Kaffè n°5

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RIVISTA TRIMESTRALE_ANNO 2009_N.05_01 MARZO_31 MAGGIO

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FATTI UN NEMICO. PORTALO AL CINEMA ©





FATTI UN NEMICO. PORTALO AL CINEMA

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EDITORIALE SPAZIO ALL’ARTE

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FUMETTI ATTILIO FONTANA

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CINEMA FUORI ROTTA

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PITTURA SALVO PREVITI

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PITTURA MARCELLA LICATA

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FOTOGRAFIA INDAGINI

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PITTURA FILOSOFIA NELL’ARTE E ARTE NELLA FILOSOFIA

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FOTOGRAFIA IL “SENSO” DELLA FOTOGRFIA

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BENESSERE HAMMAM

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FOTOGRAFIA THE BETHELEHEM PROJECT

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PITTURA IL COLORE DOVE NON C’È

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INSTALLAZIONI GLI UOMINI-FARFALLA

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PITTURA VOCAZIONE D’ARTISTA

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ARCHITETTURA IL MASSIMO A 360°

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PITTURA CONCETTUALMENTE IPERREALISTA

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LIBRI LIBERTY TUG

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SOCIETÀ LA COPPOLA STORTA

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LIBRI VICOLI VICOLI

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DOVE TROVI KAFFÈ

in copertina 1”CREDO”/6 2007

redazione_

responsabile di redazione_

via Nicolò Garzilli, 26_90141 Palermo Tel. 091 982 37 33_fax 091 982 20 05_www.katakusinos.eu rivista trimestrale_numero 05_01 Marzo_31 Maggio 2009 Reg. Trib. di Palermo n. 2 del 03-01-08

Lavinia Caminiti info@katakusinos.eu

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editoriale Mi piace pensare che quasi nulla accada per caso. E che basta mantenere lo spirito attento agli stimoli che la vita generosamente offre per accorgersi di quanto un evento che si creda accidentale possa invece essere, in qualche inspiegabile modo, qualcosa cui si aspirava da tempo. Per carità, non intendo parlare di destino. Ma di una sorta di alchimia, in cui un desiderio che ancora attende di formularsi finisce per modellarsi, seppur inconsapevolmente, sugli input che ogni giorno ci colpiscono, a dispetto della nostra distrazione e della frenesia di questi tempi. Sto parlando degli incontri. Lo faccio perché la mia storia con Kaffè nasce proprio da un incontro, casuale, una sera in cui io (nata a Milano, naturalizzata romana e calorosamente adottata da Palermo) pensavo di lasciare la Sicilia. C’è voluto quell’incontro occasionale con un editore coraggioso per far luce su ciò che avevo voglia di fare a Palermo. Ed ora sono qui a fare i conti con le mie passioni: la scrittura, la pittura, la fotografia, l’architettura. Insisto a non voler nominare il destino, ma nel frattempo mi sono convinta che agli incontri, come alle passioni, non si sfugge. Lo sanno bene un fotografo come Bellavia che sceglie con l’obiettivo della sua macchina di fare da cassa di risonanza alle emergenze sociali di Shanghai e un architetto come Rolli con la sua impresa di incorporare nella modernità un edificio storico come il Teatro Massimo. Lo sa una pittrice sedotta dall’idea di viaggio come doppio percorso geografico e interiore quale è Licata e lo sa un’artista impossibile da etichettare come Paris, che le passioni le insegue, le imbriglia nella sua arte e le restituisce a nuova vita. Lo sanno gli artisti che abbiamo incontrato in questo numero di Kaffè, che dal 2009 diventa trimestrale e si fa piattaforma editoriale di una nuova realtà palermitana dedicata all’arte: l’associazione Katakusinós e il suo spazio multifunzionale di via Niccolò Garzilli, dove saranno ospitati reading, mostre, workshop, proiezioni e una serie di attività culturali per offrire a tutti quegli spiriti “attenti e aperti” la possibilità di confrontarsi, condividere stimoli, seguire i flussi dell’anima. Ancora una volta, di incontrarsi. Natalia Distefano


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cinema

FUORI ROTTA

UNA DOPPIA ANIMA PER RACCONTARE UN VIAGGIO ATTRAVERSO LUOGHI MEDITERRANEI: UN LUNGOMETRAGGIO IN CUI LE IMMAGINI E LE PAROLE DI DIALOGHI SPONTANEI SI FONDONO, PRESENTATO IN PRIMA ASSOLUTA A PALERMO, ED UNA VIDEOINSATALLAZIONE CINEMATOGRAFICA, IN CUI LO SPETTATORE È RAPITO DA UN FLUSSO EMOTIVO SCANDITO DALLE ONDE DEL MARE, OSPITATA NELLA MAGNETICA CORNICE DI PALAZZO RESUTTANO SPAZIO ESPOSITIVO CURATO DA BEATRICE FEO FILANGERI E MARIA D’AGOSTINO. IL TUTTO FIRMATO DAL REGISTA PALERMITANO SALVO CUCCIA.


ph: Antoine Giacomoni

ph: Giuseppe Mineo

Un doppio schermo scandisce il tempo di un percorso, un viaggio attraverso una storia, una cultura, attraverso tante vite. La sonorità del mare accompagna la frenesia di un ritmo, dove un susseguirsi di volti, luoghi, sensazioni sono i protagonisti. In quel susseguirsi di volti si dipana la storia, ogni espressione, ogni ruga, ogni parola la narrano, cullando lo spettatore in una dimensione di viaggio, che diviene metafora dell’essere umano, delle personali vicende, delle origini. In ogni immagine risiede una forza, un’autonomia, un’individualità, che riesce a fondersi in senso collettivo, indossando le vesti di anima mundi. “Fuori Rotta” possiede una duplice essenza: una fatta di parole, di movimenti definiti, l’altra più libera, in cui lo spettatore si lascia cullare in un “flusso emotivo” dove il susseguirsi delle immagini si imprime nella retina in un tempo di riflessiva lentezza. Salvo Cuccia è l’artifex di questo mondo meditativo intriso di emozioni. Di questo contenitore di memoria, dove ognuno si rispecchia, si ritrova, dove non esiste distinzione tra un luogo ed un altro. Di questa dimensione in cui ognuno si riflette, si ritrova, si identifica, dove si ricongiungerà con ciò che ha cercato indefessamente. Il riflettersi in uno specchio è una riflessione dentro se stesso, è una catarsi, è un entrare in contatto con quella porzione arcana. Nello specchio si riflette la nostra immagine, la nostra storia. Psico-narratore è il fotografo cor-


ph: Giuseppe Mineo

so Antoine Giacomoni: coglie, fa emergere ed incornicia le storie che di volta in volta gli si presentano durante questo affascinante viaggio attraverso luoghi mediterranei. Cuccia mette in scena la commedia della vita: ognuno recita se stesso, ognuno vede “tutti i propri avi” dentro lo specchio. È il racconto di un”esilio”, quello di Antoine, da tutto quello che appare visibile attorno a noi, dove il vedere bene avviene solo col cuore, dove la visione più pura, più forte è con le emozioni. “Nello specchio arrivano tutti”, viene riflessa l’essenza della mediterraneità, è la creazione di un momen-

to della memoria, di tutta la memoria. Antoine Giacomoni ritrae l’anima di chi giunge a lui, e Salvo Cuccia ritrae il dialogo di queste anime che si incontrano casualmente in uno scambio di profonda sinergia. Rende in immagini la storia dell’avvicendarsi di sentimenti, della loro fusione, della loro riflessione, nell’emergere dell’amore, dell’odio, della perdita, della passione, della nostalgia. Il mare fa da riflesso, proprio come lo specchio di Antoine, il suo respiro si fonde con la frenesia delle immagini, è un unire e dividere al tempo stesso. “Fuori Rotta” è un canto corale, è una memoria



ph: Antoine Giacomoni

ph: Giuseppe Mineo

collettiva che prende vita nei frammenti delle immagini che scorrono freneticamente nella videoinstallazione e narrativamente nella più estesa forma cinematografica. Un viaggio per e nel mediterraneo, metafora del percorso umano di chi proviene e vive nelle isole. È il racconto di un percorso necessario che porta alla conoscenza, attraverso la storia, di ciò che si è nel profondo. È una forte emozione scandita da questo costante scorrere di immagini, dove tutto ciò che di ancestrale alberga in noi fuoriesce, prende forma. Una forte sensorialità pervade l’opera, sensibilità di un regista che

sente la responsabilità delle proprie immagini, di quello che può raccontare e di come sia meglio farlo. Condottiero in un percorso in cui l’atto del vedere si fonde con l’atto del sentire, durante il quale la vera riflessione è sulla labilità dello sguardo e su quello che veramente vediamo: poiché il vero vedere avviene attraverso la psiche.

di Laura Francesca Di Trapani



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MARCELLA LICATA L’UTOPIA È COME L’ORIZZONTE, CAMMINO DUE PASSI, E SI ALLONTANA DI DUE PASSI. CAMMINO DIECI PASSI, E SI ALLONTANA DI DIECI PASSI. L’ORIZZONTE È IRRAGGIUNGIBILE. E ALLORA, A COSA SERVE L’UTOPIA? A QUESTO: SERVE PER CONTINUARE A CAMMINARE... EDUARDO GALEANO

Marcella Licata 70’s n.1 acrilico su tela cm 80x160 2008 ph. Ezio Ferreri

Marcella Licata è una globe trotter, un occhio spalancato sul mondo, una mente aperta e sensibilissima che comunica tramite il linguaggio della sua pittura, da lei stessa definito espressionista, le suggestioni dei luoghi che le sono rimasti nel cuore, in cui spesso ritorna. “Non è importante mettere tante bandierine”, mi dice, “ci sono luoghi che ti richiamano”. Luoghi dove è bello tornare per cercare le cose che sono rimaste uguali e vedere quelle che sono cambiate. Anche se di bandierine ne ha messe tante: l’Europa, fin da


