CLIVE GODDARD
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ESPLORATORE PASTICCIONE TOR
Ai miei intrepidi giovani esploratori, Jessica e Dylan, che sono arrivati fino in Australia! Grazie ai miei temerari collaudatori, Laura, Sean e Madz. Grazie a Jill per avermi fatto entrare dalla porta di servizio e ad Amy per avermi insegnato a parlare americano come si deve.
Martin Frolly. Esploratore pasticcione di Clive Goddard Traduzione di Laura Bortoluzzi © 2018 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Grafica di copertina PEPE nymi
Prima edizione © 2013 Editrice Il Castoro Srl Titolo originale: Fintan Fedora. The World’s Worst Explorer Pubblicato per la prima volta nel 2011 da Scholastic Children’s Books, una divisione di Scholastic Ltd Copyright testo © 2011 Clive Goddard ISBN 978-88-6966-296-6
CLIVE GODDARD
MARTIN FROLLY ESPLORATORE PASTICCIONE
PROLOGO Per molti versi, Martin Frolly era nato con la camicia. Era socievole, veniva da una famiglia ricca, aveva una bella casa ed era l’unico ragazzo della sua scuola con un maggiordomo personale e una fornitura illimitata di torte e biscotti. Per altri versi, invece, Martin era meno fortunato. Era un pericolo ambulante. Era spaventosamente goffo, un vero passaguai. Aveva anche un pessimo senso dell’orientamento e, a voler dirla tutta, non era proprio una cima. Una volta suo padre aveva detto che aveva il cervello di un calzino bagnato – un calzino bagnato vecchio e sdrucito per giunta. Martin non aveva niente in comune con il fratello e la sorella maggiori, che sembravano riuscire bene in tutto quello che facevano. Era proprio diverso da loro. La parola più gentile da usare per descrivere l’infanzia di Martin potrebbe essere “interessante”. La più gentile, ma probabilmente non la più sincera. “Disastrosa” andrebbe meglio. Il suo asilo era stato costretto a chiude1
re poco dopo il suo arrivo, quando non si sa bene come era riuscito a riempirlo di vespe. Nessuno ha mai capito come avesse fatto, ma c’erano di mezzo molti barattoli di marmellata e una grossa pistola ad acqua. Poi era stato cacciato da altre due scuole dopo spiacevoli incidenti che avevano a che fare con una palestra allagata e il crollo di qualche soffitto. A dodici anni era stato bocciato a tutti gli esami. Non perché non avesse studiato, ma perché non era mai riuscito a trovare l’aula in cui si tenevano. All’ultimo tentativo era finito nella cucina della scuola ed era rimasto chiuso per sbaglio in una dispensa per tutto il fine settimana. Se non ci avesse pensato Gribley, il maggiordomo di casa, a tenere d’occhio Martin per tutti quegli anni, le cose sarebbero potute andare anche peggio. Era stato Gribley a disfarsi della bomba inesplosa che Martin aveva trovato in un campo e portato a casa per mostrarla alla madre. Era stato Gribley a riportare in gabbia tutte le tigri dopo quella terribile giornata allo zoo. Era stato solo grazie a Gribley, che l’aveva salvato da tanti ma tanti disastri, se Martin era sopravvissuto fino all’età di quattordici anni. Per farla breve, Martin gli dava un gran bel daffare.
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UNO Faceva un caldo insopportabile. L’aria pullulava di piccoli insetti urticanti, che si intrufolavano nelle orecchie e su per il naso di Martin. Il sudore gli colava sulla schiena e sulle gambe e gli infradiciava i calzettoni di lana pesante fatti apposta per la giungla. Martin boccheggiava, menando colpi a destra e a manca per farsi strada fra la vegetazione, mentre le spine delle piante esotiche gli graffiavano il volto. «Non ci siamo, non riesco ad andare avanti!», gridava, appoggiandosi al tronco muschioso di un albero e asciugandosi la fronte. «Non la troveremo mai in questo sottobosco. È inutile!» «Temo che abbia ragione, signore», gli giunse placida e assennata la voce di Gribley. «Forse sarebbe più facile comprare un’altra palla da cricket.» Martin si tolse il cappello a falde larghe e si sventagliò. «Credo anch’io, Gribley», disse sospirando, «ma questo significa che il nostro gioco finisce prima del previsto… e fra l’altro toccava a me battere!». 3
