Incantesimi nelle vie della Memoria - Anteprima

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GIUSEPPE GALLATO

INCANTESIMI NELLE VIE DELLA MEMORIA

RACCONTI


“Incantesimi nelle vie della memoria” di Giuseppe Gallato Copyright © 2018 Caravaggio Editore Vasto (CH) - Italy www.caravaggioeditore.it info@caravaggioeditore.it Tutti i diritti di riproduzione, traduzione e adattamento sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere usata, riprodotta o diffusa senza autorizzazione scritta da parte dell’editore. Collana Editoriale Fantasy Prima edizione: Giugno 2018 ISBN 978-88-95437-79-8 Progetto grafico a cura di AgenziaLetteraria.Net


La notte impone a noi la sua fatica magica. Disfare l’universo, le ramificazioni senza fine di effetti e di cause che si perdono in quell’abisso senza fondo, il tempo. [...] Jorge Louis Borges



Introduzione

Quando la notte spegne i riflettori della coscienza razionale, la mente è libera di condurci dove il nostro Sé più autentico, la nostra natura, può vagare per rigenerarsi. Come in un incantesimo, il sogno ci trasporta in una dimensione puramente ideale, fatta di connessioni, di sensazioni, di intuizioni, di memorie foriere di molteplici significati. Un mondo che in un lampo è capace di imprevedibili incanti e che riverbera come un’eco, attraverso una coscienza attiva, le nostre memorie più recondite. C’è un interrogativo che da sempre appassiona chi si dedica alla riflessione sul mondo onirico. Qual è la relazione che, in tale contesto, intercorre tra realtà e sogno? Da una parte queste due sfere appartengono a dimensioni diverse, antitetiche, mentre dall’altra non smettono mai di ricercarsi, di riflettersi in modo ininterrotto, come in un eterno gioco di specchi. Due facce della stessa medaglia che si sfiorano, si sfidano senza sosta, ognuna perseguendo il proprio indipendente moto creativo. Forze che si imitano tra esaltazione e reticenza, dove

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l’attore umano si racconta, si plasma, si crea e si ricrea attraverso un incessante fluire di percezioni. È questo il filo conduttore dei racconti presentati in queste pagine, storie di genere fantastico nelle sue diverse declinazioni, che non parlano soltanto della proiezione astrale, del corpo onirico, del sogno vissuto con cognizione o meno, ma altresì dei risultati intermedi che intercorrono tra queste parabole di esistenza. Racconti dalle trame insidiose come il caleidoscopio dei sentieri dell’animo umano, che oscillano senza sosta tra le pulsioni più buie e le passioni più pure, che si sviluppano sul margine sottile di quella linea astrale-onirica dove condizionamenti psicologici, esperienze di vita e paure si fondono a vari livelli. Un confine inscindibile tra reale e irreale, mai nettamente distinto, che spesso rischia di disorientarci, ingannarci, confonderci. Un’esistenza mai dissociata da tale interazione, formata dagli stessi codici, simboli e archetipi del sogno, un universo che va vissuto come un Incantesimo sconfinato… che scorre, regna e incombe. Giuseppe Gallato

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INCANTESIMI NELLE VIE DELLA MEMORIA



ECHI OLTRE CONFINE

Questo viaggio è memoria… Questo viaggio è realtà… Questo viaggio è illusione… Il cielo si stava tingendo di rosso, come sempre accadeva in quel deserto nelle ore che precedevano il crepuscolo. Presto la luna piena avrebbe gettato un bagliore inquietante sulla vallata. Mizar, Messaggera del regno di Valhen, scrutò dall’alto l’accampamento, studiando l’insolita tattica adottata dall’esercito: piazzare la maggior parte delle guardie a sud e lasciare più scoperto il versante ovest. Drok, un nano guerriero dalle spalle massicce e dalla folta barba, si rivolse alla donna. «Allora? Cosa vedi?» «A ovest il deserto termina in prossimità della valle boschiva. Non si aspettano di essere attaccati dal fianco, né che sia solo un gruppo di quattro cavalieri a farlo.» Proprio in quel momento Tiadar apparve dietro di loro, coperto dal suo lungo mantello nero. Nelle 11


