Kaffè n°6

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RIVISTA TRIMESTRALE_ANNO 2009_N.06_21 GIUGNO_21 SETTEMBRE

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© Copyright 2007_KATAKUSINOS_editore_All Rights Reserved

FATTI UN NEMICO. PORTALO AL TEATRO ©




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FATTI UN NEMICO. PORTALO AL TEATRO

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PITTURA (RI)COSTRUIRE LA REALTÀ

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ARCHITETTURA ...COMING SOON LUGLIO 2009

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COSTUME E SOCIETÀ BLOODY EDITH, MODA E NOSTALGIA

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PITTURA LUNE EMOTIVE

SCULTURA DAVIDE ORLANDI DORMINO E LA LEGGEREZZA DEL MARMO

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PITTURA FRANCESCA ROMANA PINZARI, OLTRE I “LIMITI”

BENESSERE HAMMAM IL BAGNO TURCO

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CREATIVITÀ VITERBO CAPITALE DELLA CREATIVITÀ CON CAFFEINA

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POESIA CHIEDI ALLA POESIA, LE PAROLE “SCONOSCIUTE” DI GIACOMAZZI

FOTOGRAFIA GUARDARE PALERMO

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FOTOGRAFIA GERMANO SERAFINI: «IO LA MIA ARTE LA FACCIO “A PEZZI”»

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FOTOGRAFIA VISIONE INTROSPETTIVA

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VIDEOARTE PIXEL E AVANGUARDIA, QUAYOLA DETTA I NUOVI ORIZZONTI DELL’ARTE

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PITTURA METAMORFOSI INTERIORI

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PITTURA FRANCESCO DE GRANDI

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FUMETTI INTERVISTA AGLI STILISTI GRIMALDI E GIARDINA

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PITTURA PIERO MASCETTI, POETA SULLA TELA

LIBRI LA MIA FAMIGLIA…E ALTRE ANOMALIE

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PITTURA IL SACRO E IL CONTEMPORANEO

LIBRI IL PADRONE DI CASA

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DOVE TROVI KAFFÈ

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Non si restituiscono testi e materiali illustrativi non espressamente richiesti. È vietata la riproduzione, anche parziale, senza autorizzazione scritta dell’Editore. L’elaborazione dei testi, curata scrupolosamente, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze. Ogni articolo firmato, anche con opseudonimo rintracciabile attraverso la nostra redazione, esprime esclusivamente il pensiero di chi lo firma che se ne assume la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comporta responsabilità alcuna per l’Editore.

PITTURA ALESSANDRO CANNISTRÀ, IL PITTORE CHE “GIOCA” CON L’ARTE

EDITORIALE

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in copertina 1”CREDO”/6 2007

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redazione_

responsabile di redazione_

via Nicolò Garzilli, 26_90141 Palermo Tel. 091 32 28 84_www.katakusinos.eu rivista trimestrale_numero 06 21 Giugno_21 Settembre 2009 Reg. Trib. di Palermo n. 2 del 03-01-08

Lavinia Caminiti redazione@katakusinos.eu

hanno collaborato_

KATAKUSINÓS_editore

Caterina Cipolla_Tiziano Di Cara_Laura Francesca Di Trapani_ G.D.S._Federico Paris_Rifa_rapuhi

Alfonso Catasino katakusinos@katakusinos.eu

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Natalia Distefano n.distefano@katakusinos.eu

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Laura Di Trapani l.ditrapani@katakusinos.eu

Associazione Culturale Katakusinós via Nicolò Garzilli, 26_90141 Palermo Tel. 091 32 28 84 info@katakusinos.eu

assistente editoriale_

Key account_

Caterina Cipolla c.cipolla@katakusinos.eu

Nadia Caminiti n.caminiti@katakusinos.eu

art director_

tipografia_

Carlo Poerio c.poerio@katakusinos.eu

Litograf Editor S.r.l. via C. Marx_10 Cerbara_Citta di Castello (PG)

direttore editoriale_



EDITORIALE Pablo Picasso ha definito l’arte come quella “menzogna che ci permette di conoscere la verità”. Theodor W. Adorno come “la magia liberata dalla menzogna di essere verità”. Non amo le citazione eppure mi sono arrovellata su queste frasi, sul rapporto tra l’arte e i due termini: menzogna e verità. Su come ogni forma di espressione, anche la più semplice ed esplicita, possieda in sé una questione che l’arte contemporanea complica e amplifica: quella dell’interpretazione. Senza volermi sostituire a sociologi, filosofi e critici d’arte mi limito a notare come certi azzardi a cui gli artisti moderni ci hanno abituato hanno reso ossessiva la ricerca della comprensione del gesto artistico per poterlo valutare. L’arte si è fatta sempre più intima, riflessiva, ermetica. Le forme espressive si sono moltiplicate e contaminate. Questa meravigliosa “menzogna” sembra sempre meno interessata a svelare una verità che sia assoluta. Tocca prima l’anima, sveglia le pulsioni, smuove l’emisfero emotivo scavalcando quello razionale. E così accade che ci si innamori di un’opera, di un’artista prima ancora di comprenderne la verità e il valore. Kaffè insegue questi amori, per svelarli e condividerli. Le sue pagine raccontano l’incontro con artisti che seducono lo spirito con immagini, suoni e parole. Alessandro Cannistrà lo fa giocando acutamente con la sovrapposizione di piani ideali capace di intrecciare senza forzature l’universo umano e quello animale. Mauro D’Agati immerge il suo obiettivo in una Palermo nascosta, diversa da quella stereotipata delle cartoline. Giacomo Giacomazzi con i suoi versi rapisce e trascina in un vortice passioni e interrogativi che Martina Troise visualizza con tratto sottile ma incisivo. Tiziana Viola Massa sperimenta i nuovi linguaggi dell’arte sacra illuminandone la dimensione carnale. Francesco De Grandi esplora le forme meditative della pittura. Davide Quagliola definisce un processo di dissoluzione grafica che si risolve in un’elegante metamorfosi delle opere impresse nella memoria collettiva. Sono artisti che pur riservando un significato specifico al proprio lavoro non lo incastrano in una struttura rigida, non ne limitano l’interpretazione ma anzi suggeriscono diversi piani di lettura, anche quelli più onirici. Sono spie di un’arte che ammette la possibilità di una coincidenza tra menzogna e verità. Kaffè le ha intercettate e lette a suo modo, senza fermarle, aspettando che ognuno le faccia proprie. Natalia Distefano


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fotografia

GUARDARE PALERMO DA PALERMO UNSUNG, SUO ULTIMO LAVORO, ALLA COLLABORAZIONE CON STEIDL, FINO ALLE LOGICHE DEL MERCATO DELL’ARTE, AL SENSO DEL FARE ARTE OGGI ED ALLA PASSIONE DELLA FOTOGRAFIA. UN CAFFÈ CON MAURO D’AGATI: OCCHIO INDAGATORE DELLA SUA CITTÀ.

PALERMO UNSUNG È IL TITOLO DEL TUO ULTIMO LAVORO. RACCONTI DI UNA PALERMO TRA PALCHI, LUMINARIE DI FESTE DI PIAZZA E DI CANTANTI. DA COSA HA ORIGINE IL TUO INTERESSE PER QUESTO ASPETTO DELLA CITTÀ? Si tratta di un vecchio lavoro, iniziato nel 97 e finito nel 2007. Di questo aspetto della città non si parla mai, ci si vergogna di esportare questa realtà. Dopo averla seguita per anni mi sono anche appassionato al genere “musicale” neomelodico che mi pare più genuino di un certo tipo di raccapricciante canzone italiana alla Eros Ramazzotti. Questi festival fatti in casa brulicano di umanità e poi sono molto divertenti. In realtà a questo lavoro ci sono legato per motivi affettivi.

Mauro D’agati Copertina del libro Palermo unsung Steidl

EXHIBITION 4_GIUGNO / 16 SETTEMBRE_2009 KATAKUSINÓS via Nicolò Garzilli, 26 Palermo

NON HAI PAURA DI RICADERE NELL’IMMAGINE STEREOTIPATA DEL FOTOGRAFO SICILIANO CHE RACCONTA TRAMITE I SUOI SCATTI, INSERENDOSI IN QUEL FILONE QUASI FOLK? No, per niente. Le immagini stereotipate della Sicilia sono altre e purtroppo le librerie sono piene di quel tipo di libri fotografici. Forse le nuove generazioni che si avvicinano alla fotografia si stancheranno di quel tipo di cose, ma si devono dare una mossa e guardare cosa succede fuori dai confini locali.


Palermo Unsung Borgo Vecchio #2 Palermo Unsung Piazza Kalsa #4

COSA DEVE COLPIRTI DI UN SOGGETTO/OGGETTO PER DECIDERE DI RENDERLO IMMORTALE? Soggetto e oggetto finiranno comunque, non è una cosa tanto spiegabile cosa mi spinga a fotografarli. QUALI SONO LE DIVERSE FASI DEL TUO LAVORO? Individuare un tema da seguire e svilupparlo per il tempo necessario. E’ fondamentale per me tornare negli stessi posti più volte. Occorre fare passare del tempo per modificare il lavoro e indirizzarlo nella giusta via per poi, se vale la pena, farne un libro, solo se con certe caratteristiche. Da giovane ho fatto 2, 3 cose che non rifarei, parlando di libri. COME TI SEI AVVICINATO ALLA FOTOGRAFIA E COME È DIVENTATA LA TUA PROFESSIONE? Una vecchia biottica posata su un mobile di casa, curiosità, passione, e infine, dopo l’università, scelta di vita che ti prende totalmente e non ti consente in pratica di fare altro. PER QUALE RAGIONE HAI SCELTO COME MEZZO ESPRESSIVO PROPRIO LA FOTOGRAFIA? Non lo so. Forse perché ho visto che come chitarrista avevo amici molto più bravi di me. QUALE VALENZA POSSIEDE IN PIÙ UN’IMMAGINE IN BIANCO E NERO RISPETTO AD UNA A COLORI? Nessuna. QUALE COMPONENTE CULTURALE È RINTRACCIABILE NEL TUO LAVORO? Questo discorso lo lasciamo ai critici, si divertono con queste cose. TRE NOMI DI ARTISTI CHE STIMI. In fotografia: Boris Mikhailov, Araki, Lars Tunbjork. COSA TI PIACEREBBE FOTOGRAFARE CHE ANCORA NON HAI FATTO? Donne, qualcosa di erotico, non so bene ancora in che modo e in che contesto. Se ne parla fra qualche mese. Prima devo stampare gli altri libri in programma. Lavori nuovi e completamente diversi da questo, sia come approccio emotivo che visivo. Mi piace, della fotografia, il fatto che ti dia la possibilità di esprimerti in forme ogni volta differenti.


Non mi piace il fatto che in qualche modo inevitabilmente ti isoli. Viaggiando conosci molta gente ma il mio in realtà è un lavoro abbastanza solitario, non sono nemmeno sicuro che sia un lavoro. L’ESPERIENZA DI LAVORARE CON UN IMPORTANTE EDITORE COME STEIDL? Enorme. Ti fa crescere anche professionalmente e ti fa confrontare personalmente con i migliori artisti e autori di fotografia del panorama internazionale. Penso che Steidl sia qualcosa completamente fuori dal comune. Nessun editore si può nemmeno lontanamente paragonare a lui. Penso che oggi non ci sia di meglio. ARTISTA, OPERA E COLLEZIONISTA. UN RAPPORTO STRETTO CHE POSSIEDE DIVERSE SFACCETTATURE, MA CHE SICURAMENTE È SPESSO PURTROPPO LEGATO A FATTORI DI ORDINE ECONOMICO, ASSUMENDO QUINDI DIMENSIONE ELITARIA. ALLA LUCE DI QUESTA CONSTATAZIONE L’ARTE OGGI È PER TE DEMOCRATICA ED ALLA PORTATA DI TUTTI OPPURE RELEGATA AD UN RUOLO DI NICCHIA? Democrazia è parola grossa. Suona anche di politico, il che fa rabbrividire dato lo squallore del sistema. Le opere per essere alla portata di tutti dovrebbero avere prezzi alla portata di tutti. Quindi resteranno una cosa per pochi. I libri comunque sono alla portata di quasi tutti, anche se da noi non ne circolano molti, specie di buona fotografia. A parte questo, è un problema culturale. In posti come Palermo specialmente e come l’Italia in generale non è che ci sia tanta speranza. La gente compra altro e ha altre priorità. D’altronde il nostro sistema politico “culturale” che dovrebbe sensibilizzare, non sa e non può educare e in genere produce, quando le produce, immondizie, oltre a non sostenere affatto gli artisti. MOLTI ARTISTI CERCANO DI SFUGGIRE ALLA LOGICA DEL MERCATO DELL’ARTE, MA QUESTO NON SIGNIFICA CHE NON ABBIANO UNA PROPRIA OPINIONE. LA TUA QUAL È? Qual è la logica del mercato dell’arte? Non mi sono mai interessate logiche, figuriamoci logiche di mercato o dell’arte.