Marcella Licata Essaouira acrilico su tela cm 200x80 2008 ph. Ezio Ferreri

bambina, “a pettine” andando per musei con la mamma pittrice, l’Africa, dove ha lavorato e vissuto per anni, Cuba, l’Oriente. “Ogni scusa era buona per viaggiare”: lavoro, curiosità, amore, passione per il viaggio in sé. Una tela di ragno fatta di ricordi e legami che Marcella ha continuato a tessere per i cinque continenti anche negli anni in cui si è dedicata alla sua libreria, gli anni in cui aveva smesso di dipingere. “Avevo voglia di fare altro, realizzare cose diverse. Fino allora dipingevo piccoli formati, che portavo con me. Vole-

vo dedicarmi ai grandi formati, ma avevo paura di non essere capace. Sentivo il bisogno di uno spazio mio, ma forse era necessità di uno spazio mentale”. La ascolto a lungo sciorinare nomi di luoghi che solo lei riesce a rintracciare nelle sue tele. L’impulso espressionista la porta a convertire le sue suggestioni in immagini a prima vista astratte, il cui protagonista è un “cielo” greve sempre giocato nei toni del porpora di dioxazina (perché sempre questo colore?, le chiedo “perché è in sintonia con me, posso perdermi in questo colore”), steso dall’artista giocando


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Marcella Licata Saharawi acrilico su tela cm 200x100 2008 ph. Ezio Ferreri

sulle trasparenze che rivelano il gesto. “Dipingere è una forma di piacere assoluto”. Mi racconta che le piace quel momento di pura manualità, mima le pennellate regolari e io noto che socchiude gli occhi, che tutto il corpo partecipa. Usa solo colori acrilici per la brillantezza che enfatizza i timbri e la resa immediata sul supporto, eppure illumina l’uniformità delle campiture di luccichii che, dialogando con le macchie grigioblu, rosso, oro della metà sottostante, rendono vibrante l’insieme. Nel mezzo, la linea bianca dell’orizzonte, il filo condutto-

re della sua ricerca che è personale prima che artistica. “Non sono una persona pacificata”, e infatti la sua presenza è tutta in quel bianco, in quella linea che, guardando all’insieme della sua produzione, non possiamo fare a meno di immaginare continua e in movimento. Una scia che segna il percorso ininterrotto lungo luoghi ed esperienze.

di Caterina Cipolla


Cotto e Maioliche Siciliane

Cotto Meli C.da Pizzillo Collesano Palermo tel. 0921 420619 www.cotto-meli.it


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FILOSOFIA NELL’ARTE E ARTE NELLA FILOSOFIA UNA DIMENSIONE CONCETTUALMENTE SPIRITUALE IN CUI L’ENERGIA COSMICA SI AMALGAMA LASCIANDO LE PROPRIE IMPRONTE NELL’ARTE DI CLAUDIO AREZZO DI TRAFILETTI. DA NEW YORK A BARCELLONA PASSANDO DA BERLINO, UN’UNIONE NEL SEGNO DELLA PURA CREAZIONE ARTISTICA

Claudio Arezzo di Trifiletti Imprints Berlino 2008

“Il fare arte diviene filosofia da applicare alla propria esistenza e per essere artisti bisogna possedere una forza interiore per poter esprimere un pensiero unico che lotta per la collettività”. Inizia così il mio incontro con Claudio Arezzo, un artista-filosofo che crede e gioca sempre col suo pensiero, un pensiero che si riflette attraverso gli altri, generando un’intrinseca condivisione. Nel plasmare mantiene sempre la propria angolatura, rimanendo fedele a se stesso, dando voce a quel bambino

che alberga nel profondo, divenuto oggi un adulto bambino, con le sue “incredibili visioni”, retaggio di un lungo percorso. Dietro i toni caldi, intensi con cui rende il pensiero arte, vi è una forte costruzione concettuale, dove le riflessioni sul mondo, sull’uomo e sull’illusione che lo circonda trovano le loro vesti di parole. Ritrova nell’arte la linfa vitale necessaria per la società, per l’uomo, della quale l’essere umano dovrebbe nutrirsi e acquisire la consapevolezza della grandezza dell’arte in seno a un


Claudio Arezzo di Trifiletti Imprints Berlino 2008 Kunsthaus Tacheles Oranienburger Strasse cm 150x155

popolo. La sua è un’arte discorsiva, traboccante di idee, riconoscendo al contempo la semplicità originaria e la complessità attribuitale dall’uomo. Sono stati i “suoi silenzi ed il suo pensiero” ad avvicinarlo alla pittura, vibrazioni interiori che imprime sulla tela. Queste vibrazioni sono protagoniste nel suo disegno artistico denominato Imprints. Impronte di migliaia di persone raccolte durante i suoi viaggi, in un secondo momento rielaborate, fino a far emergere le vibrazioni che questi passaggi hanno

lasciato. È un atto di conoscenza, durante il quale l’anima dell’uomo si fonde con l’anima mundi. Claudio Arezzo è un narratore, un filosofo, un’artista. Coglie anime erranti che calpestano il suolo da lui scelto, le osserva, e le imprime nella sua arte come messaggio di pace, avvolte in un’estasi di intensa spiritualità.

di Laura Francesca Di Trapani


20 benessere

HAMMAM IL BAGNO TURCO Nel raffinato mondo ellenistico prima, e nel potente Impero Romano poi, il bagno di vapore, oltre che necessità igienica era considerato luogo di ozio, di incontri e di affari; i Turchi e gli Arabi ereditarono e conservarono il sistema romano di riscaldamento del bagno d’aria calda, ma la ginnastica e lo sport in uso nelle terme romane come completamento del bagno vennero sostituiti dal massaggio. Gli Arabi, dunque, hanno avuto il merito di mantenere durante il Medioevo la tradizione del bagno pubblico romano, tenuto in auge da alcuni imperatori bizantini e dai popoli dell’Islam che, dal Marocco alla Persia, gli hanno con-

CONTROINDICAZIONI: È SCONSIGLIATO L’USO DEL BAGNO TURCO A TUTTI COLORO CHE NON HANNO “TEMPO DA PERDERE”. ferito forti connotati religiosi e sociali utilizzandolo per i lavaggi rituali e le abluzioni purificanti e considerandolo punto di ritrovo della collettività. A differenza del bagno greco-romano nella successione di spazi dell’Hammam islamico manca il Frigidarium, locale con ampia piscina o con vasche che permettono l’immersione in acqua fredda; rimangono inalterati invece: l’Apodyterium (spogliatoio), il Tepidarium (stanza di preparazione al bagno) con temperature che vanno da 30° a 35°, il Calidarium (stanza del vapore, coperta solitamente da una cupola), con temperature che oscillano tra i 40° e i 45 ° e con un elevato tasso di umidità; altri locali sono destinati al massaggio ed al relax.

ph. Davide Milazzo

Dall’arabo hamma: “scaldare” attraverso i benefici effetti del vapore, il Bagno Turco prevede la prima sosta nel Tepidarium per iniziare con lente abluzioni, ritmate e metodiche, mirate ad allentare le tensioni fisiche e mentali ed a preparare il corpo alle temperature più alte; prosegue la fase del rilassamento col “savon noir” marocchino, sapone nero da spalmare su tutto il corpo con dolci movimenti circolari: è un

composto di pasta vegetale ottenuta dalla macerazione di sali nell’olio delle olive nere ed ha la funzione di levigare e pulire in profondità la pelle senza inaridirla; la fase successiva prevede il bagno di vapore nel Calidarium, il cuore del Bagno Turco: si consiglia di non abusarne, di entrare ad intervalli regolari e di bere lunghe sorsate di acqua per mantenere l’idratazione corporea, si eviteranno così lievi cali di pressione o piccoli malesseri dovuti al calore. Il “gommage” esfoliante, eseguito con un guanto ruvido dalle massaggiatrici, è la fase conclusiva del Bagno Turco in cui tutto il corpo verrà frizionato vigorosamente per eliminare le


IL BAGNO TURCO PER LE DONNE lunedì 14/21 mercoledì_venerdì 10/22 IL BAGNO TURCO PER GLI UOMINI martedì_giovedì 10/22 sabato 10/21 IL BAGNO TURCO PER I BAMBINI ENTRO I 14 ANNI _il primo MARTEDÌ del mese è il giorno dei bambini accompagnati dai papà _il primo MERCOLEDÌ del mese è il giorno delle bambine accompagnate dalle mamma _i maschietti potranno entrare insiemeamma fino all’età di 3 anni

non occorre prenotazione INGRESSO PER I MASSAGGI tutti i giorni con prenotazione

impurità emesse dalla sudorazione e verrà risciacquato con getti energici di acqua più fresca. L’Hammam non ha limiti di tempo, il percorso di benessere che ci regaleremo potrà essere dilatato a nostro piacimento continuando a coccolarci con maschere di “rassoul”: l’argilla verde di origine desertica dotata di importanti proprietà rassodanti e riequilibranti e con una spiccata azione “liftante naturale” che lascia la pelle setosa ed elastica; oppure con i fanghi del Mar Morto che hanno un’importante azione riducente ed efficace per contrastare gli inestetismi della cellulite; o ancora con l’Acqua Madre del Mar Morto, proveniente dalla Giordania, che possiede un’altissima concentrazione di sostanze minerali e residui di alghe per un trattamento rigenerante in tutto il corpo.

naso e gola vengono stimolati da un aerosol naturale che va a decongestionare le vie respiratorie, particolarmente indicato quindi negli stati influenzali e nelle malattie da raffreddamento e di valido aiuto per tutti i disturbi del tratto respiratorio: bronchiti, sinusiti, riniti, laringiti; l’azione sinergica del vapore e del calore migliora il sistema di termoregolazione ed apporta importanti benefici sull’apparato circolatorio e sulla pressione sanguigna; è consigliato nei casi di dolori reumatici e articolari e favorisce il rilassamento delle tensioni muscolari; stimola le difese immunitarie, è indicato nei casi di fatica cronica, risolve i problemi d’insonnia, attiva la circolazione sanguigna, aiuta a smaltire i liquidi in eccesso e di conseguenza contrasta i problemi di cellulite e di sovrappeso.

