Indice
INTRODUZIONE CAPITOLO I CAPITOLO II 2.1 Il Terrorismo 2.2 Il Jihad (la guerra santa) 2.3 I luoghi della Preghiera 2.4 Bandire l'Islam 2.5 Gesù Profeta dell'Islam 2.6 Donna: quali diritti? 2.7 Donne sotto il Burqa 2.8 Donne sotto i ferri CAPITOLO III 3.1 Il Corano 3.2 I Cinque pilastri dell'Islam 3.3 Il Paradiso 3.4 I vizi e ciò che danneggia la nostra salute 3.5 La Fratellanza Umana 3.6 La circoncisione maschile: quale utilità? 3.7 L'Islam e la Scienza 3.8 L'ambiente e gli animali 3.9 Il Misticismo dell'Islam 3.10 HADITH e SUNNA POSTFAZIONE APPENDICE RECENSIONE GLI AUTORI
NOTE
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INTRODUZIONE “Se qualcuno è alla ricerca di notizie che screditano l’Islam e i musulmani, non ha da preoccuparsi, troverà una vasta gamma di materiali disponibili o in via di pubblicazione! Se cerca opinioni di esperti sull’Islam e i musulmani, non sarà deluso di trovare in ogni an‐ golo dell’occidente i così detti intellettuali e orientalisti, che non lasciano nessun dubbio sul fatto che il conflitto tra la cultura islamica e l’occidente sia imminente! In questi tempi, il mondo è sotto nuvole di guerra e terrorismo, molti paesi e popoli stanno attraversando momenti difficili, la televisione e i mass media ci mostrano giorno e notte scene di morte e distruzione che entrano diritto nei nostri cuori e feriscono le nostre anime: nell’incertezza e nella sete di sapere ci perdiamo nel mare dell’informazione ed è difficile distinguere il nero dal bianco. Per noi musulmani, che viviamo in un paese occidentale, la vita è diventata tanto difficile, ci sentiamo ogni momento sul banco degli imputati e, quando arriva una brutta notizia che riguarda altri musulmani, dobbiamo giustificare e spiegare. I nostri cuo‐ ri non sono in pace. Viviamo nella paura. In più c’è qualcuno che mette benzina sul fuoco per soddisfare sporchi interessi. Io sento che c’è tanto bisogno di corretta informazione e serena discussione per combattere l’ignoranza con la sapienza. I musulmani, come tanti altri gruppi, sono qui per vivere insieme. Avere paura dei musulmani, per come vestono o come pregano, non aiuta a migliorare i rapporti con il vostro vicino di casa. C’è bisogno di dialogare su due livelli: uno interno alla comunità musulmana e un altro con la società lo‐ cale. La responsabilità primaria cade sui musulmani, essi sono venuti da fuori ed è loro dovere di interagire positivamente, rispettare gli usi e costumi di questa società che li ospi‐ ta. Questo non vuol dire però che debbano lasciare la loro fede o costume o altro, basta amare questa terra come seconda patria. In cambio, il paese ospite deve creare una strut‐ tura dove siano garantiti i diritti sanciti della costituzione e trattarli come pari cittadini. De‐ vono cessare gli attacchi sulla religione, le abitudini, ecc. e bisogna cercare di dare loro la possibilità di partecipare alla vita civile con i diritti garantiti dalla Costituzione. La diversità in sé non è un male, ma qualcosa che arricchisce la società e la democrazia.” Tratto da L'Italia ci piace ma qualche volta è matrigna di Zahoor Ahmad Zargar IL SECOLO XIX, 21-6-2006 “Purtroppo, oggi, in relazione ai ben noti e terribili fatti di cronaca, molte persone acco‐ munano il terrorismo all’Islam e considerano gli immigrati ed i convertiti musulmani un pericolo sociale. Noi, attraverso la Comunità dei Musulmani della Liguria, di cui sono Presidente, e già prima con il Centro Culturale Islamico savonese e della Liguria da me fondato nel 1997, abbiamo sempre lavorato per la corretta conoscenza reciproca e per l’integrazione, che è
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l’interazione, cioè il lavorare comune di tutti per il miglioramento e il progresso della col‐ lettività. Prima di tutto, abbiamo sempre condannato apertamente il terrorismo in tutte le manifestazioni pubbliche alle quali ci hanno concesso di partecipare ed anche ai nostri Convegni organizzati con le altre culture e religioni (ai quali, tra l’altro, sono intervenute autorità quali Sindaci, Presidenti di Provincia, Assessori e anche rappresentanti di varie re‐ ligioni, Vescovi o loro delegati, il Segretario di Stato Arcivescovo Emerito di Genova Cardi‐ nale Tarcisio Bertone, ecc.). La maggior parte delle persone, di qualsiasi cultura, paese o religione, desidera