Palermo Unsung Gianni Di Giovanni



Palermo Unsung Franco Dallara Palermo Unsung Piazza Olivella #3

RITIENI L’ARTE DI OGGI GENUINA OPPURE RISCONTRI UNA TANGIBILE MANCANZA, E VEDI PIÙ ARTISTI CHE CREANO SEGUENDO PRECISE LOGICHE RINUNCIANDO ALLA VERA LIBERTÀ CREATIVA? Domanda provocatoria. In realtà non è che i più abbiano veramente cose da dire. Escono da scuole e seguono tendenze, spesso si inventano artisti. Si assomigliano tutti. Gli artisti veri sono pochi, un po’ disadattati, con vari problemi, hanno delle sensibilità davvero particolari o gli è successo qualcosa e trovano in quello che fanno il senso della loro esistenza e della loro relazione con questo mondo. Mi pare tutto un pò “fashion”. Ovviamente quando qualcuno è davvero bravo lo si percepisce e spesso lo si esclude perché

non rientra più nel vasto circuito dei mediocri del nostro paese, questo vale un po’ in tutti i campi. Ma cerchiamo ancora di essere ottimisti. Ci si ritaglia sempre uno spazio. Il mondo è grande. E IN QUALITÀ DI CHI VIVE NEL MONDO DELL’ARTE, CREDI SIA POSSIBILE FARE ARTE OGGI IN MANIERA AUTONOMA SENZA ESSERE INFLUENZATI DAL MERCATO DELL’ARTE? E’ possibile.

Laura Francesca Di Trapani



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GERMANO SERAFINI: «IO LA MIA ARTE LA FACCIO “A PEZZI”» POLIEDRICO, PUNGENTE E VISIONARIO, IL FOTOGRAFO ROMANO RIDEFINISCE I CONFINI TRA L’OPERA, L’ARTISTA E IL SUO PUBBLICO.

Germano Serafini Venezia Immersione

Quello tra Germano Serafini e l’arte contemporanea, intesa come mercato ma anche come aspirazione, è un rapporto controverso, bicefalo, senza dubbio stimolante. L’artista romano ne è parte, come un organo tiene in vita l’organismo. Ma allo stesso tempo ne è antagonista e come un virus fa vacillare il corpo colpendolo dall’interno. Il tutto, incredibilmente, si consuma senza contraddizioni. Perché l’arte di Serafini con disinvoltura transita dalle gallerie per entrare nelle case di intenditori e collezionisti ma parte anche dalla strada per finire (gratuitamente) tra le mani spesso inconsapevoli dei passanti coinvolti nelle sue performance guerrilla in giro per l’Europa. Il fotografo riesce nell’impresa audace di deformare i confini del rapporto tra opera, artista e fruitore, senza inciampare nei gesti (a volte sin troppo prevedibili nella loro spettacolarità) cui molti talenti contemporanei ci hanno abituato. Ci riesce senza compromettere l’autenticità del gesto creativo, senza stravolgere il ruolo dell’artista, nè rincorrere facili

clamori. Lo fa con G-Block, un progetto multifase nel quale l’artista fa convergere unicità e duplicabilità dell’opera, incrocia addetti ai lavori e profani, appuntamenti istituzionali e raffinate incursioni. Prima nasce l’immagine, elaborata con ricercate tecniche fotografiche. Uno scatto che ha un valore artistico a sé ma che non esaurisce il percorso creativo di Serafini. La foto infatti viene poi scomposta, riassemblata, esposta, riprodotta, venduta, regalata, imboccando sentieri imprevedibili. Ogni G-Block è realizzato in cento copie (140 x 100 cm) stampate su cartoncino, ognuna delle quali viene suddivisa in cento parti uguali per un totale di dieci mila pezzi. L’artista conserva venti opere complete di ogni loro tassello: sono queste quelle che, montate con modalità diverse, finiscono nel circuito delle gallerie, delle mostre, del mercato. Le rimanenti 80, suddivise negli otto mila frammenti formato cartolina, sono invece quelle a cui Serafini affida il compito di avvicinare all’arte il pubblico non specializzato, ironizzare sul prez-


Germano Serafini Roma Revelation Germano Serafini g-block Roma

zo delle opere, di scuotere un sistema col vizio dell’autocelebrazione. Per questo anche la scelta dell’appuntamento con la distribuzione gratuita ha un peso specifico per nulla secondario nella performance. La Biennale di Venezia, il Frieze Art Fair di Londra, The Road to Contemporary Art e ArteContemporaneaModernaRoma nella Capitale: qui il mondo dell’arte si mette in mostra, elegge i propri eroi; ed è da qui che Serafini lancia la sua provocazione “disperdendo” i propri lavori, rendendo il pubblico parte dell’opera e collezionista della stessa. «Mi avvicino ai passanti indossando un cartello che recita “Prendi un pezzo di un’opera d’arte” – racconta il fotografo – qualcuno lo afferra frettolosamente e con molta probabilità se ne libera appena arrivato a casa. Altri incuriositi cercano spiegazioni, percepiscono l’idea e notano che ogni frammento è autografato e ha un codice per essere registrato sul mio sito web ed essere poi rintracciato. Impossibile aspettarsi che tutti capiscano il senso del progetto ma il solo fatto di accet-

tare il mio invito li rende protagonisti di G-Block, involontari possessori d’arte». Poliedrico, pungente e visionario, Germano Serafini costringe a interrogarsi. Il valore dell’arte è nel singolo frammento tanto quanto nell’insieme? È più nel gesto dell’artista o nell’interazione con il pubblico? L’arte ha bisogno di essere compresa per essere tale o è autonoma rispetto a chi la guarda e possiede? La sua risposta c’è ma è sospesa, perché il progetto non si è ancora concluso. «Arriverà quando il feedback del pubblico sarà tale da rendere possibile riassemblare on line un’intero G-Block». Intanto la corsa alla tessera d’arte è già scattata. Natalia Distefano


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VISIONE INTROSPETTIVA DESCRIZIONE DI UNA DIMENSIONE CONCETTUALMENTE EMOTIVA IN UN’ANALISI DELLE SFACCETTATURE DELL’IO NELLE IMMAGINI DI DARIO BRUNO.

Dario Bruno La morte di Eva

Immagini di luoghi dimenticati appartenenti quasi ad un’altra dimensione. Una figura si muove al suo interno, ne attraversa i meandri, sdoppia il suo io fino a quadruplicarlo, si contorce dai tormenti, si chiude in se stessa, attira lo spettatore in circolare effetto di sguardi. Dario Bruno mette in scena dei set da cui le immagini fuoriescono prendendo forma. Sono immagini dove la concettualità è pilastro portante, dove le emozioni sono declinate nelle svariate sfaccettature che posseggono. Immagini dove la sensazione di vuoto, di abbandono, smarrimento sono protagoniste. La costruzione scenica diviene funzionale all’idea, e l’impatto visivo, dall’apparenza patinata, diviene gioco tra l’apparire e l’essere. L’intento è di spingere l’osservatore a sollevare quel velo che ricopre l’essenza dell’immagine, gli elementi segnici presenti. Una volta scoperta si svelerà nella sua complessità. Il concetto di volontà di una progettualità mentale, tradisce uno studio dietro la creazione dell’immagine stessa, non tanto di natura pratica ma assolutamente concettuale. La sua raffigurazione è femminile, in una volontaria intenzionalità di non rendere la donna protagonista, ma dedicandole un ritratto concettualmente sullo stesso piano del contesto, rendendo invece protagonista il significato dell’immagine stessa. I sentimenti profondi sono gli unici realmente capaci di donare forza all’immagine. L’idea emerge

da differenti suggestioni e attraversa tempi lunghi fino ad arrivare alla realizzazione dell’immagine vera e propria. Un ritmo pervade i cicli di immagini, le architetture ne scandiscono il ritmo, in una ripetitività quasi ossessiva, che corrisponde ad una ripetitività della figura che arriva ad essere tante se stesse all’interno dello stesso luogo in posture ed espressioni diverse, come se l’identità le fosse stata clonata. Lo sguardo è elemento pregnante, narratore delle emozioni che si avvicendano. Occhi profondi, sottolineati da linee scure, occhi che si guardano tra se creando un cerchio di sguardi, per sprofondare nello sguardo dello spettatore. Tutto è sottolineato con l’intento di essere alienante, ogni oggetto, ogni gesto è fondamentale per sottolineare lo stato d’animo espresso. Le sue figure femminili, tormentate, alienate, si trasformano nell’ultimo nella ricerca delle peccatrici. Donna a metà tra Eva e Biancaneve, per indagare la non santità, raffigurandola abbandonata ad un sonno eterno, dove il piano su cui è adagiata riflette il suo teschio, riflette il suo destino. In un gioco di alternanza tra vuoti e pieni che divengono contenitori per i sensi dell’anima, facendosi affascinare da una certa pittura espressionista per la progettualità mentale nascosta nella cura della rappresentazione della figura. Laura Francesca Di Trapani



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Davide Quayola ciclo: strata#1

PIXEL E AVANGUARDIA, QUAYOLA DETTA I NUOVI ORIZZONTI DELL’ARTE ESPERTO DI SOFTWARE VIDEO, RIELABORA L’IMMAGINARIO COLLETTIVO SFALDANDO I CONFINI DELLA GRAFICA. IL SUO RIGORE FORMALE SI MESCOLA ALLA VISIONARIETÀ NEI LAVORI DI “STRATA”, DOVE TRADIZIONE E HI-TECH CONVIVONO PACIFICAMENTE SVELANDO SORPRENDENTI RISVOLTI ONIRICI


Gli angeli affrescati sulla volta della chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma, le colonne dell’altare di Bernini a San Pietro, le facciate delle chiese storiche del centro capitolino. Chi è stato almeno una volta nella città eterna li riconosce subito nelle immagini presentate in “Strata”, installazione audiovisiva firmata da Quayola. Eppure guardando i lavori compresi in questa personale dall’artista, al secolo Davide Quagliola romano di nascita ma londinese di adozione, l’impressione è quella di non averli mai visti prima, di avere di fronte il nuovo. Perché Quayola ridisegna la loro identità rubandone il valore simbolico, riducendo a brandelli il rigore rinascimentale, ferendo i capricci

barocchi con infiltrazioni di colore e inserimenti geometrici. Senza spargere una sola goccia di sangue. A dispetto dell’esercito di artisti contemporanei allenati a profanare e massacrare l’arte sacra, Quayola infatti non dichiara guerra al passato, non gli interessa ridicolizzare i totem culturali di un occidente laico irrimediabilmente intessuto di elementi religiosi. Piuttosto il suo processo di dissoluzione grafica si risolve in un’elegante metamorfosi delle opere impresse nella memoria collettiva, accarezzando l’estasi onirica. Al ritmo dei suoni ipnotici messi a punto dal livornese Autobam, l’artista romano trasforma architetture familiari in luoghi dell’immaginazione, sfruttando il supporto informatico per co-


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Davide Quayola ciclo: rome #1

struire una piattaforma ideale dove si mescolano passato e presente, tradizione e tecnologia, geometrie pure e visioni poetiche. Quayola monta tutto con la precisione chirurgica dei maestri dell’arte cinetica e con grazia schiva il rischio di scivolare nel disordine e nelle sovrapposizioni azzardate: la sua è una contaminazione dinamica dei linguaggi espressivi che amplifica i confini sensoriali e guida verso nuovi orizzonti estetici. Per lui l’esperienza diventa un campionario di immagini da re-mixare secondo codici nuovi e la produzione artistica acquista il sapore dell’esplorazione. Così se l’arte è intesa come interpretazione del mondo, applicando alla

sua storia il lessico geologico come suggerisce il titolo della personale, la percezione mediata dai pixel va a costituire l’ultimo strato di questa lettura. Ed è proprio in questo strato che Quayola cerca i suoi stimoli, li trova, sperimenta e crea. Con uno spirito che non pone margini alle possibilità di espressione, una curiosità mai ossessiva, l’abilità e la forza di chi riesce a non perdersi nel delirio dell’avanguardia pur facendone indiscutibilmente parte. Natalia Distefano



