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I SUOI PILASTRI “LEGALI”: VANGELO E COSTITUZIONE

NELLA FEDE LA FORZA INDOMABILE

CHE LO FECE ESSERE ANTICAPITALISTA, ANTICOMUNISTA E ANTICLERICALE. AL SERVIZIO DEI POVERI, SCELSE DI FARE SCUOLA AI PIÙ PICCOLI, AGLI ESCLUSI DALLA SOCIETÀ, PER EDUCARLI A LIBERARSI DA SOLI E COSÌ

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DIVENTARE UOMINI ATTRAVERSO “IL DOMINIO DELLA PAROLA”. DAL SUO TESTAMENTO AI RAGAZZI: “HO VOLUTO PIÙ BENE A VOI CHE A DIO. MA HO SPERANZA CHE LUI NON STIA

ATTENTO A QUESTE SOTTIGLIEZZE E ABBIA SCRITTO TUTTO AL SUO CONTO”.

In occasione della ricorrenza dei 100 anni dalla nascita di don Lorenzo Milani, celebrata ieri a Vicchio, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sono stati pubblicati alcuni libri per rinnovarne il ricordo, tra cui “Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana - di Michele Gesualdi” e “Don Milani. Vita di un profeta disobbediente”- di Mario Lancisi, nei quali sono state evidenziate le sue qualità di prete e di pedagogista poste al servizio dei “poveri”, ossia di coloro che, essendo in condizioni di inferiorità culturale, erano oppressi, emarginati, umiliati, soggiogati da chi deteneva il dominio della “parola”. Non appena diventato maestro, appena ventiduenne, lessi il suo libro “Lettera a una professoressa” e in seguito “La pedagogia sociale di don Mi- lani”, che mi misero letteralmente in crisi, spingendomi a rimettere in discussione le acquisizioni fino ad allora apprese sulla metodologia e sulla didattica, in particolare della Lingua italiana. Leggendo, poi, “Esperienze pastorali”, censurato dall’autorità ecclesiastica del tempo (don Milani fu trasferito a Barbiana, su decisione del suo Vescovo, per isolarlo, perché “evangelicamente” scomodo e rivoluzionario) e “L’obbedienza non è più una virtù”, contro l’obbligo di uccidere in guerra, oltre al libro “Dalla parte degli ultimi” di Neera Fallaci, sorella meno nota della scrittrice Oriana, mi resi conto della sua inquieta ansia profetica, del soffio potente dello Spirito che, attraverso di lui, sconvolgeva modi stantii di praticare la fede, ponendo i credenti di fronte alle responsabilità esigenti richieste dalla Verità del Vangelo di Cristo, in ordine all’urgenza di prendere posizioni per la pace, per il disarmo e la giustizia sociale, a favore dei poveri.

Limitando il mio intervento al don Milani maestro, occorre sottolineare che a una scuola fatta su misura dei pochi, ai fenomeni di disimpegno, di superficialità della classe docente, egli rispose con un impegno e una disponibilità commoventi, con una assiduità nel suo lavoro seria e responsabile, con una ricerca continua ed instancabile del come fare scuola, per accrescere la misura umana delle persone singole e delle comunità. Affrontò, insomma, il problema della scuola, prima ancora che in termini didattico – metodologici, in termini politici. Come la Montessori e il Decroly, per non dire di altri, non aveva alcuna specializzazione in pedagogia, ma fece dell’educazione il suo campo di azione e di battaglia, dopo una sofferta conversione che lo portò a farsi prete. Non fu, però, un sacerdote di comodo, non scese a compromessi e, proprio nella sua fede, trovò la forza indomabile che lo fece essere anticapitalista, anticomunista e anticlericale Egli, prete, attuò una scuola profondamente laica e aconfessionale. Scelse, infatti, di fare scuola ai più piccoli, agli esclusi dalla società, per educarli a liberarsi da soli e così diventare uomini. Che importava se quei poveri appartenevano a famiglie di comunisti?

Egli era con loro, al loro servizio, non perché si sentiva comunista, ma perché nei poveri vedeva Cristo stesso. Ogni suo sforzo, perciò, era teso a dare ai piccoli, “a quelli che spesso la scuola boccia” e che, quindi, vengono a costituire quell’immensa schiera di persone ai margini della società, “il dominio della parola”, lo strumento, cioè, per entrare in comunicazione con gli altri; perché possedere la parola, significa alla fine avere la possibilità di aprirsi alla Rivelazione: attraverso quel dominio, infatti, l’uomo, per don Milani, diventa persona dotata di autocoscienza e conscia del proprio destino nella società ed entra in relazione con gli altri; così egli si può incontrare anche con Cristo, “Parola di Dio” fatta carne. Era convinto che quando avrebbe portato i suoi giovani a prendere coscienza di loro stessi e delle loro posizioni nel mondo, si sarebbero loro stessi, consapevoli di “essere delle povere creature ignare del futuro e di tutto” , rivolti là dove “si assolvono i peccati e si promette, anzi si assicura il perdono di Dio e la vita eterna”.