solo la‐ vorare in pace, crescere i figli pensando ad un futuro migliore, vivere serenamente. E que‐ sto è un periodo senza dubbio difficile per tutti, a cominciare da noi musulmani che, pur essendo persone per bene come gli altri, ci sentiamo oppressi dal sospetto. In Italia, però, ci sono altri problemi. Principalmente c’è un continuo incitamento all’o‐ dio e al razzismo da parte di alcuni politici, specialmente quando citano le presunte oppo‐ ste civiltà, considerando tutti noi musulmani diversi e pericolosi. Se, disgraziatamente, ci fosse un attentato terroristico in Italia, così come è stato purtroppo minacciato (e preghia‐ mo Dio che ciò non succeda), con l’aperta istigazione all’odio contro di noi, seppure inno‐ centi, non potremmo più lavorare o uscire di casa perché ci assalirebbero, distruggerebbe‐ ro noi e le nostre proprietà! E non basta. Ogni giorno, lentamente, si sta instillando nelle menti della gente l’idea che ogni male del mondo sia colpa nostra, che noi siamo da eliminare, così come è stato fatto un tempo per gli ebrei. Essi sono stati prima screditati e additati, infine rinchiusi e sterminati. Ora sembra che tocchi a noi, la nostra comunità è il nuovo capro espiatorio e non vorremmo che tra cinquant’anni, poi, ci venissero a chiedere perdono! Ogni giorno su‐ biamo maggiori disagi nella quotidianità, siamo guardati con sospetto, accusati, colpiti da parole cattive più o meno intenzionali. Questo clima ostile ci danneggia nella ricerca del lavoro, della casa, nelle relazioni umane e, anche chi ha già tutto ciò, si sente come se fosse in tribunale, nonostante la nostra vita sia limpida e pura. Noi musulmani abbiamo doppiamente paura: come tutti voi, temiamo di morire quan‐ do prendiamo un treno, la metropolitana o un autobus. Abbiamo paura per i nostri figli, perché il “terrore” non guarda in faccia nessuno, colpisce senza considerare chi è colpevole e chi è innocente...” Tratto da L'Islam possibile in Italia di Zahoor Ahmad Zargar ARTE Progetto PROVINCIA DI SAVONA trimestrale di informazione, cultura e vita amministrativa. Ottobre 2005
Quando, nel 2008, abbiamo pubblicato la I edizione di “Paura dell’Islam”, avevamo iniziato con i due articoli di Zahoor, “L’Italia ci piace ma qualche volta è matrigna” e “L’Islam possibile in Italia”. In‐ 2
fatti, volevamo far notare che i musulmani erano oggetto di cattiva rappresentazione e aggressione ideologica nel mondo occidentale. “ Dalla tragedia dell’11 settembre 2001, - scrivevamo - tutti i musul‐ mani del mondo sono diventati compagni di Mohamed Atta [1] , tutti assassini, terroristi, pericolosi criminali, guerrafondai. A ciò, si dice, li spinge la loro religione. I 2992 morti americani del World Trade Center pesano sulle loro vite come macigni (mentre nessuno parla mai dei quasi 4000 soldati ame‐ ricani morti e delle migliaia di soldati, sempre americani, rimasti invali‐ di nel conflitto in Iraq, che nulla ha a che vedere - ormai è ampiamente dimostrato - con l’attentato alle torri! Un’inchiesta del network Cbs ha dimostrato, inoltre, che soltanto nel 2005 sono stati ben 6256 gli ex soldati che hanno deciso di togliersi la vita una volta tornati dalle loro famiglie!).” Da allora è passato parecchio tempo. Intanto, molte persone, anche per l’incoraggiamento della Chie‐ sa cristiana e della società civile più evoluta, hanno incominciato a conoscere un pochino di più i musulmani, a vederli come lavorato‐ ri, come padri e madri di famiglia, come operai, badanti, muratori… Molto è stato fatto da Associazioni ed Enti religiosi e civili per far incontrare mondi che solo apparentemente potevano sembrare tanto lontani. Sette anni di crisi economica che abbiamo vissuto hanno, però, iniziato una nuova guerra tra poveri:“gli immigrati ci rubano il lavo‐ ro, non ce n’è neppure per gli italiani” sono diventate frasi comuni. Eppure, dal dossier Caritas/Migrantes presentato al Conference center di Expo il 4 giugno 2015, gli immigrati, in Italia, valgono l’8,8 % di Pil e quindi non sono un peso per il paese. Nel rapporto della Fondazione Migrantes si sottolinea come in Italia, il più delle volte, si senta parlare degli immigrati come coloro che “chiedono”, come “gente a cui dare” perché “in stato di bisogno”. Lo studio si è occupato, allora, di verificare la situazione degli im‐ migrati in Italia con una specie di censimento che ha confermato come, a inizio 2014, su 60.782.668 persone, 4.922.085 fossero stranieri, per un valore percentuale rapportato alla popolazione italiana dell’8,1 per cento. Di questi, il 53,7 per cento sono donne. Secondo le stime dell’Istat per l’inizio del 2015, in Italia dovreb‐ bero essere residenti al momento 5 milioni e 73 mila stranieri, per una percentuale rispetto alla popolazione totale dell’8,3 per cento. Al primo gennaio 2014 il totale dei permessi di soggiorno rilasciati ammontano a 3.874.726, con una riduzione rispetto all’anno pre‐ 3