profondità del cappuccio si celava un volto dall’incarnato pallido, segnato da due cicatrici, con lunghi capelli corvini e occhi freddi. L’assassino reale infilò il pugnale insanguinato nel fodero. «L’ingresso del tempio è libero» annunciò a bassa voce. «Breven?» gli domandò la Messaggera. «Infiltrato. Possiamo procedere.» Gli occhi verdi e calcolatori della seducente Mizar scrutarono ancora l’accampamento. «Sì, possiamo.» La porta della sala si aprì con un cigolio, lentamente, e la luce si spense. Nel silenzio generale i membri della congrega comparvero uno dopo l’altro, ognuno con un grande cero acceso nella mano sinistra. Per qualche istante l’unico suono che si udì fu il respiro dei presenti, mentre la fiamma tremolante emanava bagliori irregolari sui loro volti. La scena a cui stava assistendo in quel momento Breven era oltremodo sconvolgente: alcuni uomini avvolti in una tunica nera, con una corda in vita e un cappuccio a coprirgli la testa, si disposero senza fretta attorno a un altare di pietra. Qui giaceva una ragazza, legata e priva di sensi, con indosso una veste di seta bianca. Si fecero avanti altri due uomini, i quali, dopo aver alzato in modo teatrale la candela, appoggiarono la mano destra sulla fronte della donna. Un tenue bagliore si propagò su tutto il suo corpo, e quella che a Breven sembrò un’ondata di corrente le fece tremare le membra. 12


A poco a poco tutti gli altri incappucciati si apprestarono ad avvicinarsi all’altare. Il cavaliere di Valhen si tirò il cappuccio davanti al volto, per cercare di nascondere quanto più poteva i suoi lineamenti; cercando di fare del suo meglio per imitare l’atteggiamento dei presenti, accese la candela, quindi si avvicinò al tavolo di pietra. Imitando i membri della congrega, tenne il cero nella mano sinistra, ma diversamente dagli altri accostò l’altra mano al proprio fianco destro, fino a sfiorare la spada nascosta sotto la veste. Sfoderare l’arma in quella situazione era impensabile: sarebbe riuscito a mettere fuori combattimento tre o quattro di quegli uomini, ma poi con ogni probabilità sarebbe stato sopraffatto. Anche se soffriva nel vedere la ragazza in quelle condizioni, e il suo cuore gli urlava di salvarla, era necessario scegliere il momento giusto per attaccare, e attendere l’arrivo degli altri cavalieri: aveva lasciato aperta per loro la finestra delle cucine. Ma le parole di uno degli incappucciati cambiarono ogni cosa. «Cari fratelli, è giunta l’ora di concedere il sonno eterno a questa fanciulla.» Un silenzio irreale si propagò nell’aria. Uno degli uomini passò una piccola scatola d’argento al sacerdote, che la aprì per ammirare soddisfatto il coltello sacrificale. Lo sollevò dal cuscinetto di velluto rosso e ne accarezzò rapito la punta di metallo lucente. Dalle profondità oscure della sua veste una mano pallida si protese verso l’alto. «Che la morte accolga la tua anima!» disse solennemente, prima 13


di tirare giù il pugnale con una forza feroce ed esaltata. Un gesto che rimase incompiuto quando vide con orrore la punta di una spada squarciargli il petto. Il suo volto si irrigidì all’istante, in una smorfia di dolore. Stramazzò a terra. Breven estrasse la spada dal torace dell’uomo, trapassato all’altezza del cuore, e si liberò della tunica. Sotto quelle vesti si nascondeva un uomo alto, ben piantato e muscoloso, con la testa rasata e gli occhi scuri e determinati. Nello sgomento generale, il cavaliere si abbatté sui due incappucciati ai lati dell’altare. Con potenza inaudita sferrò un fendente che uccise entrambi sul colpo. Il bagliore che attraversava il corpo della donna svanì. Nello stesso momento cinque uomini armati di pugnale lo caricarono. «Uccidetelo!» tuonò un incappucciato alle loro spalle; un altro gli si avventò contro, ma il cavaliere schivò abilmente il suo attacco e lo colpì con un fendente diretto alla gola. Altri due attaccarono insieme. Breven riuscì a parare il primo colpo, ma non il secondo, che gli giunse dritto al fianco destro. Il cavaliere scattò all’indietro e fece partire un colpo che fischiò brutalmente in aria, prima di abbattersi sui volti dei due incappucciati. Approfittando della situazione qualcuno gli piombò addosso e lo colpì al braccio che teneva la spada. Breven sbatté la schiena contro l’altare di pietra, ma reagì prontamente e si buttò sull’uomo, scaraventandolo a terra. Con una mano gli serrò la