Il Bagno Turco, per le sue proprietà tonificanti e rilassanti, si rivela un’ottima terapia per combattere lo stress e la tensione cui siamo sottoposti ormai quotidianamente; praticabile da tutti a tutte le età è un indispensabile strumento terapeutico e preventivo per molteplici aspetti della nostra salute: la dilatazione dei pori provocata dal calore facilita la penetrazione del vapore permettendo l’eliminazione delle tossine attraverso il sudore e favorendo l’ossigenazione dei tessuti ed il rinnovamento cellulare cutaneo;

Ma il rituale del Bagno Turco aiuta soprattutto ad annullare il tempo e a decondizionare dal potere della mente, ed è finalizzato a ricostituire quell’equilibrio psico-fisico costantemente minacciato da un quotidiano che non è più a misura d’uomo.

di Rifa_rapuhi (Rina Falsone & Rafael Puron Hierro)


22 PittUra

Antonio Miccichè Palermo matita su carta cm 180x240 2007

IL COLORE DOVE NON C’È ANTONIO MICCICHÉ È STATO PIÙ VOLTE DEFINITO COME UN ARTISTA DEL PAESAGGIO. FIN DAGLI ESORDI,NEI TARDI ANNI OTTANTA, LA SCELTA DI QUESTO TEMA È PREMINENTE.

Le prime opere si caratterizzano per il vivace cromatismo, per la stratificazione di pennellate che testimoniano il gesto e lasciano trasparire un intrico di segni. Impossibile leggere questi segni, quasi calligrafici, che sono il richiamo alla funzione primaria dell’occhio, un pulviscolo di residui ottici che si sovrappone all’immagine ogni volta che apriamo le palpebre. Nulla hanno a che fare con la rappresentazione, in bilico fra elaborazione concettuale della forma e realismo,

del paesaggio, concepito a partire dalla retta infinita (in senso strettamente geometrico) dell’orizzonte, come una griglia vastissima, di cui l’artista “sceglie” solo porzioni. Come in un manuale, infatti, appaiono intersezioni (di strade), sezioni di linee curve (le colline), poligoni dalle forme regolari e non (case, capannoni, laghi). Il richiamo alla geometria adempie una duplice funzione: da un lato ammettere l’incapacità di interpretare e rappresentare la Natura, che scatu-


Genova bic su carta 2006 cm 60x90

risce da una linea d’orizzonte infinita, e il suo divenire, che è incessante nello spazio/tempo. D’altro canto, rivendicare l’autonomia del segmento, della “tavola” che il nostro visus, limitato perché umano, estrapola dal paesaggio ed immagazzina nella memoria. Negli anni la sua produzione si connota in senso più strettamente figurativo, la moltiplicazione della forma procede parallelamente alla sottrazione cromatica. L’artista approda

alle variazioni degli ocra e dei grigi della serie Waterfront (2005). Le tecniche miste testimoniano il progredire della ricerca sulla materia in senso informale. Rimane fissata sulla tela la contemplazione del comportamento della mistura di tempera, olio e catrame. Al di sotto delle concrezioni spumose e delle colature emergono i contorni del fronte del porto, un abbozzo, ma fedele alla realtà. Marcatamente descrittiviste sono le opere grafiche, realizzate a matita o con la penna


Antonio Miccichè Paesaggio 08 tecnica mista 2005 cm 100x150

a sfera, vibranti di luce e sorprendentemente plastiche: “C’è chi è convinto che l’essenza della pittura sia il meccanismo cromatico e materico. Per me è la concezione pittorica dell’oggetto, vedere il colore dove non c’è”. Sono parole dello stesso artista, che, a proposito della propria predilezione per il linguaggio grafico, continua: “mi sottopongo volontariamente alla tortura del disegno. Non c’è quella gratificazione immediata data dal gesto e dal rapporto fisico con il sup-

porto e con la materia. È un lavoro che procede con lentezza e richiede una sua igiene, implica un’abitudine alla sottrazione che si rivela salutare per la pittura stessa. Questo sia quando il disegno sia preparatorio per un dipinto, sia quando venga concepito, come sempre più spesso decido di fare, come opera a sé”. di Caterina Cipolla



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Andrea Chisesi Amanti al chiaro di luna foglia oro su tela cm 100 x 120

VOCAZIONE D’ARTISTA INCASTONA I SUOI PERSONAGGI IN DIMENSIONI SOSPESE, SCAVA NEL PROFONDO ALLA RICERCA DI QUELLE EMOZIONI CHE RISALENDO IN SUPERFICIE PROIETTA SULLA TELA. L’ARTE NON È ALTRO CHE LA RAPPRESENTAZIONE DI UN LUOGO INTIMO IN CUI RITROVARSI. QUESTO È L’UNIVERSO DI ANDREA CHISESI QUANTO LA PITTURA INFLUENZA IL TUO FARE FOTOGRAFIA E VICEVERSA? Parliamo in entrambi i casi di un’immagine, cambia solo il modo in cui questa viene prodotta con il pennello o con la luce, in entrambi i casi l’immagine prodotta può essere più o meno reale, più o meno colorata, distorta, parliamo comunque di un’immagine che può essere combinata in infini-

ti modi e soluzioni, quindi tutto influenza tutto, è l’immagine che viene prima di tutto, quell’immagine che ti emoziona e che vuoi catturare con la luce o ricreare con il pennello. QUALE ASPETTO TROVI NELLA PITTURA CHE NON C’È NELL’ARTE FOTOGRAFICA? La pittura, perlomeno la mia pittura, è fatta di lunghi silenzi,


ed il tempo passato ad osservare le tele è lungo almeno quanto quello trascorso a dipingerle. È un momento intimo, che deve consumarsi in un luogo intimo, luogo in cui ho la possibilità di scavare nel profondo; nei miei quadri c’è sempre una ricerca interiore. Nella fotografia professionale questo non è quasi mai possibile, perché è tutto più veloce, ti relazioni con altre persone, nella produzione, nella gestione delle immagini, dei soggetti. Si può avvicinare alla pittura la fotografia artistica, per tempi, modalità di esecuzione e tecniche, ed è infatti una direzione che mi attira molto.

Andrea Chisesi Il fumatore olio su tela cm 40 x 60

RITIENI L’ARTE DI OGGI DEMOCRATICA? Assolutamente no! Democrazia vuol dire pari opportunità per tutti. La cosa che mi rattrista del mio paese, l’Italia, da tutto il mondo lodata per i suoi cervelli e artisti e non solo, è che al contrario degli altri paesi non sappiamo sfruttare, sostenere ed esaltare gli innumerevoli talenti di cui è piena nel campo dell’arte come in quello delle scienze, soffocata da un sistema dove troppo spesso non emerge chi vale ma chi fa parte del sistema stesso. COSA O CHI TI PIACEREBBE RITRARRE CHE ANCORA NON HAI FATTO? Avrei voluto ritrarre Gandhi, Che Guevara, Marilyn, sono infiniti i personaggi del passato ai quali mi sarebbe piaciuto fare un ritratto fotografico e ancor di più pittorico, aver la possibilità di parlare con Picasso, Dalì o Vérmere mentre attendono in posa. Ma potendo scegliere domani farei un ritratto a Barack Obama. QUALE È STATO IL LEITMOTIV CHE HA RIPORTATO NELLA TUA VITA LA PITTURA? Hai scelto un termine giusto, “riportato”, sì perché io la pittura l’ho sempre avuta dentro, quando ero piccolo avevo una certa difficoltà nel leggere,tanto che mio padre credeva avessi una leggera forma di dislessia, ero sempre molto attratto dai disegni e lo facevo sempre ovunque. Infatti, non appena iniziati gli studi classici, i miei furono costretti a mandarmi al liceo artistico. La cosa strana è che finito l’artistico smisi improvvisamente di disegnare. Non ripresi fino all’età di 24 anni, quando la solitudine di un’estate trascorsa con il mio cane mi diede la forza di rimettermi in gioco con questa mia vitale passione. Da allora non riesco più a farne a meno. Dipingere è come respirare.

L’ASPETTO MAGICO RACCHIUSO NELL’ARTE RITIENI POSSA ESSERE UN’ALIENABILE ESIGENZA DELLA MENTE E DEL CUORE CHE NESSUN’ALTRA SCIENZA O RELIGIONE SIA VERAMENTE IN GRADO DI SODDISFARE? Io credo che ognuno di noi abbia un dono più o meno sviluppato, chi in un campo chi in un altro, può essere nell’arte, nella scienza, nella teologia, qualunque esso sia la cosa importante è che ci sia la vera passione nel portarlo avanti. Importante è capire il dono che ognuno di noi ha e alimentarlo per far sì che noi stessi e gli altri possiamo goderne. Nell’arte, come nella scienza, è essenziale la vocazione. Io ad esempio non avrei mai potuto fare il medico, ma per fortuna non siamo tutti artisti! Credo quindi che anche la scienza, la religione, la politica, tutto possa essere vissuto con alienazione nel momento in cui ti coinvolge a livello mentale ed emotivo. I PERSONAGGI DA TE RITRATTI APPAIONO COME INCASTONATI IN UNA REALTÀ SOSPESA, DESCRITTA DALL’UTILIZZO DI FORME GEOMETRICHE DEFINITE DALL’ELEMENTO COLORISTICO DEGLI SFONDI. È SOLAMENTE UNA VISCERALE FASCINAZIONE DI KLIMT O SI RITROVANO DAVVERO ISOLATI IN DIMENSIONI LONTANE? Bè la fascinazione per Klimt mi ha accompagnato e mi ac-


28 PittUra

Andrea Chisesi I picciotti stampa fotografica cm 50 x 70

compagna da diversi anni, oltre a quella per E. Schiele e l’espressionismo in genere, sono sempre stato attratto dal contrasto tra le curve e gli angoli, tra il morbido e il duro, l’ordine e il disordine, dai colori forti e contrastanti oltre che dall’elemento decorativo che trovava notevole spazio nella pittura di Klimt. Amo decontestualizzare i miei soggetti sia fotografici che pittorici, inserendoli a volte su fondi neutri, altre su fondi coloratissimi o decoratissimi al punto da risultare neutri. SE I TUOI LAVORI AVESSERO LA POSSIBILITÀ DI EMANARE UN SUONO, QUALE GENERE MUSICALE SAREBBE? Musica melodica sicuramente, che può andare dalla classica alla leggera. Ho dipinto molto ascoltando i Radiohead o le musiche indiane piuttosto che cantautori come De Andrè e Battiato. QUALI SONO LE PROIEZIONI CHE IMPRIMI NEL TUO FARE ARTE? Il mio fare arte è proiettare sulla tela l’immagine della mia emozione di quell’istante o dello stato d’animo in cui mi trovo, sia essa bella o brutta. È un modo per esprimersi, liberarsi, comprendersi.

