La prima volta che ho baciato Tommaso Percivale La prima volta che ho detto no Beatrice Masini La prima volta che siamo stati traditi Pierdomenico Baccalario La prima volta che ho viaggiato da sola Giulia Sagramola La prima volta che ho visto il mare Antonio Ferrara La prima volta che ho fumato Francesco D’Adamo La prima volta che ho lasciato una ragazza Alice Basso La prima volta che l’ho riconosciuto Fausto Boccati La prima volta che mi sono sentito ricco Sualzo La prima volta che ci ho provato Zita Dazzi
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a prima vittoria, la prima delusione, il primo tradimento, il primo amore, la prima sfida vera: quali sono le prime volte che ci sono rimaste dentro? Come le abbiamo vissute? Con slancio, con paura, con allegria, con incoscienza? Dieci grandi scrittori italiani e due autori di graphic novel hanno catturato quei momenti che si ricordano per sempre. Nascono così questi dodici racconti, che fanno sorridere, piangere, a volte indignare. Perché la prima volta può essere tutto, può essere immaginata, attesa, desiderata. Oppure arrivare all’improvviso, quando meno la si aspetta. Può essere dolce, entusiasmante, oppure ruvida e perfino crudele. Ma sempre lascia un segno ed è un passo verso nuovi traguardi.
La prima volta che ho fatto blau Fabrizio Silei La prima volta che ho lavorato Annalisa Strada
€ 15,50 isbn 978-88-6966-071-9
www.castoro-on-line.it
Grafica di copertina: PEPE nymi Foto: © Tomas Rodriguez/Corbis
La prima volta che Š 2016 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it ISBN 978-88-6966-071-9
La prima volta che
I ndice La prima volta che ho baciato Tommaso P ercivale
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La prima volta che ho detto no Beatrice Masini
La prima volta che SIAMO STATI TRADITI P ierdomenico Baccalario
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La prima volta che HO VIAGGIATO DA SOLA Giulia S agramola La prima volta che ho VISTO IL MARE Antonio Ferrara La prima volta che ho FUMATO Francesco D,Adamo
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La prima volta che ho lasciato una ragazza . . . . . . . . 125 Alice Basso , La prima volta che l ' h o riconosciuto . . . . . . . . 147 Fausto Boccati La prima volta che MI SONO SENTITO RICCO Sualzo La prima volta che ci ho provato Z ita Dazzi La prima volta che ho fatto blau Fabrizio S ilei La prima volta che ho lavorato Annalisa S trada
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ppena sceso dall’auto gli entrò una manciata di sabbia nella scarpa. In una mano aveva un grosso borsone, nell’altra stringeva il telefono cellulare, più una bottiglietta di crema solare che la madre gli aveva rifilato all’ultimo momento, e il foglio d’iscrizione ficcato dentro la brochure pubblicitaria del Centro Avventura Lupo Grigio. Giacomo si chinò verso il finestrino. «Ci devo proprio andare, pa’? Siamo in tempo a tornare indietro.» «Sole e aria pura, questo ci vuole alla tua età», sentenziò il padre, inspirando profondamente la polvere del parcheggio. «Non vedi che paradiso?» Giacomo si guardò attorno. Nuvole di pini marittimi imbellettavano le colline che abbracciavano il lago. Lo specchio d’acqua brillava come se le onde fossero fatte di glassa argentata e le rive erano un letto di muschio, roccia chiara e una coperta di licheni a scaldare i sassi. Non era male, come posto. Solo, lui non aveva voglia di restarci. In lontananza echeggiava un vociare di ragazzi alle prese con una partita di calcio, o forse (Giac sbirciò la brochure) minigolf. Magari era una scazzottata. «Ma non conosco nessuno…» «Tanto meglio!», tagliò corto il padre. Non si era nemmeno dato la pena di scendere. «Ti farai nuovi amici. E poi ti piace Indiana Jones, no? Eh, qui puoi fare le cose che fa lui, tipo… Cos’è che fa?»
