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LOIS LOWRY
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Per le mie ragazze tedesche, Nadine e Annika.
La famiglia Sappington di Lois Lowry Traduzione di Pico Floridi © 2017 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Grafica di copertina PEPE nymi Prima edizione © 2011 Editrice Il Castoro Srl Titolo originale: The Willoughbys Pubblicato per la prima volta da Walter Lorraine Books, una divisione di Houghton Mifflin Company, New York © 2008 Lois Lowry ISBN 978-88-6966-186-0
LOIS LOWRY
LA FAMIGLIA
SAPPINGTON TRADUZIONE DI PICO FLORIDI
1. LA FAMIGLIA D’ALTRI TEMPI E L’INFERNALE BEBÈ
era una volta una famiglia che si chiamava Sappington: ’ C era una famiglia d’altri tempi, con quattro bambini.
Il maggiore era un maschio che si chiamava Timoteo; aveva dodici anni. Poi c’erano Bernabò e Bernabò, due gemelli di dieci anni. Nessuno riusciva a distinguerli e per giunta avevano lo stesso nome; quindi venivano chiamati Bernabò A e Bernabò B. Quasi tutti, inclusi i loro genitori, li chiamavano solo A e B per fare più in fretta, e quasi nessuno sapeva che essi avessero anche un nome. C’era pure una femmina, un esserino timido e grazioso, con gli occhiali e la frangetta. Era la più piccola, aveva solo sei anni e mezzo e si chiamava Jane. 1
Vivevano in una casa alta e stretta, in una città normale e facevano tutte le cose che fanno i ragazzi nelle storie. Andavano a scuola e al mare. Avevano feste di compleanno. A volte venivano portati al circo o allo zoo, anche se a loro piacevano solo gli elefanti. Il padre era un uomo impaziente e irascibile, che andava tutti i giorni a lavorare in banca portando con sé una cartella e un ombrello, anche quando non pioveva. La madre, che era indolente e sempre di cattivo umore, non lavorava. Preparava da mangiare brontolando, e indossava una collana di perle. Una volta aveva letto un libro, ma lo aveva trovato sgradevole perché conteneva degli aggettivi. Ogni tanto dava un’occhiata a una rivista. I genitori Sappington si dimenticavano spesso di avere dei figli e diventavano di pessimo umore quando qualcuno glielo ricordava. Il maggiore, Tim, come molti ragazzi d’altri tempi, aveva un cuore d’oro, ma riusciva a nasconderlo dietro a un comportamento alquanto prepotente. Era Tim che decideva per i fratelli: quali giochi avrebbero fatto («Adesso giochiamo a scacchi», diceva ogni tanto, «e le regole sono che possono giocare solo i maschi e che la femmina offre i biscotti ogni volta che un pezzo viene catturato»); come si dovevano comportare in chiesa («Inginocchiatevi per bene e fate un’espressione piacevole, pensate sempre 2
e solo agli elefanti», disse loro una volta); se dovevano mangiare o no quello che la loro madre aveva cucinato (se annunciava: «Questo non ci piace», dovevano mettere tutti giù la forchetta e rifiutare di aprire la bocca, anche se avevano una fame tremenda). Una volta sua sorella gli aveva sussurrato di nascosto, dopo un pasto che avevano rifiutato di mangiare, «A me piaceva». Ma Tim le aveva dato un’occhiataccia e le aveva risposto: «Era cavolo ripieno. Non hai il permesso di farti piacere il cavolo ripieno». «Va bene», aveva risposto Jane con un sospiro. Era andata a letto affamata e aveva sognato, come le capitava spesso, di diventare più grande e più sicura di sé, in modo da potere un giorno fare i giochi che le pareva e mangiare i piatti che le piacevano. Le loro vite procedevano esattamente nel modo in cui procedono le storie d’altri tempi. Un giorno avevano perfino trovato un bambino abbandonato fuori dalla loro porta. È una cosa che accade sovente nelle storie d’altri tempi. I gemelli Bobbsey, ad esempio, trovarono un neonato fuori dalla loro porta. Ma ai Sappington questo non era mai successo. Il bebè era in una cesta in vimini e portava un golfino rosa con una spilla da balia cui era attaccato un biglietto. 3
«Chissà com’è che nostro padre non lo ha notato quando è uscito per il lavoro», disse Bernabò A, guardando la cesta che ingombrava i gradini d’ingresso della loro casa, una mattina in cui i ragazzi stavano uscendo per andare a fare una passeggiata nel parco vicino. «Nostro padre è elusivo di tutto ciò che ha intorno – lo sai», commentò Tim. «Lui passa sopra a qualunque intralcio. Lo avrà spinto via.» Guardarono tutti la cesta e il bebè, che era profondamente addormentato. Immaginarono il padre che lo scavalcava dopo averlo spostato un po’ con il suo ombrello arrotolato. «Potremmo metterlo fuori per gli spazzini», propose Bernabò B. «Se prendi un manico, A, e io prendo l’altro, dovremmo riuscire a portarlo giù. Sono pesanti i bebè?» «Possiamo prima leggere il biglietto?», chiese Jane cercando di parlare con tono sicuro come quando si esercitava in segreto. Il biglietto era piegato in modo che la scrittura non si vedesse. «Per me non è necessario», rispose Tim. «Io credo che dovremmo», disse Bernabò B. «Forse c’è scritto qualcosa di importante.» «Magari c’è una ricompensa per chi trova il bebè», suggerì Bernabò A. «O magari è una richiesta di riscatto.» 4