Mentre riemergeva dal sottobosco nel bel prato lindo, sua madre lo vide dalla finestra del salotto. «Martin!», urlò, con una voce che avrebbe potuto incrinare gli specchi e spaventare i cani nel raggio di cento metri. «Cosa caspita pensi di fare fra i miei arbusti? Ti prego di smetterla di calpestare i miei rododendri con quei tuoi stupidi stivaloni!» Martin fece una faccia un po’ scocciata, si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e senza farci caso diede un calcio a un ramo coperto di spine che gli era rimasto impigliato a un calzettone. «E poi tuo padre vuole dirti due parole», concluse la madre, chiudendo la finestra e tornando a concentrarsi sulla sua collezione di cactus. Suo padre voleva dirgli due parole? Non succedeva molto spesso. In effetti, a parte il grugnito con cui di tanto in tanto a colazione gli dava il “buongiorno” da dietro il giornale, era proprio raro che suo padre gli parlasse! Martin si chiedeva cosa avesse fatto di male. Di certo distruggere uno o due rododendri con una mazza da cricket non era così grave da meritare un severo faccia a faccia. Non prometteva nulla di buono. La sorella maggiore di Martin, Meringue, e suo fratello maggiore, Muffin, erano spaparanzati sulle sdraio nel prato. Niente li divertiva di più che burlarsi del loro fratellino passaguai e questa sembrava un’occasione perfetta. 4
«Oh, cielo! Sembra che l’idiota sia di nuovo nei pasticci!», disse Meringue a voce alta per prenderlo in giro. «Mi chiedo cos’ha rotto stavolta.» Muffin scoppiò a ridere e rovesciò un po’ della sua bibita. «Ha fatto di nuovo il monello, vero? Ha fatto arrabbiare papà?» Al pensiero i due risero così forte da farsi venire le lacrime agli occhi e uscire la limonata dal naso. Martin fece del suo meglio per ignorarli. Erano anni che cercava di ignorarli. Gribley diede un garbato colpo di tosse. «Forse dovrebbe andare a sentire cosa vuole suo padre, signore», gli suggerì. «E prima sarebbe meglio che si andasse a lavare faccia e mani. Penserò io a mettere a posto l’attrezzatura da cricket.» Dopo una sciacquata veloce al lavandino, un Martin leggermente meno sporco d’erba bussò alla porta dello studio del padre. «Avanti», disse una voce severa da dentro. Martin tirò forte la maniglia ma non riuscì ad aprire la porta. Le diede un bello strattone, seguito da una serie di brevi colpi sbatacchianti, che ebbero l’unico effetto di produrre un fastidioso rumore. «Spingi, stupido!», disse il padre, con un tono già esasperato. Martin spinse con troppa forza. Ruzzolò nella 5
stanza come un ubriaco sui pattini, inciampò nel tappeto e andò a sbattere la testa contro una libreria. «Scusa, papà!», disse, rimettendosi in piedi non senza difficoltà e raccogliendo qualche libro da terra. «Non mi ricordo mai se devo tirare o spingere e…» «Va bene, va bene», lo interruppe il padre, che già non aveva più voglia di starlo a sentire. «Siediti, ragazzo, devo parlarti.» Il padre di Martin, Sir Mortimer Frolly, era un personaggio incredibile. Era un omone dall’aria antiquata, con la faccia rubiconda e un paio di baffi grigi grandi quanto un grosso scoiattolo. Aveva fatto fortuna con le torte. Per la precisione, era il fondatore e direttore generale della Frolly Dolci & Co. - Fornitori di Torte e Biscotti di Alta Pasticceria. Appeso al pannello di mogano alle sue spalle c’era un gigantesco ritratto di lui con in mano un magnifico vassoio di torte al limone. Martin si sedette sulla scricchiolante poltrona di cuoio rosso indicatagli dal padre e lo sbirciò con ansia dietro l’enorme scrivania. Sir Mortimer tossì con la mano davanti alla bocca per prepararsi a dire una cosa che lo metteva un po’ in imbarazzo. «Come sai, non sono più giovane come un tempo…» «Beh, certo che no, babbo! Nessuno ringiovanisce, giusto? Sarebbe impossi…» «Non mi interrompere, per favore!», sbottò il padre. 6
«Ascolta e basta! Sto arrivando a un’età in cui comincio a pensare alla pensione. Gestire la Frolly Dolci & Co. è un lavoro troppo faticoso alla mia età, ed è per questo che ho bisogno di farti un discorsetto…» Martin sollevò le sopracciglia. Sapeva dove voleva andare a parare. «Non preoccuparti, babbo!», annunciò sicuro di sé. «L’azienda sarà al sicuro nelle mie mani. Puoi fidarti di me!» Sir Mortimer tossì di nuovo, si alzò in piedi e si mise a camminare per la stanza con le mani dietro la schiena. «Temo che tu abbia frainteso, Martin… il problema è che non possiamo fidarci di te.» Martin ci rimase male e fece un’espressione simile a quella di un cucciolo che è stato appena sgridato per aver fatto la pipì sul tappeto. «Mi spiace, figliolo, ma tua madre e io ne abbiamo parlato e pensiamo che una volta finita la scuola, le tue capacità siano più adatte a… ehm… be’… altri settori. Attività ludiche, per esempio. Sono certo che tuo fratello e tua sorella sapranno gestire gli affari benissimo anche senza di te.» Quest’ultima parte non fu una sorpresa per Martin. Quei santerellini dei suoi fratelli, Meringue e Muffin, non potevano certo fallire! Erano sempre stati più popolari, più bravi e… be’… più tutto! Era terribile! Era scorretto! Era un’ingiustizia! 7
