla carta difficilmente potevano essere verificate sul campo. Le novità sfidano così la preveggenza, mettendo il visitatore in condizione di subire discorsi e dati cartacei invece di fatti concreti, cosa che in un luogo di incontro come una fiera dovrebbe avere la precedenza. Partiamo dal giardino di Roland (www.rolanddg.it), uno stand bucolico per sottolineare gli inchiostri
Eco Sol Ink affidati ai plotter della serie SolJet e alla stampante piana FlatJet, primo esemplare ancora in fase di sviluppo, che speriamo di testare nella versione definitiva prima dell’estate. Neolt (www.neolt.it) presentava plotter a bobina e flat-bed alimentati da inchiostri UV, pronti forse in tarda primavera. Bompan (www.bompan.it) metteva in bella mostra il primo esemplare di TX3-1600, evoluzione del plotter tessile TX2, di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo numero. Agfa (www.agfa.com) anticipava l’ultimo nato in famiglia Sherpa, dotato di inchiostri Eco-Solvent Plus, e così via. Eppure qualcuno giocava controcorrente. Hp (http: //welcome.hp.com/country/it/it/ welcome.html), infatti, ha deciso di puntare il dito sull’affidabilità dei propri prodotti, ormai sufficientemente testati e approvati da un vasto pubblico. Come dovrebbe accadere più spesso nel mondo dell’informatica, se una cosa va bene, meglio lasciarla così com’è.
A sinistra. Il giardino fiorito e cinguettante dedicato ai solventi “ecologici” di Roland
In alto. L’ambientalismo sfegatato produce anche curiosi neologismi
Molti prototipi
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Letto piano, rotolo veloce
Durst raddoppia nella stampa flat-bed con la Rho 205
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Massimo Cremagnani
La Rho 160, già affermatasi nella sua natura dualistica flat-bed più bobina, torna arricchita da una testa di stampa più veloce e diverse opzioni di gestione. Al suo fianco viene presentato il modello 205, forte della medesima tecnologia piezoelettrica per inchiostri UV e interamente dedicato alla stampa su pannello. La progettazione modulare consente per entrambe le macchine aggiornamenti facilitati software e hardware, a conferma della continuità della ricerca Durst in questo campo. Abbiamo avuto l’occasione di provare le due stampanti in anteprima al Visual Communication di Milano, sperimentando produzioni su diversi tipi di materiali gentilmente forniti da Caledonia.
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La Rho 205, novità presentata in anteprima al Visual Communication 2003
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ell’arco dello scorso anno, non ero riuscito a mettere le mani sulla Rho 160. Nonostante i diversi accordi presi con il dottor Bassanello di Durst, numerosi impegni da entrambe le parti hanno dato il via a un’infinita serie di rimandi, fino ad arrivare alla presentazione del nuovo modello. Per evitare ulteriori imprevisti, quest’anno abbiamo colto la palla al balzo, organizzando un incontroprova al Sign Visual Communication Italia dello scorso novembre. Non è stato facile, vista la forte affluenza alla manifestazione, ritagliarsi una nicchia nello spazio-tempo degli espositori, ma grazie a qualche piccolo sacrificio ce l’abbiamo fatta. A dire il vero, la vera sorpresa riguardava il nuovo modello Rho 205, presentato in anteprima mondiale all’evento milanese. Dotato della medesima tecnologia ad inchiostri UV ma interamente dedicato alla stampa su pannello, si avvale di una luce di stampa di ben — indovinate un po’ — 205 millimetri. La versione Plus della 160, d’altro canto, non poteva essere lasciata in disparte, così abbiamo foraggiato qualche file anche a lei.
Materie prime
La recente diffusione della stampa digitale piana si rivela anche nella ricca disponibilità di supporti, molti dei quali derivano dal mondo della serigrafia. Abbiamo approfittato di questa occasione per verificare le possibilità di stampa e il relativo impatto visivo di alcuni di questi prodotti. Caledonia ci ha gentilmente fornito alcune lastre di Rilan - un PET trasparente da cinque millimetri - e di Relief, un polistirolo dalla finitura molto granulosa, tipo roccia. Con questi due supporti volevamo valutare il potere coprente della stampante: nel primo caso l’interpretazione delle trasparenze nella diffusione del getto d’inchiostro, nel secondo la copertura di una superficie dalla forte irregolarità nella distanza dalle testine. Per un utilizzo più comune, invece, abbiamo alternato un Microonda classico in polipropilene bianco opaco, del tipo più comunemente usato per segnaletica e comunicazione temporanea, e il nuovo MicroBond, sempre un microonda, ma rivestito con lamine in alluminio dalla finitura bianco lucida. La Rho 205, come anche la 160,
Dst04.jpg (MANCA)
utilizza inchiostri di tipo UV. Per chi ancora non avesse familiarità con questo sistema, ricordiamo che si tratta di inchiostri pigmentati privi di solvente che vengono polimerizzati sul supporto tramite una lampada a raggi ultravioletti presente sulla testina di stampa. La caratteristica principale di questi inchiostri consiste quindi in una copertura di superficie resistente agli agenti esterni; spesso non necessitano di preparazione del supporto, permettendo così di stampare su una ricchissima tipologia di materiali, incluso legno, pietra, vetro, eccetera. Pur non disponendo di questi supporti “naturali” al momento del test, abbiamo potuto vedere alcune prove di stampa realizzate da Durst, indicative della libertà di sperimentazione possibile con questa tecnologia.
Rho 205 Presentata in anteprima mondiale al Visual Communication 2003, la Rho 205 si impone coi suoi 475 centimetri di larghezza; la profondità minima è di 195 centimetri, che diventano 425 con i piani di carico scorrevoli. Durst ha recentemente presentato anche un alimentatore/impilatore automatico opzionale, assente però all’evento milanese. I piani di carico standard sono composti da rulli di scorrimento sui quali vengono posizionate le lastre. Vista la possibilità di regolare l’altezza della testina di stampa, la 205 accetta supporti fino a 40 millimetri di spessore (70 con il modulo opzionale per applicazioni speciali). D’altro canto, supporti troppo sottili e/o flessibili, come ad esempio una lamina
L’uso di inchiostri UV consente stampe su ogni tipo di materiale. Nel caso di trasparenti (qui un plexiglass da 4 mm) le sfumature subiscono qualche forzatura, soprattutto nei toni più leggeri. L’effetto migliora utilizzando texture invece di campiture
in polistirolo specchiante che avremmo voluto utilizzare nel test, possono avere problemi di inserimento. La messa a registro avviene tramite speciali sensori a onde luminose. La macchina è gestita da un software proprietario installato su una workstation Unix incorporata. Sono supportati i formati grafici TIFF in ogni spazio colore, JPEG e bitmap, PostScript livello 2 e 3, EPS e PDF. All’importazione i file vengono convertiti in un formato proprietario. Il software consente quindi diverse operazioni di rettifica (dimensione, interpolazione dei pixel, correzione della nitidezza, inquadratura di un particolare, eccetera) e di impostazione (coda di stampa, elaborazioni batch, stampe multiple, finitura lucida o opaca, eccetera). La risoluzione di stampa è fissata a 363 dpi, con la possibilità di regolare il numero di
La regolazione della testina di stampa permette alla 205 di accettare pannelli fino a 40 millimetri di spessore. La diffusione dell’inchiostro è tale da consentire colori pieni ottima copertura anche su materiali irregolari, come legno, pietra o, in questo caso, il polistirolo Relief, gentilmente fornito da Caledonia
passaggi. In modalità standard si possono raggiungere i 20 metri quadri di stampa all’ora.
Rho 160 Plus Evoluzione naturale del modello 160 presentato nel 2002, la 160 Plus permette di stampare sia in piano, sia a bobina. Le nuove testine di stampa (le medesime utilizzate nella 205) consentono ora 4 diverse qualità di stampa, e una velocità fino a 80 metri quadri all’ora. La registrazione per il fronte/retro è stata aumentata di ±0,5 mm e il workflow, con relativo sistema di gestione del colore, è selezionabile dall’utente. Anche qui è possibile abbinare il modulo alimentatore/impilatore opzionale, per l’alimentazione automatica di fogli e pannelli senza la presenza dell’operatore. L’upgrade alla versione
La Rho 205 può stampare fino a 205 centimetri per infinito, ma accetta anche piccoli formati fino all’A3. Alcune caratteristiche come la risoluzione di stampa o la gestione hardware indicano chiaramente la sua predisposizione al grande formato
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Durst Rho 205
Durst Rho 160 Plus
Stampante flat-bed di grande formato, tecnologia piezoelettrica, inchiostri UV Risoluzione: 363 dpi ; 3 livelli di qualità Dimensioni (LAP): 475x175x195 cm; con piani scorrevoli 475x425x175 cm Formato di stampa: 205 cm per infinito; altezza supporto 40 mm (70 mm opzionale) Produttività dichiarata: Standard 20 mq/h; Alta 15 mq/h; Massima 10 mq/h Software: Rho 7.0; workstation integrata Compaq Unix con processore Alpha Risc Informazioni: www.durst.it
Stampante di grande formato flat-bed e a bobina, tecnologia piezoelettrica, inchiostri UV Risoluzione: 363 dpi ; 4 livelli di qualità Dimensioni (LAP): 464x245x264 cm; con piani abbassati 464x245x440 cm Formato di stampa: 158 cm per infinito; bobine fino a 750 metri Produttività dichiarata: Manifesti 80 mq/h; Standard 42 mq/h; Alta 31 mq/h; Massima n.d. Software: Rho 7.0; workstation integrata Compaq Unix con processore Alpha Risc Informazioni: www.durst.it
Plus è possibile per i modelli Rho 160 della generazione precedente. Le immagini riprodotte (su Tyvek, nel nostro caso) con la 160 Plus si sono rivelate cromaticamente cariche e ben definite, sempre in considerazione del tipo di produzione cui la macchina è dedicata.
Le stampe
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I risultati ottenuti con la Rho 205 ne confermano la predisposizione per il grande formato. Sebbene sia possibile stampare su pannelli di dimensioni ridotte (fino ad A3), la risoluzione relativamente bassa, dedicata a immagini godibili da una certa distanza, viene sacrificata in favore della velocità produttiva, favorendo così immagini di grandi dimensioni. Un confronto diretto ha inoltre dimostrato come la risoluzione del file sorgente sia sufficiente a 72 dpi. Risoluzioni maggiori non comportano sostanziali miglioramenti nei risultati, influendo invece negativamente sui tempi di caricamento e rasterizzazione. A livello meccanico, inoltre, va sottolineato che la testina copre l’intera lunghezza del percorso anche se il supporto è di dimensioni notevolmente inferiore alla luce di stampa, un forza lavoro che si spreca nelle piccole dimensioni. Tenuto conto di questo, ci troviamo di fronte un prodotto mirato
a diversi campi della comunicazione: cartellonistica, allestimento, decorazioni di vario genere. La possibilità di gestire il fissaggio degli inchiostri, variandone così la finitura da lucida a opaca è una marcia in più nel relazionamento al supporto utilizzato o al target e alla tipologia dell’immagine da riprodurre. In entrambi i casi la copertura e la saturazione rendono ottimamente anche su materiali opachi, come il normale microonda, ma l’impatto visivo guadagna con la finitura lucida, soprattutto con immagini dalla forte saturazione. La laccatura bianco lucida del Microbond, in particolare, si sposa perfettamente con questa finitura, riportando ottimi contrasti e una maggiore leggibilità. Questa differenza è meno visibile con materiali trasparenti come il plexiglass, in cui l’illuminazione (o la retroilluminazione) fanno la maggior parte del gioco. In entrambi i casi, comunque, la diffusione dell’inchiostro permette sfumature discrete, con passaggi continui ma un po’ forzati. L’uso di texture è comunque consigliato, soprattutto per dettagli più piccoli. Il Relief, infine, è risultato perfettamente coperto anche nelle irregolarità, mescolando il gusto dell’immagine alla vibrazione propria del supporto.
Il grande assente Allo stand Durst mancava solo il nuovo alimentatore/impilatore dedicato alle stampanti Rho. La macchina consente l’alimentazione e l’impilatura automatica di fogli e di pannelli. I fogli vengono alimentati da una pila fornita su pallet, squadrati e allineati a destra verso la direzione di caricamento e trasportati ai rulli di prelevamento di Rho. La riduzione dei tempi di carico e scarico velocizza la produzione e promette vantaggi nell’intera gestione del sistema, ora governabile da un solo addetto che può maneggiare facilmente fogli di materiale pesanti o di grandi dimensioni e supporti con superfici delicate come vetro e policarbonati.
Per chi ha la stoffa
Il prototipo del plotter tessile Mimaki TX3-1600 testato al Visual Communication
STAMPA TESSILE
Massimo Cremagnani e Johanna Wahl
In anteprima per l’Italia, Bompan ha presentato al Visual Communication di Milano il plotter tessile Mimaki TX3-1600. Evoluzione del modello TX2, ne eredita la tecnologia di stampa, affiancandola a un nuovo modello di trasporto a tappeto e a un sistema di autodiagnosi degli ugelli di stampa. Si trattava in effetti di un prototipo ancora incompleto, ma abbiamo cercato, con l’aiuto della stylist Johanna Wahl, di capirne e valutarne le potenzialità effettive.
Johanna Wahl
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GRAPHICUS marzo 2004
Al test ha partecipato la stylist Johanna Wahl, fornendo la propria esperienza professionale e alcune sue produzioni come campioni di stampa. Dopo collaborazioni con i maggiori stilisti (Versace, Moschino, Ferrè, per citarne solo alcuni), ricordiamo le sue recenti produzioni di tessuti per La Perla, Zucchi, Lancetti e Gattinoni e di costumi da bagno per Intimo3 e Ortel. Insegna disegno tessile e stampa serigrafica su tessuto all’Istituto Fortuny, all’Istituto Golgi e al Lonati Fashion and Design Institute di Brescia.
T
ra le proposte “incomplete” presentate al Visual Communication (v. Graphicus 1003) spiccava il prototipo del plotter Mimaki TX3-1600, unica stampante tessile digitale di grande formato a proporre una qualità di stampa degna di essere indossata. La macchina si rivolge infatti al mondo delle prove di stampa per la produzione tessile, ma anche alla produzione diretta di tessuti per l’abbigliamento e per l’arredo in piccole e medie tirature. Questa soluzione si adatta particolarmente alle immagini molto complesse, dove un passaggio in serigrafia comporterebbe elaborazioni e conseguentemente costi notevoli. Trattandosi di prototipo, il test può definirsi solamente indicativo. Invitiamo quindi i nostri lettori a verificare di persona le potenzialità del modello definitivo, che sarà disponibile dalla fine di aprile.
