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su un terreno solido e sicuro. Ma è solo un’illusione.
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ISBN 978-88-6966-163-1
NEAL SHUSTERMAN
IL VIAGGIO
m mo è il do Quando tocchi il fon
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NEAL SHUSTERMAN
miei piedi “ I poggiano
IL VIAGGIO DI CADEN
Neal Shusterman è un affermato autore di romanzi Young Adult, che gli sono valsi numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il National Book Award vinto con Il viaggio di Caden. Scrive anche sceneggiature per il cinema e la Tv. Vive in California con i suoi quattro figli. Questo libro è ispirato alla vera storia di uno di loro, Brendan.
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Caden è a bordo di una nave diretta al punto più profondo di tutti gli oceani della Terra: il Challenger Deep, nella Fossa delle Marianne.
Caden più Chal
Caden è un liceale brillante, ma i suoi amici notano alcune stranezze nei suoi comportamenti.
Cad tano
Caden viene nominato artista ufficiale della nave e incaricato di documentare il viaggio con i suoi disegni.
Caden nave i suo
Caden finge di far parte della squadra di atletica della scuola, ma in realtà passa le giornate camminando senza sosta, per chilometri, completamente assorbito dai pensieri che gli frullano fre-
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netici per la testa.
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Fra il mondo sempre più vivo dentro la sua mente e la realtà che prova a chiamarlo fuori, Caden è combattuto come mai prima.
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Il viaggio di Caden è un romanzo che colpisce ed emoziona. Quella raccontata da Shusterman è una discesa nelle profondità della mente del protagonista, affetto da schizofrenia. Un viaggio così ben descritto che pagina dopo pagina ne siamo risucchiati dentro: viviamo ciò che vive Caden, proviamo quel che lui prova, la realtà e la psicosi si confondono davanti ai nostri occhi come ai suoi. Nel perderci nella mente di Caden ritroviamo una consapevolezza di noi e degli altri ben più profonda. E solo allora siamo pronti a risalire, e cominciare a vivere davvero.
Immagine fronte copertina © 2015 Andy Bridge; immagine retro copertina © Brendan Shusterman; cover design di Erin Fitzsimmons.
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Per il Dr. Robert Woods
Neil Shusterman Il viaggio di Caden Traduzione di Mara Pace Hotspot è un marchio di Editrice Il Castoro www.hotspotlibri.it © 2017 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it La traduttrice desidera ringraziare il medico psichiatra Matteo Nodari per la preziosa consulenza. Pubblicato per la prima volta nel 2015 con il titolo Challenger Deep da HarperTeen, un marchio di HarperCollins Publishers. Text copyright © 2015 by Neal Shusterman Interior illustrations copyright © 2015 by Brendan Shusterman
NEIL SHUSTERMAN
IL VIAGGIO DI CADEN ILLUSTRAZIONI DI BRENDAN SHUSTERMAN
TRADUZIONE DI MARA PACE
1 Ucci ucci sento odor… Hai due certezze. Primo: sei stato laggiù. Secondo: non puoi esserci stato. Tenere insieme queste due verità inconciliabili richiede una certa abilità nella giocoleria. Per mantenere un ritmo fluido, però, serve una terza pallina. La terza pallina è il tempo, che rimbalza seguendo traiettorie molto più imprevedibili di quanto siamo disposti ad ammettere. Sono le cinque del mattino. Lo sai, perché appeso alla parete della tua camera da letto c’è un orologio a batteria che ticchetta tanto forte che a volte devi zittirlo con un cuscino. Eppure, mentre qui sono le cinque del mattino, da qualche parte in Cina sono le cinque della sera: la dimostrazione che verità inconciliabili acquistano senso solo da una prospettiva globale. Hai imparato, però, che spingere i tuoi pensieri fino in Cina non è sempre una buona idea. Tua sorella dorme nella stanza accanto, e nella camera appena oltre ci sono i vostri genitori. Tuo padre russa. Presto la mamma proverà a spingerlo, lo farà rotolare nel sonno e lui smetterà di russare, magari fino all’alba. Tutto questo è normale, e trovi che sia di grande conforto. Dall’altra parte della strada si accende il sistema d’irrigazione del vicino di casa, che sibila abbastanza forte da coprire 1
il ticchettio dell’orologio. Attraverso la finestra aperta, riesci a sentire l’odore della pioggerella artificiale, che sa un po’ di cloro e tanto di fluoro. Non è bello sapere che il giardino del vicino avrà i denti puliti? Il sibilo dell’irrigazione non è il sibilo dei serpenti. I delfini dipinti sulla parete della camera di tua sorella non stanno architettando piani diabolici. E gli occhi dello spaventapasseri non vedono nulla. Ciò nonostante, ci sono notti in cui non riesci a dormire, perché questi esercizi di giocoleria catturano tutta la tua attenzione. Hai paura che ti sfugga una pallina, e allora che cosa potrebbe succedere? Non osi spingerti oltre quell’istante. Perché dentro quell’istante sai che ti aspetta il capitano. Lui è paziente. Aspetta. Sempre. Anche prima che ci fosse una nave, c’era un capitano. Questo viaggio comincia con lui, sospetti che finirà con lui, e nel mezzo non c’è altro che l’odor di cristianucci e di ossa tritate per i panini dei giganti. Devi camminare piano, altrimenti li sveglierai.