cedente del 2,9 per cento. Di questi il 49,2% riguardano donne. Per quanto riguarda i motivi dei soli permessi di soggiorno a termine, quantificati in 1.695.119, il 48,2 per cento di questi riguarda il lavo‐ ro, seguito dalla famiglia (40,8 per cento). Si conferma la prevalen‐ za dei motivi di lavoro (48,2%) e di famiglia (40,8%). Al terzo posto, con il 4,8 per cento, c’è il motivo legato alla richiesta di asilo e di protezione umanitaria. Questi stranieri, dunque, nell'ultimo anno, hanno versato ben 10,29 miliardi di euro in contributi previdenziali, essendo prevalen‐ temente in età lavorativa. Continuando nell’analisi dei dati, possiamo constatare che oggi la popolazione con più di 75 anni rappresenta l'11,9% tra gli italiani e solo lo 0,9% tra gli stranieri; cioè 1 italiano su 10 ha più di 75 anni, tra gli stranieri 1 su 100. Secondo le stime Istat, tra 10 anni gli stranieri supereranno quota 8 milioni, con un'incidenza del 13,1% sulla popolazione complessiva. Nel 2050, rappresenteranno un quinto della popolazione, mentre un italiano su quattro (23,1%) avrà più di 75 anni. I contributi degli immigrati vanno così a sostenere il sistema na‐ zionale del welfare (oltre alle pensioni, altri trasferimenti come ma‐ ternità e disoccupazione) che si rivolge prevalentemente alla popo‐ lazione autoctona. Infatti, la voce "pensioni" è una delle voci princi‐ pali della spesa pubblica nazionale e, vista l'età media, la popola‐ zione straniera ne beneficia in misura molto marginale. Gli stranie‐ ri sono soprattutto contribuenti e bisogna pure considerare che, spesso, per motivi vari, ad esempio, il ritorno nel paese di origine, perderanno i contributi versati e non avranno mai la pensione. Quindi, sebbene non sia possibile quantificare tutti i costi e benefi‐ ci diretti e indiretti della presenza straniera, il confronto tra i flussi finanziari in entrata e in uscita aiuta a dare la dimensione dell'im‐ patto economico dell'immigrazione: + 3,9 miliardi di saldo attivo per le casse dello Stato. Ripartendo il volume complessivo per i redditi da pensioni medi, si può affermare che i lavoratori stranieri pagano la pensione a 620mila anziani italiani. Inoltre, sommando i contributi versati negli ultimi cinque anni si può calcolare il contri‐ buto degli stranieri dal 2009 al 2013 pari a 45,68 miliardi di euro, volume sufficiente per una manovra finanziaria. Chi è, dunque, che ha “bisogno”? Naturalmente, non tutti gli stranieri sono musulmani, tantissimi sono cristiani. Il malanimo della gente è soprattutto nei confronti dei musul‐ 4
mani, giudicati pericolosi e lontani dalla nostra cultura. Oltre alle questioni economiche, infatti, molti fatti gravi hanno di nuovo alimentato il fuoco dell’odio e del razzismo. Prima di tutto, le guerre in Iraq,Siria,Libia, hanno portato alla cre‐ scita mostruosa del sedicente Stato Islamico (di cui parleremo al paragrafo “Terrorismo”). Gli attentati di Parigi, di Tunisi, e tanti altri, hanno ingigantito la nostra paura, facendoci dimenticare che vitti‐ me del terrorismo sono tutti, indistintamente, musulmani e cristia‐ ni. A causa di questa situazione di guerra generalizzata, arrivano i barconi carichi di migranti (non solo in Italia). Sotto la sollecitazione dei media, ci appare un’invasione conti‐ nua. Aumentano ancora le paure e le difficoltà di accettare il vicino di casa che si chiama Mohamed o Ahmad… Forse, è amico – si può pensare sviati da chi lucra denaro, voti e potere seminando odio – dei tagliagole! Questa è la paura dell’Islam che viene dal presente. Esistono, però, anche altre paure a causa dei contatti non sem‐ pre pacifici tra le nostre religioni e culture. Tutti ricordiamo i sara‐ ceni, i Turchi, le Crociate e tanti altri momenti in cui il nostro popo‐ lo ha sentito