L'albero delle ossa

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L’ALBERO delle OSSA

KIM VENTRELLA


Kim Ventrella L’albero delle ossa Traduzione di Mara Pace © 2018 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Pubblicato per la prima volta nel 2017 da Scholastic Press, un imprint di Scholastic Inc., con il titolo Skeleton Tree © 2017 Kim Ventrella Illustrazioni copertina © 2017 Lisa Perrin Design di Yaffa Jaskoll ISBN 978-88-6966-291-1 Finito di stampare a febbraio 2018 presso Elcograf S.p.A. - Stabilimento di Cles


KIM VENTRELLA

L’ALBERO DELLE

OSSA TRADUZIONE DI MARA PACE



A mia nonna, grande fonte di ispirazione, e a mio nonno, che mi ha insegnato come la stranezza e la meraviglia spesso si nascondano nei posti piĂš ordinari.



CAPITOLO UNO Il giorno in cui la pioggia cessò, Stanly Stanwright trovò un osso in giardino, che spuntava dalla terra. Se non fosse stato bianco, duro e non avesse avuto la forma di un piccolo dito, avrebbe potuto essere un germoglio di fagiolo. Stanly si chinò per osservarlo meglio. Un brivido gli risalì dai piedi fino alla nuca. Ne toccò la punta, con un gesto rapido, come se potesse mordere. Dal dito di ossa il freddo gli penetrò in quello di carne. Poi il vento gli schiaffeggiò il volto, portando con sé le foglie arancio e marrone dal giardino dei vicini. In quel momento Stanly si sentiva un esploratore, come Stiletto Bombaroccia, l’eroe del suo videogioco preferito, Zombie al parco: colpo mortale. Avrebbe potuto trovare qualcosa di interessante nascosto sottoterra, come il fossile di un dinosauro. O magari risvegliare un’orda di melmosi zombie mangia-carne. Certi giorni erano così. Bastava un piccolo avvenimento, e tutto cambiava. Il giorno in cui era nata la sorella di Stanly, 1


per esempio. O la notte di dieci mesi prima, quando suo padre aveva preso un taxi per l’aeroporto e non era più tornato. Trovare quelle ossa gli faceva provare la stessa sensazione. «Ehi, Chiappe Secche, non ti ricordi che è l’ora del tesoro?», gridò Miren, precipitandosi lungo il vialetto di pietre irregolari e terminando la sua corsa contro il petto di Stanly. «Piantala! Così mi fai male!» Stanly si spostò davanti alle ossa, in modo che Miren non potesse vederle. Erano la sua scoperta. Se Miren le avesse viste, lo avrebbe detto alla mamma, rovinando tutto. Da quando papà se n’era andato, sua madre non aveva più permesso a Stanly di scavare in giardino. «Lo sai cosa dice la mamma, vero, quando corri troppo in fretta?» «Ma non senti che respiro bene?» Miren sollevò le spalle e scattò di nuovo verso la casa. «L’ultimo che arriva al tesoro è un pappagallo!» «Un pappamolle!», disse Stanley, scuotendo il capo, ma a quel punto Miren se n’era già andata. I bambini di sette anni fraintendono un sacco di cose. Miren una volta gli aveva detto che il latte è la pipì delle mucche e che troppi videogiochi ti fanno scottare il cervello. Stanly si domandò se lui avesse mai detto qualcosa di tanto buffo, quando aveva sette anni. Era convinto di no. Quando aveva sette anni, sapeva già leggere, cambiare i pannolini e convincere Miren a prendere la sua medici2