2 Laggiù è un viaggio senza fine «Non ci è dato di sapere quanto è profondo», dice il capitano, mentre il suo baffo sinistro si muove a scatti come la coda di un ratto. «Se cadi nell’ignoto dell’abisso, conterai i giorni prima di toccare il fondo.» «Ma la fossa è stata misurata», m’arrischio a fargli notare. «Qualcuno è già stato laggiù. Per quanto ne so io, è profonda 11,03 chilometri.» 2
«Per quanto ne sai… tu?», mi deride. «Sei solo un poppante, rinsecchito e con la tremarella: il massimo che puoi sapere è quanta umidità c’è nel tuo naso.» Poi ride della sua stessa battuta. Il capitano, dopo una vita trascorsa in mare, ha il volto coperto di rughe scavate dalle intemperie; anche se, a dire il vero, sono quasi tutte nascoste dalla barba scura e arruffata. Quando ride, le rughe si contraggono, e si fanno evidenti i muscoli e i tendini del collo. «Sissignori, chi si è spinto laggiù, nelle acque della fossa, racconta di aver visto il fondo, ma non sono altro che fanfaroni, e bisogna suonargliele forte come una fanfara: è l’unico modo per fargli cambiare musica.» Ho rinunciato da tempo a decifrare tutto quello che dice il capitano, ma le sue parole hanno ancora un certo peso su di me. Ho sempre l’impressione di perdermi qualcosa. Qualcosa di importante, all’apparenza ovvio, ma che potrò capire solo quando sarà troppo tardi. «Laggiù è un viaggio senza fine», dice il capitano. «Non credere a chi ti dice il contrario.»
3 Ti farà bene Faccio questo sogno. Sono sdraiato sul tavolo di una cucina troppo illuminata, dove tutto risplende di bianco. Gli elettrodomestici non sono nuovi come vogliono far credere. È plastica dai riflessi cromati, ma nient’altro che plastica. Non posso muovermi. Oppure non voglio. Ho paura di muovermi. Ogni volta che faccio questo sogno, c’è qualche piccola differenza. Attorno a me si muovono delle persone, ma non sono davvero persone: sono mostri travestiti. Mi han3
no strappato delle immagini dalla mente e le hanno trasformate in maschere somiglianti alle persone a cui voglio bene; ma so che è tutta una bugia. Ridono e parlano di cose che per me non significano nulla, e io sono bloccato in mezzo a tutti quei volti falsi, al centro dell’attenzione. Mi ammirano, ma solo come si ammira uno che sta per andarsene. «L’hai tirato fuori troppo presto», dice un mostro che indossa il volto di mia madre. «Non è stato dentro abbastanza.» «C’è solo un modo per scoprirlo», ribatte il mostro che finge di essere mio padre. Avverto attorno a me delle risate; non provengono dalle loro bocche, però, perché le bocche delle maschere sono immobili. La risata è nei loro pensieri, che mi piombano addosso come dardi imbevuti di veleno sparati dalle fessure degli occhi. «Questo ti farà bene», dice uno degli altri mostri. Poi i loro stomaci brontolano forte, come una montagna che si sgretola: si chinano su di me e fanno a pezzi il piatto del giorno con i loro artigli.