il proprio mondo in pericolo. Mai, invece, tali contatti avvennero, ad esempio, con gli induisti, che, quindi, non ci hanno mai dato fastidio. Si tratta dunque, di una paura che ci viene da lontano, un odio fomentato da secoli. C’è, infine, un altro aspetto generale da prendere in considera‐ zione: osservando i musulmani (spesso senza intendere), ci appa‐ iono strani: mettono la fronte a terra per pregare (ricordo che, una volta, una mia classe, nel guardare un documentario in cui c’era un gruppo di persone che si abbassavano tutte insieme durante la preghiera, tenendo, quindi, il sedere più in alto, si mise a ridere), mangiano altri cibi, rifiutano il maiale e l’alcool (e siamo nel paese del vino e della porchetta, prosciutto, salame, ecc.), difendono cer‐ te loro tradizioni, insomma, si mostrano dissimili e in Europa, pur‐ troppo, storicamente, la diversità è stata sempre sinonimo di infe‐ riorità. Io e mio marito avevamo già scritto un libro ( L'Islam possibile in Italia, casa editrice Bastogi, 2005) per rispondere alle tante doman‐ de che gli italiani si pongono sull’Islam e, in particolare, per dare una visione di quello che è l’Islam italiano. Una larga parte dell’u‐ manità si basa sul Corano, i detti (Hadith) e le azioni (la Sunna) del Profeta (pbsl) [2] e le deduzioni che ne derivano, e non può essere 5
trascurata. Gli immigrati musulmani, provenienti da diversi paesi, che oggi vivono in Italia, hanno diritto di essere conosciuti per aiutare la loro integrazione, ma anche noi dobbiamo sapere per poter vivere con meno paura, nel rispetto e nella pace reciproca. Nel 2008, era uscito poi questo libro, “Paura dell’Islam”, con lo scopo di dare informazioni semplici ma serie e stimoli di riflessione a giovani e adulti. In considerazione dei tanti fatti successi negli ultimi anni, abbia‐ mo pensato di aggiornarlo, di rispondere alle nuove domande, per non lasciare dubbi. Lo scopo mio e di mio marito –oggi come ieri- non è certo quello di convertire nessuno, ma di lavorare per la pace (è il nostro jihad), così come ci richiede la nostra religione e la nostra coscienza. Lo facciamo ogni giorno in ogni nostro atto, non solo scrivendo. In conclusione, Dio non ha chiesto di aderire tutti a un’unica reli‐ gione. L’importante è operare il bene o almeno, dato che non sia‐ mo perfetti, provare a farlo, senza finzioni e ipocrisie. “Ma quelli che credono, i seguaci di Mosè, i seguaci del Nazareno, i Sabei, quelli che cre‐ dono in Dio e nell’ultimo giorno e operano il bene, avranno la propria ricompensa presso il Signore e non avranno da temere nulla e non avranno nessun motivo per rattristarsi.” (Sura [3] II, La Giovenca, v. 62)
Il testo si svolge, dunque, in tre capitoli principali: Una paura che viene da lontano, che traccia una breve storia del Profeta (pbsl) e dell’impero arabo, turco, ecc. in modo da com‐ prendere i tanti motivi di dissidio e di contatto tra noi e i musulma‐ ni. Per poter superare il passato, bello o brutto che sia, è necessa‐ rio, prima di tutto, prenderne coscienza. Una paura che viene dal Presente , che prende in esame le problematiche più diffuse attraverso i media che sembrano allon‐ tanarci in modo inarrestabile dai musulmani (il terrorismo, il jihad, i diritti della donna, la figura di Gesù, ecc.), con un intervento di Maria Bolla, presidente ANED di Savona e Imperia (Associazione ex deportati nei campi nazisti). La diversità come colpa e inferiorità , che spiega in cosa cre‐ dono i musulmani, come vivono, i cinque pilastri dell’Islam, il Para‐ diso, il Sufismo, come si rapportano con la cultura (la scienza), con 6
il razzismo, con l’ambiente e gli animali, come combattono i vizi, ecc. Il capitolo si conclude con qualche Hadith del Profeta (pbsl). Postfazione di Zahoor Appendice: articoli di Renata pubblicati su alcuni giornali e sul blog http://senzafine.zacem-online.org/#home Recensione del nostro libro del 2008 di Luigi De Salvia, segre‐ tario generale sezione italiana di “Religioni per la pace”. Renata Rusca Zargar
