La banda dei gelsomini

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ZITA DAZZI

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Francesca Quatraro

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A Paolo, Anita, Olivia e Zeno.

La banda dei gelsomini di Zita Dazzi illustrazioni di Francesca Quatraro Š 2017 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Grafica di copertina PEPE nymi Illustrazione di copertina di Margherita Allegri Prima edizione Š 2008 Editrice Il Castoro Srl ISBN 978-88-6966-200-3


zita dazzi

LA BANDA DEI GELSOMINI ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA QUATRARO



1. PRESENTAZIONI

E

rano le cinque di un radioso pomeriggio di giugno, uno di quei pomeriggi che finiscono trop­po in fretta, bruciati dal sole di un’estate che arriva improvvisamente. Tutto era pronto per la nostra battaglia quotidiana. Si giocava, quel giorno, a pirati e vichinghi. Le navi dell’ammiraglio Nelson erano disposte a sud della baia. Le triremi del comandante Uaki appostate a dieci miglia dal capo di Spartivento. I pirati di Barbanera rintanati nella grotta del bue marino. La mandria dei tirannosauri nella foresta, pronta a farsi un boccone degli eventuali fuggiaschi. È così che passavamo ogni nostro pomeriggio. Il cortile della casa di via dei Gelsomini dove abitiamo da quando siamo nati, diventa, nei nostri giochi, una giungla selvaggia, l’oceano infinito, un campo di battaglia, una pista d’atterraggio, una landa sconfinata controllata da tribù indiane, un deserto solcato da ca1


rovane di beduini o lo spazio immenso dell’universo popolato da marziani e strani alieni. Alle cinque di pomeriggio – mi ricordo bene quel giorno perché dopo poco finiva la scuola – della nostra banda c’eravamo io e il mio amico Filippo, detto Pizza, nome scelto perché suo padre fa il pizzaiolo. Il mio, invece, fa il musicista. Sarà per questo che lo vedo poco. Lui suona in una grande orchestra, e dice che quando sarò grande mi porterà con lui in tournée in sudamerica. Io non so bene dove stia questo sudamerica, ma spero sia molto lontano e che una volta arrivati si possano vedere gli animali selvaggi. Io e il Pizza abbiamo tutti e due nove anni, ma lui abita al primo piano, mentre io sono all’ultimo. Lui sta in una casa grande, piena di mobili e con una televisione così. La nostra di casa, invece, è piccola e piena di libri e di spartiti musicali del babbo. Lui, il Pizza, è alto e magrissimo, mentre io sono normale. Anzi, tendente al robusto. Ci conosciamo da quando avevamo due anni, cioè da quando lui è venuto qui ad abitare con la sua famiglia, perché io in via dei Gelsomini già ci stavo da quando sono nato. Lui ha una sorella grande – Sofia, che ha quattordici anni e che a me piace molto, anche se non l’ho ancora detto a nessuno – ma lei con noi non gioca 2


mai perché sta sempre con le sue amiche a studiare. Per fortuna ci sono altre bambine del palazzo che di solito giocano con me e col Pizza. In particolare due sorelle, Anna e Maria, otto e nove anni, soprannominate Bikini e Becco di banana. La prima si chiama così perché si cambia il vestito almeno due volte al giorno e già a tre anni al mare portava il due pezzi. La seconda non sta mai zitta, e parla, parla, e parla come le oche. Però è più simpatica di un’oca. Questi che ho nominato finora per me sono come fratelli, visto che io in realtà sono figlio unico. I miei dicono che forse un giorno arriverà un fratellino, ma io penso che se non si sbrigano, quando arriverà questo fratellino io sarò troppo grande per giocare con lui. Il mio nome è Bruno, ed è da lì che viene il mio soprannome: Orso. All’inizio a me non piaceva, perché mi sembrava una presa in giro. Orso Bruno. Ma poi ho capito che era un modo di dire affettuoso. Ed è anche un nome che mi si addice, perché io sono forte, ma anche timido come un orso. E inoltre amo i dolci, in particolare le crostate. Non so se anche gli orsi amino le crostate, comunque io le adoro. In particolare quelle di albicocca. A noi della banda piacciono quasi tutti i giochi, in particolare calcio, calcetto, sputo, bigliardino, biglie 3