Parecchie innovazioni Il TX3 presente in fiera vantava già molti degli aspetti che lo differenzieranno dal suo predecessore, il TX2, già leader di mercato. La modifica più evidente riguarda il nuovo sistema di trasporto a tappeto, adatto a ogni tipologia di tessuto, anche elasticizzato. Un particolare meccanismo dotato di movimento rotativo agisce sulla bobina facilitando l’aderenza al rullo adesivo ed evitando pieghe o increspature. Il sistema di pulizia provvede inoltre a spazzolare e asciugare il tappeto, eliminando così eventuali tracce d’inchiostro trapassate dai tessuti
durante la stampa e impedendo sporchi e dispersioni. Sempre sul piano pratico, il TX3 è dotato di otto testine piezo, sfalsate in modo da stampare una più larga banda di tessuto. Il piano di carico accetta rotoli fino a 1650 millimetri, con una superficie stampabile massima di 1620. L’altezza delle testine di stampa può essere regolata in base al tipo di tessuto, variando da tre a dieci millimetri, per consentire la stampa su tessuti di spessore massimo di sette millimetri. Alcune innovazioni riguardano invece la produttività. Il Mimaki è dotato di un sistema di autodiagnosi proprietario, denominato Noozle Check, che sorveglia costantemente lo stato degli ugelli di stampa. La verifica degli ugelli avviene mediante la stampa degli otto colori su un film trasparente, successivamente analizzato da una telecamera. Qualora la scansione dovesse evidenziare un’anomalia nella stampa (otturazione di uno o più ugelli, imperfezioni nel getto d’inchiostro), verrà automaticamente avviato un processo di pulizia. La risoluzione del problema comporterà la ripresa della stampa, mentre in caso contrario la macchina si arresterà e segnalerà il problema mediante una sirena incorporata. Durante il periodo della fiera, non sono state rilevate anomalie.
I limiti di una fiera
Se queste erano le novità, non possiamo dire di averle potute valutare appieno, per diversi motivi. Il tappeto di trasporto, ad esempio, era rivestito di
La stampa a 720x720 dpi mantiene intatti i dettagli più fini. La mancanza di profili colore ha però provocato eccessi di magenta nei toni blu scuro, con un’opacità eccessiva nei gialli chiari e con diverse “chiusure” dei mezzitoni
Le stampe del TX3 sono abbastanza sature, anche se meno brillanti di rispetto alla serigrafia. In casi come questo, dove il lavoro di separazione sarebbe lungo e costoso, può essere comunque più conveniente affidarsi al digitale
un collante a base d’acqua invece di quello a solvente, già prescritto, per un problema doganale nel trasferimento della macchina tra le varie fiere. Il collante, oltre a presentarsi eccessivamente grumoso, era inadeguato alla stampa su seta (unico materiale disponibile al momento) e ha provocato alcuni rigonfiamenti nel tessuto fallando un − pur limitato − numero di stampe. La seta utilizzata per le dimostrazioni era stata preparata con particolari reagenti chimici, utili alla vaporizzazione finale di fissaggio, che rende stabile (e lavabile) il colore. Se qualcuno dei nostri lettori ha assistito alle prove trovando i risultati un po’ spenti, dobbiamo precisare che al termine di questa operazione la brillantezza e la saturazione sono notevolmente migliorati, portando le immagini quasi ai fasti del file originale. Quasi perché, purtroppo, il software utilizzato apparteneva in realtà al modello TX2 e non era stato ancora perfezionato per la nuova macchina.
Se la definizione delle immagini (i nostri test sono stati eseguiti alla massima risoluzione, 720x720 dpi) si è dimostrata assolutamente all’altezza della situazione, la corrispondenza dei colori peccava di leggeri viraggi, soprattutto con eccessi di magenta nei toni blu scuro, con un’opacità eccessiva nei gialli chiari e con diverse “chiusure” dei mezzitoni. Dei tre tipi di inchiostri supportati dal TX3 – reattivi, dispersi e acidi − sono stati utilizzati questi ultimi, i più adatti alla stampa su seta. È ancora in fase di studio, ma il plotter dovrebbe comunque disporre di due cartucce di inchiostro da un litro per colore, per garantire il flusso di stampa senza interruzione in maniera autonoma.
Cosa ci sarà La fretta è una cattiva consigliera, ma lo spettacolo continua. Secondo le notizie dell’ultima ora, il TX3 sta subendo gli ultimi controlli su modifiche – alcune delle quali suggerite dal distributore italiano Bompan, che prosegue i test sul campo con i propri clienti − che
dovrebbero confermare la versione finale della stampante. Ci è stato segnalato, ad esempio, che la stampa su Lycra per la produzione diretta di costumi da bagno ha ottenuto buoni risultati, nonostante la notevole elasticità del tessuto. Le peculiarità di questo prodotto (trama larga, grafica semplificata) consentono una produzione di circa 28 metri all’ora, utilizzando la risoluzione di 360x360 dpi. Il firmware è stato comunque modificato per consentire anche risoluzioni di 360x540 e 360x720 dpi, oltre alla già citata efficacia dei 720x720, che produce circa sei metri all’ora. Tra gli altri supporti testati, ci sono stati segnalati il cotone e la georgette di seta. Aspettiamo quindi il benestare dei tecnici giapponesi, che la casa madre sta inviando proprio in questi giorni, per la versione definitiva di un embrione carico di potenzialità.
Mimaki TX3-1600
Stampante tessile di grande formato, tecnologia piezoelettrica a inchiostri acidi, reattivi, dispersi Risoluzione: 360x360, 360x540, 360x720, 720x720 dpi Dimensioni (LAP): 340x150x130 cm; 650 Kg Formato di stampa: 162 cm per infinito; larghezza tessuto max 165 cm Produttività dichiarata: 28 metri/ora a 360 dpi Informazioni: www.bompan.it Appena stampati, i tessuti risultano molto opachi; il fissaggio a vapore li riporterà ai valori richiesti
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La chiameremo Art Evò Una mostra d’arte per rivalutare l’importanza della carta nella stampa digitale
D_CULT
Massimo Cremagnani
Tradizione, tecnologia e sperimentazione in un connubio di stili. La rivalutazione della stampa originale in un mondo di cloni dal volto standardizzato, riconoscendo i meriti di ogni componente dell’opera d’arte: idea, strumenti, colore, supporto
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era una volta la stampa originale. Così venivano definite le opere di calcografia in generale: acquaforte, acquatinta, xilografia e via andando, opere in tiratura da una medesima matrice. Vittime del degrado progressivo delle lastre e del fattore umano nella realizzazione, le stampe gemelle si differenziavano per particolari impercettibili, intuiti solo da occhi molto attenti in un confronto diretto. Di fatto, ogni “copia” possedeva – e possiede tuttora - un valore proprio,
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Massimo Cremagnani Artista figurativo, laureato con lode all’Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi su etica ed estetica dell’arte digitale. Ricercatore specializzato in immagine digitale e tecnologie correlate per aziende e riviste di settore.
individuale. Poi (dopo la xerografia, di cui parleremo in seguito) venne la stampa digitale, e con essa il pregiudizio che ogni immagine, testo, disegno, fosse riproducibile all’infinito, senza mutazione alcuna, perdendo così il valore dell’originalità. Se in molte occasioni – dalla comunicazione alla fotografia, al packaging – questo fattore può essere considerato un pregio, dobbiamo riconoscere la limitazione del valore estetico nell’immagine e nella sua presentazione. Esistono particolari, aborriti da alcuni puristi del digitale, che rendono ogni stampa unica. Sono sfumature delicate, dettagli impercettibili dell’immagine che la fanno vibrare. Ci sono valori plastici e compositivi in alcuni inchiostri piuttosto che in altri. Le stesse stampanti possiedono una loro impronta distintiva: basta togliere loro i “guanti”. E poi c’è il supporto, quel materiale, organico o sintetico che sia, che dona sensazioni tattili anche alla vista,
che oscilla nella propria texture o risplende nella laccatura levigata. Lo stesso materiale, sensibile all’umidità e al calore, interagisce con inchiostri e stampante e, soprattutto, con l’artista e lo spettatore. Esistono diverse possibilità ormai tradizionali (dell’era digitale) per valorizzare queste caratteristiche, possibilità collegate per informazione comune alla stampa inkjet, quella con maggiore dedizione alle “fine arts”. Senza nulla togliere a questi prodigi della tecnologia, Art Evò, con riserva di evolversi ulteriormente, sfrutterà i vantaggi della stampa laser, per proprietà intrinseche di tolleranza ai supporti impreparati. Spezziamo quindi una lancia a favore della carta. Eludiamo i limiti glossy-matte, disdegniamo le spalmature come maschere illusorie, apriamo le porte alla miriade di possibilità offerte dalle cartiere, risorse ancora incatenate all’offset e alla serigrafia ma disponibili a nuove esperienze. Dopo averle viste, toccate, annusate, tornerò al mio computer. Creerò immagini apposta per loro, rispettando la loro sensibilità e la loro forza. Penserò al loro colore preferito, nel tono e nella consistenza. Cercherò, moderno Cupido, il giusto connubio tra l’idea e la materia, come nella migliore tradizione artistica a tuttotondo. C’era una volta la stampa originale. E ci sarà ancora. Art Evò Mostra di arte digitale presso D_Cult 2004 - 27/29 maggio 2004, Milano, Crowne Plaza. www.digitalculture.it Si ringraziano i sostenitori dell’evento: Adobe, Graphicus, Linea Grafica, Polyedra, Xerox, Burgo, Favini e Gmund/Berni,Fedrigoni
Nell’orbita del PDF Il pacchetto di applicativi grafici Adobe Creative Suite punta sul denominatore comune Acrobat Massimo Cremagnani
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La versione internazionale della suite Adobe si evolve in direzione Acrobat, sfruttando la poliedricità dello standard per l’interscambio di documenti o parte di essi. La spinta di InDesign verso la creatività DTP sfrutta le possibilità grafiche degli altri programmi che, a loro volta, presentano forme di pubblicazione complesse o polifunzionali. Il motore di gestione progettuale Version Cue funge da trait d’union tra i diversi applicativi, cercando di supplire a un’incompleta unificazione delle interfacce utente e in cambio di notevoli risorse hardware. Analizzando i singoli casi, spiccano le migliorie fotografiche di alto livello per Photoshop, la gestione di output PDF per Acrobat e InDesign e le funzioni di conversione di GoLive, ancora un po’ troppo macchinoso come il capostipite Illustrator.
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La scrivania di Acrobat include un motore di ricerca estensibile alle risorse di rete
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opo l’esperimento lanciato nel nostro paese due anni fa con la prima Creative Suite, ecco la versione ufficiale e internazionale del pacchetto di applicativi Adobe dedicato alla grafica. Rispetto alla prima versione, la suite rinuncia alla produzione video, concentrandosi maggiormente sull’immagine e sulla pubblicazione, ponendo sempre più l’attenzione sule possibilità del PDF. Anche se in maniera non sempre plateale, ogni applicativo presente nella Suite offre pieno supporto – quando addirittura non si basa su esso – allo standard Adobe per la diffusione e la presentazione di documenti, ormai giunto alla versione 1.5. Troviamo, infatti, nella versione standard Photoshop CS, Illustrator CS e InDesign CS, una scelta visibilmente mirata al progetto cartaceo, mentre nel pacchetto Premium si aggiungono Acrobat Professional 6 e GoLive CS, che espandono le potenzialità fino alle pubblicazioni virtuali. La Suite gode ora di un sistema di gestione denominato Version Cue, che permette di gestire i progetti compositi, anche da gruppi di lavoro. Tramite un database comune, i singoli file e le
differenti versioni del progetto sono organizzate in base alle modifiche effettuate con gli specifici applicativi, mantenendo le versioni intermedie. Allo stesso modo è possibile accedere alle singole fasi da ogni programma, salvo la segnalazione d’uso da parte di altri utenti, e visualizzare le informazioni di creazione/modifica organizzate in formato XMP. Version Cue presenta quindi un nuovo metodo di conservazione dei file, in cui tutto l’operato si sovrappone fino alla scelta finale. La pretesa di gestione totale necessita di notevoli risorse hardware, anche nel caso di progetti di dimensioni limitate.
La forza di Acrobat 6 Nonostante il software ufficiale per la creazione di PDF sia presente solo nel pacchetto Premium, le potenzialità del PDF 1.5 sono pienamente godibili dal suo alter ego DTP, InDesign. Di Acrobat 6 abbiamo parlato approfonditamente sul numero 999, a cui rimandiamo per un’analisi dettagliata. In questa occasione ci limitiamo a ricordare le peculiarità principali. L’interfaccia utente è stata arricchita da una grafica più morbida, da un
La barra di controllo di InDesign si adatta all’oggetto selezionato, velocizzando le modifiche al layout
Alcune palette di InDesign sono agganciate al lato destro dello schermo, ma possono comunque essere separate. Ogni configurazione è salvabile e ripristinabile
motore di ricerca polifunzionale e dalla possibilità di splittare lo schermo. Lo zoom può visualizzare fino al 6400% ed è supportato dallo strumento Lente per l’ingrandimento interattivo. Sono state introdotte scorciatoie per la creazione di PDF con un click nei menù contestuali del sistema o integrate in Office e alti programmi. Gli strumenti di revisione e annotazione sfruttano un database gerarchico esportabile. Le anteprime consentono la verifica preliminare delle esportazioni in PDF/X-1° e PDF/X-3, delle trasparenze e delle separazioni, la cui gestione è notevolmente migliorata.