22 pittura

LUNE EMOTIVE DECLINAZIONI DI COLORE DIVENTANO DECLINAZIONI DELLE EMOZIONI NELLE LUNE PLENE DI PAOLA ROMANO, UN’ARTE FATTA DI SENTIMENTI E PASSIONI. Emozioni declinate in ogni sfaccettatura trovano nel colore la giusta veste espressiva. Pittura, scultura, installazione, si fondono per originare il mondo artistico di Paola Romano, un universo fatto di gioia, passione, dolore, di sentimenti privati e di desiderio di imprigionare tutte queste sensazioni nei suoi lavori e affidarlo al futuro. Grandi lune ci affascinano e rapiscono. La materia pittorica è intrisa di una potente sensibilità in questi universi surreali, definiti ora da toni freddi come il viola e l’argento, ora da forti toni purpurei, che scandiscono una passionalità che in Paola diven-

Paola Romano Luna rossa III 2008 ph. Elisabetta Palmieri


Paola Romano Luna crom V 2008 ph. Elisabetta Palmieri


24 PITTURA

Paola Romano Luna crom IX 2008 ph. Elisabetta Palmieri Paola Romano Luna crom XXVII 2008 ph. Elisabetta Palmieri

ta simbolo di dolore, o in quei bianchi quasi argentei, all’interno dei quali la luce trova il suo specchio. Lavori pittorici e scultorei di grandi dimensioni al centro dei quali grandi lune si stagliano. Campiture cromatiche che diventano plastiche dove si leggono citazioni della corrente astrattista e informale. La materia trattata con grande sapienza, è espressione dell’immaginario dell’artista, di quegl’intimi pensieri che si dipanano mescolandosi col colore stesso. Il tema stesso del rappresentare la luna è simbolo dell’inconscio, è qualcosa di ancestrale. Le lune di Paola sono plene, come dei grembi che ti accolgono e si prendono cura di te. È una magia che nel silenzio della notte ti affascina, è un momento in cui il contatto con l’io diviene intimo. Queste lune toccano le corde più profonde, raccontano di sogni, di speranze, di quell’universo sommerso. La matericità del colore, resa ancora più plastica dalle screziature argento e oro, diviene forma comunicativa, dove l’apparente concettualità lascia il posto alla rappresentazione emozionale. Un’apparente semplicità compositiva, nella ripetitività di un unico soggetto, lascia il campo ad una profondità emotiva, libera da ogni elemento razionale, ma totalmente abbandonata ad una profondo istinto. Quest’alternanza leggerezza e pienezza è in Paola Romano tratto distintivo. Guardando le sue lune si ha la sensazione che si immerga nella materia che plasma, come se ci vivesse, in quell’attimo creativo, quasi al suo interno. È una materia affollata innanzitutto di colore, di sentire, di istinto, di storie, di suggestioni, e la luna in un morbido abbraccio, le accoglie donando loro un ordine. La sfera del linguaggio espressivo è affidata alla circolarità del soggetto e soprattutto al colore. Forza spirituale ed ispirazione nelle gamme di viola, colore per eccellenza dell’introspezione. Nel rosso porpora che fuoriuscendo prepotentemente dal supporto nero, cela il tutto, la passione che nei lavori di Paola coincide col dolore, gridando un urgenza di esprimersi. E ancora l’unione, la mescolanza di materiali e supporti, apre le porte verso un universo misterioso e intimo che soltanto la luna in questa ossessione rappresentativa è in grado di donarci.

Laura Francesca Di Trapani



26 PITTURA

FRANCESCA ROMANA PINZARI, OLTRE I “LIMITI” GLI STRATI DI PITTURA E COLLE VINILICHE NON COPRONO MA RIVELANO. L’OSSESSIONE PER I DETTAGLI NON RIDUCE IL CAMPO PERCETTIVO, LO AMPLIFICA. ARTE E VITA NELLE PIEGHE DEI PAPER BOUNDARIES

Osservi la tela, immobile, convinto che a catturarti sia un solo dettaglio, quello più evidente: una scarpa, due bacchette, un mento. E improvvisamente scopri gli strati sovrapposti, allo stesso tempo densi e impalpabili, della pittura di Francesca Romana Pinzari. Mentre si insinua il dubbio che sia la tela a guardare te, e quel dettaglio svanisce in un tutto che oltrepassa i limiti materiali dell’opera. Perché l’arte di questa pittrice è un ariete a due teste, è volontà di svelare e lasciarsi svelare: indaga, scompone e riaccorpa il suo oggetto lasciandolo attraversare dal mondo esterno, in cui si proietta e di cui è espressione, senza mai tradirlo. La riflessione e la pratica artistica di Pinzari riescono a conciliare la compostezza della tradizione pittorica, la sperimentazione linguistica e un uso lirico dei materiali. Il suo punto di partenza è il corpo umano come spunto anatomico, fisicità imprescindibile. Quello di arrivo, straordinariamente, è lo stesso corpo ma come rivelatore di una complessità che si compone anche di ciò che non si vede, di quello che resta fuori dalla tela e di quello che si nasconde tra le falde degli strati di giornale e colle viniliche su cui dipinge Pinzari. L’artista ferma un frammento, una parte per il tutto, e lo mette a fuoco senza accanimento accademico, dando inizio a un vortice di evocazioni e rimandi a dimensioni diverse. È il risultato di una lavoro di ricerca che impegna la pittrice sul piano dell’introspezione, della semantica dell’immagine, e che si riflette nella sperimentazione dei materiali e degli elementi dell’opera. I suoi Paper boundaries, infatti, sono sempre composti da più pannelli: una scelta inequivocabile per suggerire la necessità di moltiplicare i punti di vista, ampliare lo spazio percettivo, predisporre alla riflessione oltre l’immagine.


Francesca Romana Pinzari La Forza Che Mi Scorre Dentro tecnica mista 2008 Francesca Romana Pinzari Tutto Mi Scorre Dentro tecnica mista 2008

Un’immagine della realtà mai deformata ma lontana dal realismo più banale, fatta a pezzi e reinterpretata attraverso un assemblaggio nuovo, rivelatore. Mosaici dell’anima oltre che dell’arte, in cui ogni dettaglio ha un peso specifico. Anche la scelta di lavorare sulle pagine dei giornali internazionali è un segno dell’aspirazione a una pittura che non poggia su un unico codice, che non pone confini all’interpretazione, che globalizza pur restando aggrappata alle vicende del sin-

golo, alle piccole storie personali che si incastrano nel magma della memoria collettiva. E poiché nulla è più personale della coscienza, è a questa che Francesca Romana Pinzari vuole parlare. Ed è la coscienza che si sente osservata quando stai, immobile, davanti alla sua arte. Natalia Distefano


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Juan Carlos Ceci Animale domestico #18 olio su tela cm. 60 x 50 2007 courtesy Galleria Arte Boccanera Contemporanea, Trento

METAMORFOSI INTERIORI UNA PITTURA CORRISPONDENTE ALL’IO PROFONDO, DOVE LE FORME SI FONDONO FINO AD ESPLODERE IN UN MAGMA COLORISTICO. PAESAGGI E RAFFIGURAZIONI DI “ANIMALI DOMESTICI” MISCHIATI L’UNO NELL’ALTRO IN UN’EVOLUZIONE NATURALMENTE SENTITA. IL MONDO ARTISTICO DI JUAN CARLOS CECI, INTERESSANTE VOCE DEL PANORAMA CONTEMPORANEO ORIGINARIO DI ZARAGOZZA (SPAGNA), CHE OGGI VIVE E LAVORA NELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO.

NEI TUOI PRECEDENTI LAVORI LA TUA ATTENZIONE È STATA CONCENTRATA SULLA RAPPRESENTAZIONE DI ANIMALI DOMESTICI COME I CANI, ADESSO LA TUA ULTIMA PRODUZIONE PRESENTA RAFFIGURAZIONE DI PAESAGGI. DA COSA NASCE QUESTO PASSAGGIO E COSA HA DETERMINATO IN TE QUESTA EVOLUZIONE TEMATICA? La rappresentazione di “animali domestici”, rappresentati in severe pose tipo quelle quattro-cinquecentesche oppure come nei volumetti economici venduti in tutte le librerie, volevano essere una sorta di classificazione, orrenda tassonomia, bestiario domestico, in cui rappresentare i “capricci” dell’uomo. I cani, più di ogni altro essere vivente, portano nel loro fenotipo l’idea dell’uomo. Vi è in essi una co-

stante e forzata presenza umana (non solo affettiva). La rappresentazione dei paesaggi è avvenuta senza alcuna forzatura, in realtà il paesaggio già era presente tra le pieghe della pelle dei cani che dipingevo. Cosa ha determinato questa evoluzione tematica? Oltre a preoccupare Giorgia Lucchi, mi ha permesso di provare nuovi e più complessi “accordi” pittorici, di abbandonare la fotografia quale aiuto nella fase di progettazione del quadro, di riflettere sul disegno e di praticarlo direttamente con il colore sulla tela. DA DOVE TRAI IL TUO IMMAGINARIO? l’immaginario lo si elabora a partire dal reale, la finzione ha sempre bisogno della realtà per essere messa in atto. Nel mio caso, nel mio modo di rappresentare il paesag-



COSA DESCRIVONO I TUOI PAESAGGI? Faccio tutto il possibile perché i miei dipinti siano il meno possibile descrittivi. Li costruisco attraverso un processo di riconoscimento che si innesca a partire dalla prima traccia di colore lasciata sulla tela. E’ in questa fase che ogni aspetto emotivo, affettivo, percettivo dell’esperienza (e della conoscenza) concorre alla costruzione di un paesaggio che proprio perché privo di progettualità appare, come tu dicevi, onirico e sospeso. COSA SI CELA DIETRO LE ATMOSFERE RAREFATTE DI QUESTI LUOGHI SCONOSCIUTI? La volontà di indagare tramite la pittura il linguaggio della pittura. Ma anche spazi di rappresentazione della realtà. QUALI SONO, SE CI SONO, RIMANDI AD UN CERTO TIPO DI LETTERATURA NELLA TUA PITTURA? Quando dipingo evito (per quanto possibile) rimandi o citazioni letterarie. Eppure, è vero, alcuni scrittori hanno contribuito a definire il mio immaginario, penso a Tommaso Landolfi “Sciocco che credi !” rispose la fanciulla bruscamente, e ciò colorò la frase di un giallo arruffato “non è questa la mia vita”. “Gurù”, rispose l’altro con fervore e umiltà, senza più alcuna ferocia, provocando cortine, sfumi d’azzurro pallido che ininterrottamente scorrevano verso l’alto, come una cascata a rovescio o a Giorgio Manganelli se in questo universo usassero le beffe, potrebbero sembrare una caricatura lunare. Sono interessato ancor più che dalla trama di un romanzo al linguaggio usato e a quegli autori abili nel rendere con il linguaggio scritto, immagini visive. Forse anche per questo nei miei dipinti la narrazione è quasi del tutto assente.

gio, il reale è dato dalla possibilità di esperire un sentimento dello spazio. Si tratta di esperienza sensibile (ed affettiva) data dall’atto del passeggiare. Tengo comunque a sottolineare che tale esperienza (soprattutto l’aspetto visivo di tale esperienza) avviene con gli occhi pieni di immagini già viste. Quadri, disegni, stampe, affreschi, fotografie, film, documentari contribuiscono nel definirne il carattere esperienziale del camminare. Juan Carlos Ceci Montagna, albero e sfinge olio su tela cm. 60 x 50 cm 2007 courtesy Galleria Arte Boccanera Contemporanea, Trento

NEI TUOI PAESAGGI TRAPELA L’AURA DI UNA DIMENSIONE ONIRICA, SOSPESA. DOVE SONO COLLOCATI, IN QUALE DIMENSIONE? In quella bidimensionale di una tela o di una tavola preparata a gesso (appesa in una camera da letto)

A QUALE CELEBRE ARTISTA TI SENTI PIÙ VICINO? Ammiro Rothko, Bacon, Goya, Rembrandt, Patinir , Giorgine, Bellini, Lotto, Masaccio, Giotto…. RITIENI L’ARTE INDIVIDUALE O COLLETTIVA? A mio avviso l’arte deve considerarsi sempre individuale e al contempo collettiva in quanto ciascun individuo è inserito in un determinato contesto culturale e sociale. Inoltre l’arte poggia su solide basi condivise, quelle che a partire dai dipinti di Altamira ne definiscono il suo percorso. Quello che spero è che dopo tanto discutere sul tramonto delle ideologie l’arte sia capace di riconoscerle ed eluderle. Laura Francesca Di Trapani



32 PITTURA

FRANCESCO DE GRANDI UNA FORZA PRIMITIVA GUIDA LA DANZA DELLA NATURA IN UNA DIMENSIONE ATEMPORALE DELL’ESISTENZA NELLE TELE DI FRANCESCO DE GRANDI, VOCE CONTEMPORANEA DEL PANORAMA ARTISTICO ITALIANO.

