Fenici al volo (Piero Bartoloni)

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Capitolo primo

IL LEVANTE

Come ampiamente dimostrato da Sabatino Moscati, con il nome di Phoinikes i Greci erano soliti indicare non solo gli abitanti della Fenicia, che geograficamente quasi corrispondeva all’attuale Libano, ma tutti indistintamente gli abitanti della costa del Levante nel corso del primo millennio a.C. (fig. 1) .Questa area geografica si estendeva, a nord, dal Golfo di Alessandretta, incuneato tra l’Anatolia e la Siria, fino alla cosiddetta Striscia di Gaza, territorio litoraneo della penisola del Sinai, che precede il delta del Nilo. In questo periodo, lungo questo tratto costiero si affacciavano numerose città i cui abitanti, tuttavia, non erano unicamente di stirpe fenicia. Infatti, nel tratto settentrionale corrispondente alla parte costiera siriana, compreso tra il Golfo di Alessandretta e l’antica città di Arado, l’attuale Rawad, erano collocate città in gran parte fondate tra l’Antico e il Medio Bronzo, quali per esempio Al-Mina sull’Oronte, Ras el Basit, Minet el-Beida, Ras Ibn Hani presso Ugarit e Tell Sukas, tutte città portuali abitate da popolazioni di stirpe siriana, con una forte componente aramaica. Nel tratto centrale, corrispondente all’antica Fenicia (fig. 2), sorgevano le città popolate appunto dai veri e propri Fenici, politicamente indipendenti l’una dall’altra, ma unite dalla comune lingua e dalla uguale cultura. Come accennato, i limiti geografici della Fenicia erano compresi, a nord, dalle città di Arado e di Antarado, la Tortosa dei Crociati, a est dalle catene montuose del Libano e dell’Antilibano, a sud dalla città di Akko, la Ptolemais dei Greci, la San Giovanni d’Acri dei Crociati e l’attuale Akkâ, e a ovest dal Mar di Levante, bacino orientale del Mare Mediterraneo. La presenza delle due catene montuose, che raggiungono e superano i 3000 metri e corrono parallele alla costa, rende la fascia costiera assai ristretta. Addirittura in un tratto, a nord di Berytus, la Biruta menzionata negli annali assiri, e in prossimità della foce del fiume Lycus, attuale Nahr el-Kelb, i monti si affacciano direttamente sul mare. L’unico varco tra le montagne del Libano e dell’Antilibano è costituito dalla valle della Beqâa, percorsa da nord a sud dal fiume Leontes, attuale Litani, che sbocca tra Sidone e Tiro, e percorsa da sud a nord, dal fiume Oronte, che sfocia a nord della Fenicia, lungo la costa siriana. Il passaggio meridionale delle due catene montuose corrisponde al retroterra di Tiro e in realtà è una delle poche pianure coltivabili del Libano. Un’ulteriore territorio pianeggiante è ubicato sempre nel sud e più precisamente alle spalle di Akko, mentre, nella parte settentrionale, l’unica zona pianeggiante è la valle dell’Akkar, lungo il basso corso dell’Eleutheros, l’odierno Nahr el Kebir, che attualmente costituisce il confine settentrionale che divide il Libano dalla Siria. L’attuale confine meridionale è presso il Ras en-Naqura e quindi a nord della piana afferente alla città di Akko, che oggi è ubicata entro i confini israeliani. Infine, nel tratto meridionale, compreso tra Akko e Gaza, noto nell’antichità come Terra di Canaan e oggi come 11


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Fig. 1. I centri della costa del Levante agli inizi dei primo millennio a.C.

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I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna

Fig. 2. I centri della Fenicia agli inizi del primo millennio a.C.