NEL RITRATTO DI DORIAN GRAY OSCAR WILDE SCRIVEVA: “RIVELARE L’ARTE SENZA RIVELARE L’ARTISTA, È IL FINE DELL’ARTE”. NON CREDI POSSA ESSERE UN NON SENSO, DAL MOMENTO CHE IL LAVORO DI UN’ARTISTA NE RIVELA L’ANIMA? Siamo d’accordo sul fatto che un artista nel creare la sua opera mette tutto se stesso, si spoglia metaforicamente davanti a chi fruisce dell’opera, ma non è detto che chi osserva l’opera sia in grado di vedere l’anima del pittore o quanto quest’ultimo voleva comunicare. Quindi la frase di Oscar Wilde voleva forse dire che non è necessario rivelare chi è l’artista per ricevere emozioni dall’opera, poiché ognuno di noi verrà investito da emozioni diverse e spesso contrastanti, secondo il nostro bagaglio di esperienze e di cultura. Ci sarà anche chi di emozioni non ne proverà alcuna e non gli servirà sapere chi era l’artista per provarle.

di Laura Francesca Di Trapani



30 PittUra

Andrea Mineo le porte della percezione olio su tela cm 150x90

CONCETTUALMENTE IPERREALISTA PROTAGONISTA LA LUCE CHE ILLUMINA SCALDA E DEFINISCE I CORPI SCULTOREI CHE FUORIESCONO DALLA TELA EMANANDO UNA FORTE ENERGIA, URLANDO VERITÀ DI UN’EPOCA DENUDATA. I LAVORI DI ANDREA MINEO ALLEGORIE DI UNA REALE ESISTENZA. Pennellate decise, corpi su cui la luce si infrange come sulla materia scultorea, ed un substrato denso di significato e di rottura nei confronti di una dimensione terrena che ha dichiarato la morte del pensiero. Andrea Mineo è tutto questo. Un giovane che va oltre, che nel fare arte apre una porta verso l’inconscio, tende un invito a colui che incuriosito osserva, proponendo la sua visione critica verso un mondo consumistico e arrogante. Cerca di fare questo difficile ed affascinante mestiere, quello del pittore, ammirando Caravaggio, Goya e Velasquez, ricorrendo all’utilizzo di una tecnica tradizionale, ricercando la plasticità per mezzo di velature e colore sfumato, rendendo plastica una voce di denuncia. La sua riflessione la affida ad una iperrealista raffigurazione, dove ogni oggetto diviene iconologico di parole, riflessioni. La sua pittura è metafora, nell’immediato fa cogliere il suo intrigante valore estetico, ed in un secondo momento il suo profondo significato. Svelarlo con le parole sarebbe come mistificarne la realtà. È una porta che si spalanca, poi sta allo spettatore decidere se volerne pervadere il significato o restare, se volere salire le scale per giungere ad una dimensione sur-


reale come in stato di trance, per approdare alla cognizione di assolute verità. Il ruolo dell’artista è di incondizionata responsabilità, è il vero divulgatore: ha il dovere di tramandare un significato col suo lavoro ai posteri. Andrea si insinua in questo mondo in cui l’ermetismo artistico perversa, riconoscendo all’arte il valore della verità, valore che renderebbe elevata la società, se solo questa riuscisse a soppesarne l’enorme ricchezza che ha al cospetto. L’arte, per lui, è un dono che l’uomo ha avuto oltre quello della libertà. E l’artista è un elitario, possiede una capacità che lo solleva dall’inerzia sociale in cui si muove. Il contatto con l’arte, la relazione intercorrente tra l’artista e il fruitore è uno stato di trance, dove l’aderenza diretta può elevarti, fino a farti giungere a verità assolute. La nudità ideologica, la non coscienza collettiva, l’impoverimento culturale defluiscono tra la pittura di Andrea: un pensiero verso la riflessione confidata ad un gesto, quello artistico, nato insieme all’essere umano.

di Laura Francesca Di Trapani

Andrea Mineo self portrait 2 olio su tela di lino cm 150 x 100


Andrea Mineo Attack to the culture - self portrait olio su tela di lino cm 125 x 80



34 società

LA COPPOLA STORTA FINALMENTE QUALCOSA CHE VA PER IL VERSO GIUSTO

La Coppola Storta Shop di Vienna ph: Tindara Agnello

Ci sono momenti nella storia in cui un simbolo può diventare motore di un grande cambiamento e l’idea di una coppola che rinnova il suo stile e si fa portatrice di un messaggio positivo cade in questa rara e bellissima categoria di simboli. Se la coppola era entrata nell’iconografia siciliana assumendo una connotazione negativa perché ad usarla di sghimbescio erano i “picciotti” mafiosi, proprio a partire dalla coppola è stata realizzata un’importante operazione culturale capace di riscattare un intero territorio. Infatti è praticamente lo stesso copricapo che viene ammirato ed imitato quando ad indossarlo è Filippo di Edimburgo. Non presenta grandi differenze rispetto al più popolare ed affascinante dei berretti francesi, quello dei vari gavroche o di tutte le canaglie della cinematografia d’Oltralpe. Quando però di quel berretto si parlava in Sicilia, la sola parola determinava un immediato effetto censura, o quanto meno un’associazione a simboli e culture deteriori. E la coppola, da capo di abbigliamento tendenzialmente interclassista, sobrio ed elegantissimo, era scivolata nel campionario delle banalità e degli stereotipi che accompagnavano il made in Sicily destinato a restare confinato nelle botteghe folkloristiche. Per trasformare la coppola da stereotipo di mafia a simbolo di una Sicilia che cambia è stato necessario avere una coscienza fondata su valori più forti di quelli che si intendevano combattere e lavorare con grande passione e sacri-

ficio per dar vita ad un’immagine nuova e vitale, che finalmente, le appartiene. La scommessa è iniziata nel 1999, quando Guido Agnello, con la Fondazione Palazzo Intelligente, diede vita ad un progetto di sviluppo economico e valorizzazione culturale del territorio. In questo senso si è operato attraverso la creazione di posti di lavoro regolarmente retribuiti aprendo un laboratorio di sartoria a San Giuseppe Jato, uno dei centri dell’entroterra siciliano più oppressi dalla mafia, dove un gruppo di donne del paese sapientemente addestrate da un artigiano discendente da una delle ultime famiglie di coppolari, ha iniziato a cucire questo versatile copricapo. Contemporaneamente si è avviato un processo di comunicazione e valorizzazione culturale che ha fatto sì che la coppola diventasse motore di un processo virtuoso e ha consentito di restituire ai siciliani un simbolo riconosciuto internazionalmente ma che la mafia gli aveva ingiustamente sottratto, appropriandosene. Oggi quell’azienda ha il patrocinio dell’ONU e produce per il grande cinema. “La rivoluzione è iniziata quando abbiamo capito che la coppola, più di ogni altro copricapo, si prestava alle trasformazioni più impensabili pur mantenendo una forte identità. Da berretto maschile, quale era sempre stato, abbiamo deciso di proporlo anche come accessorio del guardaroba femminile. Le nostre collezioni si sviluppano spaziando dai tessuti naturali a quelli tecnologici,


in una gamma straordinaria di disegni e colori moda; in più, accanto ai “motivi classici” proponiamo ricami preziosi e soluzioni stilistiche che regalano, ogni volta, un appeal nuovo e originale a questo prodotto-simbolo”. Successivamente, su un disegno di Enzo Sellerio, è stato creato il marchio “La Coppola Storta”, che ha dato il nome ai negozi che distribuiscono le coppole prodotte a San Giuseppe Jato. Oggi, i negozi de La Coppola Storta sono presenti in Sicilia, due a Palermo, uno a Monreale ed uno a Taormina ma vi sono eleganti store nel resto d’Italia e all’estero, in Austria e in Giappone. Aprire un negozio de La coppola storta significa sposare una causa etica e culturale: occorre essere consapevoli che la coppola non è solo un fenomeno di moda ma anche di costume che, a partire dalla nostra tradizione, viene continuamente reinterpretato secondo fantasia, vezzi e capricci del momento; occorre essere consapevoli di svolgere non solo attività commerciale ma di produrre benefici sociali per tutto un territorio; occorre essere consapevoli di avere a che fare con un simbolo capace di veicolare importanti messaggi culturali grazie al consenso e all’entusiasmo che è capace di suscitare. E così numerose sono state le iniziative su questa scia. L’ultima? Quest’estate, Daisuke e Aika Fuchida, titolari del primo monomarca del sol levante, hanno dato vita ad un’importante iniziativa culturale, in collaborazione con il Kobe

ph. still life Oliver Cristl Alcune fasi di produzione ph. Ettore Magno ph. Aika Fushimi