e soldatini. Ma se ci sono le femmine allora giochiamo anche a elastico, salto con la corda, pallamano, pistole ad acqua, bandiera, ce l’hai, carte, dama, nascondino e a chi corre più veloce. Più un’altra infinità di giochi inventati, tipo rincorrersi su per le scale, scivolare giù dalla ringhiera o a farsi trascinare con i pattini da un amico in bicicletta. Ma come al solito perdo il filo del discorso, che è un’altra delle mie caratteristiche, oltre al fatto che chiedo sempre «Perché?» Insomma, stavo raccontando di quel pomeriggio di giugno, quando cominciò la nostra grande avventura. Avevamo appena finito di sistemare nelle posizioni strategiche navi dei vichinghi e scialuppe dei pirati, ancore e remi, armi e munizioni, casse e golette, corde e vele. Col cartone avevamo costruito un’isola abitata da fantasmi di antichi capitani pieni di rancore e custodi di mappe di tesori mai scoperti. C’era con noi naturalmente anche Enzino, det­to Acciuga – perché è piccolo e smilzo come una sardina – che ha dieci anni e abita al secondo pia­no a destra. Anche Enzino, come il Pizza, ha un fratello grande che fa l’università in Francia e che quest’anno è tornato solo per il compleanno della bisnonna. 4


Suo padre fa l’avvocato e sua madre la maestra di liceo. E siccome Enzino si stufa a stare a casa da solo, sta sempre in cortile o a casa mia a giocare con me e il Pizza. Insomma, eravamo tutti insieme, nel preciso momento di dar fuoco alle polveri e di iniziare gli inseguimenti, quando apparve per la prima volta al nostro orizzonte il signor Buzzicone.

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2. VE LA FACCIO VEDERE IO

A

dire il vero noi, quel giorno, non sapevamo che il tizio si chiamava in un modo tanto ridicolo. Un nome appropriato al personaggio. Avanzava nel cortile con aria tronfia. Imponente, grasso, con i bottoni della camicia e della giacca scura che tiravano sulla pancia. I capelli grigi e ricci tirati tutti da un lato sulla testa lucida. Un bastone per appoggiarsi, le scarpe nere lucide come la valigetta che teneva stretta nella mano sinistra. Notammo subito che dai pantaloni leggermente corti spuntavano strani calzini che sem­bravano fatti di serpente, anzi di pelle di pitone. Buzzicone avanzava con aria marziale, col men­to proteso, dietro a Ugo il portinaio, un vecchietto magrolino e tendente al gobbo, il quale come al solito camminava strascicando i piedi, con quella sua aria imbesuita, come se non si fosse ancora ben svegliato dalla mattina. 6


«Ecco Ingegnere», sentimmo Ugo che diceva, «il magazzino è quello lì in fondo, lì dove sono appoggiate le bici dei bambini. È vuoto da tanti anni. Una volta c’era una stamperia. Per essere grande è grande, ma è un po’ buio. Non so lei cosa intendeva farci…». «Questo non la riguarda. Cosa devo farci lo so io. L’importante è far levare di mezzo quelle bici e tutti quei bambini», rispose secco quella specie di Buzzicone, che con la sua risposta scortese riuscì nell’incredibile impresa di riscuotere dal suo torpore abituale il nostro portinaio, familiarmente ribattezzato Ugo Dorminpiedi. Ugo strizzò gli occhi da dietro le lenti da miope, indietreggiò tre passi, probabilmente pensando: «Che caratterino, signore». E invece prendendo atto dell’ingiunzione, rispose: «Se lo dice lei, dottore…». Noi ascoltavamo in silenzio. D’altronde si sa, Ugo non è mai stato un cuor di leone. Per mettere in riga quel panzone, che appena arrivato voleva dettare legge, ci sarebbe voluta la moglie di Ugo, Vera, che più che una custode sembra un cane da guardia, genere mastino napoletano. Ottanta chili di tette e sedere, e due avambracci che ti staccano le orecchie 7