4 È così che ti prendono Non ricordo quando è cominciato questo viaggio. È come se fossi qui da sempre, anche se è impossibile, perché esiste un prima: la scorsa settimana, lo scorso mese, lo scorso anno. Sono abbastanza sicuro, però, che ho ancora quindici anni. Sono stato per anni a bordo di questo vecchio legno, eppure ne ho ancora quindici. Il tempo qui è diverso. Non scorre in avanti; sembra muoversi di lato, come un granchio. 4
Non conosco molti altri della ciurma. O forse mi scordo di loro in continuazione, perché non sono che anonime comparse. Ci sono i più vecchi, che sembrano vivere in mare da sempre. Ci sono gli ufficiali della nave, se così li possiamo chiamare: pirati di Halloween come il capitano, che hanno i denti finti, tutti neri, e che fanno dolcetto o scherzetto alle porte dell’inferno. Riderei se non fossi certo, con tutto il cuore, che mi caverebbero gli occhi con quegli uncini di plastica. Infine ci sono i più giovani, come me, ragazzi che hanno commesso un crimine e sono stati banditi dalle loro case – case piene di calore, case fredde o case che non esistono – per volere di genitori che hanno cospirato alle loro spalle osservandoli come un Grande Fratello che non chiude mai occhio. I miei compagni di viaggio, ragazzi o ragazze che siano, badano agli affari propri e mi rivolgono la parola solo per dire: «Mi stai bloccando la strada» o «Non toccare le mie cose». Come se qualcuno di noi avesse qualcosa che valga la pena di custodire. A volte provo ad aiutarli, ma si voltano dall’altra parte o mi spingono via, risentiti anche solo perché mi sono offerto di dare una mano. Continuo a immaginare di vedere mia sorella a bordo, anche se è impossibile. Non dovrei aiutarla con i compiti di matematica? La immagino che mi aspetta e mi aspetta, ma non so dove sia. Tutto quello che so è che non mi sono più fatto sentire. Come ho potuto farle un simile torto? Tutti quanti, a bordo, sono sottoposti al costante giudizio del capitano, che ha qualcosa di familiare, ma allo stesso tempo mi è estraneo. Pare che lui sappia tutto di me, anche se io non so nulla di lui. «Gli affari vostri sono affari miei, ed è mio preciso compito non mollare mai la presa», mi dice. 5
Il capitano ha una benda sull’occhio e un pappagallo. Il pappagallo ha una benda sull’occhio e un badge appeso al collo. «Non dovrei essere qui», dico al capitano, ma sospetto di averglielo già detto in altre occasioni. «Ci sono gli esami di metà anno, ho una tesina da consegnare e in camera mia sul pavimento ci sono dei vestiti sporchi che non ho raccolto, e ho degli amici, un sacco di amici.» La mascella del capitano è rigida e non offre risposta, ma il pappagallo dice: «Avrai tanti amici, tanti amici anche qui, anche qui!». In quel momento uno degli altri ragazzi mi sussurra all’orecchio: «Non dire mai niente al pappagallo. È così che ti prendono».