Fashion Museum, dal nome Coppolart, proponendo la coppola come l’accessorio capace di attraversare i secoli della moda e trasformandola nella regina delle passerelle di moda, dove ha spopolato. (sito inter net: lacoppolastortajapan.com) Dal 23 ottobre, invece, le vere coppole siciliane sono sbarcate anche a Vienna. Il nuovo indirizzo della coppola storta è al numero 1 di Neubaugasse ossia là dove al meglio si realizza il connubio tra arte e shopping ricercato. Le due amiche Monica Mel e Simona Nitschinger hanno intrapreso questa avventura con grande entusiasmo: “il coinvolgimento sociale della Coppola Storta ci ha subito conquistate” racconta Simona Nitschinger con un sorriso, e questo sarà il filo conduttore delle attività delle giovani imprenditrici. Monica Mel racconta: “con la Coppola Storta possiamo finalmente affermare, con la coscienza leggera, di riconoscerci al 100% nel prodotto che proponiamo e nell’azienda che con impegno le produce.” In Sicilia o all’estero, acquistarne una è un modo originale per scegliere un accessorio d’abbigliamento, fare un regalo e per sognare o ricordare il viaggio in Sicilia, quella proiettata verso il futuro, riscattata dalla sua immagine legata alla mafia.

di Monica Guccione






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SALVO PREVITI -C’È DAVVERO UNA RISPOSTA?- SUSSURRÒ PHOUCHG -C’È DAVVERO UNA RISPOSTA- CONFERMÒ PENSIERO PROFONDO. -A TUTTO? ALLA GRANDE DOMANDA SULLA VITA, L’UNIVERSO E TUTTO?- […] -ANCHE SE PENSO CHE NON VI PIACERÀ- PRECISÒ PENSIERO PROFONDO. -NON IMPORTA!- ESCLAMÒ PHOUCHG. – DOBBIAMO SAPERLA! ADESSO! […] -D’ACCORDO- DISSE PENSIERO PROFONDO. – LA RISPOSTA ALLA GRANDE DOMANDA… -SÌ…? -SULLA VITA L’UNIVERSO E TUTTO… […] È… - DISSE PENSIERO PROFONDO, E FECE UNA PAUSA. -QUARANTADUE- DISSE PENSIERO PROFONDO, CON INFINITA CALMA E SOLENNITÀ. Da “Guida galattica per autostoppisti”, di Douglas Adams.

Salvo Previti La risposta alla domanda fondamentale sulla Vita, l'Universo e Tutto Acrilico su tela 2007 cm 50x70

“42” è l’unica risposta, in senso letterale, che trovi nelle opere di Salvo Previti, raffigurata come scolpita nella pietra al centro di un intrico coloratissimo di motivi geometrici che richiamano i circuiti di un computer, o i motivi decorativi dell’arte primitiva. Per il resto, nelle sue opere, come dice lui stesso, ci sono solo domande. Previti non ha una formazione artistica “ortodossa”, da autodidatta sperimenta in pittura, collage polimaterici, installazioni. Ha studiato matematica e informatica, si interessa di filosofia. Il suo è uno sguardo analitico sulla realtà materiale e sugli avvenimenti umani, animato però da uno spirito giocoso, che appare subito nei cromatismi fumettistici e nei richiami pop, nella ricerca di sincretismo fra linguaggi e culture. L’artista usa simboli numerici e matematici, geroglifici, lettere dell’alfabeto ebraico, nonché sintesi allegoriche per veicolare i propri messaggi, spesso improntati da una precisa collocazione ideologica volta all’egualitarismo, al rispetto e alla valorizzazione della diversità. Realizza Memorie Bruciate, per la collettiva La cura della Memoria (Roma, 2008), un collage di fotocomposizioni digitali sul quale si sovrappone la pittura acrilica, in cui la


Salvo Previti Estinzione di risposte emotive Acrilico su tela 2007 cm 70 x 70

Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino viene raffigurata avvolta dalle fiamme e ingabbiata da una struttura metallica al centro della quale, come un marchio, l’artista pone un’ immagine composta dai frammenti di foto storiche che documentano la notte del 10 maggio 1933, quando il regime nazista ordinò il rogo delle opere “degenerate”. Il filo spinato stilizzato ricorda la forma elicoidale del DNA, sottolineando che odio e intolleranza sono alla radice della natura stessa dell’uomo. L’immagine appare come il nucleo distruttivo di una bomba, destinata ad esplodere qualora, progressivamente, dimenticassimo il difficile processo di riconoscimento dei diritti umani. Occorre vigilare, curare la Memoria, appunto, perché gli olocausti (l’artista ne parla al plurale)

non si ripetano, in una spirale ciclica di corsi e ricorsi storici. Le sue installazioni (Totem a 32 bit, Vibrazioni, fra le altre) conciliano la visione deterministico scientifica della scienza, con la dimensione istintuale originaria dell’arte. Interagiscono con la luce, con i suoni e i movimenti dello spettatore, sulla base di programmi appositamente creati dall’artista. Racchiuse in strutture scultoree in gesso o legno, decorate dallo stesso affastellamento eterogeneo di simboli che fa da sfondo a molti dei suoi dipinti, queste macchine ricordano, per il loro aspetto ancestrale, le apparecchiature di certe popolazioni aliene della cinematografia e della letteratura fantascientifiche, il cui avanzatissimo progresso tecnologico si coniuga con culti misterici e uno stile di vita primitivo, profondamente influenzato dal rapporto con la Natura. Fra i temi dell’arte contemporanea vi è l’interrogarsi, talvolta angosciosamente, rispetto l’influenza della crescente accelerazione del progresso tecnologico sulla condizione umana. Previti esprime fiducia nella possibilità di controllare le innovazioni tecnologiche, in particolare in campo informatico, che non necessariamente devono rivelarsi disumanizzanti. Fiducia che deriva dalla conce-


zione storico-antropologica della scienza e della cultura: prodotti squisitamente umani, che scaturiscono dalla necessità primitiva di intervenire sull’habitat e di interpretarne i fenomeni.

di Caterina Cipolla

Salvo Previti Aleph-tav Acrlico su tela 2007 cm 50x70 Salvo Previti Memorie Bruciate Acrilico e xerografia su tela cm 50x50.



44 FotoGraFia

#1

INDAGINI INCONTRO CON CARLO BELLAVIA, FOTOGRAFO INDAGATORE DELLA CORPOREITÀ NELLA SUA DUPLICE ANIMA (UMANA E NATURALE) E OSSERVATORE DI UNA SOCIETÀ, QUELLA CINESE, COINVOLTA IN UN VORTICE DI MUTAMENTO. TRE PAROLE PER DEFINIRE IL TUO LAVORO? Passionale, emotivo e raramente temporale…in quanto l’atemporalità è l’elemento che contraddistingue quasi tutte le mie immagini. Binomio psiche-fisicità che ruolo gioca nelle tue immagini?

#2

C’È IL PREVALERE DELL’UNO SULL’ALTRO? Nella rappresentazione delle linee e delle forme nei corpi maschili e femminili. La rappresentazione del nudo è stato ed è il soggetto su cui focalizzo maggiormente la mia creatività.


#3_#4 #5

LA TUA INDAGINE SULLA CORPOREITÀ, SOFFERMANDOTI SULLA PLASTICITÀ DEL NUDO, SI AVVICINA ALLA SCULTURA. ELEMENTO CHE RICORRE NEL RITRARRE LE PIANTE NELLA LORO FORMA E NUDITÀ. ESISTE UN PUNTO D’INCONTRO TRA LE DUE RAPPRESENTAZIONI? Sono strettamente connesse in termini di similarità visiva. Entrambe sono espressione di sensualità ed erotismo con forme che spesso sono facilmente confondibili tra loro. È qui che sta la connessione. Un’espressione floreale “erotica” può creare gli stessi meccanismi psicologici che si ottengono dalla visione di un sesso. NEI TUOI ULTIMI SCATTI “SHANGHAI” SI PERCEPISCE UN’EVOLUZIONE STILISTICA: SGUARDI RUBATI IN ATTIMI DI RIFLESSIONE SI CONTRAPPONGONO A EDIFICI CHE DIVENGONO ASSOLUTI PROTAGONISTI. In effetti, sono sguardi rubati di una società che non ha il tempo di valutare i repentini cambiamenti che gli vengono


#6 #7

imposti dallo sviluppo urbanistico super accelerato al quale la Cina si è vocata nella sua corsa alla crescita economica. La popolazione di Shanghai si ritrova, quindi, forzata nel dovere abbandonare le tradizioni e gli usi della vita quotidiana ed è costretta a subire l’impatto invasivo dei cantieri di costruzione di supermoderni grattacieli. Interi quartieri, con i loro mercati tradizionali all’aperto, punto di incontro per gli abitanti locali ed attrazione esotica per gli occidentali, vengono risucchiati da un giorno all’altro da lussuose nuove sedi di multinazionali che pongono le loro basi alla conquista di un mercato in pieno sviluppo. Tutto ciò risulta strano all’occhio quando grossa parte della popolazione continua a svolgere fino “all’ultimo minuto” la propria attività commerciale in contesti in cui tutto ciò che è attorno a loro è stato espropriato e diventato già cantiere. Il ceto medio-basso di Shanghai, al quale è stato imposto tutto ciò, sarà in grado di sostenere una società così diversa nella quale è costretta a vivere? di Laura Francesca Di Trapani



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IL “SENSO” DELLA FOTOGRAFIA DIALOGANDO CON ARMANDO ROTOLETTI, SULL’ESSENZA DELL’IMMAGINE FOTOGRAFICA. LA SUA CONCEZIONE, LA SUA VISIONE, L’UNIONE DI MENTE, OCCHI, CUORE, NEI SUOI REPORTAGE, NEI SUOI RITRATTI DIVENUTI MEZZO NARRATIVO. “I BARBIERI DI SICILIA” ULTIMO RACCONTO DI UN SENSIBILE ANTROPOLOGO CON LA MACCHINA FOTOGRAFICA.