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Palestina, si affacciavano le città filistee di Dor, Ashdod, Ashkelon e Giaffa, solo per citarne alcune, sorte tra la fine del XIII secolo a.C. e i primi decenni del secolo successivo. Ancora oggi si è soliti attribuire alle attività dei Fenici tutto ciò che proveniva dal Levante, mentre, come si è accennato, proprio su quel tratto costiero si affacciavano popoli di stirpi e origini tra le più diverse. Infatti, occorre ricordare che tutta l’area del Vicino Oriente, dalla penisola anatolica al delta del Nilo tra la fine del XIII secolo a.C. e i primi decenni del secolo successivo fu investita e sconvolta da massicce ondate migratorie di genti provenienti soprattutto dall’Occidente, che vanno comunemente sotto il nome di Popoli del Mare. Tra questi popoli sono da annoverare i Filistei, mentre la diretta conseguenza di queste ondate migratorie fu l’indebolimento o la scomparsa dei grandi regni dell’area vicino-orientale e il conseguente sviluppo in totale autonomia di nuovi popoli quali appunto i Fenici, totalmente liberi e non più sottoposti a vessazioni o a tributi da parte delle grandi potenze. Gli studi più recenti hanno già ampiamente dimostrato come la colonizzazione nell’Occidente mediterraneo, fors’anche estremo, sia opera del progressivo e determinante apporto delle popolazioni vicino-orientali, soprattutto nord-siriane, filistee, cipriote e, infine, fenicie, le quali appunto tra il XII e l’VIII secolo a.C. riaprirono le rotte verso Occidente, un tempo percorse principalmente dai naviganti micenei. Questi arditi navigatori provenienti dal Peloponneso e dalle isole dell’Egeo, che, com’era consuetudine, mescolavano il commercio con la pirateria, avevano alcune basi in Sardegna, tra le quali, oltre al complesso nuragico di Antigori, nel Golfo di Cagliari, si possono forse ricordare al centro dello stesso golfo, il ridosso di Capo Sant’Elia, il fondaco sull’isola di Tuerredda, a est di Capo Malfatano, e il riparo dell’Isola Rossa, nel cuore del Golfo di Teulada. Con la crisi del mondo egeo, verificatasi verso la fine del XIII secolo a.C., si resero totalmente disponibili al commercio orientale tutte le rotte verso Occidente. Dopo la scomparsa o il drastico ridimensionamento delle città egee, dovuto tra l’altro alla cosiddetta “Invasione dei Popoli del Mare”, le rotte verso Occidente vennero occupate dalle città costiere della Siria settentrionale e dalle città filistee della costa palestinese. Tra questi centri abitati si possono ricordare, a nord, Dor, e, verso sud, Ashdod, Ashkelon, Eqron, Gat e Gaza (fig. 1), che, memori dell’eredità micenea, furono tra i primi a intraprendere l’avventura verso l’Occidente e verso i mercati dei metalli preziosi, tra i quali, soprattutto, l’argento, il rame e lo stagno. La loro abilità marinara si evince tra l’altro poiché, abitanti di centri affacciati lungo una costa sabbiosa e priva di estuari fluviali di una certa importanza, furono gli inventori delle opere portuali artificiali. Una consistente testimonianza della presenza filistea in Sardegna è fornita dalla constatazione che gran parte delle ceramiche vascolari “micenee” rinvenute nel complesso nuragico dell’Antigori sono in realtà “sub-micenee” e, secondo le analisi chimiche effettuate, sono prodotte in Sardegna tra il 1190 e il 1050 a.C., cioè quando ormai il mondo miceneo era quasi definitivamente scomparso.

