Illustrazione di copertina di Alessandro Baronciani.
€ 8,90 ISBN 978-88-6966-445-8
www.castoro-on-line.it
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ZITA DAZZI
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zita dazzi è giornalista per «La Repubblica». Segue principalmente la cronaca e i temi sociali e i suoi reportage sono sempre molto apprezzati e le sono valsi diversi premi in ambito giornalistico. Con Il Castoro ha pubblicato La banda dei Gelsomini, Il mondo di Teo, un racconto della raccolta La prima volta che e La valigia di Adou (Finalista al Premio Sceglilibro 2018). Con Bella e Gustavo ha vinto il Premio Leggimi Forte 2015.
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Una storia appassionante e attuale sul valore dell’amicizia, dell’accoglienza e della solidarietà.
BELLA e GUSTAVO
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BELLA E GUSTAVO
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ino e Petra stanno vivendo al massimo la lunga estate che precede l’inizio delle superiori: gli amici, gli incontri al parco e in piscina, i programmi per le vacanze. Il resto del mondo sembra uno sfondo lontano. Finché la loro storia non si intreccia nel modo più imprevisto con la vita di qualcun altro: quella di un uomo, Gustavo, che vive fra le panchine e le baracche della grande città. Gustavo è incomprensibile, scontroso e taciturno, ma ha con sé un cucciolo adorabile, la piccola Bella, che Petra vorrebbe tanto per sé. Quando l’uomo all’improvviso scompare, Nino e Petra non si volteranno dall’altra parte.
ZITA DAZZI
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Editrice Il Castoro è socia di IBBY Italia
Leggere per crescere liberi
Bella e Gustavo di Zita Dazzi © 2019 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Grafica di copertina PEPE nymi Illustrazione di copertina di Alessandro Baronciani Tutte le citazioni di Marguerite Yourcenar presenti in questo libro sono tratte da Memorie di Adriano, traduzione di Lidia Storoni Mazzolani, Torino, Einaudi, 1988 Prima edizione © 2014 Editrice Il Castoro Srl ISBN: 978-88-6966-445-8
ZITA DAZZI
BELLA E GUSTAVO
Una parte di ogni vita umana, persino di quelle che non meritano attenzione, trascorre nella ricerca delle ragioni dell’esistenza, dei punti di partenza, delle origini. La mia incapacità di scoprirle mi fece inclinare a volte verso le interpretazioni magiche, mi indusse a ricercare nei deliri dell’occulto ciò che il senso comune non mi offriva. Quando tutti i calcoli astrusi si dimostrano falsi, quando persino i filosofi non hanno più nulla da dirci, è scusabile volgersi verso il cicaleggio fortuito degli uccelli, o verso il remoto contrappeso degli astri. Marguerite Yourcenar Da Le memorie di Adriano
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Una lama di luce si infila come una spada nella baracca e taglia in due la penombra con un colpo secco. «Bella, hai visto che sole? È davvero estate.» La zuppa ribolle nella lattina sopra il fornello da campo, il vecchio rimescola con un bastoncino raccolto là fuori, in mezzo al prato. La cagna scodinzola e abbassa le orecchie. Ansima, ha l’acquolina in bocca, si lecca i baffi. Ha fame e ha già capito che anche per lei ci sarà da mangiare, fra poco. La baracca si riempie di odore di carne e cipolla. La cagna si chiede che razza di roba abbia comprato il padrone, dove l’abbia rimediata. Comunque non dev’essere male, pensa, fiutando l’aria. Il vecchio le dà una carezza sulla schiena, il pelo giallastro è ruvido come carta vetrata. La prende per la coda e le fa fare un mezzo giro mandandola a finire sul giaciglio di stracci dove hanno passato la notte stringendosi l’uno all’altra per non sentire il freddo. «Ecco, è pronta.» Le sorride, una ragnatela di rughe sulla faccia, il segno del tempo passato sotto i ponti e in mezzo alla strada. «Ne vuoi?» 7