5 Sono la bussola Non ci sono parole per descrivere ciò che sento, ma se anche ci fossero, nessuno le potrebbe capire. Le mie emozioni parlano una lingua incomprensibile. La gioia diventa rabbia che diventa paura che diventa un’ironia divertita, come saltando da un aereo, a braccia spalancate, sapendo con assoluta certezza che sei capace di volare, per poi scoprire che non è vero, e che non solo manca il paracadute ma anche tutti i vestiti, e che la gente a terra ha un binocolo e ride di te mentre cadi a picco verso una fine tragica e terribilmente imbarazzante. Il navigatore dice che non devo preoccuparmi. Indica il blocco di fogli di pergamena sul quale spesso disegno per far passare il tempo. «Fissa i tuoi sentimenti con linee e colori», mi dice. «Colori, collari, affari, denari. Non esiste ricchezza 6
più grande dei tuoi disegni: il modo in cui mi rapiscono, mi urlano contro e mi obbligano a vedere. Le mie mappe ci indicano il sentiero, ma le tue visioni ci mostrano la direzione. Tu sei la bussola, Caden Bosch. Tu sei la bussola!» «Se io sono la bussola, devo essere una bussola piuttosto inutile», ribatto. «Non sono capace di trovare il nord.» «Certo che sei capace», dice lui. «Il problema è solo che in queste acque il nord continua a mordersi la coda.» Questo mi fa pensare a un vecchio amico, convinto che il nord si trovasse sempre nel punto in cui volgeva lo sguardo. Adesso comincio a pensare che forse aveva ragione lui. Il navigatore mi ha voluto come compagno di stanza quando il mio compagno precedente, che ricordo a malapena, è scomparso senza dare spiegazioni. Condividiamo una cabina troppo piccola anche per una sola persona, figuriamoci per due. «Qui sono tutti disonesti, tu sei l’unico per bene», mi dice. «Il tuo cuore non si è fatto contagiare dal mare gelido. Inoltre hai talento. Talento, invento, insidia, invidia. Il tuo talento farà verde d’invidia tutta la nave: segnati queste parole!» Il ragazzo ha già partecipato a molti viaggi. Ha la vista lunga. O meglio: quando ti guarda non vede te, ma qualcosa dietro di te, in una dimensione che hanno già cercato molte volte di rimuovere dalla nostra. A dire il vero, guarda di rado le persone. È troppo impegnato a creare mappe di navigazione. È così che le chiama. Sono piene di numeri, parole, frecce, linee che connettono gli astri formando costellazioni che non ho mai visto prima. «I cieli sono diversi, là fuori», dice. «Devi trovare strade nuove, unire le stelle lontane. Lontane, campane, settimane, meridiane. Tutto per misurare il tempo che scorre. Capisci?» «No.» «Salpa la carpa, carpa è la capra. Questa è la risposta, dico io. La capra. Mangia di tutto, digerisce il mondo, lo rende 7
parte del proprio DNA, e poi lo espelle reclamando il proprio territorio. Territorio, escretorio, escremento, fermento: io non mento. Il segno della capra ti indicherà la nostra meta. Tutto ha un fine. Cerca la capra.» Il navigatore è un tipo brillante. Così brillante che mi fa male la testa tutte le volte che sono in sua presenza. «Perché sono qui?», gli chiedo. «Se tutto ha un fine, qual è il mio fine su questa nave?» Lui torna alle sue carte, scrive parole e aggiunge nuove frecce sopra quelle che c’erano già, stratificando i suoi concetti al punto che solo lui può decifrarli. «Concetti, confini, delfini, destini. Il tuo destino è varcare la soglia che salverà il mondo.» «Il mio destino? Ne sei sicuro?» «Sicuro come il fatto che siamo su questo treno.»
6 Un bel disturbo Destini, zerbini, delfini che danzano sulle pareti della camera di mia sorella, mentre indugio sulla soglia. I delfini sono sette. Lo so perché sono stato io a dipingerli per lei: ciascuno rappresenta uno dei Sette samurai di Kurosawa, perché volevo che continuassero a piacerle anche da grande. Questa sera i delfini mi guardano, e anche se l’assenza di pollice opponibile rende poco credibile il fatto che sappiano tirare di scherma, li trovo più minacciosi del solito. Mio padre sta rimboccando le coperte a Mackenzie. È tardi per lei, ma non per me. Ho appena compiuto quindici anni; lei ne ha quasi undici. Ci vorranno ore prima che venga sonno anche a me. Se mai arriverà. Può darsi di no. Non stanotte. 8
Mia madre è al telefono con la nonna al piano di sotto. La sento parlare del tempo e delle termiti. Ci stanno facendo a pezzi la casa. «… la disinfestazione, però, è un bel disturbo», sento che dice la mamma. «Ci sarà pure un altro modo.» Il papà dà a Mackenzie il bacio della buonanotte, poi si volta e mi vede lì in piedi, non proprio dentro la stanza, ma nemmeno del tutto fuori. «Che cosa c’è, Caden?» «Niente, è solo che… non importa.» Lui si alza e mia sorella si volta verso la parete dei delfini, facendo capire che è pronta per il mondo dei sogni. «Se c’è qualcosa che non va, puoi raccontarmelo», dice il papà. «Lo sai, vero?» Parlo piano per non farmi sentire da Mackenzie. «Be’, è che… c’è questo ragazzo a scuola.» «Sì?» «Ovviamente non ne sono sicuro…» «Sì?» «Ecco, credo che voglia uccidermi.»