na. Quella che puzzava come esche in scatola. Nemmeno la mamma o il papà ci riuscivano. «Stanly, hai promesso che ti facevi trovare in garage cinque minuti prima delle dieci. Tua sorella sta aspettando», disse la mamma dalla finestra della cucina. I riccioli bagnati le incorniciavano il volto. Ecco, pensò Stanly, una volta che gli capitava qualcosa di interessante, era costretto ad andarsene. Gli dispiaceva che sua sorella avesse un altro appuntamento con la dottoressa, ma perché non poteva fare di testa sua, almeno per una volta? Prima di entrare in casa, Stanly scattò una fotografia alle ossa con la sua vecchia Polaroid. Avrebbe usato volentieri un cellulare, ma non lo aveva, e quello di sua madre era così vecchio che andava bene solo per le chiamate. La foto uscì grigia e informe, perché le Polaroid ci mettono una vita a svilupparsi. «Stanly, datti una mossa!», gridò la mamma. Lui si cacciò la fotografia in tasca e corse verso il garage. Prima di salire in macchina, recuperò al volo una Coca-Cola Light dal piccolo frigorifero che aveva comprato a un mercatino dell’usato insieme a suo padre, l’anno prima. Era ancora arrugginito sulle pareti laterali, perché suo padre se n’era andato prima che potessero ridipingerlo. Durante il tragitto in macchina, Miren cominciò a tossire. Colpi di tosse umida che le scuotevano tutto il corpo. «Non voglio andare dalla dottoressa», disse. Si coprì gli 3


occhi con le mani e iniziò a tirare su col naso, quasi avesse tre anni invece di sette. La mamma abbassò il finestrino per far arrivare un po’ d’aria a Stanly e Miren. «Ma non volevi il baule del tesoro?», chiese lui. Anche se era pieno di oggetti per bambini più piccoli, a Miren piaceva molto pescare i giocattoli dal baule del tesoro gonfiabile che si trovava nello studio della dottoressa Cynthia. Lo preferiva ai cheeseburger e a quelle specie di trottole che si possono vincere alla festa della scuola. Lo aveva detto a Stanly, un giorno. Con quelle esatte parole. Miren trasse un profondo respiro, che le crepitò nel petto. «Non più. Ho cambiato idea. Posso cambiare idea, sai?» Miren sporse in fuori la mandibola, con le lacrime in bilico sulle ciglia. «Odio Cynthia e i suoi stupidi tesori.» Stanly sospirò. Una piccola parte del suo cervello odiava quando Miren si comportava come una bambina di tre anni e a lui toccava risollevarle il morale. Stanly, però, quando si sentiva così, aveva un metodo infallibile. Recise con un colpo netto quella parte di cervello e la diede in pasto al suo cucciolo zombie. Aveva la pelle verde, due occhi bulbosi e denti ruminanti sempre affamati. Si chiamava Slurpy, come il cucciolo di Zombie al parco: colpo mortale. «Voglio andare a casa!», piangeva Miren. Gnam, gnam faceva lo zombie nella testa di Stanly. 4


Ecco il vantaggio di avere Slurpy. Era sempre pronto a ingoiare tutti i problemi di Stanly. Non importava quanto fossero grandi e stupidi. «Perché non facciamo un gioco?», disse Stanly. Se Miren non smetteva subito di gridare, era sicuro che gli sarebbe esplosa la testa. «Mi sembra un’ottima idea», commentò la mamma, stringendo le mani sul volante. Era sempre nervosa quando doveva guidare nel traffico. «Perché non giocate a Vedo, vedo… cosa vedi? Hai voglia, tesoro?» Miren la guardò sospettosa. «E se non mi va?» Il semaforo diventò rosso all’improvviso e la mamma fu costretta a frenare bruscamente. Stanly sapeva che era il momento di intervenire. «Dai, Orsetta. Facciamo che cominci tu.» «Mi lasci anche il secondo turno?» «D’accordo. Anche il secondo.» «Va bene.» Chiuse forte gli occhi, come faceva sempre quando si concentrava, e poi si lanciò: «Vedo qualcosa che tu non vedi e questa cosa è… bianca! Si nasconde in giardino e Stanly non vuole che io la veda!». Miren era così elettrizzata che batté forte i pugni sul sedile, urtando la lattina di Coca-Cola. «Ehi, smettila!» Stanly afferrò la lattina e con l’interno della maglietta asciugò le gocce che si erano rovesciate. Ecco pronto per Slurpy un altro piatto di frustrazione. 5