Il protagonismo di InDesign CS Come accennato, l’applicativo DTP si presenta ormai come punto di riferimento per il progetto grafico, aumentando ulteriormente funzionalità ed ergonomia. Lo spazio di lavoro presenta una serie di palette agganciate sul lato destro, eclissabili con un click. La nuova palette Informazioni fornisce dati sulle immagini e sui testi originali rispetto alla versione impaginata, mentre la barra di Controllo riporta in tempo reale gli elementi dimensionali dei singoli oggetti, velocizzando la composizione e le modifiche di layout. Rimane la possibilità di rendere ogni finestra flottante, e le impostazioni di layout della scrivania possono essere salvate e ripristinate. In generale il programma è stato velocizzato, dal refresh all’attivazione dei comandi. Per agire sui blocchi di testo basta un doppio click, mentre la stessa operazione unita al tasto Alt apre la finestra Opzioni cornici di testo. Il ridimensionamento può essere controllato in tempo reale tenendo premuto il tasto Control. La nuova palette Segnalibri consente l’organizzazione gerarchica di
navigazione dei PDF. I segnalibri così imposti sono compatibili fino al formato 1.3, ma per mantenere le trasparenze, le restrizioni e soprattutto i commenti e le revisioni, viene consigliata la compatibilità con l’1.5. Per una più comoda revisione dei testi, la finestra indipendente Editor di brani consente la scrittura lineare su pagina bianca; la barra di controllo, da parte sua, permette di formattare agevolmente il tutto. Il testo può comunque essere modificato separatamente – ovvero da un altro utente del gruppo di lavoro – utilizzando il software InCopy, non incluso però nel pacchetto. La formattazione di InDesign permette stili nidificati così che, applicando gli stili di paragrafo, anche i caratteri subiscano le dovute modifiche. Gli stili di paragrafo incorporano inoltre due nuove funzioni: l’allineamento alla griglia della prima riga di testo e il bilanciamento automatico del testo a bandiera. Un’operazione decisamente pratica riguarda inoltre l’importazione di file da Word: all’inserimento, ogni formattazione del programma Microsoft è cancellata, evitando inutili scremature e sovrapposizioni. Naturalmente l’importazione di file Illustrator, Photoshop e PDF è ancora più completa. Oltre all’affinamento sulle trasparenze, va segnalato il supporto per canali colore spot senza la necessità di preparare EPS separati. Attraverso i nuovi strumenti Inchiostro misto o Gruppo di inchiostro misto è possibile mantenere e salvare i colori dell’immagine originale anche se speciali, e salvarli per una conversione o rigenerarli in base ai cambiamenti sull’originale. Le immagini vettoriali di Illustrator possono invece essere copiate e incollate integralmente, ancora modificabili nel software DTP, in cui gli strumenti dedicati sono stati ampliati. Come già visto in Acrobat 6, InDesign CS è in grado di esportare negli standard PDF/X-1° e PDF/X-3. Si possono aggiungere al file commenti e istruzioni di stampa e, tramite la finestra di anteprima, verificare la
corrispondenza di impostazioni come trasparenze e ombreggiature. In questo caso i testi vengono rasterizzati, ma altre potenzialità come la visualizzazione delle separazioni ne fanno comunque uno strumento riuscito. L’esportazione di un progetto per il Web non edita direttamente le pagine in HTML, come in Xpress, ma genera un pacchetto basato sul PDF appositamente per GoLive, che lo interpreterà mantenendo tutti i collegamenti (inclusi swf, audio e video) ma che sicuramente offre un maggiore numero di strumenti per la modifica e l’ottimizzazione. Da segnalare, in InDesign, lo strumento Bottone per la creazione di rollover e collegamenti di base.
Le aspirazioni di GoLive CS Continuiamo quindi parlando di GoLive, l’editor Web che mette in disparte le caratteristiche wysiwyg per un’improvvisa passione verso i codici. L’importanza crescente dei CSS ha fatto nascere in GoLive un apposito editor, in grado di compilare gli stili in tempo reale, con tanto di preview. L’editor supporta diverse tipologie di browser ed è in grado di riordinare le priorità degli elementi. La finestra Origine può mostrare il codice sorgente in diverse visualizzazioni, evidenziando in vari stili la sintassi del testo. La scrittura del codice è coadiuvata dal motore di completamento automatico, un insieme di funzioni elettive che permettono la corretta scrittura identificando gli elementi tramite menù sensibili, in
L’editor CSS di GoLive permette di applicare ogni tipo di personalizzazione, ma resta piuttosto macchinoso
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Il comando Luci/Ombre di Photoshop CS rivela elementi occultati da foto sovra o sottoesposte, senza influenzare il bilanciamento dei colori
grado di supportare CSS, JavaScript, PHP, SMIL, SVG, XHTML e XML. Questi strumenti sono ricchi di potenzialità, ma l’approccio eccessivamente tecnico ne limita l’ergonomia, decisamente inferiore rispetto a Dreamweaver. Ciò che differenzia maggiormente GoLive dai concorrenti è invece la compatibilità estrema con gli altri programmi della Suite, in particolare con le funzioni di importazione (e successiva modifica ed esportazione) dei PDF. Questa compatibilità si nota anche nella conversione in SmartObjects di oggetti portati da Photoshop o Illustrator, un escamotage atto a mantenere l’immagine editabile con le peculiarità di uno o dell’altro applicativo. Il legame con InDesign si nota invece nella conversione di immagini per la stampa in ottimizzate per il Web, e delle codifiche XML in CSS, nuovi o predeterminati.
Il narcisismo di Photoshop CS
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L’elemento trainante della Suite resta in ogni caso Photoshop, il cui sviluppo si concretizza principalmente in diverse forme di ampliamento. Il supporto colore passa da 8 bit per canale a 16, favorendo principalmente la profondità colore già promessa da numerosi scanner professionali, mentre la dimensione massima dei file raggiunge i 300.000x300.000 pixel con 56 canali colore, un formato forse non alla portata di tutti ma utilissimo in diverse tipologie di produzione industriale. L’ottimizzazione delle immagini si avvale di nuovi strumenti. Gli istogrammi guadagnano un’apposita palette, per la visualizzazione in tempo reale anche dei singoli canali. Per quanto riguarda la correzione colore, nel menù Immagine/Regolazioni troviamo il comando Luci/Ombre,
Nessuna miglioria nell’interfaccia di Illustrator. Aumentano comunque le funzioni, spesso prese in prestito dai programmi consociati
pratico nel ripristino di sovra/ sottoesposizioni zonali senza per questo influire sul bilanciamento dei colori. Più discutibile è l’utilità del Filtro fotografico, con riferimenti ai filtri ottici da fotocamera ma limitato nella resa dalla diversità strutturale delle operazioni rispetto alla ripresa diretta. La funzione Corrispondenza colore permette invece di simulare toni analoghi in fotografie realizzate in ambientazioni luminose differenti. Migliora anche la gestione dei livelli con la nidificazione dei set (fino a cinque sottogruppi), opzione richiesta a gran voce soprattutto dai Web designer. Sempre sui livelli – e ancora dedicata principalmente alla progettazione Web - la palette Composizione livelli permette di frizzare visualizzazione, fusione e ogni altra impostazione dei livelli, permettendo il salto da un’impostazione generale all’altra con un solo click in maniera analoga alle diapositive della Storia. Le stesse funzioni sono ovviamente disponibili in ImageReady CS, ora in grado di esportare in formato swf. Il testo realizzato in Photoshop CS utilizza gran parte del motore di Illustrator CS, rimanendo quindi editabile in entrambi i programmi. Le opzioni più richieste, incluso il “testo sul tracciato”, sono ora disponibili in PS, che diviene quindi autosufficiente per numerose tipologie di progetto. Il Browser file, introdotto nella versione 7 del programma, è più ergonomico, permettendo una maggiore personalizzazione dell’interfaccia. Oltre alla visualizzazione di anteprima e dati vari, il browser consente di effettuare operazioni batch senza aprire i file, o di indicizzare i file o le directory preferite per una successiva ricerca veloce. A questo proposito va segnalata
l’organizzazione dei metadati testuali in formato XMP, utile sia in fase di ricerca, sia di organizzazione del flusso di lavoro. La ricerca può informare, oltre che sulle caratteristiche proprie dei file, anche sui passaggi subiti nel gruppo di lavoro, commenti e note inclusi. L’unica pecca del Browser rimane quindi la sua permanenza all’interno di Photoshop, quando un applicativo stand-alone risulterebbe infinitamente più funzionale. In campo filtri, l’innovazione più evidente riguarda la finestra di dialogo comune (Galleria filtri), identificata da thumbnails di anteprima per selezionare a colpo d’occhio l’effetto più adatto o una combinazione di più effetti. Disponibile solo per alcune famiglie di filtri, questa funzione non è disabilitabile; poiché calcola la resa sull’intera immagine a ogni cambiamento o sovrapposizione, risulta spesso più un impaccio che un vantaggio, rallentando notevolmente la produzione. La stessa impostazione funzionale, già vista in numerosi programmi di fascia consumer, e l’incompleta disponibilità di effetti stonano con lo status professionale e produttiva di Photoshop, rivelando ancora una volta i tristi tentativi di Adobe di rivolgere il software ad utenti impreparati. Photoshop mantiene comunque un occhio di riguardo verso la produzione video. Aprendo un nuovo documento, la finestra di dialogo propone una discreta lista di formati video corredati delle opportune opzioni di salvataggio, mentre è stato introdotto il supporto per pixel non quadrati, mantenendo così sin dall’origine il formato utilizzabile in video senza distorsioni o ricampionamenti. Questa linea di pensiero coinvolge
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Photoshop strizza l’occhio ai formati video, come si può vedere anche dalle impostazioni a pixel non quadrati dell’apertura Nuovo file
anche l’input tramite l’apposito plug-in Camera Raw, che consente l’acquisizione di immagini nel formato proprietario delle fotocamere (oltre 60 modelli supportati, stando all’ultimo aggiornamento), controllando direttamente elementi come esposizione, bilanciamento del bianco e contrasto. Per la pubblicazione su carta, non ci sono grossi cambiamenti. La Galleria di foto per il Web ha acquisito alcuni template maggiormente curati, mentre la funzione Pacchetto di immagini è più flessibile nella personalizzazione dei formati compositivi. L’esportazione in PDF si avvale del supporto per il formato 1.5, includendo quindi la compressione Jpeg 2000 e le impostazioni di sicurezza avanzate.
La promiscuità di Illustrator CS Il programma a cui Adobe ha prestato minore attenzione è sicuramente Illustrator. Nessuna miglioria è stata apportata all’interfaccia utente, nemmeno quelle già sperimentate con successo dagli altri programmi, una scelta rischiosa che gli conferisce il titolo di software più scomodo della categoria, soddisfando (forse) i pochi aficionados che godono ancora
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della limitata interazione delle prime versioni. Le innovazioni pratiche, del resto, provengono dai programmi affiliati. Da InDesign, Illustrator eredita la gestione del testo, con pieno supporto ai font OpenType (incluse legature e glifi, gestibili mediante l’apposita palette). Le funzioni avanzate includono i medesimi controlli sulla sillabazione, su allineamento e kerning ottici e sull’intero blocco di testo, grazie anche alla composizione multi-riga proprietaria. Parimenti troviamo le palette di gestione degli stili di carattere e di paragrafo, la gestione di colonne multiple e di layout tabulari, ora realizzabili all’interno di uno stesso box di testo. La tendina Testo/Font, infine, visualizza anteprima e tipologia dei caratteri. Con un piccolo sforzo, si sarebbe potuta dare la stessa opportunità anche alla palette Carattere, ma per ora dobbiamo accontentarci. Anche la finestra di dialogo Stampa è ispirata a ID e Acrobat, ma ancora limitata sotto alcuni punti di vista. È integrata da numerose opzioni tra cui spiccano l’anteprima (utile anche per il posizionamento) completa di ogni impostazione, la stampa di porzioni (ma manca ancora una funzione di stampa multipla, così come non sono ancora contemplate pagine multiple…), il controllo delle separazioni da RIP e la possibilità di salvare/caricare i blocchi di impostazioni. A parte questo, troviamo un nuovo motore di simulazione tridimensionale. I nuovi effetti 3D permettono operazioni basilari come estrusione, rivoluzione o distorsione prospettica. L’elaborazione viene applicata senza influenzare il tracciato originale, che può essere così successivamente modificato. Intuitivi nell’applicazione, questi effetti necessitano però di una
potente scheda 3D per funzionare ad hoc, pena il crash del programma. In campo prettamente grafico, segnaliamo l’effetto Scarabocchio, particolarmente utile per sdrammatizzare la freddezza delle linee vettoriali, mentre per quanto riguarda importazione o esportazione, sono stati rivisti i filtri per file DXF, DWG e SVG.
I vantaggi della Suite Come abbiamo visto, la “famiglia” Creative Suite è ancora identificabile come un gruppo di applicativi dalle peculiarità ben distinte. I tentativi di unificazione sono ancora un po’ prematuri, e invece di un pacchetto polifunzionale ci troviamo di fronte a una squadra di software ancora indipendenti, sebbene le sinergie comincino ad emergere. Si ribadisce quindi la necessità di vivere un programma alla volta nella sua professionale completezza (Illustrator a parte…), considerando le diverse opportunità di integrazione reciproca, tipiche comunque di un buon gruppo di lavoro. Si intravede, nel complesso, una tendenza alla modularizzazione delle diverse funzioni, spesso accessibili da più programmi, ma i 2 Giga di hard disk richiesti non sembrano confermare la piena riuscita dell’intento. Il rapporto qualità prezzo resta in ogni caso decisamente vantaggioso, ma bisogna considerare il fatto che l’installazione non prevede la separazione degli applicativi su diverse macchine, per ognuna delle quali sarà necessaria una licenza.
Adobe Creative Suite Compatibilità: PC: Pentium III o superiore, Windows 2000 SP3 o XP; Mac: PowerPC 3, MacOS X 10.2.4 o 10.3 Requisiti di sistema: 192 Mb Ram (256), 2 Gb su disco, cdrom, QuickTime 6.3 Prezzo: Versione Standard: € 1499,00; aggiornamento € 599,00; agg. da Photoshop € 699,00 (IVA esclusa). Versione Premium: € 1799,00; aggiornamento € 799,00; agg. da Photoshop € 999,00 (IVA esclusa). Info: www.adobe.it/creativesuite
Finalmente è possibile nidificare i set di livelli in Photoshop
Carte di pregio e stampa digitale Il valore della carta in funzione della creatività con le stampanti digitali
D-CULT
Massimo Cremagnani
L’esperienza milanese della manifestazione dedicata ai professionisti della creatività ci ha dato la possibilità di effettuare vere ‘prove d’autore’ sull’uso della stampa laser, sperimentando una serie di carte proposte ai grafici e agli artisti nel corso della mostra Art Evò, svoltasi durante il D_Cult. Un’esperienza unica ed esclusiva per i lettori di Graphicus, che ci ha permesso di valutare il rapporto tra carta e stampa anche in funzione delle esigenze specifiche di ciascun lavoro.