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CAPITOLO I Una paura che viene da lontano l termine “arab” che significa nomade, indica, fin dall’antichità, le popolazioni della penisola araba. Dal termine derivò il nome di formazione greca, Arabia. La penisola arabica era composta da un vasto deserto maculato da oasi e da poche zone abitabili lungo le coste. Al Sud, da un sus‐ seguirsi di colline striate da fiumare di sabbia e monti bassi e aridi intorno ad una zona centrale per metà coperta da un deserto di sabbia. L’acqua, rara, era un bene incommensurabile e poche zone ave‐ vano piovaschi sufficienti per la coltivazione delle piante. La vege‐ tazione era poi ostacolata anche dalla salinità del suolo per cui rare piante avevano la forza di resistere alle avverse condizioni: una è la palma da dattero, il cui frutto è un alimento prezioso per l’uomo. Nonostante queste difficoltà climatiche, tale penisola costituiva il miglior punto di transito per i traffici tra il bacino del Mediterraneo e l’Oriente. Nel VII secolo, l’Arabia centrale era popolata da molte tribù no‐ madi e vi erano alcune città carovaniere e grandi oasi commerciali e artigiane. All’interno, si muovevano i gruppi di pastori nomadi (be‐ duini) che lavoravano come carovanieri trasportando le merci a dorso di cammello. I gruppi erano organizzati in clan sempre in conflitto tra di loro; la loro giustizia si basava sulla vendetta e sulla razzia e la rapina. I beduini del deserto seguivano leggi non scritte: ogni tenda rappresentava una famiglia, l’accampamento una schiatta, un insieme di schiatte affini era una tribù. In un paesaggio così ostile, era necessario che i membri della tribù fossero molto legati tra di loro e si aiutassero anche contro tutti gli altri. Il clan era rappresentato dallo sceicco (che significa vecchio) ed esisteva un capoclan eletto, il sayyid. Ma il capofamiglia, nella sua tenda, aveva pieni poteri e, quando lo riteneva opportuno, ad esempio, in caso di carestia o per diminuire i membri non giovevo‐ li, ordinava alle mogli di sopprimere le bocche inutili, cioè seppellire vive le figlie più giovani. Erano comuni la poligamia, i matrimoni 8
temporanei, lo scambio temporaneo delle mogli, il ripudio della moglie senza alcun indennizzo; le donne non potevano ereditare ma erano esse stesse merce ereditata dal primogenito del capofa‐ miglia defunto. In alcune città c’erano donne poetesse, commer‐ cianti, medici, ma erano insolite eccezioni. A parte i rari insedia‐ menti ebraici nel nord-ovest, le poche tribù cristiane ai confini del‐ la Siria e nell’estremo sud-ovest e alcune tribù, come gli Hanif, di fede monoteistica, l’intera popolazione araba adorava idoli, stelle, pietre e altri vari feticci. La vita nelle città carovaniere e nei centri sedentari era un po’ di‐ versa. Attorno al commercio, si organizzava l'esistenza della popo‐ lazione: nelle città viveva un’aristocrazia di ricchi mercanti e le atti‐ vità attiravano persone anche da altri paesi, molti ebrei si erano sparsi un po’ dappertutto e a Yatrib (poi Medina) essi vivevano in quartieri fortificati dove organizzavano artigianato, commerci, pre‐ stiti di denaro, ecc. La Mecca era la città più importante: dominata dai Quràyshiti (Coreisciti), beneficiava di trovarsi al centro della Grande Carova‐ niera attraverso la quale si trasportava soprattutto l’incenso del sud e altri prodotti che arrivavano nei porti provenienti da molti paesi, tra cui persino l’India. Era anche punto di contatto di impor‐ tanti correnti culturali: a nord vi era infatti l’impero bizantino e quello sassanide, a sud la regione costiera meridionale si affaccia‐ va sull’Oceano Indiano. Queste influenze si riflettevano sulla religione: tutte le divinità erano accettate alla Mecca e c’era inoltre, la Kaaba, o Ka'ba (in ara‐ bo, cubo), una costruzione di 10 × 12 metri di base, per un'altezza di circa 15 metri (ma prima dell'avvento dell'Islam di misure assai più contenute, con un ingresso sopraelevato), in età preislamica dedicata al culto della divinità maschile di Hubal [4] . I Bànu Qu‐ ràysh della Mecca avrebbero, però, aperto le porte del santuario a un gran numero di altre divinità venerate in tutta l'Arabia, così da invogliare alla sosta i mercanti provenienti per i loro affari nella cit‐ tà e richiamare altri pellegrini, traendone i relativi lucrosi vantaggi. Ogni anno, tutte le tribù dell’Arabia centrale compivano un pelle‐ grinaggio alla Mecca: umra (piccolo), il settimo mese dell’anno lu‐ nare, hajj (grande), l’undicesimo, dodicesimo e primo mese dell’an‐ no lunare. Questo flusso di pellegrini era un grande vantaggio economico ma, per sfruttare ancora meglio tali potenzialità, vari clan meccani si erano divisi dei compiti: c’era chi distribuiva ai pellegrini (di que‐ 9