«Allora, Chiappe Secche? Chiappe Secche! Chiappe Secche! Dimmi il tuo segreto!» «Non ho segreti!» Stanly non aveva intenzione di gridare, ma non riuscì a evitarlo. Miren otteneva sempre quello che voleva, qualsiasi cosa fosse, ma l’osso era diverso. Era suo. Oltretutto, l’ultima cosa di cui Stanly aveva bisogno era che lo scoprisse sua madre. Quasi sicuramente avrebbe chiamato la disinfestazione per farlo rimuovere. Da quando il papà se n’era andato, odiava tutto quello che glielo ricordava: i libri polverosi, le pale per scavare, l’odore del dopobarba alla cannella. Dal posto di guida la mamma alzò il volume dell’autoradio finché non si udirono quasi solo le interferenze. Miren si raggomitolò e nascose il volto tra le mani. A Stanly non piaceva vederla così, ma a volte lo faceva proprio arrabbiare. Per fortuna aveva Slurpy che lo aiutava a tenere sotto controllo la situazione, evitando che il cervello gli esplodesse. «Continuiamo a giocare, ti va?», disse. Miren non rispose. Si raggomitolò ancora più stretta e, nascondendosi tra i capelli, tirò su col naso. Era il superpotere della sua sorellina: non importava quanto si fosse comportata male, riusciva sempre a farlo sentire in colpa per aver alzato la voce. «Ti lascio il primo, il secondo e il terzo turno», disse Stanly, fissando le gocce di Coca-Cola che penetravano nel tessuto. 6


Miren sbirciò da dietro le dita. «E il quarto?» «Va bene, anche il quarto.» «Vedo qualcosa che tu non vedi e questa cosa è…» Miren si interruppe. Stanly era sicuro che gli avrebbe chiesto di nuovo delle ossa, ma proprio in quel momento la macchina svoltò bruscamente, entrando nel parcheggio della clinica pediatrica Spring Hill. Non appena arrivarono nella sala d’aspetto, sua madre lo prese in disparte. «Grazie per aver gestito così bene la situazione, poco fa… È solo che… è tutto molto difficile ultimamente.» Lo abbracciò tanto stretto che il suo shampoo antiforfora all’arancia gli intasò le narici. «Sono fiera di te, Stanly. Sei stato di grande aiuto con la tua sorellina. Lo sai, vero?» Per un momento, pensando al segreto che non voleva svelare né alla mamma né a Miren, Stanly si sentì in colpa; ma fu solo un attimo. «Va tutto bene, mamma. Nessun problema.» Si sedettero sulle poltrone dai braccioli rigidi della sala d’aspetto. La mamma cominciò a sfogliare una copia di «Cani alla moda». Con la punta di un’unghia scheggiata, seguì il profilo di un pechinese dalla pelliccia soffice e perfetta. L’anno prima aveva risparmiato millecinquecento dollari per frequentare un corso di toelettatura, ma alla fine li aveva usati tutti per coprire le spese mediche di Miren. «Presto starà meglio», ripeteva spesso. 7


Stanly lo sperava davvero. Se la mamma avesse lavorato come toelettatrice, invece che come cassiera da Walgreens, sarebbe andato tutto meglio, come quando c’era ancora il papà. Lei avrebbe sorriso più spesso, avrebbe lavorato da casa, e dopo la scuola non ci sarebbe stato bisogno di tata Francine per badare a loro. E forse Stanly avrebbe finalmente potuto permettersi un computer che non si bloccasse ogni volta che cercava di installare l’ultima versione di SuperPixel. O magari una macchina fotografica che non ci mettesse cent’anni per sviluppare un’immagine. «La dottoressa vi sta aspettando», disse un’infermiera con un camice viola pastello. Offrì a Miren un lecca-lecca a forma di papera. Il classico regalo che si dà a un bambino di tre anni. «Seguimi, tesoro.» «Torniamo tra pochi minuti», disse la mamma. «Intanto leggi una rivista.» Stanly non entrava mai nello studio della dottoressa con Miren e la mamma. Come se, tutt’a un tratto, non fosse abbastanza grande da poter ascoltare i problemi di sua sorella. Si distese sulla poltrona e fissò la parete. Era coperta di addobbi sbiaditi di Halloween. Se avesse avuto un iPad, come Jaxon, avrebbe potuto giocare a SuperPixel o Alieni preistorici all’attacco! oppure, ancora meglio, a Zombie al parco: colpo mortale. In mancanza d’altro, prese una vecchia copia del «National Geographic». Suo padre gli regalava l’abbonamento 8