«Sei un deficiente!», gli fece Tim. «Le richieste di riscatto sono fatte da chi prende i bebè.» «Allora, forse possiamo mandarne una noi», disse Bernabò A. «Forse c’è scritto il nome del bambino», azzardò Jane. Jane era molto interessata ai nomi perché aveva sempre pensato che il suo non fosse all’altezza, non aveva sufficienti sillabe. «Mi piacerebbe sapere il suo nome.» Il bambino si mosse e aprì gli occhi. «Magari il biglietto dà le istruzioni per i bebè», disse Tim piegandosi a guardarlo. «Magari dice dove si devono mettere quando se ne trova uno.» Il bebè iniziò a piagnucolare e il suo pianto si trasformò quasi subito in una serie di strilli violenti. «Oppure», disse Bernabò B coprendosi le orecchie, «spiega come impedirgli di strillare». «Se il biglietto non dice il nome, posso darglielo io?», chiese Jane. «E come lo chiameresti?», chiese Bernabò A con interesse. Jane aggrottò la fronte. «Un nome con tre sillabe, penso», rispose. «I bebè si meritano tre sillabe.» «Brigitta?», chiese Bernabò A. «Potrebbe andare», rispose Jane. «Madonna?», suggerì Bernabò B. 5
«No», disse Jane. «Forse Taffetà.» A quel punto il bebè stava agitando i pugni, scalciando con le sue grasse gambette e piangendo forte. La gatta dei Sappington si affacciò alla porta d’ingresso, guardò brevemente dentro al cestino, agitò i baffi e poi scappò in casa, come se il rumore la innervosisse. Forse era perché il bebè piangeva un po’ come un gattino che miagola. Tim riuscì a staccare il biglietto sotto ai pugnetti che si agitavano. Lo lesse in silenzio. «Il solito», disse agli altri. «Patetico, proprio come mi aspettavo.» Lo lesse ad alta voce. «Ho scelto questa casa perché sembra che qui viva una famiglia felice e unita, ricca abbastanza da nutrire anche la mia bambina. Purtroppo sono molto povera. Per me è un periodo molto difficile e non posso provvedere al mio amato bebè. Vi prego, siate buoni con lei.» «Gemelli, prendete un manico», disse Tim ai suoi fratelli. Afferrò l’altro manico. «Jane, tu prendi il biglietto. Portiamo quest’affare disgustoso dentro casa.» Jane prese il biglietto piegato e seguì i suoi fratelli che presero la cesta, la portarono nell’ingresso di casa e la sistemarono su un tappeto orientale. Il chiasso che proveniva dal bebè non era irrilevante. La loro madre aprì accigliata la porta in fondo alla sala. Usciva dalla cucina. 6
«Cos’è questo fracasso?», chiese. «Sto tentando di ricordare gli ingredienti per un polpettone di carne, così non riesco nemmeno a pensare.» «Be’, qualcuno ha lasciato un infernale bebè sui gradini di casa», le disse Tim. «Santo cielo, ma noi non vogliamo un bebè!», si affannò la madre venendo avanti per dare un’occhiata. «Non mi piace affatto questa storia.» «Vorrei tenerla», disse Jane con una vocina timida. «È carina.» «No, non è affatto carina», disse Bernabò A, guardandola. «Non è carina per niente», confermò Bernabò B. «Ha i ricci», indicò Jane. La madre scrutò la bambina; poi infilò la mano nel cesto da lavoro con la lana beige che teneva sul tavolo dell’ingresso. Tirò fuori un paio di forbicine dorate e le provò, aprendole e chiudendole alcune volte, con aria pensierosa. Poi si piegò sulla cesta e cominciò a tagliare. «Adesso non ce li ha più i ricci», commentò, e mise via le forbici. Jane fissò il bebè. Improvvisamente smise di piangere e la fissò con gli occhi spalancati. «Oh, no. Senza i ricci non è più carina», disse Jane. «Mi sa che adesso non la voglio più.» 7
