LeSiciliane / Casablanca 64

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Intervista a Lorenza Conte, bracciante agricola

Caporalato Femminile Lorenzo Paolo Di Chiara Il fenomeno del caporalato nella storia agricola del nostro paese è amaramente diffuso. La pratica di sfruttare manodopera, reclutata illegalmente sottopagandola, ha avuto una larga diffusione grazie anche al contributo della mafia. «Il caporalato soprattutto per le donne è una cappa di piombo che impedisce di pensare. Le donne, sfruttate, molestate, violentate in silenzio anche se adolescenti – ci spiega Lorenza Conte di Oria in provincia di Brindisi – muoiono prima ancora di morire». Lorenza è stata la prima donna a denunciare lo sfruttamento delle donne lavoratrici nei campi del brindisino, facendo emergere le piaghe oscure del caporalato e dello sfruttamento. La sua lotta come donna e come bracciante la realizza principalmente nel periodo in cui è consigliera comunale nelle fila del partito comunista, organizzando e denunciando con manifestazioni pubbliche, dibattiti, comizi. Per questa sua strenua lotta, ha pagato subendo ogni sorta di ostracismo da parte delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali. Inoltre, lettere anonime, minacce dalla criminalità (cinque spari mentre era in campagna) e qualche attentato. Nel 1994 la sua auto fu incendiata, d’altronde è risaputo che il caporalato è intrecciato con

la criminalità organizzata (in Puglia con la Sacra Corona Unita) ed ha infiltrazioni anche nelle istituzioni. Dal 2003 si è ritirata dalla vita politica, ma questo non la fa esimere dal lottare per pari opportunità e dignità lavorativa.

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Qui ci racconta della sua vita di lotta politica e lavorativa, successi e insuccessi. Come è iniziata e come si è evoluta la tua esperienza di bracciante agricola? «I miei genitori finita la scuola media a 14 anni, mi hanno obbligato a lavorare in campagna. Il mio desiderio però era quello di continuare gli studi e diventare una poliziotta. La divisa mi affascina ancora oggi. Mio fratello è diventato un vigile urbano. Le nostre tradizioni ci hanno inculcato che l’uomo doveva studiare per trovare poi un buon lavoro e mantenere la famiglia, le donne, invece si dovevano preoccupare della casa, del preparare il corredo e di accudire i bimbi. Le maestre dissero a mio padre che ero proprio brava, tentando così di convincerlo a farmi proseguire gli studi, ma purtroppo mio padre disse di no, anche perché avrebbe dovuto mandare a scuola pure le altre sorelle. Oltretutto la paga di un contadino è bassa. Mi ritrovai costretta ad andare a lavorare nei campi. Io e le mie sorelle ci sentivamo vittime di un’ingiustizia. Nei campi molte volte si arrivava coi pulmini, certe volte era il padrone nonché proprietario terriero a condurci sui


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