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3000 i visitatori della “digital community” a Milano e 37 le aziende espositrici hanno indotto gli organizzatori ad ampliare l’area Expo rispetto alle previsioni: un pubblico attento ed esperto, quello del D_Cult, professionisti e appassionati orientati ad approfondire gli aspetti tecnici legati all’evoluzione della tecnologia digitale nei diversi campi d’espressione. Pubblico esigente attirato da campus e seminari incentrati sui prodotti e la loro interazione nel mondo del digital imaging, e da riviste come la nostra, che affrontavano l’argomento con un taglio piú obiettivo. Dopo l’esperienza di Bellaria, c’era un po’ di scetticismo nei confronti di alcuni eventi “fuori tema” un po’ bistrattati e l’infelice scelta di calendario (un ponte ricco di sole invita il milanese all’evasione, piuttosto che alla cultura) che hanno agito da deterrente, ma il forte interesse specifico dimostrato dal pubblico evidenzia la sete di informazione e di confronto del popolo dei creativi.
Professionisti e appassionati di cultura digitale sono il pubblico di D-Cult
Binomio arte e tecnologia
La mostra Art Evò all’interno del D_Cult è il risultato di una ricerca precisa, votata alla valorizzazione della stampa d’arte tramite l’uso di tecnologia laser e cartoncini particolari. La ricerca di stile ha dato i suoi frutti, anche grazie al supporto offerto dai numerosi sponsor coinvolti nell’iniziativa. L’iter creativo presupponeva tre fasi distinte: creazione dell’immagine, valutazione del tipo di stampa e di supporto, adattamenti finali per la migliore sinergia estetica.
Elaborazione immagini Per l’elaborazione del file, sia nella creazione che nel perfezionamento, la scelta è caduta su Adobe Photoshop CS, eletto a software di elaborazione estrema in virtù del suo eccellente controllo di ogni singolo componente dell’immagine. Le varie possibilità di selezione, di manipolazione e di gestione cromatica possono dirsi fondamentali in operazioni tanto delicate. In particolare, i ritocchi
necessari a omogeneità e contrasti tra immagini e texture delle carte, materiche o visive che fossero.
Stampanti laser Le due stampanti utilizzate presentavano altresí differenze sostanziali. La Xerox Phaser 7550 è morbida nelle sfumature quanto rigida nella fedeltà cromatica. Il suo apporto è valso per lo piú in immagini complesse ma delicate, così da evidenziare con armonia i supporti più sobri. Con la Oki 9500, invece, è stato possibile giocare maggiormente sulla materia, sovraccaricando le tonalità o evidenziando le saturazioni con finiture particolarmente lucide. Grazie alla corposità del toner, i contrasti più netti facevano bella mostra di sé anche su carte particolarmente lavorate.
Le carte
Le numerose carte – o meglio, cartoncini – messi a disposizione dai partner presentavano infinite personalità. Da Fedrigoni è stato
Una delle più significative opere della mostra Art Evò
selezionato il Tintoretto Gesso, con cui si è voluto richiamare il piú classico disegno a carboncino e sanguigna in stile leonardesco, e la Constellation Riccio, il cui rilievo metallico risalta il tratto analogo dell’immagine. Ancor piú significativo l’apporto della Constellation Jade Laser, caratterizzata da strette bande a spina di pesce: accompagnata a un’immagine fortemente vibrante, ha dato vita a un’illusione di tipo olografico. Un simile dualismo si può riscontrare nei supporti Gmund, con un sobrio Bier Lager utilizzato con fine antichizzante anteposto al perlaceo Treasury
La mostra Art Evò dell’artista Massimo Cremagnani esposta a D-Cult
Composition, dalla finitura setosa e brillante. Un diverso effetto madreperla è dato dalla Strike di Polyedra, leggermente segnata da una fitta filigrana verticale e quindi adatta a pennellate decise. Il Dalì Giallo Oro di Burgo, fortemente ruvido, si accompagna con forte impatto al segno energico dei disegni al tratto, anche in due toni, mentre la translucenza della Stardream Opal è stata sfruttata per fornire dinamismo alle immagini. La serie Mizar, specifica per stampa laser, ma dall’aspetto un po’ troppo ‘comune’ per lo scopo artistico, è stata utilizzata per la documentazione e
le comunicazioni relative alla mostra. Per Favini, infine, giochi classicheggianti con il Laguna Grigio, ottimo sfondo per le “velature d’olio” concesse dalla Oki, e amalgami di texture con l’Algacarta Camoscio. Nonostante la libertà d’azione offerta dalla stampa laser, sono state rilevate alcune incompatibilità dovute ai sistemi di riconoscimento del supporto. La Polyedra Spectral o la Gmund Treasury Trust, ad esempio, erano rifiutate dalle stampanti per via dell’eccessiva lucidità o rigidità, impedendo ulteriori sperimentazioni. www.digitalculture.it
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Il digitale va in fabbrica Da Düsseldorf una panoramica sulla stampa digitale per grandi produzioni Massimo Cremagnani
Drupa ci rivela un nuovo stadio evolutivo. La stampa digitale, tradizionalmente sinonimo di piccole produzioni ad alto costo, vive ora un ruolo di strumento di alta produttività, caratterizzato da precisione e versatilità, ma sempre piú votato alle grandi tirature. Se diversi aspetti della serigrafia vengono sostituiti dai plotter flatbed, le macchine offset rischiano — almeno in alcuni campi — la sostituzione da parte di sistemi all-in-one laser e inkjet, favoriti da costi di gestione e facilità d’uso. Il rovescio della medaglia si vede però nel calo di richiesta creativa ed estetica, elementi quasi completamente assenti dalla manifestazione.
Digital technology in the factory A survey of high volume digital printing from Düsseldorf
Drupa marked the achievement of a new stage in evolution. Digital printing that had traditionally been synonymous with short, high cost runs, is now offering high productivity, precision and versatility increasingly geared to long runs. Whilst some areas of screen printing have been replaced by flatbed plotters, offset presses are in danger, at least in some fields, of being superseded by all in one laser or inkjet systems due to their attractive management costs and ease of use. However, the other side of the coin was apparent in the decline in creative and aesthetic demands, which were almost completely absent from the show.
Una prova di stampa della Dotrix the .factory che evidenzia l’alta risoluzione percettiva
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icono che drupa sia una grande fiera. In effetti è enorme, così come sono sovradimensionati i singoli stand e i relativi contenuti, almeno rispetto ai nostri standard. Le ‘stampantine’ da tavolo protagoniste delle fiere nostrane passavano perlopiú inosservate di fronte ai cospicui allestimenti della fiera tedesca, ricca
per scelta di macchinari destinati alla grande produzione. Plotter a non finire, quindi, soprattutto flatbed, ma anche laser a bobina e stazioni inkjet per documenti a larga diffusione. Il target metteva in primo piano la comunicazione di massa e la diffusione di documenti, penalizzando quel
carattere sperimentale artigianalcreativo che preferiamo collegare al concetto di digitale. Piú in evidenza, invece, il concetto di versatilità, interpretabile come personalizzazione degli strumenti in relazione ai supporti, soprattutto per la stampa piana, e ai destinatari per le stazioni all-in-one, sempre piú complete anche nella
Grande interesse allo stand Xeikon per il modello 5000
finitura. Per non divagare, riteniamo importante riportare un sunto di ciò che piú ci ha colpito così come presentato dai rispettivi produttori, riservandoci di esaminare i prodotti piú significativi non appena possibile.
Sembrano tutte uguali, ma... ...solo se non ci si guarda dentro. Le stazioni di stampa ad alta e altissima tiratura, a foglio, bobina o ibride presentavano in realtà tecnologie altamente diversificate, ognuna tesa a soddisfare precise richieste di produzione, tutte ostentate come “migliore soluzione del millennio”. Dotrix, una compagnia del gruppo Agfa, ripresentava, the factory (the dot factory, per i neofiti), una macchina inkjet UV ad alta produttività. Alimentazione a bobina fino a 650 millimetri per varie tipologie di supporto, gestione variabile delle immagini, the .factory si basa sulla tecnologia SPICE (Single Pass Inkjet Color Engine) che consente stampe fino a 907 metri quadri all’ora a una definizione di 300 dpi, anche se l’adozione di una scala di grigi a otto livelli farebbe pensare a una risoluzione molto piú alta. Simile per destinazione, ma diversa per concezione, la Xeikon 5000 sfrutta invece una tecnologia LED a toner secco. Evoluzione della DCP 500D, la nuova macchina mantiene la tecnologia OnePass-Duplex per la stampa fronte-retro simultanea, migliorando in qualità di output e produttività con la possibilità di aggiungere un quinto colore spot e arrivando a gestire supporti fino a 350 grammi. Dal canto suo, Heidelberg presentava, in collaborazione con Kodak, che ormai ne è la proprietaria, la stazione di stampa NexPress 2100, giusto
ibrido tra offset e digitale nella sua nuova versione con il quinto gruppo per bianco vernici o colori speciali . La gestione di contenuti variabili e la versatilità dei formati di stampa sono le basi per una forte personalizzazione dell’output, rinforzate dalla facilità di manutenzione e dai numerosi automatismi di impostazione e controllo di flusso. Tra le multifunzione spiccava la Riso Kagaku HC5000, una potente stazione office da 105 pagine al minuto. Dotabile di scanner A3, stazione di finitura e archiviazione, la Riso somiglia alla maggior parte delle concorrenti, se non fosse che... stampa a getto d’inchiostro! In contraddizione con le credenze popolari, questa soluzione permette non solo di abbassare i tempi di produzione, ma anche i costi per pagina: 0.025 Euro a colori (20% di copertura) e 0.010 in bianco e nero (5%).
L’attacco dei cloni
La piú tradizionale stampa a plotter, d’altro canto, non presentava novità eclatanti. Prosegue la migrazione verso l’UV e i solventi ecologici, aumentano le luci di stampa e la velocità, e giustificano i prezzi. Fedeltà cromatica e facilità d’uso, soprattutto per quanto riguarda la manutenzione e il cambio cartucce, sono argomenti spesso ostentati, forse per distrarre gli astanti da qualità visive lasciate un po’ indietro rispetto ad altri dettagli commercialmente piú importanti. Uniche eccezioni sotto questo punto di vista sono la HP 130, una inkjet da tavolo da 65 centimetri che, unendo le migliorie apportate a testine, inchiostri e carta, segna un altro gradino verso la riproduzione fotografica di altissima
qualità, mentre la Creo Veris Proofing si dedicava alle prove colore contrattuali di alto livello. Encad presentava il Novajet 1000i, caratterizzato dalla nuova famiglia di inchiostri Quantum Ink. Il Qi Dye Ink vanta un alto gamut colore e ristretti tempi di essiccazione, mentre il Qi Pigment Ink, di cui viene altrimenti vantato il gamut, è dedicato all’ uso esterno. In abbinamento a carte Kodak, le stampe eseguite col 1000i sono — secondo la documentazione rilasciata, ma chi può controllare? — garantite 30 anni; ci chiediamo se questo valga anche per l’esposizione in esterni. La produttività del 1000i può arrivare a 14 mq orari e la sostituzione delle cartucce è attuabile senza interrompere la stampa. L’SJ-1000 di Roland si vantava, piú che per la sua luce di stampa da 260 cm, per la velocità di 45 mq/h, mentre la rincorsa alla stampa piana vedeva protagonista l’FLJ-300, basato su tecnologia del cartaceo SP-300. Con un’area di lavoro pari a 762x1720 mm e un’altezza del supporto massima supportabile di 10,5 cm, la macchina è stata presentata con inchiostri Eco Sol Ink, ma è possibile utilizzare anche inchiostri pigmentati. Il premio innovazione va alla Durst Rho 160, che acquisisce una “W”, ovvero un quinto canale bianco. Le prove di stampa che abbiamo potuto esaminare presentavano diverse soluzioni grafiche, dal fondino neutro per opacizzare lucidi e altri materiali trasparenti, fino all’aggiunta di luci per l’uso di supporti scuri. L’inchiostro bianco, a base di ossido di titanio e relativamente differente dai pigmenti UV adottati per la quadricromia, richiede una pompa indipendente.
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La Riso HC5000, multifunzione velocissima a getto d’inchiostro
È acquistabile come kit di espansione per i modelli precedenti della stampante. E visto che quest’ultimo è un modello ibrido carta/supporti rigidi, andiamo a parlare di flatbed.
Tutti d’un piezo
Salvo alcune eccezioni, il mondo della stampa piana si sta stabilizzando su alcuni dettagli come testine piezo e piani aspiranti. Anche in questo caso, le innovazioni si vedono maggiormente in termini di produttività e miglioramento della risoluzione. Il mercato si sta diversificando, mettendo a disposizione modelli per tutte le esigenze. Ocè presentava la versione a inchiostri UV del T220. Dotato delle stesse caratteristiche del modello a solvente ma con un minimo di ecologia in piú, presenta lo stesso difetto: su alcuni supporti, come ad esempio la famigerata ceramica, il
fissaggio dell’inchiostro necessita di una verniciatura finale protettiva a parte... I flatbed UVjet di Zund erano presenti in diversi formati, tra cui il prototipo dell’XL-1200 da 1220 millimetri, come ambasciatore di modelli di ancora piú largo formato ancora in fase di studio. L’alta definizione di stampa raggiunta, 720 dpi reali, permetteva raffinatezze su diversi tipi di materiali, tra cui spiccava la stampa olografica su pvc microprismatico eseguita dall’israeliana HumanEyes. Il VeeJet di Scitex Vision era presentato come soluzione alla decorazione d’arredo, puntando su supporti come marmo, legno, vetro e metallo con spessori fino a 40 mm. Tra i dati piú indicativi, inchiostri UV a 720 dpi, luce di stampa fino a 2x3 metri e produttività fino a 36 mq all’ora. Allo stand Sericol, il mastodontico Inca Columbia Turbo segnava il record di
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Finalmente in pista il flatbed Roland FLJ-300
Stampa anche il bianco su un’infinità di supporti la Durst Rho 160W
160 mq orari, grazie a 64 teste di stampa ad alta risoluzione velocizzate del 35% rispetto al modello normale. Al suo fianco faceva bella mostra di sé il fratellino Spider. Con un piano da un metro per uno e mezzo, il “piccolo” è intenzionato a coprire il mercato della prototipazione ma anche alcuni settori della serigrafia, vista la compatibilità degli inchiostri UVjet. Il premio del “piú grosso” andava comunque al Jetprint 3530 UV di Lüscher, con piano di carico aspirante di ben 350x305 centimetri. L’imponente flatbed sfrutta testine piezo con 1024 ugelli per colore, accetta supporti fino a 80 mm di spessore e promette una produzione di 100 mq/h. Ed è stata una sorpresa, visto che la casa elvetica ci ha abituati al CtP, di cui è uscita con il piú grande del mondo appositamente progettato per il Jumbo di KBA.