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Bibliografia

S. MOSCATI, Le antiche civiltà semitiche, Milano 1958. M. LIVERANI, Antico Oriente. Storia società economia, Roma-Bari 1988. M. BOTTO, Studi storici sulla Fenicia. L’VIII e il VII secolo a.C., Pisa 1990. S. MOSCATI, L’arte dei Fenici, Milano 1990. P. BARTOLONI, Le linee commerciali all’alba del primo millennio: (S. Moscati ed.), I Fenici: ieri oggi domani. Ricerche,scoperte, progetti (Roma, 3-5 marzo 1994), Roma 1995, pp. 245-259. S. MOSCATI, La bottega del mercante. Artigianato e commercio fenicio lungo le sponde del Mediterraneo, Torino 1996. S. F. BONDÌ, Interferenza fra culture nel Mediterraneo antico: Fenici, Punici, Greci: (S. Settis ed.), I Greci. Storia cultura arte società, 3. I Greci oltre la Grecia, Torino 2001, pp. 369400. F. M. FALES, L’impero assiro, Roma-Bari 2001. M. LIVERANI, Oltre la Bibbia. Storia antica d’Israele, Roma-Bari 2003. M. G. BIGA, I Babilonesi, Roma 2004. C. BONNET, I Fenici, Roma 2004. S. PERNIGOTTI, Introduzione all’Egittologia, Bologna 2004. M. L. UBERTI, Introduzione alla storia del Vicino Oriente antico, Bologna 2005.

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Capitolo secondo

Le rotte commerciali dei Fenici

Fin dalla metà del Secondo Millennio a.C. i Micenei, abitanti del Peloponneso e della Grecia insulare, solcarono con le loro navi l’antico Mediterraneo (fig. 3), sia verso Oriente che verso Occidente, alla ricerca di materie prime rare e preziose e di mercati. Il tragitto si svolgeva prevalentemente lungo rotte costiere e con l’appoggio di ripari temporanei ben protetti, quali talvolta modesti e apparentemente inospitali isolotti, come quello di Vivara presso Ischia. Con il crollo dei regni micenei e la scomparsa della loro marineria, altri popoli del Vicino Oriente si sovrapposero agli itinerari già tracciati. Tra questi emersero i Fenici, che per lungo tempo detennero il monopolio della navigazione dal Canale di Sicilia verso Occidente. Solo verso l’800 a.C. furono almeno in parte affiancati da elementi di stirpe greca, provenienti dall’isola Eubea, a est dell’Attica, i quali, assieme ai Fenici, colonizzarono l’isola d’Ischia. Gli antichi scrittori, per evidenziare sia gli apparentemente misteriosi tragitti, sia le lontane terre raggiunte, narravano di un comandante fenicio che, vistosi seguito da navi straniere durante la navigazione verso lontani e segreti mercati, non esitò a gettare la sua nave sugli scogli pur di non rivelare la sua destinazione ai concorrenti.

Fig. 3. Le regioni del Mediterraneo antico e la principale rotta dei Fenici.