7 Carità nell’abisso Al centro commerciale c’è un cesto per le donazioni. Un grosso imbuto giallo che raccoglie monetine per qualche associazione benefica a cui è davvero spiacevole pensare. Si occupano di “bambini mutilati in guerre lontane” o qualcosa del genere. Bisogna infilare la moneta nella fessura e guardarla cadere. Continua a girare nell’imbuto giallo per quasi un minuto, con un ronzio ritmico che diventa sempre più veloce, più intenso 9
e più disperato via via che la moneta scende a spirale verso il buco. Continua a girare sempre più in fretta – un concentrato di energia cinetica costretto a scendere verso il collo dell’imbuto, dove si mette a suonare come un campanello d’allarme – e alla fine precipita senza rumore nell’oscuro abisso. Quella moneta che grida disperata nel collo dell’imbuto sono io: a impedirmi di precipitare nell’oscurità ci sono solo la mia energia cinetica e la forza centrifuga.
8 Con i piedi per terra «In che senso vuole ucciderti?» Mio padre esce in corridoio e chiude la porta della camera di mia sorella. Una luce tenue filtra con prudenza dal bagno in fondo al corridoio. «Caden, questa è una cosa seria. Se a scuola c’è un ragazzo che ti minaccia, devi raccontarmi tutto.» Rimane lì fermo, in attesa, e io vorrei non aver mai aperto bocca. La mamma è ancora al telefono a parlare con la nonna, e comincio a chiedermi se sia davvero la nonna o se mia madre stia fingendo. Forse in realtà parla con qualcun altro, magari di me, usando un linguaggio in codice. Ma perché dovrebbe farlo? Non ha senso. No, sta solo parlando con la nonna. Delle termiti. «L’hai detto ai tuoi insegnanti?» «No.» «Che cos’ha fatto? Ti ha minacciato apertamente?» «No.» Il papà sospira. «D’accordo, ma se non si è mai esposto e non ti ha minacciato, forse è meno grave di quanto credi. Si è portato a scuola un’arma, questo ragazzo?» 10
«No. Be’, forse. Sì, sì, penso che abbia un coltello.» «L’hai visto?» «No, lo so e basta. Ha la faccia di uno che ha un coltello.» Il papà sospira di nuovo e si gratta l’incipiente calvizie. «Ripetimi di preciso che cosa ti ha detto. Prova a ricordare tutto.» Scavo a fondo, cercando le parole giuste per spiegare, ma non ci riesco. «Non è quello che ha detto, è quello che non ha detto.» Mio papà è un ragioniere: tutto emisfero sinistro, molto lineare, così non mi sorprendo quando dice: «Non ti seguo». Mi volto e giocherello con una fotografia di famiglia appesa al muro, che rimane un po’ storta. Mi infastidisce, così la raddrizzo. «Lascia stare», dico. «Non è importante.» Cerco di fuggire per le scale, perché ho davvero bisogno di sentire che cosa sta dicendo la mamma, ma il papà mi afferra gentilmente per il braccio. È abbastanza per convincermi a restare. «Aspetta», dice. «Fammi capire: questo ragazzo che ti preoccupa tanto… è in classe con te e ha un comportamento minaccioso.» «A dire il vero, non frequento nessuna lezione con lui.» «E come fai a conoscerlo allora?» «Non lo conosco. Ma a volte lo incrocio in corridoio.» Il papà abbassa lo sguardo, fa un rapido calcolo mentale, poi alza di nuovo gli occhi. «Caden… Se non lo conosci e non ti ha mai minacciato e non ha fatto altro che passarti accanto in corridoio, che cosa ti fa credere che voglia farti del male? Probabilmente non sa nemmeno chi sei.» «Già, forse hai ragione, sono solo stressato.» «Stai reagendo in maniera eccessiva.» «Giusto, reazione eccessiva.» Adesso che l’ho detto ad alta voce, capisco quanto suonava sciocco. Voglio dire, quel ra11
gazzo non sa nemmeno che esisto. Non so nemmeno come si chiama. «Passare alle superiori è un bel cambiamento», dice il papà. «Ci sono un sacco di ragioni per essere ansiosi. Mi spiace che ti sia portato addosso un peso simile. Che cosa strana da credere! Ogni tanto bisogna proprio tornare con i piedi per terra, vero?» «Vero.» «Ti senti meglio?» «Sì, va meglio. Grazie.» Ma lui continua a guardarmi anche quando mi allontano, come se sapesse che sto mentendo. I miei genitori si sono accorti che ultimamente sono un po’ in crisi. Mio padre pensa che dovrei cominciare a fare sport per scaricare i nervi. Mia madre pensa che dovrei fare yoga.