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gola, con l’altra prese a pugni la mascella, fin quando non lo vide accasciarsi al suolo. Ma non era finita. Proprio in quel frangente uno degli uomini era arrivato all’altare e stava per trafiggere il cuore della ragazza. Breven raccolse tutte le forze rimaste e si scagliò di peso contro l’incappucciato, gli strappò via il pugnale dalla mano e lo conficcò nel suo petto. Nello stesso istante, con la coda dell’occhio, colse un movimento improvviso alla sua sinistra. Si voltò di scatto, ma prima che il suo colpo potesse andare a segno qualcuno lo afferrò per le spalle e lo strattonò all’indietro. Breven cadde a terra e la spada gli scivolò via dalle mani. Poi vide il barbaglio di un pugnale puntare spietato alla sua faccia. Il cavaliere riuscì a bloccare il braccio che brandiva l’arma, ma la presa dell’uomo era troppo forte per resisterle. La spada era sempre più vicina, la morte ormai prossima. Ma d’un tratto sul volto dell’incappucciato comparve un’espressione raccapricciante, gli occhi sbarrati e la bocca piena di sangue. Infine stramazzò al suolo, privo di vita. «Eccomi, fratello» disse Drok, tendendogli la mano. «La… principessa…» ansimò Breven. «Stai tranquillo, è in salvo!» esclamò con un sorriso il nano guerriero, mentre lo aiutava a rialzarsi. Agli angoli dell’altare, Tiadar e Mizar stavano liberando la donna dalle corde. Gli incappucciati cercavano la fuga, e molti di loro lanciavano grida di 15


allarme. Presto il tempio sarebbe stato invaso dalle guardie. «Dobbiamo muoverci, subito!» urlò il nano, mentre come un forsennato si faceva strada a colpi di ascia tra gli uomini della congrega. «Tiadar, la principessa!» ordinò Mizar, e lasciò partire dal suo balestrino un dardo che si andò a piantare in mezzo agli occhi di un incappucciato. «Dal corridoio, presto!» Senza perdere ulteriore tempo, l’assassino reale circondò con le braccia la donna e la prese con sé. Drok raggiunse la porta, la sfondò con un calcio e avanzò per primo. «Libero, andiamo!» Imboccarono un lungo corridoio appena illuminato da alcune torce, diretti all’uscita ovest del tempio. Ma di lì a poco anche le guardie attraversarono quella porta. «Possiamo farcela!» urlò Mizar. «Siamo quasi giunti all’uscita!» Ma a pochi metri dalla libertà Breven cadde rovinosamente a terra. Dalle ferite continuava a sgorgare sangue, molto sangue. «Breven!» disse Drok, accorso in suo aiuto. «Alzati…» Il cavaliere si rialzò con fierezza e spinse via il nano. «Andate!» «Ma…» «Andate, ho detto!» Drok scambiò rapide occhiate con Mizar e Tiadar. «Portate in salvo la principessa!» Le parole del nano erano come sospese nell’aria, grevi. Per i due non c’era altra scelta; si voltarono e 16