sto gruppo farà parte il Profeta Muhammad ‘pbsl’) l’acqua dello Ze‐ mzem, la fonte che zampilla vicino alla Kaaba, chi portava lo sten‐ dardo, chi raccoglieva gli oboli e distribuiva il cibo, chi custodiva le armi, chi custodiva le offerte, chi arbitrava i conflitti, ecc. È chiaro che tutti questi uffici e privilegi rendevano molto. Gli Arabi pagani non pensavano al dopo morte ma adoravano le divinità e si recavano in pellegrinaggio per ottenere i benefici terre‐ ni di una vita migliore. Per questo vi erano molti maghi, indovini, fattucchiere e persino poeti che inveivano contro il nemico prima dei combattimenti con una funzione quasi magica, esaltando chi doveva lanciarsi nel corpo a corpo e narrando poi le gesta della tribù. Esisteva anche una competizione poetica annuale e le poe‐ sie vincitrici venivano scritte a lettere d’oro e appese alle pareti del‐ la Kaaba. In questo ambiente, il I settembre 570, nacque Muhammad (pbsl). Suo padre faceva parte del clan che aveva il privilegio di di‐ stribuire l’acqua dello Zemzem ai pellegrini, ma morì qualche mese prima che egli nascesse. La madre, che era figlia di un capoclan di Yatrib, affidò il figlio per cinque anni, come si usava, ad una nutrice beduina di una tribù che si spostava tra la Mecca e l’oasi di Taif. Quindi, egli tornò allaMecca, ma dopo pochi mesi, la madre morì. Egli era dunque un orfano. Lo accolse il nonno paterno che, però, morì due anni dopo. Muhammad (pbsl) andò allora a vivere con lo zio Abu Tàlib, che lo allevò come un figlio e pare che lo portasse con sé lungo le vie carovaniere fino alla Siria e alla Palestina, facen‐ dogli conoscere le grandi città del passato, le chiese, i conventi e tante altre cose. Ma gli affari di Abu Talib cominciarono a diminuire e Muhammad (pbsl) dovette guadagnarsi da vivere facendo il pa‐ store: questa occupazione a contatto con la natura gli diede l’op‐ portunità di contemplare la creazione di Dio. Aveva solo ventun anni e già, per il suo atteggiamento retto e nobile, era soprannominato Al Amin, ossia l’onesto. Egli era felice del suo lavoro di pastore, ma suo zio, desiderando per lui qualcosa di meglio, lo sistemò presso una ricca vedova, Khadija, che dirigeva da sola i suoi consistenti affari. A venticinque anni, dunque, ebbe l’incarico di guidare una carovana di merci diretta in Siria, compito che espletò con successo. Apprezzate le qualità del giovane, Khadi‐ ja lo volle sposare e mandò sua sorella a chiedere la sua mano. Anche Muhammad (pbsl) era attratto dalla donna, benché ella avesse quindici anni più di lui, per cui le nozze furono combinate. I loro ventisei anni di matrimonio furono felici, fino a che ella visse, 10
Muhammad (pbsl) non ebbe nessun'altra moglie. Egli era diventato una persona ancora più rispettata in città per la sua onestà, carità e per le sue capacità organizzative. Si adoperò sempre per i poveri, i deboli, i diseredati, molti furono gli schiavi che dovettero a lui la loro libertà, molte vedove e orfani vissero grazie alla sua generosi‐ tà. Quando Khadija gli fece dono dello schiavo Said, egli lo rese li‐ bero. Said insistette allora per rimanere presso Muhammad (pbsl) come suo personale servitore e il Profeta (pbsl) lo ricompensò adottandolo come figlio. Verso i quarant’anni, la sua necessità spirituale si fece più forte, per cui trascorreva del tempo in meditazione in luoghi solitari in‐ torno alla Mecca, sul monte Abu Qubays o in una grotta del monte Hìra. Fu qui che, in una delle ultime notti del mese di Ramadàn dell’anno 612, gli apparve l’Angelo Gabriele e lo invitò a leggere. Per tre volte il Profeta (pbsl) rispose che non sapeva leggere. E per tre volte l’Angelo lo prese e lo sommerse nel suo abbraccio fino quasi a soffocarlo. Infine, l’Angelo gli disse: “Leggi nel nome del tuo Signore! Colui che creò, creò gli uomini da un grumo di sangue, leggi! Il tuo Signore è misericordioso che insegnò con l’aiuto della penna, in‐ segnò all’uomo ciò che egli non sapeva.” (Sura XCVI, L’aderenza, vv. 1-5)