9 Non sei il primo e
non sarai nemmeno l’ultimo
Il mare si estende in tutte le direzioni. Davanti a noi, dietro di noi, a babordo e tribordo, e poi giù, giù, giù. La nave è un galeone, eroso da un milione di viaggi che risalgono a epoche ancora più oscure di questa. «Nel suo genere, è la più bella», mi ha detto un giorno il capitano. «Affidati a lei: non ti porterà mai fuori strada.» Questo mi consola, visto che al timone non c’è mai nessuno. «Ha un nome?», gli ho chiesto una volta. «Darle un nome sarebbe come affondarla», mi ha risposto. 12
«Le imbarcazioni a cui diamo un nome diventano più pesanti dell’acqua che spostano. Prova a chiederlo a un naufrago.» Sopra il boccaporto principale c’è una scritta pirografata nel legno: Non sei il primo e non sarai nemmeno l’ultimo. Mi accorgo con stupore che leggendo queste parole mi sento un essere insignificante e allo stesso tempo un prescelto. «Ti dice qualcosa?», domanda il pappagallo, appollaiato sul portello a guardarmi. Mi guarda sempre. «Non proprio», gli dico. «Be’, se lo fa», mi spiega il pappagallo, «devi scrivere tutto ciò che dice».
10 Nella spaventosa cucina Entro nella Cucina di Plastica Bianca quasi tutte le notti. I particolari cambiano ogni volta, quanto basta perché io non possa mai indovinare la fine del sogno. Se fosse sempre uguale, almeno saprei cosa aspettarmi… e se lo sapessi, potrei prepararmi alla parte peggiore. Questa notte mi sto nascondendo. Non ci sono molti posti dove nascondersi, in questa cucina. Sono incastrato dentro un frigorifero supertecnologico. Rabbrividisco, e subito mi torna in mente il capitano. Quando mi ha detto che ero solo un poppante con la tremarella. Qualcuno apre la porta; una maschera che non ricordo. La donna scuote la testa. «Povero caro, devi avere freddo.» Si versa il caffè da una caraffa piena, ma invece di offrirmelo, mi infila una mano nell’ombelico e prende il latte nel frigorifero, da qualche parte dietro di me. 13
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IL VIAGGIO
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IL VIAGGIO DI CADEN
Neal Shusterman è un affermato autore di romanzi Young Adult, che gli sono valsi numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il National Book Award vinto con Il viaggio di Caden. Scrive anche sceneggiature per il cinema e la Tv. Vive in California con i suoi quattro figli. Questo libro è ispirato alla vera storia di uno di loro, Brendan.
DI CADEN di
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e.
Caden è a bordo di una nave diretta al punto più profondo di tutti gli oceani della Terra: il Challenger Deep, nella Fossa delle Marianne.
Caden più Chal
Caden è un liceale brillante, ma i suoi amici notano alcune stranezze nei suoi comportamenti.
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Caden viene nominato artista ufficiale della nave e incaricato di documentare il viaggio con i suoi disegni.
Caden nave i suo
Caden finge di far parte della squadra di atletica della scuola, ma in realtà passa le giornate camminando senza sosta, per chilometri, completamente assorbito dai pensieri che gli frullano fre-
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Fra il mondo sempre più vivo dentro la sua mente e la realtà che prova a chiamarlo fuori, Caden è combattuto come mai prima.
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Il viaggio di Caden è un romanzo che colpisce ed emoziona. Quella raccontata da Shusterman è una discesa nelle profondità della mente del protagonista, affetto da schizofrenia. Un viaggio così ben descritto che pagina dopo pagina ne siamo risucchiati dentro: viviamo ciò che vive Caden, proviamo quel che lui prova, la realtà e la psicosi si confondono davanti ai nostri occhi come ai suoi. Nel perderci nella mente di Caden ritroviamo una consapevolezza di noi e degli altri ben più profonda. E solo allora siamo pronti a risalire, e cominciare a vivere davvero.
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