Francesco De Grandi S.T. olio su tela cm. 35x50 2008 courtesy Antonio Colombo artecontemporanea Milano Francesco De Grandi olio su tela Macchia 09 cm. 180x250 2009 courtesy Galleria dell’Arco Palermo

Una manifestazione dello spirito emerge dai gesti, dal tratto, dal colore, dal soggetto in una doppia temporalità di notazione realistica e di momento di intenso lirismo. Pennellate ne definiscono il soggetto, a volte realisticamente, altre lasciandolo sospeso in una dimensione dal tratto informale. La pittura si muove raggiungendo la sua forma compiuta, guidando l’azione delle cose, entrando nei meandri di una vegetazione in cui le sue forme, gli alberi, le foglie, l’intero paesaggio sono rappresentazioni di emozioni, di un profondo sentire. La ricerca della forma e del colore oltrepassa il fatto meramente estetico per essere studio sulla coscienza e sulla visione che ognuno di noi ha del mondo. Ma l’osservare la realtà dentro i lavori di Francesco De Grandi diviene una situazione in cui quella realtà che tu vedi, percepisci, d’improvviso ha uno slittamento verso un’altra realtà, altrettanto vera quanto diversa. Una dimensione caotica, il cui input sono frammentate idee che in una len-



Francesco De Grandi S.T. olio su tela cm. 100x120 2008 courtesy Antonio Colombo artecontemporanea Milano Francesco De Grandi olio su tela Tabù cm. 60x90 2009 courtesy Antonio Colombo artecontemporanea Milano

ta stratificazione si mescolano fino a trovare, per mezzo di una pittura di getto, la propria espressione. Il doppio binario viene scandito dall’alternanza di porzioni pittoriche realiste per arrivare ad espressioni quasi a-segniche, dove la forma è significativa e non significante. Alcune definiscono, altre lasciano spazio ad una divagazione concettuale. Il tutto immerso in una struttura naturale che dal caos ritrova il suo ordine, in un senso di ordinata casualità. Un flusso di coscienza guida il pennello, intriso di quel verde che gioca con le sue svariate tonalità, in una commistione di idee, oggetti, frammenti di epoche diverse. Il fondere diverse cose è un arretrare il tempo delle cose stesse, in un meccanismo di forte contemporaneità. Una contemporaneità che è un tempo indefinito, in una realtà vera che slitta in qualcos’altro, è visione oggettiva delle cose e del tempo, e non della visione della realtà culturalmente condivisa. I paesaggi di De Grandi si muovono in una concezione spazio temporale in cui la realtà partecipata e quella paralle-

la dialogano, condividendone la fenomenologia, in un costante cambiamento di vedute in cui non esiste un solo fenomeno, dove la distinzione lineare delle cose svanisce per lasciare campo ad un unico flusso dove tutto può esistere. Il dipingere assume così forma meditativa, in una pittura che nel profondo sentire si avvicina all’astrattismo dei mandala, in un gesto meccanico legato alla meditazione, in un flusso introspettivo che tocca le corde più intime del sentire. Si percepisce un’ossessione pittorica per l’immagine, in quest’avvicendarsi, abbracciarsi di foglie, rampicanti, di natura, in una dimensione temporalmente non databile, in cui tutto può accadere e in cui il tempo tende a sciogliersi in parallelismi universali. È un riportare l’uomo alla natura, verso una dimensione ecologica dell’esistenza stessa, all’interno della quale elementi del passato vengono decostruiti per fondersi col presente, creando un flusso unico. Laura Francesca Di Trapani







40 pittura

PIERO MASCETTI, POETA SULLA TELA IL COLORE ESPLODE, INCONTRA IL CAOS E TROVA L’ARMONIA. NELLE SUE TELE LA METROPOLI DI UN VISIONARIO

Piero Mascetti Warrior olio su tela cm. 80 x 120 2009

Pratolungo è una borgata all’estrema periferia di Roma. Se ci arrivi di sera, spingendoti sulla Casilina, ti sembra di essere in un paese lontano, proteso com’è verso la zona dei Castelli. Qui, in un seminterrato con quattro finestrelle, c’è il regno di Piero Mascetti, artista autodidatta come può esserlo chi non ha frequentato accademie. I segreti della luce e dei colori li ha appresi nello studio del pittore Umberto Bottiglia. Un’infanzia dura. “Sono cresciuto in periferia”,

confida con orgoglio. Ma da questa periferia, Mascetti è riuscito a far emergere, pazientemente, la sua arte portandola verso il centro, verso il salotto buono della Capitale. Collettive dapprima, poi mostre personali che sono piaciute ai critici, fino alla partecipazione nel 2003 alla XIV Quadriennale d’arte. Le sue tele hanno la forza esplosiva di un mondo in ebollizione, cariche di colori, di rossi, di blu, di bianchi incan-


Piero Mascetti Il cacciatore di nuvole olio su tela cm. 150 x 120 2008

descenti, come se un tramonto fosse precipitato in una notte di stelle, o un’alba prolungasse i suoi incipienti bagliori contro un cielo di primavera. La città è presente, ma è quella di un visionario. L’ultimo percorso di Mascetti attraversa luoghi di non riconoscibilità. Anche se egli insiste nel definirsi un figurativo, si tratta qui di una figurazione che ha portato la figura fin quasi alla sua dissolvenza. Tele nelle quali si sente forte l’istinto. Quello stesso che lo tiene lontano dalle scene. “A volte – confessa - mi sento un isolato. Ma è una mia scelta, ho accettato l’isolamento perché non vedo vie d’uscita. Non sono un pittore di tendenza. Gli altri artisti, i giovani sopratutto, hanno più spazio perché accettano di seguire le mode. Io no, io difendo il mio modo di fare arte”. Con la tela, i colori. Come una volta. Uno che sa immergersi nella materia della sua arte, adattarla ai propri impulsi. In alcune delle sue opere appaiono dei piccoli quadrati dentro i quali vivono spezzoni di realtà. Non sono i finestrini di un treno, non sono i finestrini di un’auto. Sono le finestrelle del seminterrato dove l’artista lavora. Finestrelle basse e minuscole dalle quali la luce talvolta fatica a penetrare mentre, altre volte, ferisce gli occhi abituati alla penombra. “All’inizio mi davano fastidio. Pro-

iettavano la luce del sole nelle tele, deformando le immagini. Poi ho pensato che quella luce era qualcosa di concreto che offriva spunti imprevisti ai miei quadri. Così ho lasciato che entrassero a far parte dell’opera dentro la tela”. Il mondo pittorico di Mascetti passa anche attraverso questi oblò che si ritrovano, più o meno evidenziati, sulla tela. Così un seminterrato può contenere il mondo, se chi lo vive è un artista dagli occhi che indagano incessantemente la realtà. Occhi mobilissimi che catturano la luce e, invece di imprigionarla sulla tela, preferiscono spezzarla in sciabolate di colore o blandirla con soffici, morbidissime pennellate. Anche il colore vive così le complesse contraddizioni del vivere quotidiano. Eppure il suo indagare la realtà, pur facendo tesoro della tradizione, ha il passo ardito della continua sfida con se stesso. Il colore sembra esplodere, è un continuo, incessante ribollire, un continuo contorcersi, perdersi e ritrovarsi. Nulla è assodato, anche se il lavoro preparatorio è lungo e meticoloso. Nulla è definitivo sulla tela. Quadri pieni di sorprese, nella mutevolezza dell’ispirazione. G. D. S.


42 pittura

IL SACRO E IL CONTEMPORANEO LA PITTURA È COME UN FONDALE MARINO CHE HA BISOGNO DI ESSERE ESPLORATO NEL PROFONDO PER COMPRENDERE QUELLO CHE SPESSO LA SUPERFICIE NASCONDE. Tiziana Viola Massa

Tiziana Viola Massa Di sera tecnica mista su tela, carta e stucco 2009

Tiziana Viola Massa Passaggio dal Mar Rosso con personaggi del ‘900, Freud, Pasolini, i coniugi Curie (terza ciclo Opere Chiesa San Gabriele) 2009

LA TUA PITTURA RICHIAMA MOLTO L’ESPRESSIONISMO DI SCHIELE E KOKOSCHKA, CON I CHIAROSCURI MARCATI E I COLORI CALDI CHE ENFATIZZANO LA CARNALITÀ DELLE FORME. L’INCLUSIONE DI ELEMENTI POLIMATERICI (SPAGO E TESSUTO A CIRCOSCRIVERE I VOLTI, CARTA CHE ISPESSISCE I CONTORNI DEI CORPI) SUSCITA UNA SENSAZIONE DI IMPATTO, EMOTIVO E SPAZIALE. MA NELLE ESPRESSIONI E NEGLI ATTEGGIAMENTI DELLE FIGURE SI LEGGE LA STESSA SUBLIMAZIONE DELLA SENSUALITÀ DEI QUADRI DI KLIMT. Io sono molto minuta, all’apparenza fragile, quindi la rappresentazione possente del corpo, l’enfasi sulla sensualità sono il modo di esprimere la mia forza interiore, la mia corporeità e sensualità.

Tiziana Viola Massa Pensiero comune (ciclo Lux Fecunda) tecnica mista cm. 80x70 2007

HAI SCELTO LA SPECIALIZZAZIONE IN ARTE SACRA CONTEMPORANEA, E MOTIVO CENTRALE DELLA TUA RICERCA SEMBRA ESSERE L’IMMANENZA DELLO SPIRITO NEL CORPO. Ho sempre vissuto in maniera molto intima la fede, questo ha influenzato la mia pittura, anche quando mi sono dedicata a temi laici. Mi hanno sempre detto che i miei soggetti, che dipingo a partire dalla loro dimensione più carnale, risultano illuminati di una luce molto spirituale, il che ricon-

duce la mia opera ad una sfera sacrale. Spesso conferisco una forte materialità alla figura principale, che poi contorno di ombre acquerellate che rappresentano gli stati d’animo, oppure traccio profili doppi e dunque il volto del corpo e quello dell’anima. Nel ciclo Lux fecunda i doppi profili simboleggiano il connubio tra maschile e femminile.


Via XX Settembre, 43 - Palermo - tel. 091 329640


NEL 2008 PADRE SCORDATO TI COMMISSIONA 12 PANNELLI (IL CICLO ACQUA/FUOCO) PER L’ARREDO PERMANENTE DELLA PARROCCHIA DI SAN MICHELE ARCANGELO, COME HAI VISSUTO QUESTA ESPERIENZA? Lavorare dentro la chiesa mi ha coinvolto emotivamente e fisicamente. L’architetto Elisabetta Mirabella ha ideato un “climax” di pannelli che, percorrendo le navate fino all’altare, crescono di misura, dai tre ai cinque metri di altezza. In futuro realizzeremo il pannello per l’altare, l’Ultima cena. Padre Scordato e Don Francesco Romano, il parroco della Chiesa, hanno scelto, fra i temi del Vecchio e Nuovo Testamento, quelli legati al battesimo universale e alla comunione: momenti gioiosi, che segnano il divenire in positivo. Questo mi ha consentito di stemperare i cromatismi caldi della mia vena espressionista con la dolcezza delle forme. CHE SPAZIO HANNO NEL CONTESTO ATTUALE I TEMI DEL SACRO E I LINGUAGGI TRADIZIONALI, SECONDO TE? Credo che bisogna trovare l’equilibrio tra quello che la contemporaneità vuole e quello che in realtà sei. Chi come me si sente del tutto legato alla pittura troverà il modo di mantenere il suo spazio in un contesto che insegue la performance e il concetto, rinnovando la ricerca sui materiali e lavorando sui contenuti. Ho provato a raccontare in chiave contemporanea le narrazioni bibliche, il passaggio dal Mar Rosso, per esempio, degli esuli di oggi: prostitute, immigrati. Rappresento tutto quello che incide sull’animo, come l’ossessione che oggi la società impone per la perfezione del corpo, che io invece “storpio” con l’inclusione di elementi cartacei, stucchi, solchi, che sottolineano quei difetti che lo rendono unico. Forse questo inno al corpo reale è anche l’elemento più femminile della mia opera.

Tiziana Viola Massa La linea rossa del mio corpo (ciclo Segni incisi) tecnica mista su cartoncino bianco e perline rosse con nastro adesivo cm. 100x70 2008

IN CHE MODO PENSI SI POSSA COMPORRE LA DIVERSITÀ DI GENERE? Nella quotidianità c’è sempre questo conflitto tra uomo e donna. Siamo diversi, ma cerchiamo le stesse cose. Il conflitto si risolve a partire dagli elementi complementari: si può interpretare la sessualità come un rito che accomuna, fungendo da canale per la comprensione dell’altro a livello mentale.