La parola “leggi” in arabo ha la stessa radice di Corano, che signi‐ fica lettura o declamazione. Muhammad (pbsl) lesse queste parole dopo l’Angelo, che allora lo lasciò andare; in seguito egli spiegò che era come se le parole fossero state scolpite nel suo cuore. Muhammad (pbsl), spaventa‐ to, fuggì dalla grotta e, quando era a metà strada giù per il pendio del monte, udì una voce sopra di lui che gli diceva: «O Muhammad, tu sei il Messaggero di Dio, e io sono Gabriele.» Ovunque egli guar‐ dasse, vedeva sempre un Angelo che riempiva il cielo e l’orizzonte. Molto turbato, egli tornò a casa e raccontò alla moglie che cosa era successo, timoroso che potesse trattarsi di qualche intervento diabolico. Ma la donna lo confortò, lo avvolse in un mantello e gli disse che lui era stato sempre caritatevole e generoso, aveva aiuta‐ to i poveri, gli orfani, le vedove e tutti quelli che avevano bisogno e che, quindi, Dio lo avrebbe protetto da ogni male. Per un periodo, rimase senza alcuna rivelazione, mentre i mec‐ cani lo burlavano per quello che aveva raccontato. Indi, le rivelazio‐ ni ripresero; Dio lo assicurò che non l’aveva abbandonato ma, al 11
contrario, l’aveva guidato sul giusto cammino. Tale rivelazione, che continuò per ventitré anni, è nota come il Corano. Egli iniziò a divulgare il suo messaggio dapprima agli amici più intimi, nella sua tribù, obbedendo a un ordine dell’Arcangelo Ga‐ briele che gli chiese di informare le persone a lui più vicine di quanto visto ed udito. La prima a convertirsi, tra tutti, fu sua moglie Khadija. In quel periodo egli visse tre vite: una mistica, quella del ritiro e della rivelazione, una con la famiglia e il piccolo gruppo dei suoi seguaci, una pubblica in cui partecipava alle cerimonie religiose della sua tribù, rispettoso delle osservanze tribali, cogliendo però l’occasione per dirigere la predicazione ai Quràyshiti. Infine, la predicazione diventò pubblica in città: recitava i versetti rivelati nello spiazzo della Kaaba e nei dintorni. Ma, non appena cominciò a predicare la verità che Dio gli aveva rivelato, la necessi‐ tà di credere in un Dio unico, nella resurrezione, nel Giorno del Giudizio, nella vita ultraterrena, invitando alla carità e alla bontà, il suo definirsi Profeta od inviato da Dio fu accolto dalle famiglie in‐ fluenti della città come un tentativo di impadronirsi del potere po‐ litico edanneggiare i loro interessi commerciali. Inoltre, le autorità reagirono con sdegno alla concezione di Allah come unico e vero Dio e lo accusarono addirittura di paganesimo! La nuova semplice religione si diffuse, invece, tra le donne, i cri‐ stiani, gli schiavi, i diseredati e, ad un certo punto, i Meccani propo‐ sero un compromesso al Profeta (pbsl): avrebbero accettato la sua predicazione se egli avesse ammesso gli idoli come intermediari del suo Dio. Egli rifiutò. Allora andarono da suo zio Abu Talib e of‐ frirono ricchezze e poteri, se egli avesse cessato la predicazione. Ma Muhammad (pbsl) rispose: «Pur se mi mettessero nella mano destra il sole e nella mano sinistra la luna, non riuscirebbero a di‐ stogliermi dal mio compito ed io non avrò alcuna esitazione fino a quando il Signore non porterà la sua causa alla vittoria, oppure io sarò morto.» Mentre i suoi seguaci aumentavano, l’opposizione diventava sempre più forte e il piccolo gruppo dei suoi fedeli subì una serie di persecuzioni, anche fisiche, molto dolorose: qualcuno fu persino ucciso. Tra le tante persone torturate, ad esempio, Khabbab fu la sesta o settima ad abbracciare l’Islam e per questo soffrì molto a lungo. Un giorno, gli fu fatta indossare un’armatura di ferro e fu la‐ sciato al sole caldissimo a soffocare e morire di sudore. Altre volte, fu fatto stendere sulla sabbia bollente che consumava la sua pelle, 12
oppure veniva trascinato su mucchi di carboni ardenti. Khabbab era uno schiavo e la sua padrona prese anche a mar‐ chiare la sua testa con un ferro rovente. Dopo molto tempo, il ca‐ liffo Omar gli chiese di mostrargli la sua schiena e quindi esclamò: «Non ho mai visto nulla di simile!» Anche Ammar e i suoi genitori furono martoriati sulle bollenti sabbie della Mecca. Il padre di Ammar morì a seguito delle violen‐ ze, la madre fu uccisa da un colpo di lancia al basso ventre. Quella donna fu il primo martire dell’Islam, e Ammar costruì poi la prima moschea [5] . Persino le figlie del Profeta (pbsl) furono ripudiate dai loro mariti, tanto che egli (pbsl) consigliò ai suoi di emigrare clandestinamente in Abissinia. Intanto, morì Khadija e anche lo zio Abu Tàlib che