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La leggenda, poiché di leggenda probabilmente si tratta, nasconde nella realtà l’ampiezza delle relazioni commerciali dei Fenici. Già attorno al 1000 le loro navi frequentarono costantemente il mar Egeo alla ricerca dell’oro e del rame, mentre poco dopo, anche con il concorso finanziario dei Faraoni di Egitto e dei re d’Israele, intrapresero viaggi verso l’Arabia e portarono a termine in tre anni il periplo dell’Africa. Se queste spedizioni verso Oriente tendevano ad acquisire spezie, oro, avorio e animali esotici, quelle verso l’Adriatico erano volte al commercio dell’ambra, preziosa nella gioielleria dell’epoca. La ricerca di beni preziosi o indispensabili, quali l’argento e lo stagno, spinse i naviganti fenici ad affrontare le onde dell’oceano Atlantico fino a raggiungere l’arcipelago britannico. Nei loro lunghi itinerari verso Occidente, i Fenici si servirono di navi di stazze talvolta considerevoli, che potevano toccare le 500 tonnellate, e di lunghezze che potevano superare anche i 40 metri. La navigabilità e la capacità di carico di queste navi mercantili erano garantite dalla larghezza dello scafo, che raggiungeva un terzo della larghezza. La propulsione a vela permetteva una velocità di circa 3 nodi. I naviganti greci non furono certamente da meno e, sia pure con minore raggio di azione, compirono grandi imprese. Il viaggio di Ulisse verso Itaca pone in evidenza i popoli, le terre e, non ultimi, i pericoli che incontravano i naviganti agli inizi del Primo Millennio a.C. Mentre la spinta verso Occidente dei Fenici all’inizio fu soprattutto commerciale, quella greca fin dall’origine fu sostanzialmente coloniale. Resta emblematica quella dei Greci d’Oriente, che, provenienti dalle colonie dell’Asia Minore, cacciati dai Persiani e diretti verso ovest a fondare Marsiglia, secondo quanto narra Erodoto (I, 170, 2), navigavano su vascelli da guerra privi di ponte, le pentecontere, che usavano per commerciare. Questo episodio nasconde, ma neanche tanto, le caratteristiche salienti dell’antica marineria che si basava sulla pirateria e sul commercio. Non a caso i porti franchi dell’epoca erano posti sotto la protezione di una divinità universalmente riconosciuta - Astarte, Afrodite, Venere - il cui santuario offriva luoghi sicuri di commercio e riposo, quest’ultimo favorito dalle sacerdotesse della dea. Il più famoso di questi santuari-mercati era a Paphos, nell’isola di Cipro, ma altri più vicini erano probabilmente a Santa Severa, sul litorale romano, e a Cuccureddus di Villasimius, nella Sardegna sud-orientale. Dei Romani non si ricordano grandi imprese navali oltre a quelle delle famose battaglie contro la nemica Cartagine. Con la praticità che fu loro propria copiarono le loro navi da quelle cartaginesi, ma si avventurarono nel mare, che considerarono sempre ostile, solo quando ne furono obbligati. Furono fortemente ostili alla pirateria, che metteva a repentaglio i loro commerci, ma in qualche occasione non disdegnarono il contrabbando, nel quale si distinse Catone il censore, il grande nemico di Cartagine, che in tal modo impiegava i proventi dei suoi prestiti a usura. È stato ampio argomento di studio e anche in tempi recenti si è discusso a lungo attorno a quel periodo particolarmente importante della cosiddetta diaspora fenicia verso l’Occidente mediterraneo, che si pone tra lo scorcio del Secondo e i primi secoli del Primo millennio a.C. L’arco temporale sotto osservazione in questa sede riveste grande interesse poiché costituisce il cardine per la storia dei Fenici in Occidente e rappresenta una svolta nei costumi e nelle attività non solo di questo popolo e, quindi, anche nei suoi modi di commercio, ma anche nelle popolazioni occidentali entrate in loro contatto e quindi da questo aperte alla storia. 18