Domanda inutile, perché la cagna è abituata a dividere col vecchio ogni pranzo e ogni cena da quando si sono incontrati. Saranno tre mesi che si conoscono. Ricorda poco della sua vita precedente, la cagna. Solo la pancia rosata di sua madre e le mammelle gonfie di latte. Sa che c’erano altri fratelli con lei, quando è finita dentro a un sacco prima di essere buttata nel canale. Ma ha un’idea precisa di come ha fatto a salvarsi. Ricorda come fosse oggi le grandi mani rugose del vecchio che la raccolgono dalla riva e l’asciugano dentro un vecchio cappotto. Si gratta con la zampa dietro a un orecchio nel punto dove le sembra ci sia una pulce. Ripensa agli occhi del vecchio, che la guardano stupiti sotto le folte sopracciglia grigie. Da quel giorno sono inseparabili. Lui l’ha nutrita, spulciata, dissetata, riscaldata. L’ha fatta giocare tirandole il legnetto, avanti e indietro, all’infinito, perché lei è ancora cucciola, in fondo. E ha bisogno di correre, di stancarsi. Lui l’ha trattata come una figlia o una nipote, come se fosse una parente. Tutti gli umani hanno parenti da qualche parte nel mondo. Pure il vecchio dovrebbe averne, anche se vive così solo. La bestia l’ha ricambiato con l’amore incondizionato che i cani nutrono per i padroni, belli o brutti che siano, giovani o vecchi, sani o strani di mente. Un amore che non sta a guardare l’età, l’aspetto, la ricchezza, la grandezza della casa. A lei interessa quell’uomo lì, quell’anziano senza patria, anche se vive in una catapecchia che sta a malapena in piedi e ci entrano il vento e la pioggia di notte. Non lo perde di vista 8
un secondo, lo segue a distanza di un passo, riconosce l’odore acido dei suoi vestiti, lo spessore umido che hanno le suole delle sue scarpe, la sfumatura giallo grigia dei suoi capelli. E se il vecchio si ferma, si blocca anche la cagna. Se lui si siede, lei si accovaccia. Se lui dorme, lei si accuccia. Se lui parla, lei abbaia. Se qualcuno si avvicina, lei ringhia. Perché il vecchio è il suo padrone, la sua stella polare. E nessuno si deve intromettere. Nessuno deve fargli del male. È per questo che la cagna scatta in piedi appena sente qualcuno che cammina all’esterno della loro casa di legno e di plastica, un piccolo cubo sghimbescio fatto di materiale di recupero, nascosto dietro le siepi spelacchiate del parco lungo il canale artificiale che porta al fiume, lì dove la città sfuma nel grigio indistinto della periferia. Loro due si bastano. Soli nel mondo, unici abitanti di un piccolo microcosmo autosufficiente. Si accorgono appena del traffico incessante là fuori. A loro non interessa il benessere o malessere della città. Sono estranei a tutto, presenza quasi impercettibile nel brulichio monotono della periferia. La cagna sente le voci di due ragazzi. Si rizza, le orecchie dritte, la coda che taglia l’aria come una frusta. Il naso nero e umido ha un fremito leggero. Sono le voci di un giovane maschio e di una giovane femmina. Umani. Che cosa vogliono quegli intrusi? Non le piacciono gli estranei. Comincia ad abbaiare. Il vecchio si mette un dito sulla bocca e la guarda aggrottando la fronte. «Zitta.» Ma la cagna insiste, vuole difendere il suo padrone. 9
«Taci, bestia.» I ragazzi, là fuori, parlano, ridono, lanciano una palla. La cagna stringe gli occhi a fessura e guarda attraverso un buco nella porta chiusa della baracca. Vede un paio di scarpe da ginnastica rosse, le gambe lunghe e magre di lei, la gonna a piccoli fiori, una maglietta a righe che le lascia scoperte braccia sottili coperte di efelidi, lunghi capelli biondi e sottili che volano nell’aria inseguiti da un refolo di vento. Anche il ragazzo è ossuto e spigoloso, grandi spalle molto magre, su cui è appesa come a una gruccia una maglietta grigia scolorita. I pantaloni scuri tagliati al ginocchio, due polpacci muscolosi coperti di peluria, le scarpe da ginnastica grosse consumate sui campi da calcio. La cagna li osserva giocare dallo spiraglio dell’uscio. Segue con la testa il ping pong della palla. «Passa!», urla il ragazzo. «Prendimi...», replica lei. «E dai, Petra...» La risata argentina della ragazza si sovrappone alla erre moscia di lui che la fissa attraverso le lenti ovali degli occhialetti sul naso. Si parlano e gesticolano, si girano attorno. C’è odore di prosciutto che esce dallo zaino che il ragazzo ha depositato ai piedi della quercia vicina alla baracca. Di toast al prosciutto, per l’esattezza. Ma la cagna non si lascerebbe comprare nemmeno per una bistecca. E continua ad abbaiare.