in un sol colpo se te le tirano. Ma purtroppo Vera quel pomeriggio doveva essere in giro con i suoi molteplici nipoti. Ma ancora sto perdendo il filo. Dunque quel tale, quel Buzzicone, veniva avanti come un caterpillar, facendo risuonare i passi sui ciotoli rotondi del cortile. Arrivò fino alle nostre bici e ringhiò: «Ragazzi, questa roba deve sparire». «Scusi?», feci io. «Hai capito bene, ragazzo. Portate via queste cianfrusaglie, perché questo magazzino lo compro io e ho bisogno di avere libero il passaggio. Non voglio intralci. Qui si dovrà lavorare. Via, sciò.» Noi restammo interdetti, ma fermi. E quello si rimise a tuonare con la sua voce da bulldozer: «Oehh, ma che siete sordi? Avete capito? Portate via le vostre chiappe da questo posto. Via tutta questa roba se non volete che ve la butti in pattumiera. Andatevene. Avrete bene delle case, no? Ecco, bravi. Andate a studiare, io alla vostra età…». Urlando queste parole, aveva cominciato col piede a rovesciare tutti nostri pirati, i vichinghi e i dinosauri che avevamo impiegato tanto tempo a sistemare. «Signore, scusi, guardi che sta calpestando i nostri 8


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giochi», si fece avanti Bikini, mentre Becco di banana cercava di fermarlo con le mani. «Via, sciò, mostriciattole. Andate a casa dalla mamma che è tardi.» «Brutto babbuino, chi ti credi di essere?», lo apostrofò allora Bikini che ha una lingua lunga come quella di una salamandra del Madagascar. «Senti scimmietta, tieni a bada le parole, se non vuoi che ti prenda per le orecchie e ti faccia volare dritta dritta fino a casa tua», le intimò quel panzone, «quando sarai grande capirai che nella vita non si può solo giocare». «E lei capirà che era meglio se restava lontano da questo cortile! Guardi che le sta saltando un bottone dalla giacca da quanto è tirata.» Bikini si stava decisamente mettendo nei guai. Becco di banana intanto, da dietro, aveva cominciato ad attaccare alla giacca di Buzzicone le sue mostruose caccole del naso, “verdoni” resistenti anche a diversi passaggi in lavatrice. Ma quel signore era troppo preso a rispondere alla mitragliata di parole di Bikini, per accorgersi di quello che stava avvenendo alle sue spalle. «Ragazzina, io credo che tu stia esagerando. Adesso prenderò uno per uno tutti i vostri pupazzetti e 10


ne farò un bel contributo per il bidone dei rifiuti in plastica da riciclare. E se non stai zitta, ficco anche a te nel sacco della spazzatura.Âť L’avevamo decisamente messo di cattivo umore.

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U

n portone incatenato dietro cui si sentono strani rumori. Un signor Buzzicone, arrogante e un po’ spaventoso. E una banda di ragazzini indomabili capeggiata da Pizza, Bruno, Becco e Bikini decisi a capire che cosa c’è sotto. Ce la faranno, e riusciranno in un’impresa grande come non avevano immaginato, con un finale davvero sorprendente.

NULLA È IMPOSSIBILE CON UN PO’ DI CORAGGIO E LA CERTEZZA DI FARE LA COSA GIUSTA! UN’AVVENTURA A SFONDO ECOLOGISTA. ZITA DAZZI, giornalista per «La Repubblica», segue principalmente la

cronaca e i temi sociali: molto apprezzati i suoi reportage, che le sono valsi diversi premi. La banda dei Gelsomini è il suo primo romanzo per ragazzi. Con Il Castoro ha pubblicato anche Bella e Gustavo (Premio Leggimi Forte 2015), Il mondo di Teo e un racconto della raccolta La prima volta che.

€ 8,90 ISBN 978-88-6966-200-3

www.castoro-on-line.it


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