I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna

La grande e qualificata messe di scoperte archeologiche effettuata nell’ultimo decennio soprattutto nel Mediterraneo centro-occidentale ha consentito un notevole balzo in avanti degli studi e, per quanto riguarda la scuola italiana, in modo particolare di quelli afferenti alla civiltà fenicia e punica nella Sardegna. L’esegesi dei materiali, in comparazione con le fonti storiche e con quanto emerso nelle regioni anche più distanti del Mediterraneo, ha permesso di avanzare nuove proposte, offerte negli ultimi anni al consesso internazionale degli studiosi del campo. Tuttavia, a un’analisi attenta delle pur limitatissime testimonianze si possono riconoscere quattro grandi correnti commerciali e culturali protese verso l’Occidente più o meno lontano. Come è ovvio, a iniziare dalla prima Età del ferro, queste correnti provengono tutte dall’area siro-palestinese. La prima e più settentrionale, che chiameremo convenzionalmente “siriana”, sembra avere origine prevalente anche se non esclusiva dai centri della costa nord-siriana. Tra questi si possono ricordare i già citati Al-Mina, Ras Ibn Hani, Ras el Basit o il più meridionale Tell Sukas, tradizionali porti di Oriente. Questa flusso commerciale risulta composto da elementi siriani, aramei e fenici e, tra l’altro, riceve probabile impulso anche dai sovrani damasceni. La seconda corrente, invece, pur partecipando contemporaneamente alla prima nel tragitto verso Occidente, si potrebbe definire “filistea”, poiché sembra aver fatto perno soprattutto sui centri della Palestina, cioè su quelli a sud del Carmelo. Dalla Fenicia vera e propria hanno invece origine le ultime due correnti, l’una per altro fortemente impinguata da una componente cipriota e l’altra probabilmente con il concorso di tutti i centri costieri probabilmente riuniti sotto la supremazia tiria. Come giustamente ha affermato Sabatino Moscati, è proprio il mondo greco che accorpò in una sincronia fittizia i partecipanti a questi quattro gruppi vicino-orientali definendoli tutti indistintamente Phoinikes. Sostanziale è anche la differenza di approccio verso Occidente, poiché, nel caso delle prime due correnti, quella “siriana” e quella “filistea”, si tratta soprattutto di attività connesse esclusivamente con imprese commerciali, mentre nel caso delle correnti più propriamente fenicie, già alla fine del IX secolo a.C. siamo ormai di fronte a vere e proprie spedizioni a sfondo coloniale, che, a questo punto, sembrano differire ben poco dalle immediatamente successive colonie di popolamento greche. Si noterà che, mentre le prime due correnti più settentrionale e più meridionale risultano maggiormente attive tra il XII e il IX secolo a.C. e sembrano etnicamente più differenziate e composite, quelle più propriamente fenicie non sembrano consolidate fino alla fine del IX secolo a.C. Anzi, questa cronologia sembra valida solo per quella corrente che vede anche la partecipazione cipriota e che in effetti si concretizzò almeno apparentemente solo con la fondazione di Cartagine, nello scorcio del IX secolo a.C. Invece, per quanto riguarda il flusso che sembra esclusivamente fenicia e si può ritenere etnicamente se non politicamente più omogenea, che si stanzierà in Sardegna, in Sicilia e nella Penisola Iberica, la sua azione si concretizzò apparentemente non prima degli inizi dell’VIII secolo a.C. Se si analizzano anche rapidamente le vestigia lasciate dalla prima e più antica corrente fenicia, cioè quella con la componente cipriota, si noterà la presenza di una forte partecipazione rodia che si trasferisce ed è visibile in modo eclatante fino a Pithekoussai, nell’insediamento presso Monte Vico, nell’Isola d’Ischia. I materiali della necropoli di San Montano, afferente a questo centro, trovano un riscontro che è impressionante se non speculare con quelli della necropoli di Exochi, nell’isola di 19


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Rodi. Sempre nell’isola campana, si è potuto notare che, tra quelli di origine orientale, i materiali veramente fenici sono decisamente in numero assai scarso. Per di più questi oggetti appartengono soprattutto all’orizzonte LGII (Tardo Geometrico II 725700 a.C.) e in buona parte alla classe della red slip, che oltre al resto può essere considerata cosmopolita. A questo punto occorre solo osservare come non sia un caso che anche nei centri costieri orientali, tra i quali per esempio quello di Al-Mina, accanto a un vasto repertorio di recipienti ciprioti, la ceramica certamente di produzione fenicia invece sia decisamente poco rappresentata. La tappa rodia permette di identificare come prioritaria o forse addirittura unica per quel periodo la cosiddetta “rotta settentrionale”, che, nell’onda di ritorno, spiega e giustifica anche l’approccio greco ai porti circostanti il golfo di Iskenderun e da qui verso i centri della costa a sud di Tell Sukas. Ma proseguendo verso ovest, dall’isola di Rodi evidentemente la rotta si biforcava e, da un lato, proseguiva verso nord seguendo il percorso delle Cicladi fino all’Eubea e oltre, fino a Taso, che Erodoto (II, 3-4) e Pausania (V, 25, 12) ritengono di fondazione fenicia. Inoltre, sempre Erodoto (VI, 46-47) vi segnala la presenza di miniere d’oro sfruttate dai Fenici. Ancora da Rodi proseguiva il ramo più meridionale, che si appoggiava a Scarpanto e ai porti di Creta, ove sussistono non poche tracce di collegamenti con l’Occidente mediterraneo. Da Creta l’itinerario si biforcava ulteriormente e una parte del tracciato risaliva verso il Peloponneso attraverso l’isola di Kithera. Dalle coste della Grecia il percorso risaliva lungo le isole greche occidentali fino a Kerkira, da dove traversava il Mar Ionio e, percorrendo le costa apule e calabre, transitava attraverso lo Stretto di Messina. Superato lo stretto, si appoggiava alle Lipari per proseguire poi verso la Sardegna, verso le Baleari e verso l’estremo Occidente. Che le rotte percorse fino ai primi decenni dell’VIII secolo a.C. fossero in parte diverse da quelle tracciate nella seconda metà del secolo e poi in quelli successivi è strato già adombrato più volte, ma le prove archeologiche ci derivano ormai da numerosi indizi che riguardano soprattutto la Sardegna, in qualità di meta finale o di tratta di transito verso Occidente. Che il motore fosse la ricerca di metalli preziosi e d’uso è anche posto in evidenza dai rinvenimenti di ox-hide ingots, i ben noti lingotti ciprioti di rame a forma di pelle di bue rinvenuti soprattutto nella Sardegna settentrio-