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«Petra, io non ti capisco. Adesso spiegami perché sei voluta andare via dalla piscina. Con ’sto caldo. Si muore, qui. No?» «Oh, senti. Volevo andare via, perché mi ero stufata di stare in mezzo a quella bolgia. Si schiattava anche lì e mi friggevano le orecchie dagli urli.» In realtà lei voleva solo andare in un posto tranquillo con lui, ma non è il caso di dirlo, ora che sono insieme, da soli, al fresco. Vuole guardarlo da vicino, cercare di capire che strano tipo di ragazzo sia, con quei modi timidi, l’aria introversa. Gli occhi neri, le labbra sottilissime, quasi invisibili, il ciuffo liscio dei capelli corvini e quell’andatura ciondolante da don Chisciotte. Non è frequente che le interessi qualcuno, soprattutto al primo impatto. Ma questo qui – pensa – questo qui, ha qualcosa di diverso dagli altri. Non dev’essere un tipo facile. È cortese, ma è chiaro che ha un carattere strano, imprevedibile, a volte persino un po’ scostante. E questo lo si capisce al primo sguardo. Gentile, affabile, ma di poche parole, e quelle poche, secche come fucilate. Non è nemmeno su Facebook, unico della compagnia. Proprio per questo le piace. Non c’entra niente con la massa degli altri. 11
La cagna abbaia più forte quando passano davanti alla sua casa. Li vede che vagano senza meta e sicuramente, pensa, verranno a disturbare nel momento più importante della giornata. Il pranzo. «Nino, hai sentito? Deve esserci un cane, in quella baracca.» «Ma va? Sei arguta, sai?», le risponde senza riuscire a staccare gli occhi dal rosa cremisi della sua bocca. «E a giudicare da come ringhia non dev’essere dell’umore migliore. Io tornerei in piscina.» Ma mentre lo dice, si dà del cretino. Perché ora che è lì da solo con lei, quello che aspettava da giorni, è come se avesse improvvisamente paura? È una sensazione che non sa spiegarsi. Lei gli mette un’agitazione addosso che non riesce a interpretare. Una cosa così non gli succede spesso. Con Petra si conoscono da poco e subito c’è stata una specie di cortocircuito. Va in tilt ogni volta che incrocia quegli occhi grandi e scuri. Mai visti occhi così pieni di umanità. Vorrebbe dirle delle cose, ma non gli escono le parole. Vede che lei lo guarda, lo studia e forse lo giudica. In bene o in male, questo Nino non è in grado di capirlo. E quindi non sa che fare. Tanto meno che cosa pensare. «Ma ti stufi proprio a stare qui con me?», provoca lei. Nino sbuffa. «No, che non mi scoccio. Ti pare?» «Mi pare cosa?» «Mi fa piacere vederti, stare con te, ovvio. Ma...» «Ma...?» «Niente, ecco», arrossisce leggermente. «Niente. È che mi domando che cosa stiamo facendo.» 12
«Non stiamo facendo niente di speciale», ride Petra e devia il discorso. «Però magari... Magari c’è un cane che ha bisogno di noi. Non senti come chiama?» La cagna vede da lontano lo sguardo perplesso di lui. È soddisfatta. Pensa di aver raggiunto il risultato. Il ragazzo ha paura e la ragazza non farà un passo da sola. I due rompiscatole se ne andranno e la lasceranno mangiare in pace. «Voglio vedere che cane è. Metti che sia abbandonato», insiste Petra. «Ma quale abbandonato? Quella è una bestia rognosa, io mi porto a distanza di sicurezza.» «Allora ci vado io a vedere, se tu hai così paura. Certo che non ti facevo così fifone. E poi, paura di cosa?» «Ma no, non è paura», mente Nino. «Comunque, cavoli tuoi, io non voglio beccarmi un morso. Magari ha anche la rabbia.» Ma Petra non è certo il tipo che si fa dissuadere. Si avvicina a quella strana costruzione fatta di assi inchiodate e vecchie porte incastrate, un tetto di cellophane e un cartello che parla chiaro: vietato entrare. «C’è qualcuno?» La voce della ragazza viene subito coperta da un abbaiare più nervoso. La cagna ce la sta mettendo tutta per fare la voce feroce, consapevole che se vedessero le sue minuscole dimensioni i due difficilmente sarebbero impressionati. «Petra, togliti di lì. Non senti come ringhia?», dice lui tirandola per una mano con quelle dita da pianista. «Mollami, voglio vedere com’è, questo cane», ride lei con quegli occhi esagerati, scoprendo una collana di denti bian13