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P ercivale Dio che ignoranza. «L’archeologo. Dubito che qui facciano scavi archeologici.» Il padre fece spallucce. «Va be’, allora farai come l’altro, quello del videogioco…» «Quello fa l’assassino.» «Ecco! Fai come lui. No, cioè… no. Comunque. Non aver paura di farti male, le ferite si rimarginano ma le occasioni non tornano più!» Giac non rispose. Si sentiva indulgente. Non era colpa del padre se non sapeva niente di lui, se non lo capiva. Forse era una questione di generazioni. «Ricordati di venirmi a prendere, almeno.» «Vedremo!» L’uomo lo salutò con un gesto vago della mano, come a impartire una benedizione, e partì sgommando. Il borsone a tracolla di Giac scivolò giù con un tonfo sordo. Di fronte a lui, una palizzata malconcia si apriva ai lati di un grande cancello di legno, incoronato da un tronco spaccato a metà. L’incisione sul legno rugoso annunciava “Centro Avventura Lupo Grigio”. Giacomo superò il cancello alla ricerca di un posto dove presentarsi. Se non altro era rimasto solo, che al momento significava “senza genitori”. Un traguardo ambito da mesi, forse anni. Non sapeva da dove gli venisse, quel desiderio fortissimo di starsene per conto suo. Sapeva solo che stare con sua madre e suo padre (a volte persino con gli amici) ultimamente era una fatica ingestibile. Non sapeva mai cosa dire, fare o pensare. E se diceva, faceva o pensava qualcosa, 10
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non sapeva mai se fosse la cosa giusta. Quando dichiarava ciò che sentiva davvero, quando era onesto, nessuno reagiva nel modo previsto. Era sempre una scommessa, un terno al lotto. Impossibile capire quando tutto fosse iniziato. Da piccolo Giac era un bambino allegro, giocherellone, sempre con la battuta pronta. Un vulcano in eruzione. Poi la lava aveva cominciato a restarsene sul fondo, insieme a rocce e lapilli incerti sul da farsi. Le esplosioni si erano diradate, fino a diventare un evento, e tutte le energie elargite a man bassa “non importa come” erano rimaste laggiù, a ribollire segrete dentro di lui, in attesa di qualcosa che non si sapeva. Giacomo si ritrovò in riva al lago, dove un’insenatura aveva rubacchiato un po’ di terraferma. Alcune boe legate tra loro come perle di una collana arrugginita indicavano che la navigazione, lì, era proibita. In cima a una scogliera spiccava una roccia dalla forma insolita, che ricordava la testa di un lupo con le fauci spalancate. I bungalow erano sparpagliati attorno all’insenatura come briciole cadute da una tovaglia. Ok, eccoci, pensò Giac. Una ventina di canoe in equilibrio sull’acqua giravano su se stesse, dondolando e beccheggiando, mentre gli equipaggi di ragazzi e ragazze pagaiavano come forsennati cercando di controllarle. «Cosa fateee! Dovete pagaiare a tempo! Lo capite cosa vuol dire a tempo? Tutte e due le pagaie insieme! Uuu-nò! Duuu-è! Uuu-nò! Duuu-è!» 11
P ercivale L’istruttore capo Edoardo si sgolava a dare ordini che risuonavano per tutta la baia. Qualcuno gli aveva nascosto il megafono. Giacomo si avvicinò incerto. «Scusi. Salve.» «Ah! Tu devi essere Giacomo! Che fine avevi fatto? Ti aspettavamo la settimana scorsa!» L’istruttore aveva parlato senza cambiare tono, cosicché tutti i vogatori si voltarono a fissare il nuovo arrivato. «Sì, signore. Purtroppo mio padre aveva da fare, così, insomma, sono arrivato adesso.» L’istruttore lo inquadrò con un’occhiata riassuntiva. «Ginocchia a grissino, braccia bianche come le ossa di un morto. Zero cicatrici. Sei una mammoletta anche tu?» Giacomo s’incupì. Cos’era, una commedia di serie B con lo sfigato che cercava di inserirsi al campo (e lo sfigato era lui)? «Nossignore.» «Avrai modo di dimostrarlo», lo interruppe Edoardo, consultando il suo orologio da polso. «Tra trentasette minuti esatti, direi, quando inizierà la lezione di roccia. Ti sei mai arrampicato su una parete rocciosa?» «Sì. No. Effettivamente no.» In quel momento uno dei ragazzi in canoa si rovesciò in acqua e cominciò a boccheggiare chiedendo aiuto. «Quasi quasi lo lascio lì», mormorò Edoardo, prima di precipitarsi in soccorso dell’allievo. Giac si rilassò leggermente.