In basso: Renzo Rosso © Armando Rotoletti In basso a destra: Alberto Alessi © Armando Rotoletti

CHE COSA RACCONTA IL BIANCO E NERO IN UN’IMMAGINE FOTOGRAFICA CHE IL COLORE NON RIESCE A FARE? L’assenza del colore, che è quasi sempre elemento non significante dell’immagine, a mio avviso rende più essenziali le immagini fotografiche e più immediata ed intensa la loro lettura o visione. Diciamo che il bianco e nero coinvolge di più descrivendo di meno. Spesso nel mio lavoro provo a “vedere” la differenza che fa togliendo il colore alle foto, e sono tante le volte che mi ren-

do conto che le immagini possono addirittura cambiare il loro “senso”, ciò che esprimono; esempio: le rughe di un personaggio possono risultare, interessanti in bianco e nero, rivelatrici della sua storia e del suo animo, anonime a colori. L’immagine di un bambino fotografato in un contesto degradato, immerso nei colori di una favela ci induce ad una lettura più “leggera” rispetto a quella che potrebbe essere in bianco e nero, dove non c’è possibilità di distrazione e tutto può essere interpretato e letto nella chiave più realistica, nel suo tremendo squallore. In ultima analisi, nella mia concezione, il bianco e nero rap-



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presenta la possibilità di vedere le cose nella loro essenzialità, nella loro natura più autentica. IL MEZZO FOTOGRAFICO COSA RAPPRESENTA PER LEI? Fondamentalmente due cose: la possibilità di esprimere la visione delle cose del mondo filtrate dalla mia sensibilità insieme alla illusione di poterle cambiare. Ho scoperto il mezzo fotografico casualmente, scattando delle foto durante un viaggio di lavoro nelle isole caraibiche, da subito, facendo foto soltanto alla parte povera delle isole, il mezzo mi ha rivelato il suo senso, la possibilità descrivere anche se in soggettiva, le condizioni delle persone e delle cose, un mio bisogno, latente, che l’occasione ha fatto materializzare. QUALE ASPETTO DEVE “RICONOSCERE” IL FOTOGRAFO PER SCEGLIERE DI RENDERLO IMMORTALE? A questa domanda mi piace rispondere con una frase dell’immortale Henry Cartier Bresson: fotografare “è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore”. RITIENE CHE ANCORA OGGI LA FOTOGRAFIA ABBIA UNA RESPONSABILITÀ STORICA NELL’EPOCA DI INTERNET? Chiaramente sì, anche se ritengo che ci siano molte più censure che limitano la potenzialità del mezzo, oggi più che anni

Copertina del Libro Barbieri di Sicilia Particolare salone da barba a Montagna Reale (ME) Barbieri di Sicilia 1992 © Armando Rotoletti

fa e temo che sarà ancora peggio negli anni a venire. IL DESIDERIO DI CONOSCENZA INSITO IN CHI ABBRACCIA UNA SCELTA PROFESSIONALE COME LA SUA, DA COSA NASCE? Possono concorrere tanti fattori, nel mio caso una grande curiosità per il mondo e per la vita e uno spirito che potrei definire da “giustiziere” e cioè, desiderio che le immagini possano in qualche modo concorrere nella creazione di un mondo più giusto. LA FOTOGRAFIA È DI PER SÉ UN MEZZO INVASIVO. PARTENDO DA QUESTA RIFLESSIONE COME BISOGNEREBBE PORSI NEI CONFRONTI DELL’AMBIENTE DI CUI SI VUOLE ENTRARE A FAR PARTE? Con grande rispetto per le cose e le persone. QUAL È LA SPECIFICITÀ OGGI DELLA TECNICA FOTOGRAFICA? Oggi come ieri la tecnica è essenziale, conoscerla dà la possibilità di usare il mezzo nella pienezza delle sue capacità.

di Laura Francesca Di Trapani



52 FotoGraFia

THE BETHLEHEM PROJECT IL LINGUAGGIO DI DANILO MURRU DEVE MOLTO ALLA FOTOGRAFIA D’ARCHITETTURA. MA, SOTTESA ALLA RICERCA DI SOBRIETÀ DESCRITTIVA, VI È L’URGENZA DI RACCONTARE VICENDE UMANE DA LUI STESSO DEFINITE BORDER LINE, A PARTIRE PROPRIO DALLA DESCRIZIONE DEGLI AMBIENTI IN CUI SI SVOLGONO, DA CUI SONO INEVITABILMENTE CONDIZIONATE. Per natura ho sempre nutrito un grande interesse per le situazioni marginali e di confine sociale. Nel corso degli ultimi anni ho realizzato lavori in zone di guerra (Libano e Irlanda del Nord), ho esplorato spazi istituzionali e di controllo quali carceri, ospedali, scuole, colonie e manicomi. La mia ricerca fotografica si e’ anche estesa verso le periferie urbane più disagiate e le aree industriali sia attive che dismesse. Nei miei lavori cerco di applicare la foto-

Danilo Murru The Betlem project 2008

grafia di architettura a temi tipici del fotogiornalismo. I QUARTIERI DI BEIRUT DEVASTATI DALLE BOMBE (HARET HREIK, 2006), CELLE DI DETENUTI “AFFOLLATE” DI EFFETTI PERSONALI , FOTO E POSTER ALLE PARETI (ENVOI, 2003): È IL TUO MODO DI RACCONTARE UNA STORIA, A PARTIRE DAGLI AMBIENTI IN CUI SI SVOLGE E CHE CONDIZIONANO I PROTAGONISTI, SENZA RITRARLI MAI. IMMAGINI MOLTO ESSENZIALI, IN CUI


NON HAI USATO GIOCHI PROSPETTICI E CROMATICI PER ENFATIZZARE LA REALTÀ. BETLHEHEM È UN LAVORO RADICALMENTE DIVERSO DAI PRECEDENTI: QUI APPAIONO LE PERSONE E SCOMPAIONO I COLORI. Di solito per realizzare un progetto impiego dei mesi. Questa serie di ventiquattro ritratti invece è il risultato di un pomeriggio passato a Betlemme. Un progetto non programmato, l’ho trovato lì sul muro, pronto per essere colto. Mentre passeggiavo lungo il “muro infame” che separa i territori palestinesi da quelli israeliani, ho scorto due blocchi di cemento liberi da graffiti e slogan politici. Vi ho piazzato davanti la macchina, creando una sorta di spazio ideale tra l’obiettivo e il muro, che assume quasi la funzione di sfondo in uno studio di posa. Ho quindi invitato i passanti a “entrare” in questo spazio ideale e posare per una foto dando le spalle a quel mostro di cemento. Il

primo volontario che ho fotografato, con entusiasmo, è tornato poco dopo portando con sé altre persone. E così via per tutto il giorno. Quel gelido pomeriggio di febbraio, realizzavo che appena oltre le loro spalle, oltre il muro, c’era Israele, una realtà idealmente e militarmente contrapposta. Mi domandavo quale enorme impatto quella struttura potesse avere sulla vita di questi generosi e pazienti sconosciuti che con tanto trasporto si erano dedicati al mio progetto. Mentre procedevo con gli scatti e sistematicamente posizionavo i miei soggetti alla destra o alla sinistra della linea verticale al centro, ho immaginato questa assumere un importanza fondamentale. LA LINEA SI STAGLIA NETTAMENTE INCIDENDO UNA DEMARCAZIONE PROFONDA, TANTO IN PRIMO PIANO A VOLTE CHE SEMBRA QUASI ASSUMERE VITA PROPRIA, COME UN SOGGETTO AUTONOMO, ANCH’ESSO IN POSA DAVANTI L’OBIETTIVO. Ho identificato questa linea come il centro d’equilibrio dell’ intero lavoro e parallelamente nocciolo dell’infinito conflitto tra Palestina e Israele. Può essere letta in due modi: una separazione nella separazione, che vedrebbe i Palestinesi ancora più rinchiusi nel loro ghetto; oppure, più ottimisticamente, come una spaccatura nel muro che possa lasciar passare un raggio di luce, una speranza di dialogo con l’altro lato. ATTUALMENTE STAI LAVORANDO AD UN NUOVO PROGETTO SUI SITI MINERARI STORICI IN SARDEGNA. Mio nonno era un minatore, la miniera è stata il parco giochi della mia crescita. Ho sentito mille storie, di sangue e di sudore, di questi luoghi, che sono stati lo scenario delle rivolte dei minatori, che hanno visto nascere il movimento operaio italiano. Secoli di architetture industriali, dispersi su un territorio vastissimo e selvaggio, si mescolano in maniera perfetta, creando un paesaggio lunare o apocalittico. Ancora non so che direzione prenderà il progetto, sono appena all’ inizio. Spero comunque di riuscire a realizzare un libro che conservi la memoria antropologica di questo ambiente straordinario. www.danilomurru.com

di Caterina Cipolla


54 installaZioni

GLI UOMINI-FARFALLA FEDERICO PARIS È UN ILLUSTRATORE, UNO SCULTORE. METTENDO INSIEME LETTERATURA, DISEGNO, TEATRO È CAPACE DI CREARE “FANDONAGGINI” IMMENSE E MERAVIGLIOSE.

Federico è un artista eclettico. Realizza performance che uniscono teatro, danza e arti figurative (Devotadanza, Attenta a te). È direttore editoriale della collana Immagini per la casa editrice Sette Città. Il più recente progetto editoriale, del 2008, La vita non è un lungo fiume tranquillo (di Carole, Nelly e Sophie Savoie) narra la vicenda di tre bambine nel difficile momento del divorzio dei genitori, che Paris illustra con ironia in stile naif e vagamente onirico. Lo incontro nel suo studio, sul tavolo vedo subito una cartella, intestata “Walter Egon”, capisco che si tratta di qualcosa cui lavora al momento. Al suo interno disegni che ritraggono creature antropomorfe con ali ampie e coloratissime, e strane mandibole dentate e allungate, come quelle degli insetti predatori.