Caterina Cipolla



46 PITTURA

Alessandro Cannistrà Comunione dei beni olio e fumo su tela cm. 150x200 2009

Alessandro Cannistrà Occhio per occhio olio e fumo su tela cm. 190x130 2009 Alessandro Cannistrà Individualitè olio e fumo su tela cm. 180x160 2009

ALESSANDRO CANNISTRÀ, IL PITTORE CHE “GIOCA” CON L’ARTE SI DIVERTE A SCEGLIERE I SUOI SOGGETTI NELL’UNIVERSO ANIMALE, NE RECUPERA I TRATTI UMANI, MESCOLA I PIANI SEMANTICI E ATTIVA UNA SPIRALE DI INATTESI RIMANDI PER DARE SENSO ALLO STUPORE

Il giudizio nasce veloce, cavalca le associazioni mentali e spesso termina nella deriva delle non verità. Si formano così certi equivoci accreditati che impigriscono il pensiero. Accade tra le persone, nell’arte e anche nelle parole. È il caso del “gioco”, termine cui viene associata, a torto, l’assenza di serietà e l’idea che “ludico” sia qualcosa di irrimediabilmente spensierato. Ma a uno spirito attento nulla appare più errato. I bambini ne sono la prova. Gli animali ne sono la prova. Le opere recenti di un’artista acuto e abile come Alessandro Cannistrà ne sono la prova. Con il ciclo di opere “Ludicantropia” il pittore romano colpisce gli stereotipi di una società antropocentrica, smonta e ricompone le sfumature della morale, riserva all’arte il compito di “giocare” con i significati, di essere il luogo eletto del sottile gusto ironico. Senza lasciare nulla al caso. Cannistrà prende spunto dall’universo animale, con precisione sceglie i suoi personaggi, li studia, ne recupera i tratti umani e li proietta in una dimensione che è onirica e familiare allo stesso tempo. Non sradica i soggetti dal loro ambiente naturale,


non li forza in atteggiamenti che non gli appartengono, non altera la loro identità. Il suo “gioco” non sta nell’affibbiare agli animali sembianze umane, l’artista non ci tiene a ridicolizzare né gli uni né gli altri. Per questo i suoi bonobi color magenta non indossano gli stivali, non fumano il sigaro e sono lontanissimi dall’iconografia favolistica e dalla tradizione del cinema d’animazione. Piuttosto Cannistrà cerca l’ironia nello svelare le congruenze tra i gesti incondizionati degli animali e quelli umani aggravati dalle sovrastrutture sociali. La cerca e la trova definitivamente esaurendo il senso di ogni opera con una pregiata abilità nella titolazione e un debole per il paradosso. Nella sua “Woodstock” sostituisce ai ragazzi invasati dal fuoco sacro del rock un branco di tartarughe, specie longeva dai ritmi lenti che nelle sembianza conserva i tratti dell’era preistorica. In “Occhio per occhio” uno dei suoi struzzi rosa è cieco, eppure l’impressione è che anche lui come gli altri ci stia guardando con aria inquisitoria. I pinguini per il pittore diventano graziose ballerine in “Grand plié” e il peso


Alessandro Cannistrà Woodstock olio e fumo su tela cm. 150x200 2009 Alessandro Cannistrà Quando la vita è reale!... olio e fumo su tela cm. 80x60 2009

di un elefante rappresenta quello dell’anima inquieta di un nostalgico pensatore in “Quando la vita è reale”. È questo il “gioco”: il saper mescolare piani semantici diversi, attivare una spirale di inattesi rimandi figurativi e mentali capace di dar senso allo stupore. Alessandro Cannistrà lo fa con affilata lucidità e indiscutibile maestria pittorica. Si abbandona alle tinte più audaci senza esserne vittima, avvolge i suoi protagonisti in nuvole di fumo sollevandoli dalla dimensione reale senza condannarli all’oblio. La sua tecnica coniuga la definizione dell’elemento figurativo con la capacità allusiva del gesto astratto, manipola stilemi e suggestioni facendo della tela un territorio di sperimentazione raffinata e “ludica”. Solo in questi termini l’arte di Cannistrà può essere definita un “gioco”, tanto sfacciato quanto stratificato. Il suo lavoro non concede spazio a certi equivoci, il suo “gioco” è tutt’altro che spensierato. Natalia Distefano



50 pittura

(RI)COSTRUIRE LA REALTÀ CHE LA VITA SIA UN ETERNO LAVORO AD AGO, UNA PARTITA A SCACCHI, UN SUSSEGUIRSI DI CERTEZZE ED INCERTEZZE, VORREI RICOSTRUIRE UNA REALTÀ CHE NONOSTANTE LE INSUFFICIENZE NON FINISCE DI AFFASCINARCI. Rosalba Fertitta


Anna Maria Fazio Tempesta Acrilico cm. 80x80 2008

LA POTENZA EVOCATIVA DELLE TELE DI ANNA MARIA FAZIO SCATURISCE DALLA COLLISIONE TRA DUE REALTÀ: L’OGGETTO NELLA SUA ACCEZIONE MATERIALE E IL VISSUTO EMOZIONALE SOGGETTIVO SUSCITATO DALL’OSSERVAZIONE DELLA NATURA. LA SUA È UN INTERPRETAZIONE INTIMISTICA E LIRICA DELLA PITTURA DI PAESAGGIO. UNA PITTURA CHE, IN QUALCHE CASO, PUÒ SEMBRARE A PRIMA VISTA ASTRATTA, MA CHE IN REALTÀ MODIFICA IL DATO REALE COLTO DAL PUNTO DI VISTA UNICO DELL’ARTISTA E STRAVOLTO NELLE SUE DIMENSIONI RISPETTO AL CONTESTO. UNA SORTA DI META REALTÀ IN CUI RIUSCIAMO AD ENTRARE PROPRIO GRAZIE ALLO SHOCK PERCETTIVO: PERTURBANDO LE STRUTTURE DI SENSO, L’ARTISTA COMUNICA A LIVELLO EMOTIVO LA SUA VISIONE SOGGETTIVA DELLA REALTÀ. Quando realizzo un paesaggio raccolgo un particolare, lo estrapolo e lo rendo macro, in modo da farlo sembrare rappresentazione di un ampia porzione di paesaggio. Voglio cogliere la presenza di ogni singola, piccola cosa e l’atmosfera del momento. Raccolgo tante informazioni che non si colgono subito e in questo modo creo una situazione, uno spazio emozionale. Uso le dimensioni e il colore come fosse un elemento rituale per fissare sulla tela una reazione emotiva. LE TUE OPERE SONO CONNOTATE DA CROMATISMI FORTI E CONTORNI MATERICI, IL CHE APPUNTO LE FA SEMBRARE A PRIMA VISTA ASTRATTE. PARLANO AL NOSTRO ISTINTO E APPAIONO MOLTO ISTINTUALI. In realtà io lavoro studiando molto sulla tecnica e soprattutto sul colore. La mia ricerca espressiva è volta anche alla sua dimensione materiale. Ho studiato le tecniche pittoriche antiche, come creare colori con le polveri e le terre, le reazioni chimiche che nel tempo modificano queste sostanze.

Anna Maria Fazio Orizzonti velati tecnica mista cm. 50X60 2008 Anna Maria Fazio Forma in evoluzione crescente tecnica mista cm. 80x70 2008

In questo senso lavoro come un architetto di paesaggio, creo un opera pensando a come potrebbe apparire fra molti anni. Spesso “rinforzo” i colori con polvere di marmo o altri materiali che si usano anche per il restauro proprio per enfatizzare l’effetto materico. Il segno piatto non rende la mia idea di profondità e di impatto. Lo spessore è lo strumento che mi consente di mostrare la forza del gesto pittorico. Per questo motivo lavoro spesso con l’incisione, una tecnica che ha una potenza straordinaria, lunga e difficile, il cui risultato non è immediato. Realizza l’idea che ho del segno come gesto inciso sul supporto e nel tempo. CHE RUOLO PUÒ SVOLGERE SECONDO TE IL LINGUAGGIO DELLA PITTURA NEL CONTESTO CONTEMPORANEO? Oggi il motore secondo me è il sogno, il sogno del futuro. Creare (io lo faccio anche a partire dallo studio dell’antico) qualcosa che ancora non c’è. Oggi si lavora tanto sui nuovi linguaggi. Mi interessano molto, in futuro potrei utilizzarli per esprimere i contenuti della mia poetica. I significati e le sensazioni, le emozioni soggettive che rendono sempre tanto e dicono sempre qualcosa di nuovo. Caterina Cipolla


52 architettura

...COMING SOON LUGLIO 2009 EXPA/STAZIONELAGO_EX CASELLO FERROVIARO SUL LAGO DI PIANA DEGLI ALBANESI_PALERMO_LAND ART_INSTALLAZIONI DI ARTE/PAESAGGIO_DESIGN_BAR/FOOD AREA_CONFORT AREA_RIVA LAGO_RESIDENZA D’ARTE

ph.: Susbi

EXPA va in provincia, in cerca di “pace”, in cerca di nuovi stimoli, e realizza l’ennesima scommessa imprenditoriale, dare vita ad un nuovo polo culturale lontano dalle dinamiche cittadine e pertanto puro, dinamico, pulsante senza prevaricazioni e ostacoli, un luogo dove poter sfogare creatività a 360 gradi. STAZIONELAGO è un centro di produzione di land art con residenze d’arte, ristorante e bar. Un ambizioso progetto di fruizione alternativa del lago di Piana degli Albanesi, località a 25 minuti da Palermo, ai più tristemente nota per la strage di Portella della Ginestra, ma oggi in piena rinascita culturale e sociale con una attiva ed intraprendente comunità siculo-albanese. Il progetto STAZIONELAGO oltre ad avere un alto grado di articolazione culturale e artistica, ha anche la precipua finalità di attivare nuovi flussi turistici e cittadini, non relegati al-

l’interno dei canonici afflussi stagionali, bensì capaci di attivare nuove prospettive di promozione e valorizzazione dei siti naturalistici di particolare interesse o di specifico valore, anche non convenzionali e poco noti, proprio per questo capaci di costituirsi come importante veicolo di nuovi stimoli di interesse collettivo. Il progetto STAZIONELAGO intende presentare nel modo più completo e ipertestuale possibile i risultati di esito creativo di luoghi naturali, simbolo dell’area mediterranea, reinterpretati dal linguaggio creativo delle arti, e trasformati in spazi creativi. Riteniamo l’arte la chiave universale per consentire una fruizione attenta degli spazi nel rispetto della natura che li ha generati, STAZIONELAGO vuole riconvertire brani di riva del lago, caratterizzato dalle splendide bellezze morfologiche e faunistiche e dalla rigogliosa flora, in motore creativo. A partire dalle stanze della stazione che saranno trasforma-


Cotto e Maioliche Siciliane

Cotto Meli C.da Pizzillo Collesano Palermo tel. 0921 420619 www.cotto-meli.it


te da importanti artisti internazionali in stanze d’autore dove provare l’emozione di soggiornare e dormire in un museo vivo senza barriere fra arte e fruizione, il progetto STAZIONELAGO prevede la produzione sul modello della Fiumara d’Arte di installazioni di land art lungo le rive del lago e sul suo specchio d’acqua creando dei veri e propri percorsi naturalistici/artistici. Gli artisti alloggeranno per un periodo di due settimane nella residenza d’arte della Stazione ed in tale periodo produrranno un’installazione che nel tempo formerà un parco di land art attorno al lago. Il primo artista contattato è DOMENICO PELLEGRINO, giovane talento siciliano con consolidata esperienza in installazioni urbane, che realizzerà sullo specchio del lago una suggestiva installazione luminosa con palloni aereostatici e filamenti luminosi ed in collaborazione con FERDINANDO

RENDA, artista originario di Piana degli Albanesi, un’opera in ferro e resina retro illuminata sulle pareti del casello stesso, a seguire è stato invitato l’artista VITO DRAGO, anche lui originario di Piana, ma operante a Londra, con all’attivo numerose prestigiose mostre internazionali. Ogni inaugurazione della nuova installazione verrà introdotta da prestigiosi happening artistici con musica live e videoproiezioni d’arte che richiameranno migliaia di visitatori da Palermo e non solo, grazie alla consolidata esperienza di comunicazione della galleria EXPA. L’obiettivo del progetto STAZIONELAGO è quello di offrire quindi un luogo anticonvenzionale dove poter godere delle bellezze naturalistiche del lago e della sua flora attraverso l’arte, un sito dove poter dormire, bere e mangiare ma sempre immerso nell’arte e nelle sue declinazioni. Tiziano Di Cara