chissimi in mezzo a labbra così carnose che sembrano dipinte con il pennello. «Avrà paura, lo sai, quando gli animali fanno così è perché sono spaventati.» «Sentila, l’animalista», ironizza il ragazzo, che intanto si è portato a distanza di sicurezza, continuando a seguire tutta la scena senza perdere di vista le gambe magre e abbronzate che sbucano dalla gonna fiorata di Petra. «Guarda, è un cucciolo!», urla lei, sbirciando da un buco fra le assi e vedendo la mora lucida del naso della cagna che si arriccia sopra una ghiera di piccoli denti puntuti. Niente da fare, nemmeno digrignando i canini come una iena la cucciola riesce a spaventare quell’impicciona che insiste a ficcare il naso negli affari altrui. «Nino, corri. Vieni ad aiutarmi», insiste Petra facendo grandi gesti con le sue braccia da cavalletta. «È chiusa dentro. Non riesco ad aprire.» «Non ho nessuna intenzione di venire lì», arretra lui incassando il collo fra le spalle sottili, da equilibrista. «Se è chiuso, vuol dire che deve restare chiuso. Vuoi che arrivi il proprietario del cane a darti una manica di botte perché ti immischi nei cacchi suoi? Io torno in piscina. Ho caldo, voglio fare il bagno.» La ragazza infila un bastoncino nella fessura fra le assi, ma la cagna da dietro lo afferra e lo strappa. «Siamo arrabbiate, eh?», le dice come se già sapesse che la bestia capisce benissimo il linguaggio degli umani. «Ma come ti chiami? Dov’è il tuo padrone?» La cagna è ben contenta che quella ficcanaso non abbia visto il vecchio che, dietro di lei, continua a cuocere la 14
zuppa nella penombra della capanna, ignorando la presenza degli intrusi. «Va bene, adesso ti lascio in pace. Ma domani torno a trovarti, d’accordo? Ciao, piccolo. O piccola? Sei una femmina? Ma chi lo sa», ride allontanandosi. «Nino, dai, aspettami, arrivo! Hai dimenticato la palla!»
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Illustrazione di copertina di Alessandro Baronciani.
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zita dazzi è giornalista per «La Repubblica». Segue principalmente la cronaca e i temi sociali e i suoi reportage sono sempre molto apprezzati e le sono valsi diversi premi in ambito giornalistico. Con Il Castoro ha pubblicato La banda dei Gelsomini, Il mondo di Teo, un racconto della raccolta La prima volta che e La valigia di Adou (Finalista al Premio Sceglilibro 2018). Con Bella e Gustavo ha vinto il Premio Leggimi Forte 2015.
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Una storia appassionante e attuale sul valore dell’amicizia, dell’accoglienza e della solidarietà.
BELLA e GUSTAVO
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BELLA E GUSTAVO
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ino e Petra stanno vivendo al massimo la lunga estate che precede l’inizio delle superiori: gli amici, gli incontri al parco e in piscina, i programmi per le vacanze. Il resto del mondo sembra uno sfondo lontano. Finché la loro storia non si intreccia nel modo più imprevisto con la vita di qualcun altro: quella di un uomo, Gustavo, che vive fra le panchine e le baracche della grande città. Gustavo è incomprensibile, scontroso e taciturno, ma ha con sé un cucciolo adorabile, la piccola Bella, che Petra vorrebbe tanto per sé. Quando l’uomo all’improvviso scompare, Nino e Petra non si volteranno dall’altra parte.
ZITA DAZZI
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