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«Allora, la grande tradizione di questo Centro è la festa d’estate. A metà del soggiorno organizzano una festa sulla scogliera, vicino alla testa di lupo. Ma è una festa un po’ particolare.» «Cioè?» «Il Centro è a numero chiuso. Venti ragazzi e venti ragazze.» «… Ah.» «Non so se ci capiamo.» Baldo (così si era presentato) scoppiò in una risata, subito seguito dai suoi amici. Rideva a sprazzi, come un’auto senza benzina che si ostina ad avanzare lo stesso. Giac si era accostato al gruppo per chiedere indicazioni sul dormitorio ed era finito in mezzo a una discussione su ragazze, feste e leggende. Soprattutto leggende. Vanni tirò su col naso: «E niente adulti». «Zero», confermò Baldo. «Non che ce ne siano molti, al Lupo Grigio», osservò Kevin, un bel ragazzo di colore con un piccolo orecchino d’oro al lobo destro. «Per dire, la direttrice l’avete mai vista?» «Mai», disse Vanni. «Neanch’io.» «Eppure Edoardo ne parla sempre», intervenne un altro che si faceva chiamare Natto. «Secondo me non esiste», pontificò Kevin. «O magari è morta. L’ha uccisa Edoardo con le sue lezioni di kayak.» Baldo proruppe nella sua risata a singhiozzo, aprendo di nuovo la strada a tutti gli altri. «Scemooo!» 13
P ercivale «Chiediamolo a Brigitta, che viene qui da quand’era mocciosa», suggerì Natto. Gli occhi di Baldo brillarono di malizia. «Non riesco proprio a vedermela, Brigitta, col moccio al naso. Immaginarla senza vestiti invece mi viene benissimo.» Kevin annuì con gravità. «Come a tutti.» Giacomo chiese indicazioni sul dormitorio e poi andò a cercare il suo letto. Non era andato in vacanza per abbordare una ragazza. Non che gli dispiacesse, chiaro. È che non ci aveva pensato. I bungalow erano collegati tra loro da una ragnatela di sentieri di sabbia e ghiaia. Giac raggiunse il primo, su cui campeggiava il cartello: “Refettorio”. Poco più avanti un’altra insegna dichiarava: “Formiche Rosse”. Più sotto, su un foglio di carta appiccicato con lo scotch, qualcuno aveva aggiunto a pennarello: “Vietato l’accesso ai maskietti”. Giac grugnì. Il borsone gli stava segando una spalla e una sensazione di disagio sottile lo attanagliava un po’ più giù, all’altezza dello sterno. Superò il bungalow dei Bisonti Mannari, quindi trovò le Scimmie Lunghe. Il suo posto, secondo il foglio d’iscrizione. Dentro pareva un ospedale, con due file di letti alle pareti e il corridoio centrale. Per essere precisi, un ospedale colpito da un tifone. I letti non erano allineati e sembravano enormi pezzi di domino crollati alla rinfusa. Il resto dell’ambiente era un calderone di vestiti ammucchiati ovunque: per terra, sui materassi, 14
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sulle finestre, persino sulle travi del soffitto. Un odore pastoso aleggiava pesante come una coperta bagnata – un misto di sudore, scarpe da ginnastica, deodorante, jeans non lavati. Il pavimento di legno era velato da un sottile strato di sabbia; camminandoci sopra, le scarpe scrocchiavano come patatine. «Be’? E tu chi saresti?» La voce profonda e roca di un ragazzo aveva appena rotto il silenzio dello stanzone. Giac si bloccò e passò in rassegna i letti con lo sguardo. In quello più lontano da lui, il fagotto delle coperte scolpiva una sagoma a cono da cui facevano capolino due occhi vispi e furbi. «Ah. Ciao. Giacomo. Piacere.» Avanzò fino al ragazzo e allungò il braccio, facendo finalmente cadere il borsone. Dal fagotto spuntò una mano magrolina che strinse quella di Giac. «Io sono Fungo», disse l’altro tossicchiando. «E tu sei quello che mancava.» «Fungo?» «Alberto, ma per tutti Fungo. Non chiedermi perché.» «Ok.» Fungo indicò il letto accanto al suo. «Quello è il tuo. Poi è meglio se esci perché io sono malato e contagioso.» «Davvero?», domandò Giac, lanciando la sua roba sull’unico materasso intonso della camerata. Fungo strinse gli occhi fino a farli diventare due fessure: «Perché?». 15
La prima volta che ho baciato Tommaso Percivale La prima volta che ho detto no Beatrice Masini La prima volta che siamo stati traditi Pierdomenico Baccalario La prima volta che ho viaggiato da sola Giulia Sagramola La prima volta che ho visto il mare Antonio Ferrara La prima volta che ho fumato Francesco D’Adamo La prima volta che ho lasciato una ragazza Alice Basso La prima volta che l’ho riconosciuto Fausto Boccati La prima volta che mi sono sentito ricco Sualzo La prima volta che ci ho provato Zita Dazzi
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a prima vittoria, la prima delusione, il primo tradimento, il primo amore, la prima sfida vera: quali sono le prime volte che ci sono rimaste dentro? Come le abbiamo vissute? Con slancio, con paura, con allegria, con incoscienza? Dieci grandi scrittori italiani e due autori di graphic novel hanno catturato quei momenti che si ricordano per sempre. Nascono così questi dodici racconti, che fanno sorridere, piangere, a volte indignare. Perché la prima volta può essere tutto, può essere immaginata, attesa, desiderata. Oppure arrivare all’improvviso, quando meno la si aspetta. Può essere dolce, entusiasmante, oppure ruvida e perfino crudele. Ma sempre lascia un segno ed è un passo verso nuovi traguardi.
La prima volta che ho fatto blau Fabrizio Silei La prima volta che ho lavorato Annalisa Strada
€ 15,50 isbn 978-88-6966-071-9
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Grafica di copertina: PEPE nymi Foto: © Tomas Rodriguez/Corbis