56 COSTUME E SOCIETÀ

BLOODY EDITH, MODA E NOSTALGIA CONCETTA ASSENNATO E LAURA DISTEFANO RISPOLVERANO GLI ANNI CINQUANTA E INVENTANO LE NUOVE PIN UP, TRA VINTAGE E CREATIVITÀ

ph.: Daniela Pellegrini www.danielapellegrini.com

La magia dell’armadio della nonna, l’emozione di sentirsi dentro un passato cinematografico affollato di signorine dalla vita stretta e l’acconciatura vaporosa. Aprendo le ante di quell’armadio ogni ragazza, almeno una volta nella vita, si è lasciata inebriare dall’odore di canfora di un guardaroba rimasto chiuso a lungo, si è vestita dell’ormai rara eleganza fatta su misura delle vecchie sartorie e non ha saputo resistere al desiderio di ereditare quel corredo di minuscole borsette gioiello, camicette zuccherine e gonne al ginocchio. Questo incanto Concetta Assennato e Laura Distefano hanno scelto di viverlo ogni giorno e di proiettarlo nel proprio lavoro. Il duo di costumiste laureate all’Accade-

mia di Belle Arti di Roma ha passato gli ultimi anni a rovistare nei mercatini dei collezionisti, nei vecchi empori e nelle mercerie storiche di tutta Europa alla ricerca di cartamodelli originali degli anni ‘40 e ‘50, dei tessuti più pregiati e di curiosi dettagli vintage. Il risultato è Bloody Edith, una linea di abbigliamento femminile che recupera con originalità lo stile del periodo segnato indiscutibilmente dalla moda di Edith Head, la storica costumista della Paramount a cui è dedicato il marchio (www.myspace.com/bloodyedith). “Un vestito deve essere abbastanza stretto per mostrare che sei una donna e abbastanza lento per mostrare che sei una signora”. Lo suggerisce proprio la Head, vincitrice di 8 pre-


mi Oscar per film come “Sabrina” e “Un posto al sole”, nel libro “The dress doctor”. Bloody Edith ne ha fatto un imperativo mettendo a punto una collezione fatta di gonne a ruota, shorts da pin up, maglioncini bon ton e cappellini bomboniera. Ogni capo è disegnato e realizzato a mano dalle due stiliste incrociando il gusto per il passato al vantaggio di un capo nuovo. Nella loro sartoria romana nascono abiti dalle fantasie floreali che rubano i colori alle Hawaii, pantaloni a vita alta dal caratteristico risvolto che ricordano le dive del grande schermo, giacche avvitate e camicie animalier. Non si tratta però di una semplice riproduzione della moda Forties e Fifties, ma di una riedizione unica delle tendenze che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del costume. Lo sforzo portato a segno da Bloody Edith è quello di proiettarsi nel passato per creare un prodotto originale ma in perfetta sintonia con lo stile di chi sogna un donna sofisticata come Ingrid Bergman e seducente come l’indimenticabile Marilyn Monroe. Gli ingredienti di questo successo sono la passione e maestria con cui Assennato e Distefano mescolano i dettagli d’epoca (bottoni, fibbie e altre applicazioni) ai tessuti e filati più originali restituendo alla donna il piacere di un capo unico, liberandola dalle tendenze imposte da un mercato della moda afflitto dall’omologazione dei prodotti in serie. Grace Kelly, Bette Davis, Rita Hayworth, Doris Day, Audrey Hepburn. Sono le grandi attrici vestite al cinema da Edith Head ma sono anche i nomi con cui le stiliste chiamano le loro creazioni. “Ci ispiriamo alle icone di quegli anni, è impossibile non subirne il fascino – raccontano – ma non dimentichiamo mai di aprire le ante del vecchio armadio della nonna. Perché il nostro sogno è quello di poter vivere la magia di un tuffo nel passato non solo nelle occasioni speciali ma ogni giorno”. Quando incontri Laura e Concetta capisci subito quello che intendono: le signorine Bloody Edith hanno l’aria sbarazzina delle bellezze in bicicletta cantate dal Trio Lescano, civettuoli fiori tropicali incastonati nei morbidi boccoli, maliziose labbra color ciliegia ma la loro sottana non scopre mai il ginocchio. In bilico tra bon ton e glamour, così seducono il pubblico superando ogni vincolo anagrafico.

Natalia Distefano


58 scultura

DAVIDE ORLANDI DORMINO E LA LEGGEREZZA DEL MARMO LE SUE PAGINE IMMACOLATE ACCOLGONO E RESTITUISCONO I MOTI DELL’ANIMA. QUEL CHE RESTA SONO LE INFINITE POSSIBILITÀ DEL SENTIRE, UN TOTEM REMOTO DI UNA COSCIENZA ANCORATA ALLA MATERIA.

ph.: Rodolfo Fiorenza

Ci sono artisti che mirano al cuore, quelli che seducono la mente e chi ti afferra allo stomaco. Davide Orlandi Dormino non vuole, e in ogni caso non potrebbe, essere incastrato in nessuna di queste categorie. Perché la sua scultura va alla radice delle emozioni, delle idee e degli istinti, traghettando in una dimensione primordiale fatta di quel caos che non confonde ma piuttosto conforta. Le pagine marmoree che l’artista assembla in “Quel che resta”, la sua ultima installazione, si leggono come un ossimoro. Pesanti nella materia e leggere nell’immagine, immacolate alla vista ma ideali depositarie di pensieri, ricordi,

significati. L’istinto è quello di toccarle, afferarle, imbrattarle, renderle proprie. L’illusione, solo iniziale, è quella di trovarsi in un ambiente neutro. Ma il libero arbitrio emozionale a cui l’opera costringe l’osservatore apre le pieghe della coscienza senza possibilità di scelta. E l’illusione si dissolve, mentre si scatena il vortice di memorie e rimandi subliminali che si proiettano sul bianco dei fogli di Dormino, come in un’inestimabile caleidoscopio privato. La forza del lavoro dell’artista romano sta nel rapporto tra l’elemento, il gesto creativo e la sua aspirazione plastica. Dormino non teme l’incontro con la durezza del marmo, lo


Federico Paris Pezzangelo Stoffa cucita e resina su telaio di acciaio cm. 107 x 134 x 77 2006

forgia arrivando a una nuova radice simbolica, a una forma che pur conservando la solidità della materia si fa impalpabile per assecondare i moti dell’animo. Con vigore accartoccia le sue pagine, ma le increspature sono gentili. I suoi fogli sono adagiati a terra, ingannevolmente lievi, e rimandano all’idea di un vissuto pronto a essere spazzato via dal primo colpo di vento. Invece la pesantezza dell’elemento li tiene ancorati alla superficie per farne un ponte tra passato e futuro, realtà materiale ed emotiva, percezione e aspirazione. Intanto il tempo si deforma, si dilata e si assottiglia in una dimensione intima, scandito dal ritmo dei pensieri. Dormino non impone un percorso intorno alla sua scultura, non forza una chiave di lettura, piuttosto cerca di determinare un contatto tra opera e pubblico che sia viscerale. Cuore, mente, stomaco. Le sue pagine vergini sono pronte ad accogliere e restituire riflessi che a tratti assumono una consistenza onirica, senza però mai permettere la perdita completa del contatto con la realtà. Senza mai fermare il processo di ricerca e meditazione. Quel che resta sono le infinite possibilità del sentire, un totem remoto della coscienza presente. Natalia Distefano


60 benessere

HAMMAM IL BAGNO TURCO

CONTROINDICAZIONI: È SCONSIGLIATO L’USO DEL BAGNO TURCO A TUTTI COLORO CHE NON HANNO “TEMPO DA PERDERE”.

Notizie certe e documentate sul massaggio Thay risalgono a 2500 anni fa, intorno al 500 a.C., ed uno dei leggendari maestri e ideatori fu JAVAKA KUMAR BHACCA, medico privato del re Magadha e amico personale di BUDDHA. Il massaggio e la medicina ayurvedica elaborati dal medico del nord India vennero propagati in tutto l’Oriente grazie al pellegrinaggio dei monaci buddisti, e nel corso dei secoli questa nobile e antica arte assorbì le peculiari caratteristiche della cultura di ogni Paese. Fino a tempi abbastanza recenti il massaggio non era considerato un lavoro, ma era semplicemente l’applicazione di una “gentilezza amorevole”; era insegnato e praticato nei templi e la tradizione si mantenne oralmente, da maestro a discepolo,alcune informazioni sono state rinvenute su foglie di palma, ma la maggior parte degli scritti sono stati distrutti durante l’invasione birmana (1767) insieme alla vecchia capitale Ayutthaia, ed è ormai impossibile stabilire se e quanto alcuni concetti cinesi come l’Agopuntura o l’Agopressione, o altri aspetti della Medicina Tradizionale, abbiano potuto influenzare la teoria e la pratica del massaggio Thailandese che è infatti basato sulla pressione su punti d’energia ma anche su esercizi di stiramento ed allungamento dei muscoli (stretching) che richiamano chiaramente esercizi di Hata Yoga (Yoga fisico). Il massaggio Thay lavora sul corpo fisico, ma agisce sul corpo energetico in cui circola l’energia vitale: il “prana”, influenzando tutte le linee d’energia con lo scopo di ripristinare l’equilibrio a tutti i livelli, sono infatti i blocchi d’energia, dovuti per esempio a stress sia fisico che mentale, a provocare una diminuzione del flusso del “prana” e quindi uno stato di malattia. Anche nella medicina occidentale si fa sempre più strada la convinzione che lo stress abbassa le difese immunitarie: tutte le nostre frustrazioni quotidiane, le piccoli e grandi aggressioni che subiamo nel contatto con gli altri, il doversi forzare in schemi non rispondenti al nostro vero essere, le incomprensioni, i compromessi continui tra ciò che siamo e ciò che dobbiamo apparire, contraggono momento dopo momento il nostro corpo, ogni sentimento represso si annida e si nasconde in qualche parte dentro di noi sotto forma di tensione, di contrazione della muscolatura volontaria o involontaria, di iper o ipo-attività ghiandolare, che quando diventano importanti e percepibili generano malattie psicosomatiche.


IL BAGNO TURCO PERLE DONNE lunedì 14/21 mercoledì_venerdì 10/22 IL BAGNO TURCO PER GLI UOMINI martedì_giovedì 10/22 sabato 10/21 IL BAGNO TURCO PER I BAMBINI ENTRO I 14 ANNI_il primo MARTEDÌ del mese è il giorno dei bambini accompagnati dai papà_il primo MERCOLEDÌ del mese è il giorno delle bambine accompagnate dalle mamma i maschietti potranno entrare insieme a mamma fino all’età di 3 anni non occorre prenotazione INGRESSO PER I MASSAGGI tutti i giorni con prenotazione

ph. Davide Milazzo

HAMMAM – IL BAGNO TURCO propone le due varianti del massaggio Thay: IL MASSAGGIO THAY CON OLI E’ la variante del massaggio Thay tradizionale, praticato con un misto di tecniche dirette (proprie delle tecniche occidentali) e indirette ( proprie della tradizione e tecnica orientale). Le une mirano alla regolarizzazione della circolazione sanguigna e linfatica, alla decontrazione muscolare e al rilassamento; le altre, dette indirette, mediante lo scivolamento e l’attrito sui meridiani (in thailandese Sen) attraverso i pollici, comportano un riequilibrio energetico totale che comprende anche i benefici attivati con la tecnica diretta. IL MASSAGGIO THAY TRADIZIONALE Guardarlo praticare è uno spettacolo: il massaggiatore fa compiere al corpo del cliente una serie de evoluzioni armoniose e bellissime, disegna col suo corpo armonici archi, figure racchiuse, immagini slanciate; viene eseguito sopra un comodo futon e, senza l’uso di oli o creme, viene praticata una lenta e ritmica digitopressione sulle maggiori linee di scorrimento energetico (Sen) sulle quali sono situati i principali punti d’agopuntura. Segue uno stiramento dolce di tutta la muscolatura e della mobilizzazione delle giunture articolari con posizioni molto simili a quelle yoga. Le pressioni si alternano: alcune ampie e rilassanti, altre più circoscritte e profonde, servono sia per disperdere gli eccessi di energia o di tensione, sia per tonificare, sia per riarmonizzare. Le compressioni circolari hanno lo scopo di liberare il flusso circolatorio, favoriscono l’eliminazione di scorie presenti nelle arterie e stimolano fortemente l’energia. Le estensioni praticate su tutte le articolazioni eliminano delicatamente le rigidità, ammorbidiscono le articolazioni e ripristinano l’elasticità dei movimenti. Gli stiramenti (stretching) allentano le tensioni e i dolori articolari sciogliendo i blocchi che intralciano il flusso circolatorio del sangue. L’azione combinata di pressioni e allungamenti è in grado di conferire benefici terapeutici su numerosi disturbi e patologie: cervicali, emicranie, mal di schiena, dolori articolari e muscolari, contratture, insufficienza circolatoria, ristagno linfatico ed insonnia.