F. Che guardi? C. Cosa sono? F. Niente. C. Sono illustrazioni per un racconto? Una favola? F. Non sono niente. C. Walter Egon non è quell’entomologo sparito due anni fa con il suo aereo in Indonesia? Stai lavorando ad un progetto su di lui? F. Un progetto con lui. C. Ma allora è vivo! F. Shhhh!!! Non deve saperlo nessuno! Ti prego. C. E perché questi uomini insetto? F. Non sono semplicemente uomini insetto. (un po’ piccato) C. E allora cosa sono? Con queste specie di mandibole… F. Sono gli Uomini Farfalla! C. Non hanno certo la bellezza della farfalla… F. Tu non sai che esiste una specie di farfalle predatrici, dotate di mandibole, descritte fin dai tempi dei latini … Federico tenta di mantenere un segreto, ma gli piace puntualizzare e quindi mi dirà più di quanto vorrebbe. “… Platone fu il primo a studiare empiricamente il comportamento degli insetti …” mentre parla, guardo ancora le creature disegnate sulle tavole. Il loro aspetto. Mi sento a disagio e non solo perché sono un po’ brutte. C’è qualcos’altro, quel corpo troppo grande e pesante rispetto alle ali. Ricordo che acchiappavo le farfalle per chiuderle in una scatola, quando da bambina ero crudele come tutti i bambini quando sono cu-


riosi, il solletico del loro disperato dibattersi nelle mie mani, e poi le ali che letteralmente si sfarinavano lasciandomi le dita macchiate, come di ombretto. Non potrebbero volare, e neanche parlare, con quel becco dentato. Sono incongrui, dei mostri inutili destinati a vivere pochi giorni, fanno un po’ ribrezzo, ma non sembrano possedere alcun particolare potere o forza sovrumana. C. Che esseri assurdi. Federico (che, a questo punto l’avrete capito, non è capace di mantenere un segreto) si tradisce: Assurdi per niente! Io ho seguito gli appunti di Egon! Esistono veramente! A questo punto ti racconto tutta la storia. Però deve rimanere tra di noi, d’accordo? Qui (non) si narra l’incredibile storia del professor Walter Egon. Di come il suo aereo si schiantò nell’isola (in un punto imprecisato lungo la rotta aerea per l’Indonesia) degli Uomini-farfalla dove rimase, celato al mondo, per due anni. Del suo primo incontro con queste creature che, a dispetto dell’aspetto incongruo sopra descritto, terrorizzarono a tal punto il professore che ne uccise uno, credendosi in pericolo. Della sensazionale scoperta che gli Uomini-farfalla altro non sono che il risultato infelice di un irresponsabile esperimento genetico, per creare individui perfettamente controllabili perché fisiologicamente fragili. “Walter Egon non aveva materiale fotografico sull’isola, quindi mi ha chiesto di illustrare le sue scoperte. Ha intenzione di denunciare l’industria genetica responsabile di questi esperimenti. Nel frattempo rimane nascosto”. Ho ancora tante domande, ma non riesco a far dire altro a Federico, che forse non sa o ha paura di mettere in pericolo il professore: Come è scappato dall’isola? Dove si nasconde? Gli esperimenti continuano? Chi li conduce e soprattutto: a che scopo? di Caterina Cipolla

Federico Paris Pezzangelo Stoffa cucita e resina su telaio di acciaio cm. 107 x 134 x 77 2006


Federico Paris Uomo farfalla Olio su tela cm 110 x 110 Roma 2007



58 architettUra

IL MASSIMO A 360° PAOLO ROLLI È UN ARCHITETTO. “HO FATTO QUESTA SCELTA”, DICE, “PERCHÉ VOLEVO DIVENTARE COME LE CORBUSIER. HO CONDOTTO LA MIA CARRIERA INSEGUENDO PIRANESI”.

Prospetto fronte principale

Paolo Rolli, con Silvia Ponti e Anna Maria Saccomanno, crea nel 1994 Associati Modus Architettura. Un idea mirata alla creazione di strumenti e metodologie innovative per la ricerca e l’intervento sul territorio nella sua accezione più completa ed estesa. Nel 1990 lo studio Modus vince l’appalto per la realizzazione dei rilievi propedeutici al restauro del teatro Massimo. I lavori vengono condotti con modalità innovative per l’epoca e ancora oggi poco diffuse. L’incarico prevedeva la redazione di tabulati descrittivi bidimensionali. Sono stati creati dei modelli tridimensionali a partire dai classici rilie-

vi bidimensionali, concepiti a partire dalla ricognizione delle specifiche funzionalità delle diverse parti del teatro. Rolli definisce queste parti come cinque “edifici” distinti, per struttura e funzione: Torre di palcoscenico, Sala, Pronao (con il foyer), Corpo centrale (con le due sale circolari ai lati), edificio di servizio (dietro la torre di palcoscenico), che riunisce i camerini e i locali di servizio. A più di dieci anni dalla riapertura del Massimo, lo studio sta lavorando, integrando i rilievi realizzati all’epoca con gli hardware più avanzati di cui si dispone adesso, ad una modello tridimensionale animato del Teatro. Questo servirà


Planimetria alla quota del Palco Reale


60 architettUra

Sezione-prospetto longitudinale

“alla comprensione, immediata anche per i non addetti ai lavori, per coloro che non si intendono di architettura, per i quali la lettura di piante bidimensionali o modelli plastici dice poco del valore del Teatro Massimo, non semplicemente inteso come monumento, testimonianza architettonica di una precisa epoca storica, o come luogo che ospita eventi musico-teatrali, ma come bene culturale in sé”. Si tratta di un programma di animazione digitale in 3D, basato sulla concezione del teatro come un organismo dotato di arti e organi armonicamente in sistema fra loro. L’animazione consente di “smontare” il teatro nei cinque suddetti edifici. È possibile visualizzare ognuno di essi e osservarne le distinte funzioni. Per esempio la torre del palcoscenico, con la bocca rivolta verso la sala e le strutture sovrastanti che ospitano gli ingranaggi di movimentazione delle sceno-

grafie (che all’epoca funzionavano a braccia e oggi sono automatizzati), o la sala, con il sistema di apertura e chiusura del soffitto per la climatizzazione. “Lo scopo è suscitare l’interesse nei confronti del teatro, non solo come reperto storico-sociale (è il secondo teatro lirico d’Europa per grandezza, uno dei migliori esempi di Liberty floreale italiano), ma anche per la sua complessità e carica innovativa, per l’epoca, come oggetto architettonico e ingegneristico. La salvaguardia dei beni culturali deve partire dal basso, perché è la conoscenza che crea l’attaccamento all’oggetto e quindi lo qualifica come bene culturale”.

di Caterina Cipolla



62 libri

LIBERTY TUG UN VIAGGIO NEL MEDITERRANEO PER UN DIALOGO INTERCULTURALE”

“Scegliamo innanzitutto un punto di partenza: riva o scena, porto o evento, navigazione o racconto. Poi diventa meno importante da dove siamo partiti e più fin dove siamo giunti: quel che si è visto e come. Talvolta tutti i mari sembrano uno solo, specie quando la traversata è lunga; talvolta ognuno di essi è un altro mare. Il Mediterraneo è a un tempo simile e in altro diverso a sé stesso” (Predrag Matvejevi?, 1987)

Quarta di copertina e copertina del libro Liberty Tug Katakusinós editore

Questa citazione accompagna il testo, di recente pubblicazione, dal titolo “Liberty Tug: un viaggio nel mediterraneo per un dialogo interculturale” a cura di Katakusinós Editore. Si tratta di lavoro che raccoglie la testimonianza del viaggio svoltosi tra giugno e luglio del 2008 a bordo del rimorchiatore Liberty Tug nella realizzazione del primo “Forum dei cittadini itinerante”, un’iniziativa promossa dall’Ufficio per l’Italia del Parlamento Europeo e condivisa dalla Fondazione Palazzo Intelligente di Palermo.

In tale contesto le città di Palermo e Corfù sono state idealmente collegate in occasione dello “anno europeo del dialogo interculturale”. L’Ufficio d’informazione per l’Italia del Parlamento Europeo e del Dipartimento Pesca dell’Assessorato Regionale Cooperazione, Commercio, Artigianato e Pesca sono stati i patrocinatori dell’evento, che ha coinvolto un gran numero di personalità e rappresentanti delle istituzioni incontrati tra Palermo, Messina e Crotone lungo le oltre quattrocento miglia della rotta del Liberty. Meta finale del viaggio è stata appunto Corfù, dove si è tenuta la Adriatic-Ionian Intercultural Dialogue Conference, organizzata dagli uffici di Roma, Atene e Ljubljana del Parlamento Europeo per la valorizzazione del patrimonio culturale della zona dell’euromediteranneo. La particolarità del testo va però ricercata nelle modalità affascinanti e sfaccettate con cui l’esperienza stessa della traversata è stata riportata su carta. Per raccontare la crociera da Palermo a Corfù in questo testo si è utilizzato il


punto di vista di alcuni membri dell’equipaggio che, durante il viaggio hanno tenuto il proprio personale diario. Le parole di Lilia Zaouali rappresentano la prima delle “voci” a cui il libro dà spazio. Nel suo diario organizzato per tappe ed avvenimenti emerge con forza l’interazione culturale che la crociera del Liberty ha provato ad attivare. Il ruolo della scrittrice tunisina è quello di riportare gli stati d’animo di chi, con lei, ha vissuto l’esperienza di un viaggio nato per favorire l’incontro e il dialogo con l’ “altro”. Alla sua voce si aggiunge la ricchezza cromatica ed emozionale delle illustrazioni di David Hardy, soprannominato “le suisse-marocain” per essere nato “al confine tra la Svizzera e il Marocco”. I suoi disegni, realizzati su di un vecchio libro manoscritto, fanno da contrappunto ai testi di Zaouali, completando per il lettore il resoconto dell’esperienza e dando un’immagine inedita e significativa del mediterraneo d’oggi. Ancora, testi e immagini sono strutturati in un resonto delle

tappe, delle distanza e dei tempi di viaggio che arricchisce il valore dell’esperienza raccontata. A queste due “voci” si aggiungono poi quelle di tutti gli intervenuti alle conferenze che da Palermo Crotone si sono svolte sul Liberty Tug e quella, ricca di suggestioni, del video realizzato per l’occasione e allegato al libro, che sintetizza gli avvenimenti e le immerge il lettore nelle musiche del gruppo dei Cabeça Negra che hanno accompagnato il rimorchiatore nel suo viaggio verso la Grecia. Cosa restituisce il libro infine? Cosa rimane dalla lettura di questo portolano atipico e puntiglioso? La dimensione tutta umana di un mediterraneo fatto di genti capaci di incontrarsi ma soprattutto di ascoltare e ascoltarsi. […] essere in viaggio ma lasciare tracce, edificare luoghi, unirsi a viaggiatori inquieti. E se a qualcuno verrà in mente, un giorno, di fare la mappa di questo itinerario, di ripercorrere i luoghi, di esa-