La precisione dei plotter Zund consentiva ai tecnici HumanEyes la produzione di stampe olografiche
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Lo Spyder, il “piccolo” della famiglia Inca, utilizza inchiostri compatibili con la serigrafia
Da parte di Vutek, dopo averci abituati ai formati extra large, ha presentato UltraVu 150 un plotter inkjet di larghezza 60” (152 cm), disponibile nella versione 4 e 6 colori con immagini a 360 dpi su diversi tipi di materiale. La velocità di stampa è di 40 mq all’ora con un consumo di inchiostro molto ridotto.
Il Luscher Jetprint 3530, talmente grande da uscire dall’inquadratura
La stazione di stampa NexPress, frutto della collaborazione Heidelberg-Kodak
Sullo stand Roland Europe abbiamo incontrato Mario Picchio, amministratore delegato della Roland divisione DG in Italia, al quale abbiamo chiesto un’opinione su drupa e su come si affronta oggi il mercato. “Per la divisione DG (Digital Group) di Roland Europe, incaricata di commercializzare periferiche da stampa di grande formato – ci ha detto Picchio – drupa è una fiera che offre sicuramente nuove opportunità, al di là di quelle che provengono dal consueto settore della Visual Communication e della serigrafia.” In effetti, nello stand Roland, traspariva chiaramente la filosofia dell’azienda che proponeva un plotter entry-level e facile nell’utilizzo, “che, grazie alla facilità di penetrazione nel mercato – dice Mario Picchio,– ci permette di finanziare la ricerca per apparecchiature piú sofisticate”. Ma ciò che maggiormente Mario Picchio vuole sottolineare non è la presenza o meno in stand di una macchina nuova, poiché, oggi, “la novità non è la macchina, ma la capacità di far vendere al cliente finale. La vendita del prodotto contribuisce a finanziare la ricerca ma anche, e soprattutto, la cultura che vorremo traslare ai nostri clienti, tramite opportune attività di training”.
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La filosofia aziendale di Roland è infatti piuttosto innovativa, filosofia che Picchio definisce “l’artigiano tecnologico” e che valorizza il binomio della creatività dell’artigiano con l’utilizzo delle tecnologie implementate nei prodotti Roland. Per l’artigiano tecnologico, Roland ha creato un logo e un distintivo che, in occasione di drupa, Picchio porta, insieme ai suoi collaboratori, con orgoglio. “Abbiamo impostato la nostra strategia di vendita – ci spiega ancora Picchio –sull’addestramento offerto ai nostri clienti; ma non si tratta solamente di un addestramento tecnologico sulla macchina, bensì un training propedeutico che serve, a chi si avvicina alla stampa digitale di grande formato, a capire le basi tecniche e commerciali necessarie per servire bene il proprio cliente e valorizzare la propria attività. Iniziativa lodevole di fronte a tanta confusione. “Siamo consapevoli – aggiunge Mario Picchio – che per vendere un prodotto e continuare a venderlo, il nostro cliente deve essere in grado di comprendere le esigenze del cliente finale e quindi saper offrire la soluzione migliore per accontentarlo. È per questo che vogliamo creare cultura mediante i nostri corsi di formazione. Per noi il momento fieristico è un’occasione per sperimentare questa filosofia; infatti, si possono anche vendere macchine in fiera, specialmente nel nostro settore, ma dobbiamo farlo convincendo il compratore che dovrà a sua volta saper offrire quella ‘customer satisfaction’ mediante la quale lui stesso diventerà un’opportunità di profitto per il proprio cliente. Questo – conclude Mario Picchio – è il concetto
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A colpi di LED Con la nuova C9500 Oki si lancia nel campo grafica artistica
PROVE SUL CAMPO
Massimo Cremagnani
Dopo aver accumulato anni di esperienza nella stampa office, Oki gioca ora la carta della grafica con le serie C7000 e C9000. La tecnologia proprietaria LED digitale riduce il numero di consumabili e semplifica l’intero meccanismo di stampa, a favore della velocità e dell’impatto ambientale. Con 1200x1200 dpi di risoluzione massima, i risultati grafici e fotografici impressionano favorevolmente, soprattutto con immagini cromaticamente molto cariche
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facile confondersi, e definire le Oki come “stampanti laser”. Certo, per molti versi, il termine è appropriato: l’intero meccanismo è incentrato su tamburi fotosensibili e le cartucce contengono i toner che, per il fissaggio, sfruttano la potenza termica del fusore. Ma tutte queste — e mille altre — analogie, potrebbero non bastare, poiché le stampanti Oki non utilizzano quello che viene comunemente definito “laser” per l’impressione sul tamburo di stampa, bensì fasci di led. Ai fini pratici si tratta di sofismi, poiché i risultati sono raggiunti con un percorso analogo, virtualmente identico, e rientrano di fatto in quella fascia concettuale, percettiva e di mercato attribuita alla stampa laser. Approfondiamo l’argomento parlando dell’ultima stampante presentata, la C9500, espressamente dedicata al mondo della grafica.
La C9500 Oki aperta per mostrare i componenti di produzione
Apparenza e credenziali
Ebbene sì, abbiamo esagerato un po’. In realtà, la C9500 è in tutto e per tutto simile a una laser di pari categoria, fatta esclusione per il sistema di fotoincisione (vedi box). Il possente cubo grigio possiede un cassetto di alimentazione alla base e un vano di caricamento laterale, ma è possibile integrare la cassettiera multipla, oltre alla stazione di finitura per perforazione e pinzatura. Aprendo il blocco superiore si accede al cuore meccanico, contenente il castello di componenti di produzione: le cartucce di toner e i fasci di led. Il caricamento è abbastanza semplice, anche se bisogna fare un po’ di attenzione a non toccare le zone sensibili mentre si innestano le cartucce. Chiuso il cofano, la macchina è pronta per la stampa. I collegamenti disponibili (parallela, USB 1.1 ed Ethernet 10/100) sono riconosciuti dal
sistema operativo senza alcuna fatica. Come driver, è possibile installare sia il PostScript sia il PCL (consigliato, più che altro, con file che includono font TrueType), anche simultaneamente. Oltre all’opportuna calibrazione del colore, sono disponibili software per la correzione cromatica generale e per la generazione di curve applicabili al PostScript, che la stampante gestisce in maniera diretta (livello 3) insieme al PDF e al PCL5c. Tra i diversi programmi di gestione, segnaliamo il Template Manager, per l’impostazione semiautomatica dei più diffusi formati come etichette, biglietti da visita e banner.
Un po’ di numeri In termini pratici, la 9500 accetta fogli che vanno dall’A6 fino all’A3Wide, senza contare la possibilità di realizzare banner fino a 120x32 centimetri. Il limite di peso per la carta è stimato
Il display è un po’ sottodimensionato rispetto alle funzioni che gestisce
Gli inchiostri densi offrono un ottima copertura mantenendo anche i dettagli più fini
“Meditazione”, © Massimo Cremagnani 2004
in 203 grammi ma, a seconda della flessibilità del supporto, la macchina accetta senza problemi anche grammature leggermente superiori. La risoluzione massima di stampa è di ben 1200x1200 dpi, caratterizzata da toni ben saturi e un’ottima copertura, anche con carte “segnate”. La definizione dei dettagli è di alto livello anche se, a seconda dei profili utilizzati, è possibile incorrere in qualche “salto” nelle sfumature, un problema che può essere aggirato utilizzando appropriatamente i software a corredo. La gestione dei file è affidata a una memoria interna di 320 Mb (espandibili a un Giga) e, opzionalmente,
a un disco fisso da 10 Gigabyte controllato tramite un’interfaccia Web.
Oki C9500dn
I risultati
A un primo impatto, la Oki 9500 appare un po’ macchinosa per via dei driver, complessi a confronto con quelli di alcuni concorrenti. In realtà, preferiamo considerare questa “pecca” come uno degli ultimi baluardi di strumento specializzato, una macchina che, in mani competenti, può dimostrarsi estremamente versatile. La qualità plastica del toner, fortemente presente e, a seconda delle impostazioni, più o meno lucido, offre un audace
La tecnologia LED Digitale
La tecnologia LED digitale, proprietaria di Oki, sfrutta quattro barre (una per colore) di led posizionate sopra i tamburi. A differenza del sistema a luce laser, il cui fascio parte da un punto centrale per “scrivere” la lunghezza del rullo, la banda di led copre l’intera longitudine con un fascio perpendicolare, evitando i problemi di allineamento che possono pervenire con l’usura. La mancanza di parti in movimento, di specchi e di lenti, e la ridotta distanza tra sorgente e obiettivo sono quindi i punti di forza del sistema, tanto che Oki garantisce le testine led a vita.
Sul sito www.oki.it ci sono informazioni dettagliate sulla tecnologia LED
impatto visivo, una virtù da sfruttare però con cautela in caso di prove contrattuali. Oltre a questo, la 9500 si presta agevolmente a brochure, a documentazione grafica e mista, ma anche a stampe promozionali in bassa tiratura e in diversi formati. La produttività dichiarata di 30 pagine al minuto è ovviamente riferita a documenti A4 a bassa copertura, ma anche per immagini complesse in formato A3 i tempi sono più che buoni. I driver permettono numerose fasi di personalizzazione per adattare l’immagine al supporto secondo il gusto dell’utente, una qualità che consente soluzioni creative piuttosto che simulazioni di prove di stampa per progetti particolari.
Le barre led sono utilizzate anche sui modelli monocromatici
Stampante a colori in formato A3Wide Velocità dichiarata: 30 pagine/ minuto Risoluzione massima: 1200x1200 dpi Linguaggi: Adobe Postscript 3 con stampa diretta PDF e PCL5c; emulazione Epson FX e IBM ProPrinter Dot Matrix Carico massimo: 150.000 pagine/ mese Memoria interna: 320 MB; hard disk 10 GB opzionale Connessione: Ethernet 10/100, USB 1.1 Capacità carta: vassoio da 100 fogli più cassetto 530 fogli Dimensioni carta: A6-A3Wide, 64203 grammi. Formati personalizzati, banner fino a 1200 mm Prezzo: Euro 7150.00 Iva esclusa Informazioni: www.oki.it
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Sete di conoscenza I professionisti della grafica cercano risposte al convegno Creare>Stampare
COMPUTERGRAFICA
Massimo Cremagnani
Un evento di formazione verticale quello organizzato da InSide nel mese di giugno. Con tre conferenze monotematiche per ognuna delle tre fasce di interesse — fotografia digitale, impaginazione/editing e PDF/dati variabili — si sono voluti coprire i settori di maggiore coinvolgimento in campo grafico digitale. Le conferenze, tenute da professionisti di settore, hanno riscosso una grande attenzione da parte del pubblico per l’atteggiamento pragmatico dei relatori.
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uesto è il prodotto che fa per Lei! Lo prende, lo porta a casa, lo installa e fa tutto lui... il suo studio grafico è pronto!”. Questa è la manfrina che, nell’ultimo decennio, ha invaso quel settore della New Economy legata al mondo della grafica. Software raster o vettoriali, gestione o workflow, acquisizione o stampa, per ognuno di questi campi si presentava una (o più di una, tendendo le orecchie) pietra filosofale che avrebbe trasformato anche il più sprovveduto dei virtuosi in un grafico professionista, oppure un grafico “analogico” in uno digitale. C’è voluto del tempo, giusto quello necessario a rendere palesi i confronti con il mondo reale, per riportare sulla terra tutti quegli acquirenti — meritevoli o meno — che speravano, anzi, credevano
in una soluzione facile e immediata. Il caos fomentato da pubblicità ingannevoli e boriose, ma anche dalla disinformazione che accompagna i prodotti, è finalmente imploso in una disperata ricerca di padronanza del mezzo, unica via per distinguersi in un mondo dove la creatività senza competenza porta alla rupe Tarpea.
Tre per tre La soluzione, sembra strano, non risiede in quella miriade di corsi e corsettini monografici tanto sovvenzionati dalle Regioni o dalla UE, che, nel riassumere il contenuto di un manuale di istruzioni, lasciano il tempo che trovano. Rinnegando il famoso detto “chi sa fa, chi non sa insegna”, InSide propone corsi realizzati e tenuti da professionisti con esperienza diretta,
alcuni su argomenti standard ma focalizzati a ben precise produzioni, o appositamente studiati in base a particolari identità professionali. Da questa esperienza e, un po’ per promozione, nascono poi eventi come Creare>Stampare, una giornata in full immersion che ha riunito le diverse branche di professionisti del digital imaging sotto un unico tetto, per ascoltare chi ne sapeva di piú. Le due giornate, una a Milano e una a Roma, hanno raccolto 250 partecipanti. Tre i filoni principali: fotografia digitale, impaginazione/ editing e PDF/dati variabili, ognuno rappresentato da tre interventi maggiormente focalizzati. In campo fotografico si è parlato dei tanti dettagli tecnici che circondano questo mondo, spesso nascosti o confusi dalle varie scuole aziendali,
dell’onnipresente Photoshop e di profili e calibrazione. L’editing vedeva protagonisti i font e le loro ultime evoluzioni, Illustrator e il packaging e, in maniera un po’ drastica ma realistica, il passaggio da XPress a InDesign. Del PDF, acronimo che incorpora ormai un intero universo, si sono affrontati i metodi di creazione e di gestione, soprattutto durante il workflow, mentre i dati variabili sono stati esaminati in maniera un po’ autoreferenziale da parte di HP, una presa di posizione che ha causato qualche dissenso. L’iscrizione all’evento (150 € + Iva) permetteva di spaziare liberamente tra le conferenze, eleggendo le tre lezioni indipendentemente dalla collocazione contestuale.