Secondo l’assioma che tutto ciò che giova al corpo benefica anche la psiche, il massaggio Thay può avere un grande effetto tranquilizzante, può indurre un senso di ottimismo incrementando il benessere in generale, aiuta a recuperare ed equilibrare il rapporto col proprio corpo, a rinforzare l’autostima ed a ritrovare l’armonia ridonando slancio vitale all’organismo affaticato.

di Rifa_rapuhi


62 creatività

VITERBO CAPITALE DELLA CREATIVITÀ CON CAFFEINA DAL 30 GIUGNO AL 17 LUGLIO LA MANIFESTAZIONE APRIRÀ LE PORTE DELLA CITTÀ ALLA LETTERATURA, ALLA MUSICA, ALLA FOTOGRAFIA E ALL’ARTE Di tutte le sostanze, droghe o spezie, che da secoli animano gli usi e i commerci degli uomini, la caffeina è senz’altro la più popolare. E’ l’unica sostanza stimolante che sia riuscita ad abbattere resistenza e pregiudizio, al punto da essere liberamente prodotta, venduta e consumata a ogni latitudine, senza vincoli o restrizioni alcune. E’ con questa filosofia che ogni anno, a Viterbo, nella splendida cornice del quartiere medievale di San Pellegrino, per le prime tre settimane di luglio, Caffeina cultura spaccia liberamente un eccitante potentissimo: un eccitante chiamato creatività. Cultura come intelligenza in libera uscita, quindi. Come osmosi frenetica di vite ed esperienze differenti. Caffeina è rifiuto di tutte le appartenenze. Di qualsiasi identità. Per accettare tutte le appartenenze, ogni identità possibile. E’ sfida intellettuale in un surfing culturale che permette di “prendere” ciò che ognuno vuole prendere. Libertà estrema.

Come la cultura deve essere. Alto, basso, destra, sinistra: tutto può coesistere nella ricerca di nuovi percorsi che nessuno ancora può pretendere di conoscere. Nessuna risposta, solo domande, nel quartiere medievale di Viterbo che per tre settimane viene trasformato in un labirinto mentale di percorsi alternativi ma non confliggenti. Un groviglio libertario che tutto unisce senza vincoli razionali. Che tutto libera senza davvero separare. Senza tradimenti, senza abbandoni. Senza bisogno di alcun figliol prodigo. Senza pentimenti. Caffeina dà cittadinanza attiva alle idee, qualsiasi idea. Senza confini, senza limiti, senza retorica. Un abbraccio momentaneo che costringe all’accettazione. All’amore, anche. Al riconoscimento. L’unica appartenenza è il rifiuto delle appartenenze. Che non è rifiuto delle idee, ma rifiuto dei vincoli ideologici, delle catene psicologiche. Rifiuto del dover essere per poter essere. Per voler essere.



64 poesia

CHIEDI ALLA POESIA, LE PAROLE “SCONOSCIUTE” DI GIACOMAZZI QUANDO SCRIVERE È UNA NECESSITÀ DELL’ANIMA

Morirà mai la poesia? È destinato a morire quel verso timido e audace che cerca di afferrare una nuvola, per poi subito perderla, e per poi subito ritrovarla, non al di fuori di sé, sul cielo ombroso d’autunno, ma sul territorio sconnesso, viscido e tortuoso (e tenero) della propria anima? Questo povero verso non morirà mai finché l’uomo avrà la sua anima. Il poeta cerca questo verso e, talvolta, lo trova. Giacomo Giacomazzi coltiva nei suoi versi un lirismo semplice, senza contorcimenti e senza l’ossessione dell’essenzialità che fu cruccio continuo degli ermetisti. Accarezza la parola, prova a corteggiarla per farla sua ma poi, esausto, finisce per avvolgerla dentro l’involucro aspro della sua giovinezza così piena di domande che non hanno risposte. Perché la vita, come la poesia, non fornisce risposte, ma soltanto domande. Assurde, dolorose, scostanti. Giacomazzi interroga e si interroga, e prova il dolore dell’assenza, del tempo che fugge, delle verità che si scontrano, lasciando l’uomo nella palude del disinganno. E alla fine raccoglie tutto nella sua antologia d’esordio: “Io, certe parole, non le conosco”, disponibile on line sul sito www.ilmiolibro.kataweb.it. COS’È PER TE LA POESIA? CHE SIGNIFICA FARE POESIA? Davvero difficile rispondere. Esistono due momenti. Quello da cui la poesia scaturisce, in cui mi devo fermare, sedere e riversare sulla carta ciò che letteralmente esplode in me. Accade quando vengo travolto da un flusso di pensieri, sensazioni, emozioni e percezioni di una violenza, di una intensità tali, che scrivere è una vera e propria necessità. In questo frangente le parole vengono fuori da sole, a ruota, una dietro l’altra. Io le registro solamente. Non le conosco, nel senso che non sono io che le scelgo. Sono loro che emergono prepotentemente per raccontare un evento di cui io che scrivo sono attore e allo stesso tempo osservatore. Questa, secondo me, è l’essenza della poesia. Poi c’è il lavoro a posteriori: si torna su quelle parole gettate sul fo-

glio, si limano, si interpretano, si capiscono. Il loro significato viene sempre dopo. È proprio come ha detto Marina Cvetaeva nella sua introduzione alla raccolta di poesie “Mia sorella la vita di Boris Pasternak”: «Concludo. Nella disperazione. Non ho detto nulla. Nulla di nulla, poiché dinanzi a me c’è la Vita, e certe parole io non le conosco». ECCO, “IO, CERTE PAROLE, NON LE CONOSCO” PARLIAMO DI QUESTA RACCOLTA. Si tratta di 77 poesie, scritte tra il 1998 e il 2008, accompagnate da 19 illustrazioni originali realizzate dalla napoletana Martina Troise. Naturalmente sono solo una parte delle poesie che ho scritto nell’arco di quei 10 anni, la scelta e l’elaborazione è stata scandita da alcuni eventi piuttosto significativi, come la mia permanenza a Parigi. La collaborazione con Martina Troise è nata da un incontro assolutamente casuale. Sul web mi sono imbattuto nei suoi disegni e le ho chiesto di illustrare le poesie che avrei letto durante un reading a Roma. Poi è venuto tutto il resto. QUALI SONO I TUOI PROSSIMI PROGETTI SULLA POESIA? Le poesie continuano a venire, io non le forzo, non le cerco: sono loro che trovano me, quando lo ritengono opportuno. Può sembrare un modo discontinuo di lavorare, certo. Ma prima bisogna considerare lo scrivere poesia come un lavoro, una professione. Per me non è così. C’è comunque una certa progettualità: ci sono delle idee di fondo su cui si concentrano i miei pensieri e delle situazioni privilegiate che coinvolgono le mie emozioni e il mio sentire. Sto pensando di realizzare una raccolta di poesie ispirate da quadri e da fotografie: quando vado a vedere una mostra mi viene naturale fermarmi davanti le opere esposte e scrivere le mie impressioni. Il prossimo lavoro potrebbe partire da questo. D.N.


ONESTÀ. Nessun terreno è mai stabile. La terra trema sotto i piedi, scivola via; si sgretola ogni convinzione, ogni certezza. Ciò che adesso appare tangibile, appena provi ad afferrarlo si disperde in ogni dove. Proprio come fumo. Per questo, adesso, vi invito semplicemente a non credere a nessuna delle mie parole: i sentimenti autentici, le sensazioni sincere, le impressioni immediate s’inseguono senza posa, fuggono rapide, giocose, frenetiche. La vita s’invola, ininterrottamente.

illustrazione di Martina Troise


66 libri

LA MIA FAMIGLIA…E ALTRE ANOMALIE “DOVESSIMO STARE A QUANTO PENSAVA FREUD DEL BACIO POTREMMO TUTTI RITENERCI DEI MANIACI SESSUALI…” INIZIA COSÌ LA NUOVA ESILARANTE RACCOLTA DI RACCONTI DI MAURO LI VIGNI, VE LO RACCONTIAMO IN QUESTA INTERVISTA SEMISERIA.

NEL TUO ULTIMO LIBRO, UNA RACCOLTA DI RACCONTI DAL TITOLO “LA MIA FAMIGLIA E ALTRE ANOMALIE” DAI VITA A SCENE TRAGICOMICHE DELLA QUOTIDIANITÀ, DOVE I PROTAGONISTI SONO TUOI FAMILIARI O AMICI. IL VEDERLI COSÌ È UNA CONSTATAZIONE REALE O È FRUTTO DELLA TUA IMMAGINAZIONE? Questa domanda sono in molti a farmela dopo che leggono i miei libri. Sarà forse per il modo di raccontarli, sarà per il fatto che sottolineo il lato tragicomico delle situazioni, sarà per l’assurdità di certe situazioni, sta di fatto che in molti credono siano il frutto della mia immaginazione. Ti assicuro però che è tutto vero e per alcuni protagonisti devo aggiungere “purtroppo”. Ci sono situazioni che prese così come sono accadute fanno ridere da sole, io mi sono limitato a costruire intorno a questi eventi che hanno riguardato me e i membri della mia famiglia, un vestito la cui stoffa è a base di humor.

Mauro Li Vigni Copertina del libro La mia famiglia... e altre anomalie Piero Vittorietti Edizioni

UNA FORTE COMPONENTE IRONICA ED AUTOIRONICA PERVADE L’INTERA LETTURA. È UN ELEMENTO ESSENZIALE PER SALVARSI DALLA BANALITÀ? Assolutamente sì. La banalità è un nemico da combattere ogni giorno. Un grande insegnamento in questo senso me lo ha dato la letteratura yiddish askenazita, quella delle storielle ebraiche per intenderci. Nel motto di spirito ebraico c’è una capacità di prendersi in giro unica dalla quale tutti dovremmo abbeverarci per imparare a prenderci meno sul serio nella vita di ogni giorno e per imparare anche ad accettare realtà, anche molto drammatiche, senza per questo minimizzar-

le. Pensa per esempio alla shoah, ci sono storielle anche su questo tema così doloroso. L’ironia, però, non combatte la banalità del quotidiano sminuendola ma semmai trasformandola in qualcosa di più utile, magari in uno spunto di riflessione su come siamo, su come viviamo. I TUOI PARENTI ED AMICI QUANTO TI HANNO ODIATO DOPO LA PUBBLICAZIONE DEI RACCONTI? Evito accuratamente di parlare con i miei parenti prima di vedere il libro pubblicato per schivare il condizionamento psicologico dovuto a minacce di ritorsioni fisiche per quello che ho scritto su di loro. Scherzo, ovviamente! Io penso, invece, che sia una occasione di crescita per tutti rivedersi nella memoria di un parente prossimo che racconta di te. Certamente per me è stato un esercizio piacevole per mettermi in collegamento con alcune parti della mia vita passata che il tempo ha sepolto sotto una coltre infinita di impegni di lavoro di cui mi piacerebbe fare a meno. COME MAI DA PSICOLOGO, CHE È LA TUA PROFESSIONE, A NARRATORE DELLE PICCOLE NEVROSI QUOTIDIANE E ATTEGGIAMENTI DELL’UOMO MEDIO? ESISTE UN FILE ROUGE TRA I DUE ASPETTI? Sono certo che un filo rosso che lega tutto quello che facciamo c’è sempre, si tratta solo di individuarlo. Nel mio caso la scrittura ha sempre fatto parte del mio lavoro e la narrazione è uno strumento fondamentale per il lavoro psicologico.


Noi psicologi ci nutriamo di storie e attraverso le storie qualche volta riusciamo a curare anche. Non ho mai visto nella scrittura un modo per evadere dalla mia routine lavorativa ma solo la sua naturale prosecuzione, un arricchimento. Scrivere mi aiuta a fare meglio il mio lavoro di psicologo, e occuparmi di psicologia mi sostiene nel mio desiderio di raccontare storie. Anche lo stile di scrittura che mi contraddistingue, fondato come dicevi sul registro ironico, è l’esito di un mio modo di lavorare con le persone soprattutto quando li incontro in gruppo. Se non ridi non puoi affrontare nessun argomento, nemmeno quello più serio. Ho paura degli ambienti di lavoro incapaci di sorridere.

ce molto. In realtà sono un tipo irrequieto che soffoca le sue nevrosi in modo elegante passando da un’occupazione a un’altra. Mi stanco presto di tutto e quindi non potrei sopportare l’idea di seguire i miei personaggi per centinaia di pagine. Forse quando sarò più vecchio, quando cioè avrò smesso di dare il cattivo esempio, riuscirò a scrivere un romanzo. In realtà uno l’ho scritto ma è ancora nel cassetto. Mi piace ricordarlo perché è un progetto al quale tengo tantissimo che però risente della mia irrequietezza attuale, infatti è scritto con un linguaggio molto minimale alla Agota Kristof, se posso dire. Spero di pubblicarlo un giorno.