tutti gli anni, ma l’ultima volta si era scordato di rinnovarlo. Stanly sfogliò velocemente un articolo sui gufi e uno sui cacciatori in Alaska, finché non arrivò alle pagine in cui si raccontava la storia di alcuni esploratori, in Africa, che avevano scoperto lo scheletro di un nuovo tipo di dinosauro. Un dinosauro di cui nessuno aveva mai sentito parlare. Gli balenò in testa un’immagine: provò a visualizzare se stesso mentre si asciugava il sudore dalla fronte e prendeva a picconate una roccia. Ping, ping! La roccia si sbriciolò, e appena sotto apparve… un osso. Il sogno a occhi aperti svanì e fu sostituito dall’immagine di un dito che sbucava tra i fili d’erba. Aveva ancora la valigetta con gli attrezzi dell’archeologo che suo padre gli aveva regalato a Natale, due anni prima. Dentro c’erano uno scalpello e minuscole spazzole per riportare le ossa alla luce. Andare in Egitto o in India o in un’altra terra lontana a scavare in cerca di ossa sarebbe stato fantastico… ma se invece avesse trovato una specie sconosciuta nel giardino di casa? Scorse in fretta il resto della rivista, e il cuore gli si fermò nel petto. Sul retro di copertina spiccava la pubblicità del Premio Giovani «La Scoperta dell’Anno». In apertura c’era la fotografia di un ragazzo che brandiva un dente di dinosauro, ma non era questa la parte migliore. Accanto alla sua testa, scritto a caratteri d’oro cubitali, spiccava il numero dieci seguito da tre zeri. Proprio come in 10.000 dollari. Stanly, con i palmi delle mani che gli pizzicavano, lesse il 9


testo in fondo alla pubblicità: «Manda una fotografia della tua scoperta entro la mezzanotte del 31 ottobre: tu e un accompagnatore avrete la possibilità di vincere un viaggio presso un sito di scavi archeologici per un valore di 10.000 dollari». Davvero un sacco di soldi, ma non era quella la cosa più importante, non era quella l’informazione che gli martellava senza sosta nella testa, bang, bang, bang. L’articolo parlava di un accompagnatore. Stanly passò in rassegna le clausole. Il vincitore poteva scegliere chiunque, l’unico requisito era che avesse almeno diciotto anni. Per Stanly non era affatto un problema. Forse papà non era bravo a rispondere alle chiamate o a controllare le mail, ma se Stanly avesse vinto il concorso, sarebbe tornato da lui. Gli avrebbe fatto da accompagnatore. L’archeologia era sempre stata il grande sogno di suo padre, anche se poi vi aveva rinunciato e si era laureato in legge. Non era possibile che si lasciasse sfuggire l’opportunità di un viaggio come quello, anche se era super-impegnato. La porta dello studio della dottoressa si spalancò. Stanly doveva pensare in fretta. Strappò la pagina della rivista e la infilò in tasca prima che sua madre potesse accorgersene. Sapeva che strappare le pagine dalle riviste altrui era sbagliato e che lei, vedendolo, si sarebbe infuriata, ma non aveva scelta. Il concorso era troppo importante. «Lo specialista vi chiamerà per fissare un appuntamen10


to.» L’infermiera posò una mano sulla spalla della mamma. «Scopriremo che cosa sta succedendo. Non si preoccupi, signora Stanwright.» «Guarda, Stanly, ho preso un cavallino giocattolo e una manina di gomma appiccicosa. Hai visto?» La manina appiccicosa colpì la fronte di Stanly. «Be’, sì, ho visto.» Miren ridacchiò. «Solleva la mano.» «D’accordo», rispose Stanly, con un sospiro. Miren batté il cinque con la manina di gomma. «Straordinario», commentò Stanly. «Andiamo, voi due. Devo essere al lavoro entro mezzogiorno.» La mamma aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto. «Che cosa c’è?», chiese Stanly mentre uscivano dalla porta principale, sotto una pioggia leggera. «Allaccia la cintura a tua sorella, ok?» Quando poco dopo la lasciarono alla ludoteca, Miren stampò un grosso bacio umido sulla fronte del fratello. «Ciao Stanly, mi spiace averti chiamato Chiappe Secche, non essere arrabbiato con me, d’accordo?» Suo malgrado, Stanly scoppiò a ridere. Miren poteva essere molto fastidiosa, ma era pur sempre la sua sorellina. E poi aveva quell’espressione corrucciata che la faceva somigliare a un cucciolo di scimmia ragno, animale che una volta Stanly aveva visto in un documentario naturalistico. Era il 11