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minare le tracce, mi auguro che sarà solo per trovare un nuovo inizio. (Antonio Neiwiller, 1993) Guido Agnello è fondatore e presidente della Fondazione Palazzo Intelligente, nata nel 1994. La Fondazione nel corso della sua attività ha sviluppato numerosissimi progetti culturali e partecipato a vari programmi INTERREG. Gli intervenuti a Palermo sono stati: la direttrice

dell’Ufficio per l’Italia del Parlamento Europeo, Clara Albani, che ha voluto il Forum itinerante, gli eurodeputati Giusto Catania e Francesco Musotto, l’assessore al decentramento Pippo Enea che hanno ribadito l’importanza dell’Unione e del ruolo di capitale che il capoluogo siciliano ha come modello di convivenza tra culture differenti. Seconda tappa del viaggio è stata Messina. Il 21 giugno si è tenuta una tavola rotonda organizzata da Massimo Palumbo in qualità di rappresentante dell’Ufficio



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Illustrazioni a colori Suisse Marocain Illustrazione in bianco e nero Giuseppe Lo Bocchiaro

in collaborazione con l’Università di Messina e di Catania da cui provenivano i professori Daniela Irrera, Annamaria Murdaca, Pasquale Fornaro, con l’Associazione Eurolab rappresentata da Andrea Bellantone e Lillo Maiolino, l’Unione Italiana Ciechi (sezione provinciale di Messina), il Centro Regionale Helen Keller, l’Adiconsum con Giuseppe Abate, la Cisl di Messina con Bruno Zecchetto e l’Eurodesk. Ultima tappa del rimorchiatore, prima di prendere il largo verso lo Ionio, è stata Crotone vero e proprio successo in termini di partecipazione. Presenti gli eurodeputati Armando Veneto, Donato Veraldi, Beniamino Donnici, Umberto Pirilli, il Questore di Crotone Gaetano D’Amato, il Prefetto Melchiorre Fallica, l’Assessore alla cultura Giovanni Capocasale. Scrittrice, nata in Tunisia nel 1960, vive tra Parigi, Diserta, Palermo e altre città europee. Dopo un percorso universitario alla Sorbona concluso con un dottorato di ricerca su Città portuali e presenze europee nel Maghreb nei secoli XVI e XVII, ha insegnato Antropologia del mondo islamico all’Università di Jussieu a Parigi, curando ricerche e pubblicazioni sulla storia delle popolazioni del mare e dei migranti nell’ambito dell’Islam mediterraneo. Fa parte dell’equipe del Centre interdisciplinaire de recherche sur la culture des échanges all’Università di

Paris-III. In Italia ha tenuto il seminario “Istituzioni del mondo islamico” alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Orientale del Piemonte e il seminario “Storia e cultura dell’alimentazione nel mondo islamico” all’Università di Bologna. David Hardy è nato in realtà in Germania dove si è formato presso l’Accademia di Karlsruhe. Pittore, scultore, creatore di arte con i più diversi materiali e oggetti – i suoi stessi abiti sono sue creazioni – la sua arte si può definire nomade e tollerante, attenta al mondo ed aperta a qualsiasi vento, e richiama il sovversivo percorso dei dadaisti. Dal 1997 fa parte del collettivo di squatter di rue de Rivoli, noto anche come Chez Robert o Electron Libre, che ha occupato uno spazio, a pochi metri dal Museo del Louvre, divenuto in breve tempo un libero spazio di espressione artistica, una residenza gratuita per artisti provenienti da tutto il mondo, nonché il terzo spazio espositivo più visitato dell’intera Francia. David Hardy ha esposto in tutta Europa e nel mondo, e continua ancora oggi a seguire la sua vocazione nomade, vivendo tra Parigi e la Sicilia. Il progetto Cabeça Negra ha l’obiettivo di usare la musica capoverdiana, con la sua carica di nostalgico appeal e di euforica espressività, per comunicare energia e ritmo insieme alla scoperta di un sound raffinato e comunicativo allo stesso tempo. Fanno parte del gruppo Jerusa Barros (voce), Francesco Cimino e Giuseppe Rizzo (chitarra).

di Davide Leone, Giuseppe Lo Bocchiaro e Antonino Panzarella



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VICOLI VICOLI “PALERMO NON HA UNA SOLA ANIMA. NE HA TANTE. UNA PER OGNI QUARTIERE STORICO, E ANCHE DI PIÙ. TANTI CUORI PULSANTI NASCOSTI TRA VICOLI E CHIESETTE, ALL’INTERNO DI PIAZZE E MERCATI, BATTONO OGNUNO A UN RITMO DIVERSO…”

Alli Traina Copertina del libro Vicoli Vicoli Dario Flaccovio Editore

Un antico caffè in cui risuona il ticchettio di una storia, storia di una “femmina” esuberante, affascinante, contraddittoria, accogliente: Palermo. Una città ed il volto della sua voce a confronto. Un confronto apparente, in cui le due parti si fondono, in cui il sentire della sua narratrice si mescola in un tutt’uno con la sua protagonista. Arrivo in punta di piedi con l’intento di capire e carpire qualcosa in più di questa relazione composta da dialoghi cuciti con parole, e assolutamente privata. Non c’è mai stato un incontro tra le due, un cordone ombelicale unisce l’una all’altra, sono sempre state contenute l’una nell’altra. Alli, la voce narrante, l’ha vista nella sua interezza, nella sua bellezza, solo nell’attimo di una momentanea separazione. Ne parlava, la raccontava cercando di farla vivere a chi magari non l’aveva mai neppure vista. Ne iniziava a percepire gli stati, gli umori, gli odori. Vedeva la sua identità, le sue miserie e la sua nobiltà d’animo e di storia, la sua decadenza e il suo rigoglio. La ricomponeva nella sua mente, unendo tassello per tassello, sino ad avere una visione, la sua visione che non l’ha abbandonata e l’ha portata ad essere voce narrante della sua storia. È una storia senza una fine, è una storia in continuo divenire, è una storia pervasa da un senso di meraviglia, di stupore, che appartiene ai bambini che si accorgono di ciò che li circonda per la prima volta. È un cercare, un ricercare un senso, quello dei quartieri, che all’interno di questo racconto appaiono come organi del corpo di questa donna e le permettono di vivere, respirare, arrabbiarsi, amare. Si ricerca l’anima, l’identità e

quel senso di appartenenza che ci scorre nelle vene. È un viaggio dove le diverse fermate scandiscono il tempo, in senso temporale ed emozionale. Non si deve approdare da qualche parte, si deve solo annusare, ascoltare, appassionare. E l’intero racconto è un’emozione, prima di chi l’ha vissuto e trasferito a parole, e poi di chi ci si addentra per scoprire una nuova visione. Quartieri, vicoli, chiese, botteghe, vengono messe in scena nei racconti dei personaggi che si avvicendano sul palcoscenico della letteratura. Alli si è lasciata trasportare in questo vortice, vi si è adagiata comodamente. Tra i profumi, i colori, le rughe che solcano i volti di chi di storie ne è portatore, per descriverle, per cercare un’anima, un’identità che si assommano alle numerose anime e identità che fuoriescono dal vicoli ciechi o da piccole botteghe buie. Un ritmo lento pervade ed accompagna questo viaggio vicoli, vicoli, un viaggio fisico ed al contempo metaforico. Allegoria di una ricerca personale, di un perdersi per poi ritrovarsi e ritrovare ciò che di prezioso si era smarrito. È uno sguardo, un passo verso una conoscenza ed una percezione intima. Tanti nomi, tanti volti, tanti sentimenti, tante culture, che avanzano dal buio, un passo avanti e si presentano, confidando i loro segreti, le loro paure, la loro storia. Ad ogni istante corrisponde una nota, Alli le ha sentite, annotate, se n’è stupita, e le ha unite in una meravigliosa sinfonia di suggestiva emozione. di Laura Francesca Di Trapani



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LOGGIATO DI SAN BARTOLOMEO Via Vittorio Emanuele 25 tel. 091 6123832 MUSEO IN. MARIONETTE piazzetta A. Pasqualino, 5 tel. 091 328060 ORTO BOTANICO via Lincoln, 2a N. Verde 800 903631 PALAZZO MIRTO via Lungarini, 9 tel. 091 6173467 PALAZZO ZIINO Ufficio Grandi Eventi via Dante, 53 tel. 091 7407361 SPASIMO Via Dello Spasimo, 35 tel. 091 6230809

Teatri TEATRO POLITEAMA Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana via Turati, 2 tel. 091 588001

A Londra ARANCINA 19 Pembridge Road Notting Hill London W11 3HG tel. +44 (0) 20 72217776 ARANCINA 19 Westbourne Grove Notting Hill London W2 4UA tel. +44 (0) 20 77929777

GALLERIA D'ARTE MODERNA SANT'ANNA Via S. Anna, 21 tel. 091 8431605 e presso tutti gli sponsor presenti in questo numero.




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