RACCONTI EPISODI DOVE LE ANOMALIE E LE PICCOLE TRAGEDIE QUOTIDIANE DIVENTANO ESILARANTI. È UN MODO PER CONSOLARE I TUOI LETTORI RISPETTO ALLE VITE MEDIE? Come si dice, mal comune mezzo gaudio? Non saprei. Quando scrivo non penso a quanto possa essere di consolazione per gli altri quello che racconto. Mi tuffo dentro quella situazione e comincio a riviverla in ogni suo dettaglio sottolineando gli aspetti comici. Se poi questo, insieme al sorriso, può far stare meglio le persone che leggono, sono contento. Più che consolare i lettori cerco di offrire chiavi di lettura alternative della propria vita ma attraverso l’unica cosa che ho da offrire: la storia della mia vita. Ognuno, secondo me, dovrebbe impegnarsi nel lavoro difficile di ricucire tutte le persone che siamo stati nella nostra esistenza abbandonando l’idea, sostanzialmente sbagliata, che siamo sempre uguali a noi stessi nel tempo. Anche le storie che racconto potrei raccontarle decine di volte trovando in esse elementi nuovi. Ci sono persone che hanno vissuto vite molto più interessanti della mia ma che, per ragioni legate più che altro al senso di vergogna, non riescono a raccontare. In questo modo si rischia di trasformare le fantasie in fantasmi e questo mi sembra “aintigienico” sul piano mentale.

AFFERMI DI ESSERE UNO SCRITTORE CHE SOGNA LA FUGA. SE SI, DA COSA O DA CHI VORRESTI FUGGIRE? Sostanzialmente da me stesso. Se non fossi certo di saper tornare a casa mi abbandonerei volentieri sul ciglio di una strada. In fondo chi non sogna la fuga? La fuga presuppone l’idea del miglioramento, delle nuova possibilità, del cambiamento di rotta ma poi non facciamo altro che limitarci a sognarla perché il cambiamento richiede impegno. La fuga che mi è più dolce è quella che compio dentro me stesso, quando adagio i miei pensieri dentro l’ovatta di una sonata per pianoforte di Mozart, una qualsiasi, e lì mi ritrovo ancora intatto come se il mondo non mi avesse corrotto così tanto. Quando arriva l’ultima nota, però, il fragore della vita torna indietro con tutta la sua violenza e allora rido, sapendo che Mozart prima o poi torna. Il tuo scrivere sempre così autobiografico rappresenta per te una sorta di catarsi? Non ho mai inteso la scrittura come un esercizio terapeutico per me. Non scrivo un libro perché mi devo liberare di qualcosa. Quando mi voglio liberare di qualcosa che mi opprime vado a nuotare, dicono però che anche la masturbazione è un buon rimedio. La scrittura per me è una forma di espressione artistica, l’unica che per il momento mi gratifica di più. Mi piacerebbe scrivere qualcosa per il teatro dove si può pensare a più livelli, con la musica, il movimento, le luci. Mi sembra un’arte più completa rispetto alla scrittura destinata al libro. Da tempo penso di portare in scena il mio primo libro che sotto diversi aspetti si presta molto a essere raccontato ad alta voce.

PERCHÉ HAI SCELTO LA FORMA DEL RACCONTO PER AFFIDARE I TUOI PENSIERI? Perché non so scrivere un romanzo! Sembra una battuta ma quella del racconto lungo o del romanzo breve (non ho mai capito che cacchio di differenza fa) non è un genere che riesco a frequentare con successo. Mi dicono però che anche il racconto è una forma d’arte difficile da praticare e di questo sono contento perché a me la forma racconto mi si addi-

Laura Francesca Di Trapani


68 libri

IL PADRONE DI CASA “UN ANNO PUÒ ESSERE UGUALE A TANTI ALTRI O DIVERSO PER QUALITÀ. DURANTE QUESTO PERIODO, GLI EVENTI POSSONO SEMPLICEMENTE CAPITARE, OPPURE DIVENTARE OCCASIONE PER SCOPRIRNE IL SIGNIFICATO.” Alberto Samonà Lettere spedite ad un’amica lontana, lontana geograficamente come dato narrativo, ma anche lontana dal sé, dal protagonista. Un personaggio senza un’ufficiale identità, senza quella definizione sociale a cui oggi pare non si possa prescindere. Di lui non conosciamo il nome, sappiamo solo essere un’intellettuale, ma alla fine ne conosciamo la sua intima porzione, i suoi tormenti, la sua ricerca. In questo modo l’autore racconta e si racconta, certamente più di quanto una lettura rapida non possa far vedere. È una lunga confessione epistolare da sviscerare, su cui soffermare la propria attenzione tra quelle parole apparentemente scelte con semplicità. Gli episodi di vita del suo personaggio divengono metafore dell’esistenza umana, della sua stessa esistenza. Alberto pone al centro della sua composizione la critica verso l’uomo, verso quella mancanza insita di non andare all’essenza, di non guardarla. Parte da quel “sonno” in cui si è immersi, che non ti consente di oltrepassare degli alti muri e di raggiungere il fondamento. La sensazione di un “vuoto” attanaglia il protagonista, quel vuoto che lo spinge verso innumerevoli domande sul reale significato del senso del sé, dell’esistenza. Un percorso lungo un anno durante il

Aberto Samonà Copertina del libro Il padrone di casa Robin Edizioni

quale eventi dall’apparente semplicità divengono occasioni di riflessione alla ricerca del reale significato. Un romanzo epistolare decisamente introspettivo, nella cui lettura ognuno di noi può rispecchiarsi, e ricercare quelle risposte che non si posseggono. La conoscenza tradizionale dell’uomo è alla base di questo ultimo lavoro letterario di Alberto, conoscenza che gli consente di entrare in relazione con se stesso e tornare ad una dimensione universale. Le sue considerazioni sono frutto di anni di approfondimenti sull’uomo, sulla metafisica e sull’esoterismo. Questo romanzo segna l’apertura di alcune tematiche che potrebbero essere elitarie verso un linguaggio, quale quello del romanzo, maggiormente accessibile. È il percorso di un uomo scandito da lettere e dal tempo che scorre. In un tempo circolare, dove in un susseguirsi di istanti il dopo diviene prima. Ogni capitolo corrisponde ad un mese, in una struttura che scandisce e accompagna ritmicamente il percorso psichico del protagonista. Il suo raccontarsi oltre che al tempo, lo affida ad un’amica. Anna tace, ascoltando attentamente ogni sua singola parola. Il suo intervento è un silenzio, più forte di tante espressioni verbali, creando l’incipit narrativo, con un quesito posto all’amico su quale sia realmente il suo scopo. Si crea così un dualismo uomo donna, equilibrio insito in ogni essere umano, ed equilibrato anche nella contrapposizione racconto – silenzio. Lui percepisce di essere incatenato in “un’esistenza in balia di propositi immaginari” e quindi riconoscendo “necessario soffrire deliberatamente per rinunciare al pessimismo, al nervosismo, all’autocommiserazione e a tutte quelle sgradevoli ma abituali compagne che mi incatenano, impedendomi di raggiungere la libertà”. Un racconto di un tentativo di vivere la vita quotidiana oltrepassando le barriere della cultura, vivendo il sacro nella propria quotidianità e trovandone gli strumenti iniziando ad osservare con attenzione quello che ci circonda. Laura Francesca Di Trapani



70 DOVE TROVI KAFFÈ

Aeroporto

Bar

Club Tennis

FALCONE BORSELLINO c/o Box office Italy by Car N. Verde 800 846083 tel. 091 6519813/6393122

ANTICO CHIOSCO p.zza Mondello, 4 tel. 091 450667 CAFLISCH v.le Regina Margherita tel. 091 6840444 S. MICHELE via N. Morello, 67 tel. 091 306665

COUNTRY CLUB v.le dell’Olimpo, 12 tel. 091 454886 CT PALERMO v.le del Fante, 3 tel. 091 544517

Alberghi ANGALA HOTELS corso V. Emanuele, 327 tel. 091 336666 DELLE PALME via Roma, 398 tel. 091 6028111 EXCELSIOR PALACE via M. Ugo, 3 tel. 091 7909111 GRAND HOTEL WAGNER Via R. Wagner, 2 tel. 091 336572/335627 GRAND HOTEL FEDERICO II Via Principe Granatelli, 60 tel. 091 7495052 LA TORRE via Fossa di Gallo, 11 tel. 091 450222 MERCURE PALERMO CENTRO via M.Stabile,112 tel. 091 324911 PALACE viale P.pe di Scalea tel. 091 450001 PLAZA OPÉRA Via Nicolò Gallo, 2 tel. 091 3819026 POLITEAMA piazza Ruggero Settimo, 15 tel. 091 322777 SOLE c.so V. Emanuele, 291 tel. 091 6041111 VILLA ESPERIA Viale Margh. di Savoia 53 tel. 0916840717 VILLA IGIEA HILTON salita Belmonte, 43 tel. 091 6312111

Cartolibrerie ed Edicole BELLOTTI via C. A. Dalla Chiesa, 5d tel. 091 306724 CARTOLERIA DEL VIALE via Libertà, 15 tel. 091 321344 CENTRO FISCALE via N. Garzilli, 28 tel. 091 6114390 MERCURIO p.zza San Giovanni Bosco, 3 tel. 091 363196 PEDONE via XX Settembre, 46 tel. 091 322206

Cinema ARLECCHINO via I. Federico, 12 tel. 091 362660 AURORA Via T. Natale, 177 tel. 091 533 192 GAUDIUM via D. Almeyda, 32 tel. 091 341535 KING via Ausonia, 111 tel. 091 511103 METROPOLITAN v.le Strasburgo, 352 tel. 091 6887513 TIFFANY v.le Piemonte, 38 tel. 091 6258924

Club Nautici COSTA PONENTE via Fossa di Gallo tel. 091 453488 TELIMAR lungo mare Cristoforo Colombo, 4977 tel. 091 454419 CANOTTIERI ROGGERO DI LAURIA v.le Regina Elena, 1 tel. 091 450183

Librerie FELTRINELLI via Maqueda, 395/399 tel. 091 587785 FLACCOVIO p.zza V.E. Orlando, 15 tel. 091 584268 FLACCOVIO via R. Settimo, 37 tel. 091 324446 FLACCOVIO via Maqueda 172 tel. 091 585927 KURSAAL KALHESA via Foro Umberto I, 21 tel. 091 6167630 L’ALEPH Via V. Di Marco, 24 tel. 091 6257935 LIBRERIA DEL MARE via della Cala, 50 tel. 091 6116829 MODUSVIVENDI via Q. Sella, 79 tel. 091 323493

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Locali CAMBIO CAVALLI via Giuseppe Patania, 54 tel. 091 6622465 CANA via Alloro, 105 tel. 091 6101147 EXPA via Alloro, 97 tel. 091 6170319 GAGINI WINE JAZZ via Cassari, 35/37 tel. 091 321518 IL SICILIANO via dell’Orologio, 37 tel. 320 8444405 MI MANDA PICONE via A. Paternostro, 59 tel. 091 6160660 KURSAAL TONNARA Via Bordonaro,9 tel. 091 6372267 PARCO LETTERARIO G. TOMASI LAMPEDUSA vicolo della Neve all’Alloro tel. 091 6160796

Musei GALLERIA D'ARTE MODERNA SANT'ANNA Via S. Anna, 21 tel. 091 8431605 LOGGIATO DI SAN BARTOLOMEO Via Vittorio Emanuele 25 tel. 091 6123832 MUSEO IN. MARIONETTE piazzetta A. Pasqualino, 5 tel. 091 328060

ORTO BOTANICO via Lincoln, 2a N. Verde 800 903631 PALAZZO MIRTO via Lungarini, 9 tel. 091 6173467 PALAZZO ZIINO Ufficio Grandi Eventi via Dante, 53 tel. 091 7407361 SPASIMO Via Dello Spasimo, 35 tel. 091 6230809

Teatri TEATRO POLITEAMA Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana via Turati, 2 tel. 091 588001

A Roma GALLERIA 196 via dei Coronari, 194 tel. 06 6892472

A Londra ARANCINA 19 Pembridge Road Notting Hill London W11 3HG tel. +44 (0) 20 72217776 ARANCINA 19 Westbourne Grove Notting Hill London W2 4UA tel. +44 (0) 20 77929777

e presso tutti gli sponsor presenti in questo numero.




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