lo proteggeva. Divenne capo del clan un altro zio, Abu Lahab, che lo rinnegò, per cui egli fu isolato, senza neppure la protezione della sua tribù. Il 27 del mese di Rajab dell’anno 620, mentre dormiva in casa di sua cugina, ebbe una visione: l’Angelo Gabriele lo guidò a una ca‐ valcatura celeste, Buràq (il lampo), sulla quale volò dalla Kaaba al tempio di Gerusalemme, poi sul Sinai e a Betlemme. Incontrò Abramo, Mosè, Gesù, poi salì su per una scala di luce ai sette cieli dove incontrò altri Profeti. Muhammad (pbsl) cercò allora alleati tra i Beduini ma anch’essi lo tradirono, mentre alla Mecca stavano studiando il modo di met‐ terlo a morte senza incorrere però nella vendetta tribale del suo clan che, seppure lo aveva abbandonato, avrebbe poi dovuto ven‐ dicarne la morte. Gli abitanti di Yatrib, invece, considerarono Muhammad (pbsl) in grado di essere una figura positiva per sedare le questioni tra i clan arabi, ebraici, cristiani. A causa della situazione sempre più in‐ vivibile alla Mecca, il Profeta (pbsl) fece emigrare i suoi discepoli a gruppi, un po’ alla volta, diretti a Yatrib. I Meccani, allora, per impe‐ dirgli di estendere la sua influenza altrove, tirarono a sorte quaran‐ ta uomini, uno per ogni clan, che presero voto di uccidere Muham‐ mad (pbsl) colpendolo simultaneamente. In questo modo, egli non avrebbe potuto essere vendicato se non con il sangue di tutti i clan. Il Profeta (pbsl), avvertito dei propositi omicidi, fuggì (hìjra, fuga) proprio la notte designata per la sua eliminazione, con l’ami‐ co Abu Bakr. Essi ebbero molte avventure durante questa hìjra, una di queste è quella del ragno. Infatti, il Profeta (pbsl) e Abu-Bakr, benché diretti in realtà a nord, verso Yatrib, avevano deviato a sud 13
per sfuggire ai persecutori che, armati, li stavano inseguendo, dato che i notabili della Mecca avevano posto sul loro capo una taglia di cento cammelli. Mentre si trovavano alle falde del monte Thawr, sulla strada per lo Yemen, si erano rifugiati in una grotta, sperando di far calmare un po’ le acque e di riprendere poi il cammino. Ma, al terzo giorno, un gruppo di uomini giunse fino ai piedi del monte e cominciò a cercare dappertutto. Passando davanti alla grotta, gli uomini si mi‐ sero a discutere tra di loro, ma poi si convinsero che all’interno non doveva esserci nessuno e se ne andarono. Muhammad (pbsl) e il compagno videro allora che un’acacia era cresciuta coprendo con le sue foglie l’entrata della grotta, un ragno aveva tessuto un’enor‐ me ragnatela tra l’albero e la roccia, una colomba aveva fatto il nido e stava covando proprio dove un uomo avrebbe dovuto pas‐ sare per entrare. Dio aveva voluto proteggerli e, infatti, poco prima, il Profeta (pbsl) aveva detto ad Abu-Bakr: «Cosa pensi di due perso‐ ne quando Allah è il terzo tra loro?» L’Hijra, Egira, che significa letteralmente migrazione, sta a indica‐ re il momento in cui Muhammad (pbsl) e i suoi seguaci raggiunse‐ ro nel 622 la città di Yatrib, circa 400 chilometri a nord, e segna l’i‐ nizio del Calendario islamico che, basandosi sulle fasi della luna, è di un trentatreesimo più corto di quello del sole. Il Profeta (pbsl) aveva spezzato il legame con la comunità, con i parenti, con la città natale, e ciò fu considerato una migrazione come quella di Abramo quando, su esortazione di Dio, lasciò la sua dimora di Ur, in Mesopotamia. L’accordo con gli abitanti di Yatrib prevedeva che egli si sarebbe occupato degli affari politici della cit‐ tà, essendo poi libero di predicare quello che voleva. Yatrib cam‐ bierà il nome diventando “la città del Profeta”: madinat alNàbi, da cui Medina. Egli costruì la prima moschea, tribunale e sede del suo consiglio di Stato, suddivise la gente in muhajirun (profughi della Mecca che lo seguivano) e ansàr (neomusulmani di Medina). I Meccani non fe‐ cero cessare il loro odio e organizzarono tre grandi spedizioni con‐ tro Medina, ma inutilmente. Fra il 623 e il 624 venne, inoltre, modificata la direzione verso la quale si rivolge il fedele per pregare: i cristiani si volgevano verso est, gli ebrei e i musulmani verso Gerusalemme. Da quel momento, i versetti della seconda Sura, ordinarono di volgersi verso la Kaaba, come si fa ancora oggi. Indi, venne istituito il digiuno del mese di Ramadàn, mentre i cristiani avevano la quaresima e gli ebrei il ki‐ 14