Per concludere La parte del leone era quindi sostenuta da Adobe, leader di mercato sull’orlo del monopolio ma benvoluta dagli utenti più esigenti. Se tutti noi, da sempre, utilizziamo questi programmi (fatta eccezione per XPress, naturalmente) e li consideriamo un riferimento obbligato, non si può dire lo stesso di prodotti per il preflight e la gestione dei dati variabili, argomenti che, da programma, avrebbero meritato un discorso piú sfaccettato. La stessa progenie del PDF meriterebbe un mese di conferenze, ma almeno questo piccolo passo è stato fatto. Alcuni discorsi tendevano saltuariamente all’accademico, ma bisogna ammettere che gli interventi in tempo reale degli “studenti”, ognuno con esperienze personali ben precise, risollevava spesso il tono Corso di Adobe InDesign CS Autore: R.Dechler, con L. Agosti e M.Oriani Durata: 13 ore Prezzo: 150,00 Euro + Iva Info: www.teacher-in-a-box.it
Interventi personali e segreti svelati al corso di fotografia digitale
delle conferenze, riportando a valori pratici le richieste di informazioni e di soluzioni. Questo tipo di confronto, nello stile ormai collaudato dei newsgroup, risulta indubbiamente piú produttivo di una qualsivoglia manualistica e piú immediato di una sudata esperienza personale diretta. Appoggiamo quindi questo genere di
incontri come riferimento alla serietà professionale e all’evoluzione del mondo della computergrafica, con tutte le responsabilità che questa forma di comunicazione comporta. Per visualizzare nel dettaglio i temi trattati e ottenere informazioni sulle prossime edizioni, consultate il sito www.insidesrl.it
I figli di Adobe crescono
I corsi multimediali di Teacher-in-a-Box Un gruppo di ACE (Adobe Certified Expert) si dedica alla formazione. Da un’idea di Ana Paula Tamburini nasce la collana Teacher-in-a-Box, una serie di corsi multimediali su DVD pratici e immediati dedicati ai software di computergrafica. Il primo della serie riguarda InDesign CS, ma sono allo studio corsi sugli altri prodotti Adobe, oltre a Matrox RTX 100 Extreme, Maya, Filemaker e Director. Per maggiori informazioni sulle ultime edizioni potete consultare il sito www.teacher-in-a-box.it. Il corso si sviluppa come un normale manuale monografico, presentando i singoli argomenti in 173 filmati descrittivi (per un totale di ben 13 ore) a una risoluzione di 1024x768. L’indice permette di selezionare le singole lezioni a seconda dell’interesse, anche in ordine sparso, mentre un software installato in background tiene conto di quanto già visitato. Alla fine del corso si ottiene l’accesso all’area riservata del sito Internet di TiaB, ricca di extra, tips e utilità varie. Sempre in quest’area è possibile sostenere un esame on-line per verificare quanto appreso. Se il DVD risente delle normali pecche di una prima edizione (alcune delle quali già risolte, mi assicura Ana Paula, come un audio non sempre eccelso o la mancanza di un motore di ricerca interno), bisogna riconoscere la completezza degli argomenti trattati, alcuni dei quali esulano dalla normale documentazione del programma. Tra questi plus spiccano i capitoli sulle applicazioni cross-media, sulla produttività e sulla migrazione da XPress, tutti argomenti di alto valore pratico indubbiamente dedicati al mondo professionale.
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A lezione di MX I manuali “autorizzati” da Macromedia pubblicati in Italia da Mondadori Massimo Cremagnani
RECENSIONE
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hi si avvicina per la prima volta ai software Macromedia, può cercare di apprenderne il funzionamento mediante la guida in linea, gli help contestuali, alcune esercitazioni e, nei casi più specifici, con le diverse risorse online, ufficiali o meno. Per avere un percorso didattico esauriente, su cui seguire con linearità l’esplorazione progressiva dei singoli programmi, è necessario spulciare il cd di installazione fino alla cartella “Documentation”. Qui è possibile accedere a numerosi PDF, alcuni dei quali in inglese, tra cui i veri e propri manuali dei programmi. Questi documenti sono esaurienti e ben organizzati, grazie anche ai link di riferimento interni ma, vista l’enorme mole, consultabili solo a schermo: quello di DreamWeaver è di 810 pagine, mentre per ActionScript arriviamo oltre 1200! Riportarli su carta in maniera indipendente si rivela quindi un’utopia. Così Macromedia, per soddisfare chi riesce a studiare solo su carta (e ormai è assodato, è il metodo più funzionale), ha delegato ad alcuni guru la stesura di manuali coerenti in forma di lezioni ragionate, acquistabili separatamente. Non si tratta della versione cartacea dei PDF che, tra l’altro, sono più completi, ma di edizioni autorizzate indipendenti. In Italia, questi manuali sono pubblicati da Mondadori, nella collana “Corso Ufficiale”. Al momento sono disponibili i testi relativi a DreamWeaver, FireWorks, Flash e ActionScript; sono invece in corso di pubblicazione un testo sull’uso integrato dello Studio MX e uno sullo sviluppo di applicazioni Flash. Ne segue che i testi monografici, più
versione demo. L’acquisto è quindi consigliato per chi “parte da zero”, un investimento utile a sondare sia il programma in sé, sia la propria predisposizione all’uso dello stesso. Per chi fosse già in possesso del pacchetto software, la scelta è più combattuta: una versione stampata dei manuali ufficiali — anche offerta a un prezzo contenuto come plus al pacchetto di applicativi — sarebbe stata una scelta senza dubbio più corretta da parte di Macromedia.
che dedicarsi a progetti completi (e complessi), si “limitano” ad analizzare nel dettaglio le singole funzioni dei programmi, un’impresa senza dubbio impegnativa già di per sé. I testi sono divisi in lezioni in cui si realizzano le singole parti di un progetto, focalizzato di volta in volta sull’uso e sull’apprendimento di determinati strumenti. All’inizio di ogni capitolo si accenna al tempo necessario per lo svolgimento delle operazioni (in media un’ora) e, alla fine, si invita il lettore a procedere con un progetto indipendente per ripassare quanto appreso. Le lezioni sono corredate da immagini chiare anche se, in alcuni casi, troppo focalizzate su un singolo passaggio, lasciando alcune perplessità a chi ancora non ha dimestichezza con le interfacce utente e il posizionamento dei comandi. A ogni libro è allegato un CD-Rom contenente i file di esercitazione utilizzati durante le lezioni (intermedi e finali) e i software in questione in
DreamWeaver MX 2004 Ð Corso Ufficiale Khristine Annwn Page Mondadori Informatica, € 40,00; 582 pag. b/n + CD-Rom Titolo originale: Macromedia DreamWeaver MX 2004 — Training from the Source FireWorks MX 2004 — Corso Ufficiale Patti Schulze Mondadori Informatica, € 30,00; 304 pag. b/n + CD-Rom Titolo originale: Macromedia FireWorks MX 2004 — Training from the Source Flash MX 2004 — Corso Ufficiale Jen Dehaan Mondadori Informatica, € 35,00; 464 pag. b/n + CD-Rom Titolo originale: Macromedia Flash MX 2004 — Training from the Source Flash MX 2004 ActionScript — Corso Ufficiale Derek Franklin, Jobe Makar Mondadori Informatica, € 50,00; 766 pag. b/n + CD-Rom Titolo originale: Macromedia Flash MX 2004 ActionScript — Training from the Source
La fabbrica del Web I Web visual editor di Macromedia abbracciano i programmatori
WEB DESIGN
Massimo Cremagnani
Sempre più ergonomia, sempre più integrazione tra gli applicativi e una passata di trucco alle interfacce grafiche per invogliare gli esteti. Le nuove possibilità di programmazione, la compatibilità con i linguaggi più gettonati e il gran numero di risorse disponibili sul Web sono tutti elementi a favore degli sviluppatori, mentre ai virtuosi della grafica rimangono i già consolidati strumenti visuali e un po’ di perplessità sulla gestione del codice. Macromedia stuzzica su tutti i fronti con innovazioni funzionali e gestionali, per passare dal “semplice” Web design alla realizzazione di applicazioni multimediali diversificate, sposando gli standard e i linguaggi più diffusi senza comunque rinnegare la creatività figurativa
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ggi parliamo dell’ultima versione di Macromedia Studio 2004, ovvero il kit del piccolo grande Web designer. I software in questione devono la propria fama alla creatività wysiwyg, grazie alla quale l’iter progettuale segue la linea visiva dell’artista/ illustratore. Ma qualcuno ha — più o meno oculatamente, lo vedremo col tempo — preso a considerare limitato il solo mercato dei grafici, sostenendo a piene mani l’importanza degli sviluppatori nel campo della multimedialità. La tendenza di MX 2004 è infatti di fornire strumenti di programmazione avanzata e compatibilità con gli standard comunicativi di maggiore rilievo per uscire dal concetto di “sito” in favore di “applicativi Web”, espandendo le funzionalità compositive e gestionali dei progetti. Il pacchetto è disponibile in due versioni, standard e professional. La prima contiene Dreamweaver MX 2004, Fireworks MX 2004, Flash MX 2004 e FreeHand MX (senza 2004, ancora una volta indietro di un turno). Nella seconda, Flash è presente in una versione Professional, dalle caratteristiche più avanzate. In entrambi i casi, la collezione è contenuta in un unico disco, nelle
versioni Windows e Mac. I programmi possono comunque essere acquistati separatamente. Come ormai consueto, la corsa all’ultima release ha fatto sì che Studio MX 2004 uscisse prima di un esauriente beta testing. Questo significa che ogni programma commercializzato contiene la sua bella dose di bug. La soluzione consiste nello scaricamento degli “updater” dal sito Macromedia (www.macromedia.com/ support), uno per ogni software in questione. Rigirando il coltello nella piaga, rileviamo che un aggiornamento più automatizzato sarebbe stato gradito. Come accennato, FreeHand è quello dello scorso anno. Tra le funzioni legate agli altri applicativi del pacchetto, ricordiamo l’interoperabilità con Flash e FireWorks, l’unificazione dell’interfaccia (più o meno...), gli Effetti dal vivo raster e vettoriali (come in FW) e l’esportazione in swf. Per l’analisi approfondita vi rimandiamo all’articolo pubblicato su Graphicus n° 1005. Procediamo quindi con le vere novità.
Viva i CSS Sin dagli albori, ma soprattutto dalla quarta release, Dreamweaver si è imposto sul mercato del Web design grazie alla duplice identità di editor visuale e compilatore di codice, guadagnandosi i favori dei creativi quanto quella degli sviluppatori. Negli ultimi anni è stato affiancato da altri applicativi come UltraDev (per l’integrazione di tecnologie lato server come JSP, PHP e ASP) e HomeSite (come editor di codice avanzato). Questo dualismo procede quindi con equilibrio, affiancando la
Lo splash screen dei prodotti MX offre diverse opportunità di progetto
ben nota ergonomia all’automatismo nella codifica. La novità più eclatante in questa versione 2004 riguarda infatti la creazione e la gestione di CSS. La metodica ricorda molto da vicino l’editing degli stili nei software di impaginazione e di scrittura, in cui basta impostare visivamente una riga di testo e poi salvarne le caratteristiche. Naturalmente, le potenzialità dei CSS permettono di impostare stili di visualizzazione estremamente complessi, utili per la personalizzazione e la modifica dei layout ma anche per implementare l’accessibilità ai siti, oggi molto sentita (per non dire ostentata). La stesura dei CSS è inoltre coadiuvata dal relativo pannello, dotato di menù a tendina per la scelta delle singole opzioni, mentre il codice viene scritto automaticamente tenendo conto delle priorità della “cascata”. La funzione Controlla browser permette quindi di verificare simultaneamente la compatibilità dei CSS con i browser principali (Explorer, Netscape, Mozilla, Opera e Safari) partendo dalla versione che si desidera. In caso di funzioni non
Il nuovo codice ActionScript è piuttosto diverso dal precedente. Fortunatamente ci sono i suggerimenti…
supportate, un pop-up ne evidenzierà i dettagli, consentendo di modificare il codice o ignorare la questione (una libertà gradita). La correzione di ogni tipo di codice è semplificata dal nuovo pannello Cerca e sostituisci, ampliato per l’inserimento di grossi stralci di testo sia per la ricerca, sia per la sostituzione, e dall’Editor di Tag, attivabile col pulsante destro del mouse. È inoltre garantito pienamente il supporto Unicode. L’inserimento di tabelle vanta una finestra indipendente complessa in cui è possibile preimpostare dettagli per l’accessibilità e intestazioni di riga o di colonna. Durante l’elaborazione vengono mostrate in tempo reale le dimensioni delle righe, delle colonne o dell’intera tabella, mentre un menù a tendina incorporato permette rapide manipolazioni. L’ambiente di lavoro può infine variare in modalità Tabelle Espanse o Layout, il primo per facilitare la gestione di margini e spaziature, il secondo per una visualizzazione più realistica. Tagliando e incollando parti di documento da Word o Excel, Dreamweaver mantiene fonts, tabelle e colori convertendoli in CSS. I risultati, a seconda dei casi, possono essere un po’ pesanti, restituendo la preferenza sul più preciso comando Importa. È stata soppressa la Timeline, una funzione considerata poco popolare. Chi ne sentisse in ogni caso il bisogno, può sopperire mediante le Extensions disponibili in Exchange, oppure approfittare dei nuovi controlli sui filmati Flash per inserire, tramite la palette Tag, diverse tipologie di riferimenti senza ripassare dal programma omonimo.
…e la guida in linea
La modalità Tabelle Espanse di Dreamweaver permette un maggiore controllo
Queste potenzialità si aggiungono alle rinnovate funzioni di testo e pulsanti Flash.
Animazione codificata Per il 2004 sono state sfornate ben due versioni di Flash, il noto programma di animazione vettoriale: Standard e Professional. In generale è stata messa un po’ in disparte la progettazione visiva favorendo invece la programmazione avanzata, con l’idea di rivalutare una volta per tutte Flash come applicativo di sviluppo a tutto tondo, in competizione/combutta con Java, a cui è visibilmente ispirato. Questo lascia un po’ in disparte i Web designer “visuali”, e forse l’idea di scindere in due versioni il programma non è del tutto sbagliata, anche se ancora poco mirata. Infatti, in entrambi i casi le novità più rilevanti comprendono una nuova versione di ActionScript (eh sì, un bel po’ diversa dalla precedente, ancora supportata ma...fino a quando?) e il supporto per i CSS (sempre tramite ActionScript). La versione Professional, in più, consente la creazione di applicazioni in ambiente di tipo “form” e di presentazioni (slides) con organizzazione gerarchica, e possiede strumenti di gestione progettuale avanzati come il pannello Progetto, nuovi metodi di gestione dati e di codifica video. L’inserimento di Componenti in ogni genere di progetto avviene tramite drag&drop dall’omonima palette. La già ricca dotazione è ulteriormente ampliata nella versione Pro, in cui troviamo componenti più specifici per la gestione di dati lato server e di oggetti multimediali in streaming. Inoltre, Flash eredita da
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Dreamweaver la finestra Comportamenti. I comodi comandi a cascata si occuperanno di inserire il codice necessario ad eseguire particolari funzioni, soprattutto quelle legate all’esecuzione audio e video. Gli Effetti di timeline semplificati, gestiti da finestre indipendenti con tanto di preview, velocizzano la progettazione di alcune tipologie di animazioni, restando però un po’ limitati. Fortunatamente, è possibile intervenire in seguito per eventuali affinamenti manuali. Sempre a livello grafico, troviamo la possibilità di importare direttamente file Illustrator e PDF, e la gestione antialiasing per il testo. Tutte queste novità hanno comunque preso il posto altre, maggiormente richieste da un gran numero di utenti, come la gestione dei simboli, gli effetti raster e una più pratica creazione di sequenze nello stile di LiveMotion, solo parzialmente integrata negli Effetti di Timeline.