continuarono la loro corsa. Attraversarono la porta e uscirono fuori dal corridoio. «Drok, ma cosa…» cercò di chiedere Breven, ma non riuscì a proseguire. Continuava a tossire sangue. «Non posso lasciare a te tutta la gloria, non credi?» ribatté il nano, sorridendo e brandendo la sua ascia bipenne. Breven ricambiò quell’amaro sorriso ed estrasse a sua volta la spada. «Ci vediamo dall’altra parte…» dichiarò con orgoglio. «Ci vediamo dall’altra parte…» gli rispose Drok. E la loro ultima battaglia ebbe inizio. Fuori dal tempio, Mizar e Tiadar imboccarono un sentiero a ovest, tagliarono per una stretta stradina e, come previsto dalla Messaggera di Valhen, uscirono dall’accampamento senza essere visti. Il bosco non era molto lontano. Superarono un rilievo e si trovarono dinnanzi a un ripido avvallamento. Proseguirono a est per qualche minuto, fin quando non raggiunsero una distesa nascosta in una macchia di alberi. Lì ad attenderli c’erano quattro cavalli. Mizar sciolse le briglie e aiutò Tiadar a issare la principessa sul cavallo. Infine, in quella notte rischiarata da una tetra luce lunare, si allontanarono veloci, lasciandosi alle spalle il deserto. Dopo circa due ore di marcia, i due cavalieri si fermarono nei pressi di un fiume. Scesero da cavallo e sistemarono la principessa su un giaciglio improvvisato di foglie. 17


Mizar le controllò il polso. «È viva» sussurrò avvicinandosi alla bocca «e respira.» «Ma non vuole svegliarsi» ribatté Tiadar. La Messaggera scosse la testa. «Non ancora, ma almeno è salva.» «Cosa pensi di fare?» «Non possiamo condurla a Valhen, non adesso, e non in queste condizioni.» Mizar si portò una mano alla coscia e la ritrasse insanguinata. Emise un lamento, poi riprese a parlare. «Dobbiamo attendere che si risvegli.» «Capisco» rispose l’assassino. «Dovresti curarti quella ferita» aggiunse, indicando con un cenno la gamba. «Nulla di cui preoccuparsi» ribatté la Messaggera. Tiadar mosse un passo verso di lei e le appoggiò una mano sulla spalla. «Certo, ma presto riprenderemo a viaggiare, e non sappiamo per quanto tempo. Dovremo essere in forze per farlo.» Mizar annuì. «Vado al fiume per pulire la ferita.» Quindi posò lo sguardo sulla principessa. «È al sicuro, vai pure» cercò di rassicurarla Tiadar, notando la sua espressione preoccupata. La Messaggera non dovette allontanarsi molto per raggiungere il fiume. Si fermò all’altezza di una spaccatura, dove l’acqua sgorgava fra due rocce e si riversava lenta. Si addossò alla sorgente e si concesse di rinfrescarsi velocemente. Poi bagnò la ferita, strappò un lembo della sua veste e la strinse forte attorno alla gamba.

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Fu in quel momento che un grido di dolore, proveniente dal cuore del bosco, le giunse alle orecchie. Agguantò in fretta e furia il balestrino, e mentre caricava un dardo ritornò alla radura. Il bosco era mutato in un modo indefinibile: era più buio, più vivo e sembrava osservarla. Si nascose dietro un albero e attese un movimento, un guizzo, qualcosa. Ma non successe niente. C’era silenzio, troppo silenzio. Percorse qualche metro, occultandosi questa volta dietro un masso. E lì vide Tiadar a terra, in una pozza di sangue. La principessa giaceva ancora distesa sul letto di foglie. Sembrava non esserci nessuno. Lentamente si avvicinò verso il cavaliere. «Tiadar, cosa è successo?» disse con un filo di voce. L’uomo cercò di parlare, ma aveva la bocca piena di sangue e il suo stesso pugnale conficcato in pancia. Provò invano a sollevare il braccio. «Non ti sforzare…» lo supplicò Mizar. Il cavaliere riuscì infine ad alzare la mano e indicò qualcosa alle sue spalle. «La… principessa…» La voce che pronunciava queste ultime parole si era fatta bassa e cupa, più cupa dell’oscurità che ammantava il bosco. Mizar si voltò di scatto, appena in tempo per vedere la donna sollevarsi e fluttuare in aria. I suoi occhi erano chiusi, la sua pelle ancora più bianca e i capelli biondo rame le ondeggiavano impetuosi attorno al viso, come seta. Sembrava posseduta da una forza inafferrabile. 19