Era un prete scomodo, senz’altro un educatore scomodo se si pigliava la briga di “turbare la coscienza” di molti borghesi scossi dal suo modo apparentemente strano, inconsueto di comportarsi. Rifiutava ogni falsa concezione dell’umiltà e del rispetto degli altri, proprio del galateo borghese (anch’egli di origine borghese e coltissimo, proveniente da una famiglia di facoltosi intellettuali), che viene spesso eretto a legge morale. E voleva che a chi mirava in basso, non a chi era in basso, si rinfacciasse ogni giorno la sua pochezza, la sua miseria morale, la sua inutilità, la sua incoerenza. Occorreva, per don Milani, come hanno fatto i profeti prima e dopo Cristo, rendersi antipatici, noiosi, insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi alla luce.

In “Lettera a una professoressa, che è “il grido” della rivendicazione della sovranità come partecipazione agli elementi primari ed essenziali quali la parola e l’istruzione, si afferma che alla scuola si va per imparare e non per essere bocciati, emarginati, esclusi. E quando si impara c’è soddisfazione, c’è gioia, specie quando l’imparare diventa una scoperta, un fatto soggettivo. Allora, per imparare di più, piacerà al ragazzo starci di più. I ragazzi amano la scuola quando se ne dà loro molta, quando diventa la parte principale della loro vita, della loro giornata, quando ritrovano una possibilità di riuscita: una scuola, dunque, a tempo pieno, nella quale gli alunni possano trovare una risposta ai loro interessi; una scuola dove s’impara, non è fatica, non fa male; fatica é quella scuola in cui uno teme di essere bocciato o interrogato; una scuola dove ci si aiuta invece di competere, dove si legge il giornale e si discute, dove si imparano la critica filologica dei testi, l’uso degli audiovisivi e soprattutto la tecnica dell’arte dello scrivere; una scuola vista non come un luogo di selezione, ma come possibilità di alfabetizzazione, di possesso della lingua, è, per don Milani, la soluzione base del problema religioso, culturale, sociale, politico Efficacemente condensato il suo pensiero nella nota espressione: “La scuola non deve essere un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Due, dunque, i riferimenti che ispiravano il suo essere prete, maestro e cittadino: il Vangelo e la Costituzione. L’essere inseriti nella vita, il vivere quotidianamente a contatto con i ragazzi di estrazione socio – culturale svantaggiata e amare la politica, per don Milani, è tutt’uno. Molta gente crede che far politica voglia dire essere iscritti ad un partito; invece si sbaglia, perché politica si fa sempre, anche quando si fa scuola, quando si compie una scelta. Politica significa accorgersi che i problemi degli altri sono uguali ai tuoi e darsi da fare per risolverli insieme. In “Lettera a una professoressa” è scritto chiaramente: “Bisogna lottare per uscire da questo inferno: uscirne tutti insieme e per sempre uniti a quelli che soffrono è politica. Sortirne da soli è avarizia. La politica è l’unico mezzo per liberarci”. Le cose, perciò, bisogna vederle in modo realistico, per cui “ogni maestro deve essere un uomo politico, nel senso che deve saper analizzare, cogliere la realtà in cui vive per portare la vita nella scuola assieme al bambino.”

Il maestro, pertanto, non ha affatto un ruolo secondario Il suo valore consiste nella coscienza della propria dignità di uomo e di cittadino. Egli deve essere sempre disponibile per i suoi allievi e questa disponibilità sortirà un premio inaspettato: Dio stesso. “ Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro a poche decine di creature, troverai Dio come primo. E’ inutile che tu ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio”.

In una frase del suo testamento si vede tutto l’amore del prete di Barbiana per i poveri, ma anche la sua ortodossia alla fede cristiana, perché egli ha voluto bene alle stesse creature che Cristo ha amato: “ Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”.

CHIARA D’APONTE

SHHH! CANTA NAPOLI! NAPOLI CAMPIONE D’ITALIA!