Fig. 4. Cagliari, Museo Nazionale, lingotto cipriota di rame (Ox-hide ingot).

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I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna

nale, orientale e meridionale (fig. 4). Si osserverà innanzi tutto che la rotta micenea e poi «levantina» tracciata lungo la costa orientale della Sardegna ha ben poco seguito dopo la metà dell’VIII secolo a.C. Tra l’altro questo tracciato è stato posto in evidenza dai ben noti rinvenimenti micenei del Golfo di Orosei. Queste correnti commerciali orientali sono desumibili tra l’altro attraverso l’esame dell’insediamento di Pithekoussai, attuale isola d’Ischia (fig. 5). Come è noto, il fondaco ebbe la sua stagione felice per circa un cinquantennio per poi declinare rapidamente in concomitanza con la fondazione di Cuma. Come già accennato, la storia del sito e i suoi materiali risultano un eccellente esempio della corrente commerciale proveniente dall’area nord-siriana, che chiameremo «mercantile», per distinguerla da quella fenicia, che indicheremo come «coloniale». A un esame anche non approfondito dei materiali, come si è visto, nel fondaco pithekousano risulta più che evidente l’eterogeneità delle componenti. Oltre a quella siriana, sono di particolare risalto quella rodia e quella cipriota, né mancano testimonianze di una componente aramaica. È di particolare interesse che l’elemento fenicio sia senza dubbio presente ma non sovrasti in alcun modo le altre componenti orientali e anzi appaia in una posizione paritetica se non addirittura minoritaria. A rendere evidente questa situazione è la ceramica vascolare, la cui origine non è da ricercare nelle botteghe del Mediterraneo centro-occidentale, quanto invece nei centri produttori siro-palestinesi o nelle botteghe rodie e cipriote, che presto imitarono e ben volentieri fecero proprie alcune forme vascolari dell’area fenicia. Tra queste la brocca con orlo espanso e corpo globulare di produzione rodia (fig. 6, b), recipiente imitato dalle brocche con orlo cosiddetto “a fungo” (fig. 6, a) e dalla quale in seguito trarranno ispirazione gli alabastra e gli aryballoi greci (fig. 6, c). L’insediamento di Pithekoussai rappresenta uno degli ultimi esempi ai quali partecipa la corrente nord-siriana, che sembra esaurirsi nel momento in cui l’elemento euboico passò dalla fase mercantile a quella coloniale. Quindi il centro pithekousano costituì probabilmente l’ultimo insediamento a noi noto con vocazione commerciale a carattere «misto» piuttosto che la prima colonia greca di popolamento in Italia, caratteristica questa che può essere rivendicata con maggior diritto dalla non distante Cuma. Sostanzialmente diversa appare la situazione degli insediamenti occidentali frutto della corrente fenicia. In questo caso le componenti estranee al milieu fenicio sono rare e appena tangibili. Fin dall’origine l’omogeneità dei prodotti ceramici è sostanziale e si diffonde solo tra la zona centrale e quella occidentale del Mediterraneo mentre apparentemente poco o nulla dell’instrumentum domesticum deriva direttamente dai mercati orientali o vi è destinato. Fa eccezione, a contraltare della produzione greca, frammentata in numerosi rivoli, la produzione fittile in red slip, che nel mondo fenicio di Oriente e Occidente almeno per quasi tutto l’VIII secolo a.C., ha i caratteri spiccatamente ecumenici che avrà in seguito, per esempio, la ceramica attica a vernice nera. Fino alla metà del VII secolo a.C. la ceramica fenicia delle colonie di Occidente appare sostanzialmente omogenea e la tipologia è senza frontiere, poiché il mare la unisce. Infine, la diversa composizioni dei due gruppi etnici che si affacciarono a occidente solo durante l’VIII secolo a.C., cioè a dire i Fenicio-Ciprioti di Cartagine e i Fenici di Sardegna e Sicilia, ci consente forse di aggiungere una motivazione all’aggressione cartaginese delle due isole nello scorcio del VI secolo a.C. Come si avrà modo di 21