Deja-vu con stile Anche per FireWorks abbiamo una nutrita serie di innovazioni. A dire il vero, si sente una certa influenza di Photoshop, che comunque ha dato i suoi frutti. Abbiamo infatti uno Strumento Sostituisci colore e uno shortcut per nascondere tutti i pannelli (tasto Tab), ma soprattutto gli Effetti dal vivo, che funzionano similmente agli effetti
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Macromedia Studio MX 2004
Requisiti di sistema Pc: Pentium III 600 o sup., Windows 98se, 2000 o Xp, 256 Mb Ram Requisiti di sistema Mac: PowerPC G3 500 o sup., Mac OS X 10.2.6 o superiori, 256 Mb Ram Prezzo (versione Pro): Euro 999,00 (1.129,00); aggiornamento Euro 479,00 (569,00) Info: www.macromedia.com/it
di livello, cioè senza intaccare la forma originale, anche vettoriale. Ampliati rispetto alla versione precedente (e a quelli di Freehand MX), permettono elaborazioni come sfocature complesse, regolazioni cromatiche e distorsioni. Anche lo strumento Rimuovi occhi rossi arriva direttamente dal mondo del fotoritocco, ma non per questo FireWorks può essere incluso in questa categoria. FW è un programma a sé, sapientemente ottimizzato per ogni genere di grafica dedicata al Web, ancora più rapido nella modifica degli elementi nei limiti estetici propri di questo settore. La libreria di Forme automatiche contiene oggetti complessi di uso comune come bottoni, orologi e altri solidi già predisposti per facili adattamenti. Ogni oggetto contiene infatti maniglie di attivazione per funzioni particolari, come ridimensionamenti parziali o relativi, duplicazione di dettagli eccetera. È possibile costruire le proprie forme automatiche e dotarle di queste peculiarità, così come si può ricorrere alle risorse Internet per ampliare la propria collezione. Il richiamo automatico ad altre librerie sul Web, però, col software italiano non funziona, costringendoci a una ricerca specifica all’interno di Macromedia Exchange. La gestione ibrida di oggetti raster e vettoriali, nonché la generazione di file dedicati al Web contornati da relativi codici mantengono FireWorks ad un alto livello di utilità nell’ambito creativo. La compressione jpeg selettiva è ora disponibile per ogni slice e, separatamente, per testo e bottoni. Tramite la barra delle proprietà è inoltre possibile attivare diverse impostazioni di antialiasing per il testo, differenti a seconda del sistema operativo utilizzato.
innovativo per “scoprire” cosa è possibile fare con i software di Macromedia. Le possibilità creative pressoché infinite lasciano infatti un leggero sconforto per i primi (e i secondi) tempi di utilizzo, in cui è laborioso associare le funzioni dei comandi come descritti nelle varie guide alla loro effettiva potenzialità. In due parole, l’unico modo per eccellere è la pratica, unita a notti insonni sulle risorse Web, newsgroup in primis. A tutto ciò và aggiunto il nuovo ActionScript, più pratico per gli smanettoni ma fortemente spiazzante per i grafici eruditi che a fatica erano riusciti a masticarne un pochino nell’edizione precedente. La preponderanza di compilatori, soprattutto in DW e Flash, ci porta a rivedere l’allegorico dualismo architetti/ingegneri. In una nuova era creativa, i due antipodi associati sfideranno un inedito, ipotetico essere ibrido con doti matematiche ed estetiche congiunte, rivelando magari nuovi livelli espressivi come già succede nell’hacking di alto livello. Restando sul pianeta Terra ancora per un po’, notiamo comunque che il pacchetto vanta due programmi leader, DreamWeaver e Flash. L’acquisto è quindi consigliato a chi opera intensamente su almeno uno di questi due applicativi, sempre tenendo in considerazione il plusvalore della loro interagibilità. FireWorks rimane un ottimo compendio per la manipolazione di immagini, mentre l’apporto di Freehand rimane lievemente in secondo piano, anche a causa dei nuovi strumenti vettoriali in FW e Flash. Infine, a chi avesse ancora le idee un po’ confuse, ricordiamo che i programmi sono scaricabili in versione Trial dal sito ufficiale, per una valutazione più personale prima dell’eventuale acquisto.
Evoluzione o rivoluzione? All’apertura, i tre programmi 2004 presentano uno splash screen che invita all’apertura o alla creazione delle diverse tipologie di progetto contemplate, più la possibilità di accedere a file di esempio o a quel pozzo senza fondo di risorse che è Exchange. Questa opportunità, se da un lato invoglia a copiare (o ad acquistare) progetti fatti da altri, per altri versi rimane un metodo
Le Forme Automatiche di FireWorks incorporano funzioni di modifica semplificate
Zitta e stampa Semplicità e affidabilità della stampa laser con Xerox Phaser 7750DN
PROVE SUL CAMPO
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Potrebbe usarla anche un bambino. La Phaser 7750 riflette l’esperienza di Xerox verso clienti poco avvezzi alla tecnologia ma pretenziosi in fatto di stampe di qualità, con una tiratura record di 35 pagine a colori al minuto. Formato SRA3 fino a 220 grammi, 1200x1200 dpi, hard disk interno da 20 GB sono solo alcune delle caratteristiche della stampante laser dedicata alla grafica. La meccanica è integrata dal software PhaserCal per la calibrazione del colore.
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lcuni anni fa, in una lettera a Babbo Natale, un bambino, che da grande voleva fare il grafico pubblicitario, espresse il suo desiderio: una stampante laser a colori veloce e precisa, che non desse problemi d’installazione, mantenesse la calibrazione, supportasse un formato cartaceo dignitoso in termini di ampiezza e di peso. C’è voluto un po’ di tempo, ma il desiderio di quel bambino è stato esaudito. Rapida e indolore, la 7750 si presenta come soluzione ottimale
Titolo titolo inlgese Potrebbe usarla anche un bambino. La Phaser 7750 riflette l’esperienza Xerox verso clienti poco avvezzi alla tecnologia ma pretenziosi in fatto di stampe di qualità, con una tiratura recor
per presentazioni e prove di stampa contrattuali. Questa presunzione è dovuta a un mix di ingredienti espressamente studiati da Xerox per permettere stampe di qualità con il minimo sforzo da parte dell’utente. Dei quattro modelli disponibili abbiamo provato la versione DN, che include connessione di rete, software di calibrazione PhaserCal e alimentatore fronte/retro (esclusi dal modello B). Per i più esigenti, la versione GX è dotata di cassettiera multipla, mentre
la DXF può contare anche sulla stazione di finitura.
Pronti, via! La semplicità si vede sin dal momento dell’installazione, semplice e a prova d’errore grazie alla chiara documentazione illustrata e ai numerosi avvertimenti posti su ogni singolo componente. Dall’apertura dell’imballo alla prima stampa Ð quella informativa prodotta automaticamente all’avvio - passano meno di venti minuti.
Il vano di caricamento dei consumabili è di facile accessibilità
Il driver di stampa è essenziale, quasi ridotto all’osso, per rispettare gli standard predefiniti
Il pannello di controllo vanta un ampio display; il dialogo con la stampante è pratico e intuitivo
Altrettanti saranno necessari per la verifica completa della calibrazione (sono disponibili diversi livelli di controllo), che nel nostro caso era già praticamente a posto. Altrettanto automatica è l’installazione dei driver, che provvederanno all’identificazione della stampante qualunque sia la connessione prescelta: Ethernet o USB 2.0. La velocità della 7750, fino a 35 pagine A4 a colori al minuto, è dovuta a una complessa ricetta hardware. Il RIP interno si basa su di un processore G4 da 715 MHz, affiancato da 384 Mb di Ram
(espandibili a 1 giga) e da un hard disk da 20 Gb. Più potente dei desktop con cui alcuni di noi lavorano ancora! A condire il tutto, la 7750DN integra il supporto nativo Adobe PostScript 3 (con 137 font), e accetta formati che vanno dall’A6 fino ai banner di 320 x 1.000 mm.
benino, con conseguente consumo di carta e inchiostro. Il controllo remoto avviene, come di consueto, tramite un’interfaccia Web. Per quanto curato nella grafica, il sistema è sibillino nelle didascalie di sezione e piuttosto macchinoso nella gestione dei lavori su disco fisso. In questo caso, gli help servono a ben poco in confronto alla sperimentazione diretta. Lo stesso driver di stampa offre poche possibilità di intervento, preferendo all’esperienza dell’utente i vari automatismi dettati dai sensori e dalle impostazioni di base. Questa scelta può essere decisamente comoda per gli inesperti, ma rimane un po’ frustrante in campo creativo. Rimangono per le mani tre impostazioni di qualità (bozza, normale e foto) e la possibilità (o meglio, la necessità) di selezionare qualità e formato della carta.
Xerox Phaser 7750Dn
Stampante laser a colori in formato A3 Wide Velocità dichiarata: 35 pagine/minuto Risoluzione massima: 1200x1200 dpi Linguaggi: Adobe Postscript 3 originale (137 font), PCL5c (81 font) Carico massimo: 150.000 pagine/mese Memoria interna: 384 MB (espandibile fino a 1 Gb); hard disk 20 GB Connessione: Ethernet 10/100, USB 2.0 Capacità carta: vassoio da 150 fogli più cassetto 500 fogli Dimensioni carta: A6-SRA3, 65-220 g. Formati personalizzati, banner fino a 1200 mm Prezzo: Euro 8249.00 Iva esclusa Informazioni: www.xerox.it
Giù le mani Se la lasciamo fare, e tutto va bene, la 7750 è un vero gioiellino. Ma se vogliamo capirci di più o intervenire in una qualsivoglia maniera, il discorso cambia leggermente. La documentazione è puntigliosa ed esauriente, ma un po’ difficile da raggiungere. Uno dei cd-rom allegati contiene diversi manuali monotematici in PDF, scomodamente rintracciabili solo dall’interfaccia del disco, una soluzione che richiede un pizzico di intuito e di fortuna per raggiungere l’argomento desiderato. Più coerenti ma di difficile consultazione sono, invece, le istruzioni interne, accessibili dal pannello di controllo della stampante. Una volta selezionato l’argomento, la macchina provvederà a stamparlo per
Le stampe sono nitide e fedeli all’originale. La retinatura rispecchia le produzioni offset
Un nuovo standard Anche per quanto riguarda i risultati finali, Xerox sceglie una direzione precisa. Le stampe ottenute con la 7750 sono nitide ma non eccessivamente lucide, un pregio che molti apprezzeranno al momento di presentare al cliente prove di stampa di progetti destinati all’offset, vista l’ottima approssimazione delle caratteristiche percettive. Le sfumature sono continue e i dettagli, grazie alla risoluzione di 1200x1200 dpi, perfettamente conservati, anche con supporti non perfettamente lisci. Con il modello 7750, Xerox asseconda il senso edonistico di studi grafici e pubblicitari, ma soprattutto di tipografie e stamperie in cui il “tutto, subito e bene” è una richiesta concreta.
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Il tessile on demand Il plotter MonnaLisa tra prototipazione e produzione
STAMPA TESSILE
Massimo Cremagnani e Johanna Wahl
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Dopo anni di esperienza nella produzione di macchinari tessili, la ditta Robustelli conferma la propria attenzione all’evoluzione di mercato proponendo MonnaLisa, una stampante digitale ad alta produttività. L’innovazione tecnologica è frutto della collaborazione con Epson per la tecnologia di stampa e di Fortex per gli inchiostri speciali Genesta, ma anche di numerose aziende tessili, che hanno investito in ricerca e sviluppo per una nuova era del tessile. Abbiamo vissuto questa sperimentazione come nuova linfa creativa, seguendo sul campo due distinte linee di pensiero cercando di combinare la tecnica e l’arte di Massimo Cremagnai con la professionalità della stylist Johanna Wahl.
Inglese inglese
Il plotter Monnalisa per stampa tessile
P
rovincia di Como, anno 2004. La zona è da tempo rinomata fucina di industrie tessili specializzate nella lavorazione della seta, tramandate di generazione in generazione e cresciute a ogni passaggio di mano grazie anche a una attenta dotazione tecnologica. Oggi la realtà economica ha indirizzato molti clienti verso la produzione in oriente, decisamente più conveniente a fronte di una leggera – ma significativa – perdita di qualità, svalutando non solo la produzione nazionale contemporanea quanto lo storico valore del made in Italy. Ma se qualità significa spesso mercato verticale elitario, competizione creativa e duttilità produttiva, viene automatico pensare al digitale, seppur con l’immancabile handicap dei costi di produzione. Questo criterio, unito alla relativa instabilità delle neonate tecnologie, ha sempre relegato la stampa tessile digitale al campo della prototipazione, un elemento non sempre fedele alla relativa produzione di serie. Lo scopo di MonnaLisa è proprio quello di eludere questi limiti.