Con la vittoria del tanto atteso, tanto sognato e tanto meritato scudetto la città di Napoli è letteralmente esplosa! Non vi è strada che non sia addobbata a festa da mesi, da quasi tutti i balconi e le finestre sventolano bandiere e striscioni, sono stati srotolati migliaia di metri di decorazioni in plastica bianca e azzurra che, ormai, ricoprono tutta la città. Per strada una persona su due indossa una maglia del Napoli, la quasi totalità dei turisti ne acquista almeno una. Anche il mondo dell’arte si è dato molto da fare. Nel quartiere Sanità, nel borgo dei Miracoli, Luciano Ranieri, giovane street artist ha realizzato uno splendido murales raffigurante Diego Armando Maradona. Perché, si sa, in campo c’erano sì Osimhen, Di Lorenzo, Kim e Kvara ma se il Napoli ha vinto lo scudetto sicuramente sotto sotto c’ “è stata la mano di Dios”! Per onorare una scommessa pre scudetto il comico Francesco Paolantoni si è girato tutto il lungomare con indosso soltanto una pentola! Ma anche il mondo della musica si è ingegnato. Il content creator Alex Garini, ad esempio, si è inventato, sulle note di “Ameno” di ERA, “Osimhen” che ha avuto un successo stratosferico. Milena Setola, poi, è stata ottima interprete di “NAPOLI CAMPIONE”. Scritta da Carlo Iacono e da Salvatore Esposito (rispettivamente

Raffaele Fumo

Direttore e Vicedirettore di Sportdelsud) e musicata dal maestro Erasmo Petringa la canzone potrebbe davvero diventare il nuovo inno del Napoli, sebbene sia davvero difficile dimenticarsi di Nino D’Angelo e della sua “Napoli”. I giorni passano, ormai il Campionato è praticamente terminato ma la febbre azzurra non accenna ad abbassarsi. Al contrario: è come se in città si fosse diffusa una strana malattia che ha prodotto un vero e proprio esercito di persone che provano un senso di gioia, orgoglio e rivalsa mai provati prima. Una moltitudine chiassosa ed allegra che ha come slogan “Scusate il ritardo…Ricomincio da tre”. Uno stuolo di appassionati di pallone che finalmente vengono premiati per tutti i patimenti, tutte le umiliazioni

(calcistiche, si intende) e tutti i bocconi amari mandati giù dall’infausto giorno del fallimento della squadra partenopea in poi. Descrivere a parole cosa si prova girando per la città è veramente difficile. Il vento dell’ottimismo non soffiava da parecchio su Napoli, alcuni sono passati a miglior vita senza aver mai avuto la possibilità di farsi accarezzare dolcemente da questo vento. In questi mesi sembra che tutto sia possibile, sembra che lo scudetto sia la base sulla quale si possa finalmente progettare e costruire un futuro migliore. E’ assai probabile che tutto questo non accadrà, del resto noi napoletani siamo un po’ umorali e basta poco per portarci dall’estrema esaltazione alla più totale disperazione. Ma, finché dura, godiamoci il momento!

BOMBA D’ACQUA A CASORIA: SOTTOPASSO ALLAGATO

Nei giorni precedenti a causa del maltempo, il sottopasso di via Concordia, in origine costruito per snellire il traffico della Strada Statale Sannitica si è inondato. un automobilista è rimasto impantanato, per fortuna ne è uscito incolume, non si sa con esattezza se costui ha percorso il sottopasso sottovalutando che l’acqua non costituisse pericolo oppure assumendo un comportamento negligente, in un senso e nell’altro c’è la segnaletica, la quale vieta il transito in caso di pioggia. In seguito, sono state rilasciate delle dichiarazioni in merito dal Sindaco Raffaele Bene e dell’assessore al riassetto del territorio la dott.ssa Tommasina d’Onofrio.

Raffaele Bene: “Ci sono stati allagamenti in tutta la provincia, in alcuni casi sono intervenuti i vigili del fuoco mentre in altri siamo intervenuti noi con lo spurgo”.

Tommasina d’Onofrio: “Purtroppo finché non partiremo con i lavori definitivi di sistemazione delle pompe la situazione sarà sempre la stessa, i lavori sono stati fatti male, qualora iniziassero finiremo entro l’estate, per far fronte alle piogge autunnali”. Le dichiarazioni del Sindaco lasciano a desiderare, è allucinante assistere ogni volta ad un’inondazione, mettendo a disagio i residenti; inoltre non è stato specificato il responsabile dei lavori fatti in precedenza (Comune di Casoria, Rete Ferroviaria Italiana). Dunque, fin quando non saranno fatti i lavori è preferibile evitare il sottopasso, per evitare spiacevoli inconvenienti.

ANGELO VOZZELLA

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