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Fig. 5. Il Mediterraneo centrale.

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I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna

Fig. 6. a) Brocca con orlo espanso fenicia, b) aryballos rodio, c) aryballos corinzio.

Fig. 7. Panorama ideale dell’insediamento di Cuccureddus nel VII secolo a.C.

osservare in seguito, l’incendio e la distruzione del tempio di Cuccureddus di Villasimius (fig. 7), nonché la stessa sorte subita dal luogo di culto di Monte Sirai, ivi comprese le radicali modifiche inferte alla statua fenicia, accrescono la sensazione e aggiungono forse una ulteriore motivazione, basata in questo caso su diverse credenze religiose o sulla supposta supremazia di una divinità (Melqart) rispetto ad un’altra 23


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(Ashtart). E queste considerazioni forse aiutano a comprendere e giustificano i guerrieri fenici di Bitia e di Tharros. Dunque, le armi di questi ultimi non erano rivolte contro le popolazioni nuragiche, quindi verso l’interno, ma forse verso la sponda opposta del Canale di Sardegna e contro l’invadente metropoli africana. Ma, del resto, come la storia ci ha dimostrato e come oggi risulta più che evidente, queste armi non furono sufficienti a proteggerli. Non tutti sanno che, nell’antichità, ha avuto grande parte il cosiddetto commercio nascosto. Con questa definizione si intende il commercio e lo scambio di tutti quei materiali, composti soprattutto di materia organica e quindi deperibile, dei quali non è rimasta traccia nell’epoca attuale. Molto spesso si ricorre a intuizioni, ma il più delle volte sono i fatti storici o le situazioni geografiche, che ci aiutano a superare la mancanza di notizie dirette. È noto che, nel mondo antico, la forza motrice era garantita dal lavoro dell’uomo e degli animali da soma. In particolare, era lo stuolo della mano d’opera servile - gli schiavi - che garantiva un’ampia fetta della produzione e dell’economia dell’antichità. Eco indelebile di questo traffico è, tra l’altro, nell’antica letteratura. Spesso, per l’interpretazione dei dati, anche la situazione politica di una regione risulta illuminante. Tale è l’esempio dell’antica Sardegna di età nuragica, che politicamente non era coesa, bensì divisa in “cantoni”, tutti autonomi. È assai probabile che, in una società guerriera e fortemente gerarchica come quella nuragica, la cattura di membri di altre tribù, ai fini della loro vendita come schiavi, fosse una pratica corrente. È anche evidente che ai fini dell’approvvigionamento della “materia prima” fossero effettuate delle scorrerie, equivalenti alle bardane ottocentesche. Certamente gli acquirenti non dovevano mancare, sia sul mercato interno, sia su quello estero, costituito dai navigatori prima Micenei e poi Vicino-Orientali. Un’eco di questa pratica e dell’impiego di mano d’opera servile ci viene forse data dagli stessi nuraghi. Infatti, la messa in atto di corvées non basta di per sé a spiegare il fervore costruttivo, l’enorme mole e la complessità di questi straordinari monumenti. Un ulteriore tipo di commercio, fondamentale nell’economia del mondo antico, fu quello del sale, componente alimentare indispensabile. Ad esempio, per venire a tempi più vicini ai nostri, la fortuna della stessa Roma si deve alle saline della foce del Tevere, il cui prodotto veniva poi smerciato nel cuore dell’Italia centrale attraverso la Via Salaria, il cui stesso nome suggerisce la sua funzione distributrice. Anche in Sardegna il sale costituì una fonte primaria di commercio, gestita in modo capillare dai Fenici. Infatti, a ben vedere, la maggior parte degli insediamenti costieri è collocata in prossimità di lagune. In alcuni casi le saline sono ancora oggi attive: si vedano per esempio quelle di Cagliari e di Sant’Antioco. Anche i pellami ebbero la loro fondamentale importanza, poiché, nell’antichità, oltre al papiro, le pergamene costituirono il supporto fondamentale per la scrittura. Mentre la pelle dei bovini era destinata a calzature, corazze e finimenti, la più adatta per la confezione delle pergamene fu senza dubbio quella di agnello, in virtù della sua morbidezza, dunque, della possibilità di arrotolarla. Anche in questo caso è probabile che la Sardegna costituisse uno dei grandi produttori dell’antichità, anche se analisi archeozoologiche effettuate in modo diacronico in alcuni siti fenici, per esempio a Monte Sirai, mostrano che, nell’VIII e VII secolo a.C., il consumo di carne di pecora era abbastanza limitato rispetto ai bovini, ai suini (maiali e cinghiali) e ai cervi. 24