Raffinato mastodonte MonnaLisa della ditta Robustelli è imponente, un parallelepipedo di tre metri e mezzo per due alto come un umano, più i moduli di caricamento e di recupero dei tessuti. Al suo interno agiscono sofisticate
state appositamente studiate per MonnaLisa. La scelta della tavolozza ricade quindi sull’operatore, in base al tipo di tessuto e di immagine per ogni produzione, ma anche al driver di stampa adottato e alle relative combinazioni cromatiche. È opportuno ricordare che, in ogni caso, i tessuti necessitano di un pre-trattamento e di un successivo fissaggio. Il binario magnetico su cui viaggia il carrello di stampa di MonnaLisa previene inceppamenti e usura
tecnologie atte a mantenere i più alti livelli qualitativi. Il carrello di stampa, dotato di 24 teste Epson da 720 dpi, scorre morbidamente su di un binario magnetico, prevenendo così inceppamenti e usura. Il trascinamento del tessuto è affidato a un tappeto ad anello chiuso rivestito di collante, integrato da un sistema di lavaggio automatico. Una particolare attenzione è stata dedicata agli inchiostri speciali Genesta prodotti dalla Fortex confezionati in appositi involucri usa e getta che vengono spremuti fino all’osso da un sofisticato sistema a pressione. L’impianto garantisce quindi il mantenimento costante del flusso e protegge il circuito da eventuali bolle d’aria. La stampante gestisce fino a otto colori, anche se il listino Genesta vanta dieci tonalità di tipo acido e undici di tipo reattivo. Entrambe le tipologie sono
Gli inchiostri Genesta nella confezione usa e getta appositamente studiata per il sistema a pressione di MonnaLisa
Scegliere il software Monnalisa è sul campo già da un paio d’anni, ma solo ora la dedizione del costruttore e di alcune aziende selezionate ha portato alla personalizzazione necessaria a vere e proprie produzioni. La struttura modulare della stampante consente modifiche e personalizzazioni continue, studiate da Robustelli sulla base del feedback dei clienti, mentre la configurazione aperta del formato proprietario .robust consente l’utilizzo di diversi tipi di software studiati da aziende indipendenti. A questo proposito abbiamo potuto verificare le funzionalità di due differenti programmi: Aleph (www.alephteam.com), presso il produttore, e Julie (www.studios ynthesis.it), utilizzato dall’azienda Incisione Giana. Entrambi i pacchetti software si occupano principalmente di “variantatura”, con impostazioni di base fortemente diverse, ma egualmente valide.
Il disponibilissimo Jonathan Giana di Incisione Giana (Como) mentre analizza alcune prove di stampa con Johanna Wahl
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più libera scelta delle miscele per il raggiungimento di tonalità ricercate mediante l’utilizzo del giusto mix di colori.
STAMPA TESSILE
In azione
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Le applicazioni principali del software di stampa tessile Julie
Con Aleph, la pianificazione dei colori si effettua passando attraverso profili colore e valori di quadricromia (anche se sono supportate sorgenti di ogni spazio colore), generando così un numero limitato, ma preciso, di varianti. È possibile anche utilizzare uno spettrofotometro per l’acquisizione di colori campione, oltre che a verificare le precedenti impostazioni su una prova di stampa. Julie permette invece di gestire in maniera indipendente le miscele dei colori, avvicinandosi per questo al tradizionale metodo di stamperia. Le percentuali di colore (255/1) vengono regolate in relazione ai colori installati, alle singole teste e all’uso della goccia variabile. Questo sistema risulta inizialmente più laborioso, almeno fino al raggiungimento di un’ampia campionatura, ma permette una
Prima di partire è opportuno eseguire un test di pulizia, spesso necessario per la viscosità degli inchiostri. Stando alle testimonianze, il problema dell’otturazione può presentarsi solo a macchina spenta, e non è mai stato necessario interrompere una stampa. Abbiamo visto stampare su seta e su cotone, due dei più comuni (e versatili) tessuti affidati al digitale. Nel caso di materiali nuovi, si impone qualche prova per verificare l’assorbimento della stoffa, poiché le impostazioni dei driver risultano comunque indicative di fronte alle molteplicità di tessuti disponibili. Con campiture molto ampie, sovrastate da dettagli finissimi, sono bastate pochissime correzioni per ottenere il risultato desiderato, già notevolmente lucido ancor prima del fissaggio a vapore. L’ottima copertura e l’alta risoluzione rendono giustizia ai disegni più complessi, proponendo così possibilità creative che vanno ben oltre le tinte piatte. Gli inchiostri Genesta rispettano la lucentezza e la trama dei supporti, con predilezione per quelli più lucidi e a trama molto fitta, mentre un esperimento con un panno decisamente spesso e poroso (benché preparato all’uopo) ha mostrato eccessi di assorbimento. Nessun problema invece per il tappeto di trascinamento, grazie al sistema di lavaggio automatizzato, anche dopo evidenti trapelazioni di inchiostro.
Johanna Wahl controlla con soddisfazione la stampa dei propri modelli
Robustelli Monnalisa
Stampante tessile di grande formato, tecnologia piezoelettrica a inchiostri acidi, reattivi, dispersi Risoluzione: 360x360, 360x540, 360x720, 720x720 dpi Dimensioni (LAP): 342x160x200 cm; 2500 kg Formato di stampa: 162 cm per infinito; larghezza tessuto max 165 cm Produttività dichiarata: da 26 a 78 mq/ora Informazioni: www.monnalisatdp.com
Johanna Wahl
I tessuti influiscono notevolmente sulla resa della stampa, talvolta creando effetti particolari inaspettati quanto piacevoli
Al test ha partecipato la stylist Johanna Wahl, fornendo la propria esperienza professionale e alcune sue produzioni come campioni di stampa. Dopo collaborazioni con i maggiori stilisti (Versace, Moschino, Ferrè, per citarne solo alcuni), ricordiamo le sue recenti produzioni di tessuti per La Perla, Zucchi, Lancetti e Gattinoni e di costumi da bagno per Intimo3 e Ortel. Insegna grafica all’Istituto Golgi di Brescia e all’ IPS San Bernardino di Chiari (BS).
La virtù dei forti Stampe di qualità fotografica con Hp DesignJet 130
STAMPA DIGITALE
Massimo Cremagnani e Alessandro Martellotta
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Hp gioca la carta della fotografia professionale con la DesignJet 130, una stampante A1 ad altissima risoluzione con possibilità di caricamento a rotolo e taglierina automatica. Per ottenere stampe qualitativamente elevate, il plotter rivaluta gli inchiostri dye, più fluidi rispetto a quelli pigmentati, e si avvale di nuove carte pesanti appositamente studiate per immagini ad alto impatto. Le generose dimensioni influenzano negativamente la velocità di stampa, comunque valida per progetti mirati e immagini di prestigio. Per la prova sul campo abbiamo chiesto l’opinione di Alessandro Martellotta, esperto di informatica e artista digitale.
L
e stampanti Hp hanno sempre avuto fortuna nel mondo office e nel campo del disegno tecnico, due settori piuttosto lontani da quella “qualità fotografica” di cui tanto si parla da qualche anno. Ma la lunga ricerca verso le belle arti digitali, già confermata a suo tempo dal plotter 5500, giunge ora a un nuovo livello, rappresentato dalle serie DesignJet
30 e 130. La formula include i nuovi inchiostri dye (denominati n° 85) più fluidi e luminosi rispetto agli equivalenti pigmentati, e le nuove carte ad effetto fotografico, sia glossy sia satinate. Il pacchetto è dedicato principalmente a fotografi e artisti, per uso individuale o in piccoli studi in cui la priorità sia “stamparne poche ma buone”. La qualità richiede infatti tempi di gestazione relativamente lunghi, ma soddisfa anche l’occhio più attento, fornendo un impatto visivo superiore a quello mediamente richiesto per layout di progetto o prove contrattuali, opzioni secondarie ma non per questo da escludere. In aggiunta alla nostra analisi abbiamo chiesto il parere di Alessandro Martellotta, che già da alcuni mesi utilizza la 130 per la realizzazione delle proprie opere d’arte.
Sovralimentata La scocca affusolata della 130 presenta differenti possibilità di caricamento carta. Oltre al classico
cassetto per fogli (fino all’A2+), ci sono anche due ingressi per fogli singoli, uno anteriore e uno posteriore. Sebbene il primo risulti più comodo, l’intricato percorso può provocare segni di trascinamento sulle carte più pesanti. La macchina dispone anche di un caricatore a bobina, per rotoli da 60 centimetri circa, e di relativa taglierina. La stampante si dedica a un solo caricamento per volta, ma al momento di utilizzare fogli in formato è possibile mantenere il rullo semiinnestato, evitando di ripetere la delicata fase di inserimento. Pare quindi che la 130 possa ingoiare di tutto, ma non è così semplice. Il caricamento del cassetto ne richiede la piena estrazione, un crudele gioco di disincastro e successivo rumoroso reinnesto. Si consiglia di utilizzarlo con carte leggere, anche per via dei frequenti inceppamenti con le alte grammature, un difetto che persiste con il caricamento manuale anteriore. L’alimentatore a rotolo risente dei comuni problemi di allineamento in fase di caricamento e manca di un motore di riavvolgimento; la tensione
La rivalutazione di HP nei confronti degli inchiostri dye si basa sulla fluidità rispetto ai pigmenti
della bobina va quindi effettuata manualmente. Inoltre, il driver di stampa si rivela macchinoso nella selezione del formato e, nel caso del rotolo, le dimensioni vanno impostate manualmente poiché non esistono preset in merito. Il driver permette stampe fino a 160 centimetri di lunghezza, mentre per formati superiori occorre acquistare uno dei RIP disponibili opzionalmente. Anche con dimensioni inferiori abbiamo rilevato malfunzionamenti e stampe incomplete con file ad altissima risoluzione, un gap che si risolve abilitando la compatibilità a 16 bit dal driver. Queste imperfezioni Ð e altri dettagli come la documentazione superficiale o la dotazione di base - indicano la 130 come fase intermedia tra le stampanti domestiche e i plotter professionali, una posizione leggermente diversa da quella che traspare dalle informazioni commerciali anche se (in parte)
giustificata dal prezzo relativamente contenuto.
Teoria del colore Oltre alle normali funzioni di manutenzione e alla gestione dei profili, il driver consente la linearizzazione, un’ottimizzazione del processo basato sui dati esaminati da un sensore trifasico durante la stampa test, per equilibrare la densità d’inchiostro in base al tipo di carta e al profilo in corso. Totalmente automatico, il sistema garantisce la messa a punto in tempo reale, con le condizioni ambientali e i materiali del momento. Aprendo il vano frontale della stampante troviamo le sei cartucce colore, di facile sostituzione. Altrettanto semplice è la manutenzione delle sei testine separate, posizionate appena sotto, una scelta di indipendenza decisamente gradita. Possiamo stampare in qualità Normale (anche se la definizione
“Bozza” sarebbe stata più appropriata) oppure Migliore, per gli esecutivi. Le carte di maggior livello consentono anche l’impostazione DPI Max, la cui differenza dalla Migliore è impercettibile anche a un occhio allenato, mentre si nota con rassegnazione il considerevole incremento dei tempi di produzione, sia per la rasterizzazione sia per la stampa vera e propria. Le carte da abbinare a questa stampante comprendono una fotografica glossy, una matte e una satinata, dalla finitura particolarmente pregevole e accattivante. Tralasciando le peculiarità note di queste tre tipologie di supporto, dobbiamo ammettere con soddisfazione l’elevatissima qualità dei risultati, sotto ogni punto di vista. Colori pieni e uniformi, cromaticamente fedeli; sfumature continue, anche nei toni più delicati; dettagli perfetti nella tenuta del punto, ad ogni livello di contrasto. La glossy e la satin guadagnano in
“Pista cifrata”, © Alessandro Martellotta La definizione dei particolari è molto elevata, sia con dettagli scuri, sia con sfumature leggere
Tramite il vano cartucce si accede anche alle testine. La manutenzione è semplice e a prova d’errore
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STAMPA DIGITALE
“Viaggio”, © Alessandro Martellotta Gli effetti metallici si sposano molto bene con le nuove carte Hp, in particolar modo con la satinata
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presenza oggettiva grazie anche alla pesantezza del supporto e alla consistenza dovuta al retro leggermente telato. La delicatezza della spalmatura consiglia però di mediare la piacevole manipolazione di questi supporti utilizzando guanti di cotone, come è d’uso con le pellicole. Le altre carte artistiche HP non sono certificate, ma possono essere impiegate con risultati soddisfacenti nella maggior parte dei casi. L’utilizzo di inchiostri ad acqua (dye) sostiene la lucentezza delle immagini e rispetta le proprietà percettive dei supporti. HP sostiene, grazie agli studi effettuati dai laboratori Wilhelm Research (http://www.wilhelmresearch.com/dj130/hp_dj130_ preview.html) la resistenza alla luce fino a 83 anni, mentre per la delicatezza della superficie si consiglia ad ogni modo la Stampante HP Designjet 130 Formato: A6/A1+, rotolo larghezza 60 cm; 6 colori Risoluzione massima: 2.400 x 1.200 dpi Compatibilità: PC e Mac. USB e parallela; connessione di rete opz. Prezzo: a partire da 1700 Euro, IVA esclusa Per informazioni: www.hp.com/go/designjet
conservazione delle stampe sotto vetro. La particolare chimica degli inchiostri dona inoltre alle stampe un caratteristico sentore di popcorn, che si affievolisce nell’arco di qualche ora.
Il lato pratico Il reperimento dei materiali di consumo dedicati (sia carte sia
inchiostri) è, al momento in cui scriviamo, ancora difficoltoso per via della novità e della verticalità del prodotto. In caso di difficoltà con i fornitori tradizionali, può essere utile effettuare gli acquisti su Internet; a titolo personale, abbiamo verificato consegne in 3/4 giorni. Come spesso accade, c’è una rilevante differenza di costi tra i supporti a rullo e quelli a foglio singolo. A parità di prezzo possiamo avere 20 fogli in formato A2 oppure un rullo capace di generare quasi il doppio delle stampe del medesimo formato. Anche se in quest’ultimo caso è necessaria un po’ di pazienza per attendere lo “spianamento” dei fogli, si può facilmente calcolare l’investimento dell’alimentatore a bobina. Il consumo degli inchiostri è abbastanza contenuto, e le testine vengono presentate con un ciclo vitale di 5/6 giri di cartucce. Il costo contenuto in relazione al formato e alla qualità di stampa può far dimenticare le “piccole” difficoltà ergonomiche citate, problemi che ci auguriamo vengano risolti al più presto e che, comunque, sbiadiscono dopo alcuni giorni di allenamento. Con un po’ di pazienza, i risultati saranno decisamente appaganti.
Il caricamento del rotolo necessita di un po’ di allenamento, vista la mancanza di guide e il profilo curvo della stampante. Il discorso si complica ulteriormente per i fogli singoli, tramite il vano evidenziato in rosso
foto 01a.tif oppure 01b.tif
Alessandro Martellotta
Al test ha partecipato l’artista digitale Alessandro Martellotta, fornendo la propria esperienza professionale e alcune sue produzioni come campioni di stampa. L’artista utilizza quotidianamente la HP DesignJet 130 per la produzione di opere digitali che vengono esposte nel corso di mostre collettive e personali presso gallerie d’arte di Milano. Per informazioni: www.alessandromartellotta.com