La voce di Mizar era rotta dalla paura. «Principessa…» «Hai osato disturbare il mio sonno!» gridò la giovane, col braccio alzato e l’indice puntato contro di lei. «Morirai!» La Messaggera impugnò il balestrino e lo portò alle tempie. Non riusciva a controllare i propri movimenti. «Principessa, deve svegliarsi…» sussurrò, cercando inutilmente di liberarsi dell’arma. Infine, Mizar fece partire il dardo, che le si conficcò in fronte. E tutto divenne buio. La Messaggera si svegliò di soprassalto, con il cuore che batteva all’impazzata, le labbra incapaci di articolare parole. Tremava e provava un senso di nausea e vertigine. Batté più volte le palpebre e si guardò intorno confusa: si trovava in una stanza ampia e buia, ed era distesa su una sedia di metallo. Provò ad alzarsi, ma dei fili collegati alle braccia, al petto e alla testa glielo impedirono. Si lasciò crollare sullo schienale e affondò la faccia tra le mani, distrutta. Dopo qualche attimo di smarrimento guardò a destra e vide tre uomini che versavano nelle sue stesse condizioni. Erano Tiadar, Drok e Breven. Di fronte a loro era posizionato uno schermo che monitorava battiti del cuore e onde cerebrali. Poi Mizar avvertì il calore di una mano sulla spalla, che interruppe il flusso dei suoi pensieri.

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«Dottoressa, state bene?» le chiese un uomo con indosso un camice bianco. Mizar esitò prima di rispondere. «Mi gira un po’ la testa, dottore, ma non si preoccupi per me, sto bene.» «È normale quando ci si addentra per così tanto tempo nel “Mondo Onirico”» replicò il dottor Valhen. «Quanti minuti…» «Un’ora e ventisei.» «E gli altri?» Mizar non poteva più nascondere la propria preoccupazione. «I Viaggiatori stanno bene. Stavamo attendendo tutti il suo risveglio.» Mizar si fece scura in volto e abbassò il capo. Conosceva già l’esito della missione, ma la volle guardare ugualmente. Alla sua sinistra, stesa su un letto e collegata al respiratore, una donna lottava tra la vita e la morte. «È ancora…» provò a domandare Mizar. «In coma» rispose con aria laconica Valhen. «Non siamo riusciti a svegliarla nemmeno questa volta.» Mizar era ormai in preda alla disillusione più totale. «La sua mente è contorta, la sua volontà più forte di quanto pensassimo.» «Concentrandosi troppo sui dettagli si rischia di perdere la visione d’insieme» annuì sconfortato il dottore, mentre le passava un bicchiere d’acqua e una compressa. «Più ci si addentra nella personalità e nei pensieri di un uomo, più si spalancano misteri e incognite da risolvere.»

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Mizar mandò giù la pillola. «Dobbiamo rientrare nella sua mente.» «Dottoressa, può essere pericoloso farlo subito.» «Non abbiamo molto tempo, la ragazza potrebbe morire da un momento all’altro.» Mizar si sforzò di sembrare calma, ma dal suo viso si capiva facilmente che cosa stesse pensando. Oscillava tra due sole emozioni: determinazione e paura. «Risvegliare le persone dal coma prima che abbandonino per sempre questo mondo è il nostro compito» dichiarò. Il dottore non era molto convinto, ma acconsentì alla sua richiesta. «E sia, ma è l’ultimo viaggio per oggi» rispose, poi si avvicinò al monitor e pronunciò il primo comando vocale. Inizio sequenza programma “Mondo Onirico”. Avvio connessione cerebrale. Presto Mizar e gli altri si sarebbero assopiti e la loro coscienza sarebbe sprofondata di nuovo oltre il confine, in quel mondo d’ombra. La Messaggera gettò una rapida occhiata ai suoi compagni di viaggio. «Ci vediamo dall’altra parte, ragazzi» mormorò, mentre Valhen proseguiva col lavoro. Consapevolezza percettiva incanalata. Avvio modalità collegamento verbale… Mizar era determinata. Questa volta avrebbero salvato la principessa. Chiuse gli occhi e inspirò a 22


fondo. Il suo corpo si irrigidì, per poi rilassarsi completamente. Infine Valhen lasciò che i quattro Viaggiatori pronunciassero la sequenza di collegamento. Questo viaggio è memoria… Questo viaggio è realtà… Questo viaggio è illusione…

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