«Portatela via, bambini, da un’altra parte», disse la madre, tornando verso la cucina. «Sbarazzatevene. Ho da fare con il polpettone.» I quattro fratelli riportarono la cesta fuori. Poi si misero a pensare. Discussero il problema. Fu Bernabò A a pensare a un piano, e lo spiegò a Tim, dato che era sempre lui a prendere le decisioni per il gruppo. «Prendi il carretto», ordinò Tim. I gemelli presero il carretto dal sottoscala dove lo tenevano insieme alle biciclette. I maschi misero la cesta dentro al carretto mentre la sorella li guardava. Poi, facendo a turno per tirarlo, trasportarono il bebè lungo il marciapiede, attraversarono la strada (aspettando il verde) per altri due isolati, girando a ovest e proseguendo per un bel po’ finché non arrivarono a destinazione, davanti a una casa molto severa che si chiamava Villa Melanoff. Il signore che viveva lì era un milionario. Forse anche un miliardario. Ma non usciva mai. Rimaneva sempre al chiuso, con le tende tirate, contando i suoi soldi e odiando tutti. I tragici eventi del suo passato gli avevano fatto perdere interesse nella vita, come era successo a Scrooge in un’altra storia d’altri tempi. La villa era molto più grande delle altre case del quartiere, ma era trasandata. La balaustra in ferro battuto che la circondava era storta e piegata in più punti, e il cortile 8
era pieno di mobili vecchi. Alcune finestre erano rotte e chiuse da assi. Un gatto magrolino si grattava miagolando sotto il portico d’ingresso. «Aspetta, A», disse Tim, quando suo fratello iniziò ad aprire il cancello. «Devo aggiungere una frase al biglietto.» Stese la mano verso Jane che aveva messo il foglio ben piegato nella tasca del suo abito increspato e glielo diede. «Matita», ordinò Tim e uno dei gemelli – erano tutti abituati a portarsi qualunque cosa Tim avrebbe potuto chiedere o desiderare – gli porse una matita. Bernabò B si girò in modo che Tim potesse usare la sua schiena come tavolino. «Sapresti dire cosa ho scritto, B?», chiese Tim quando ebbe finito. «No, ho sentito come degli scarabocchi.» «Allora devi fare esercizio», commentò Tim. «Se la mia schiena fosse stata il tavolino, avrei potuto ripeterti ogni parola e anche la punteggiatura. Allenati quando puoi.» Bernabò B fece di sì. «Anche tu, A», disse Tim guardando l’altro gemello. «Lo farò», promise Bernabò A. «Anche io», propose Jane. «No. Tu non ne hai bisogno perché sei una femmina. Nessuno ti chiederà mai di fare delle cose importanti», le disse Tim. 9
Jane iniziò a piangere un po’, ma molto piano, in modo che nessuno la vedesse. Promise, attraverso le sue lacrimucce silenziose, che un giorno avrebbe dimostrato a Tim che aveva torto. «Ecco cosa ho scritto», disse loro Tim, tenendo alto il foglio. Lo lesse ad alta voce. «P.S. Se c’è una ricompensa per quest’infernale bebè, dovrebbe essere data ai Sappington.» Gli altri annuirono. Il P.S. sembrò loro una buona idea. «Potresti mettere “deve” invece di “dovrebbe”», propose Bernabò B. «Buona idea, B. Girati.» Bernabò B si girò e Tim usò di nuovo la sua schiena come un tavolino, cancellando la parola e sostituendola con l’altra. Bernabò B lo sentì sottolineare. Poi la lesse ad alta voce: «Se c’è una ricompensa per quest’infernale bebè, deve essere data ai Sappington». Ripiegò il biglietto e si sporse verso la cesta. Poi si fermò. «Girati di nuovo, B», ordinò. Quando il fratello si fu girato per fargli usare la sua schiena come tavolino ancora una volta, Tim aggiunse un’altra frase. Piegò il biglietto e lo appuntò al golfino del bebè. «Apri il cancello, Jane», disse Tim, e lei ubbidì. «Ora: uno, due, tre, ISSA!» I maschi alzarono dal carretto la 10
cesta con il bebè. La portarono sotto il portico cadente e polveroso e la lasciarono lì. I Sappington tornarono a casa. «Cos’hai aggiunto al biglietto alla fine, Tim?», chiese Bernabò A. «Un altro P.S.» «E cosa c’è scritto?», chiese Bernabò B. «C’è scritto: “Il suo nome è Ruth”.» Jane fece il broncio. «Perché?», chiese. «Perché», rispose Tim con un sorriso malizioso, «noi siamo i perfidi Sappington».
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genitori dei quattro scatenati fratelli Sappington si dimenticano spesso di avere dei figli e si irritano molto quando qualcuno glielo ricorda. Si irritano talmente che, ispirati dalla favola di Hansel e Gretel, escogitano un piano per liberarsi di loro, vendendo la casa di famiglia mentre sono in viaggio. Ma non sanno che proprio il loro viaggio è il piano che hanno architettato i figli per liberarsi dei genitori… Un racconto divertentissimo sulle peripezie di una famiglia stravagante.
«LOIS LOWRY PROIETTA LA SUA INVIDIABILE E NOBILE OMBRA SU TUTTO IL PANORAMA DELLA LETTERATURA INFANTILE, DAL FANTASY AL REALISMO. QUESTO LIBRO È FATTO PER FARCI RIDERE.» Lemony Snicket LOIS LOWRY, nata nel 1937, è una delle grandi autrici statunitensi per bambini e ragazzi. Ha vinto due volte la Newbery Medal, il più prestigioso premio americano nella letteratura per ragazzi, una delle quali con il romanzo The Giver.
€ 8,90 ISBN 978-88-6966-186-0
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