secondo superpotere di sua sorella, impossibile da ignorare. «Va bene, va bene, non sono più arrabbiato con te. Per adesso.» «Un punto per la squadra di Miren!» Sferrò un pugno in aria e corse verso l’ingresso della ludoteca, con la mamma alle calcagna. Tata Francine aveva il sabato libero e Stanly era troppo grande per la ludoteca, così avrebbe trascorso la giornata da Jaxon. Il che era molto meglio che starsene seduto in casa tutto il giorno mentre tata Francine cucinava il cavolo bollito ascoltando canzoni tristi alla radio. La pioggia scendeva a scrosci sul finestrino, deformando il riflesso di Stanly, sempre più allungato e malfermo. Si fermarono a un semaforo e Stanly si accorse che sua madre guardava contrariata il conto della clinica. Aveva gli angoli della bocca piegati in una strana smorfia, e poteva indovinarne la ragione. In fondo al foglio c’era un numero a caratteri rossi cubitali. Non riusciva a vederne la prima parte, ma finiva con tre zeri. L’automobile alle loro spalle suonò il clacson. La mamma infilò di nuovo il conto nella borsetta e premette sull’acceleratore. «Divertiti oggi», disse, una volta arrivati a casa di Jaxon. «Chiama se hai bisogno.» Stanly non rispose. Era troppo impegnato a riflettere sul premio per la Scoperta dell’Anno. Forse si poteva barattare 12


il viaggio con il denaro contante. Era sicuro che 10.000 dollari sarebbero bastati per pagare tutti i medici di cui Miren aveva bisogno, e magari sarebbe rimasto qualcosa anche per una nuova macchina fotografica o un tablet. Così, però, non avrebbe rivisto suo padre. «Tesoro, va tutto bene? Sembri ad anni luce da qui.» «Che cosa? Oh, non è niente, sto bene.» Guardò sua madre, che aveva gli occhi ancora arrossati e gonfi. «È successo qualcosa di brutto oggi in clinica?» Le labbra sottili di sua madre s’incrinarono in un sorriso. «Oh, Stanly, non devi preoccuparti. È solo che…» Le parole le rimasero in gola. «Promettimi che oggi ti divertirai, d’accordo?» «D’accordo, mamma.» Stanly guardò la macchina allontanarsi. Desiderò che sua madre gli dicesse cosa pensava invece di tenere sempre tutto segreto. Si ficcò le mani in tasca, e fu allora che si ricordò della fotografia. La sfilò lentamente, proteggendola con la giacca perché non si bagnasse. Non era più solo una macchia grigia. Erano, senza ombra di dubbio, le ossa di un dito. Che però non indicavano il cielo, come nel momento in cui Stanly aveva scattato la fotografia. Puntavano dritto verso di lui.

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Q

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uando Stanly trova un osso in giardino, non potrebbe essere più felice. È una scoperta sensazionale, che gli farà vincere di sicuro un importante concorso fotografico per giovani archeologi. Certo, trovare un osso in giardino è piuttosto strano. Ancora più strano è il fatto che l’osso cresca e in pochi giorni diventi uno scheletro intero, capace di saltare fuori dal terreno, ballare e fare numeri buffi. Mentre Stanly è dubbioso, la sua sorellina, Miren, è contentissima di avere uno scheletro per amico, e i due diventano presto inseparabili. Soprattutto quando la salute di Miren comincia a peggiorare, e il suo amico speciale è l’unico che riesca a farla stare meglio. Stanly ha paura, e farebbe qualsiasi cosa per allontanarlo dalla sorella, ma lo scheletro è lì per un motivo, e forse è arrivato il momento di comprendere quale.

ISBN 978-88-6966-291-1


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