I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna

Sorvolando sui cereali prodotti in Sardegna, del cui commercio sono piene le antiche fonti, osserviamo un altro aspetto, sempre legato all’industria alimentare. A titolo di primizia per esempio nel campo dell’archeologia fenicia e punica si potrà meglio evidenziare il già individuato rapporto tra i fondaci fenici della prima età coloniale e gli impianti delle tonnare, nate apparentemente assai più tardi. È stato notato che le tonnare attualmente in uso o ormai abbandonate, sono sempre in stretta connessione con gli insediamenti costieri fenici. Infatti appare ormai chiaro che tra le motivazioni che spinsero i Fenici verso Occidente non vi furono solo i metalli preziosi, ma anche l’industria alimentare della conservazione del pescato, la cui fama e tradizione del resto giunsero, grazie al famoso garum, fino all’età romana imperiale e oltre. A buon diritto, si può dunque parlare, oltre che di una Via dei metalli, anche di una Via del tonno.

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SOMMARIO

Introduzione

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1. IL LEVANTE

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2. LE ROTTE COMMERCIALI DEI FENICI

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3. NAVIGATORI E MERCANTI IN OCCIDENTE

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4. NAVIGATORI E MERCANTI IN SARDEGNA

33

5. I FENICI IN SARDEGNA

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6. CARTAGINE IN SARDEGNA

101

7. LE NAVI E LA NAVIGAZIONE

137

8. I RITI FUNEBRI

149

9. IL RITO DEL TOFET

159

10. LA CERAMICA FENICIA E PUNICA

167

11. MINIERE E METALLI

183

12. LA PESCA

189

13. LA PORPORA

197

14. IL VETRO

205

15. L’ALFABETO

211

16. IL VINO E IL MARZEAH

217

17. LA MONETAZIONE

225 285


18. ARTE E ARTIGIANATO § 1. La statuaria e il rilievo in pietra § 2. Le stele § 3. Le terrecotte figurate, le protomi e le maschere § 4. I gioielli § 5. Gli scarabei e gli amuleti § 6. Le “arti minori”

231 231 236 242 253 259 264

INDICE ANALITICO, a cura di Antonella Unali Indice delle persone e delle divinità Indice dei luoghi

273 273 277

286


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