«Ma sì che puoi fidarti di me!», protestò. «Sarei bravissimo a gestire l’azienda!» Suo padre si fermò e gli rivolse uno sguardo arcigno. «Ah, sì?», disse, guardando Martin dritto negli occhioni da cucciolo. «Possiamo fidarci di te? Ma davvero? E che mi dici di quella volta che ti abbiamo comprato il criceto?» «Non è stata colpa mia!», disse Martin con voce supplichevole. «Ci è finito da solo nell’aspirapolvere!» «Forse sì, ma non dovevi cercare di tirarlo fuori mettendolo in funzione! Ci è voluta quasi una settimana per pulire quel disastro! E quella volta che ci siamo fidati di te e ti abbiamo lasciato organizzare il barbecue? Tua madre è andata su tutte le furie quando sono arrivati quei tre camion dei pompieri! Hanno rovinato il prato!» Martin fece una faccia da cane bastonato. «Neanche quella volta è stata colpa mia! Come facevo a sapere che il secchio rosso conteneva della benzina?» Sir Mortimer alzò una mano, come a dire che era inutile discutere. «Basta!», disse. «Ho deciso, mi spiace. Scusami, figliolo. Dovrai trovarti qualcos’altro da fare per il futuro.» Martin tornò in camera sua e si sedette sul letto sconfortato e fumante di rabbia. Avrebbe dimostrato a suo padre che non era un buono a nulla!
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DUE Nel frattempo, a circa sessanta chilometri a sud e un pochino a sinistra rispetto a Villa Frolly, la signora Edith Bumstead stava preparando il tè per Eric, il suo orrendo, brufoloso figlio sovrappeso. Senza far caso alla cenere di sigaretta che stava facendo cadere nella pentola dei fagioli stufati con salsa di pomodoro, raschiò il contenuto bruciato e annerito e lo rovesciò su una fetta di pane raffermo. «Pane e fagioli?», disse Eric, indignato. «Non si può avere almeno del pane tostato? Questo è pane e basta! È come… ehm… pane crudo!» Sua madre tirò il mozzicone marrone puzzolente nella gigantesca pila di panni da lavare e si pulì le mani sul cardigan. «Non è colpa mia se il tostapane si è rotto. Ha smesso di funzionare da quando ci hai messo dentro quell’hamburger!», urlò lei. Eric non le badò e fece un’espressione da stupido, che gli veniva molto facile con la faccia che si ritrovava. «Ma 9
io sono arcistufo dei fagioli, mamma! Perché non possiamo mangiare del cibo decente?» La signora Bumstead si sedette al tavolo di fianco al figlio e assunse un tono triste e un’espressione che andava di pari passo. «Perché non abbiamo abbastanza soldi, Eric. Le cose sono difficili da quando è morto tuo padre, che Dio lo protegga…» «Mamma, non è morto!», gridò Eric. «È in prigione! Sono anni che lo so, quindi puoi anche smettere di fare la commedia!» «Tanto sei già abbastanza grasso!», sbraitò la signora Bumstead, cambiando argomento più in fretta possibile. «Passi tutto il tempo sdraiato sul divano a guardare la Tv. Se ti prendessi la briga di uscire di casa e cercarti un lavoro, forse potremmo permetterci qualcosa di meglio da mangiare!» Eric aveva da poco lasciato la scuola senza titoli, né prospettive, né amici. L’unica cosa che aveva da mostrare di tutti i suoi anni di istruzione era una grossa scatola di gessetti che aveva rubato dall’armadio della cancelleria e qualche maxi latta di fagioli sottratta dalla cucina della scuola. Da allora non aveva lavorato nemmeno un giorno. Sua madre gli mise il giornale sotto il naso, aperto alla pagina degli annunci di lavoro. L’attenzione di Eric, però, fu attirata dalla grande foto sulla pagina a fianco. Sotto 10
il titolo Magnate milionario delle torte va in pensione c’era la foto a colori di Sir Mortimer Frolly e un lungo articolo sulla sua vita e il suo florido impero. Fu la parola “milionario” a catturare l’attenzione di Eric. Scorse avidamente i paragrafi con il dito, borbottando le parole a voce alta. A quanto pareva, la famiglia Frolly era una delle più ricche d’Inghilterra! E c’era anche un figlio quattordicenne che era l’obiettivo perfetto per un rapimento! Un grande sorriso gli si allargò sulla faccia grassa e sporca di salsa. «Ho appena avuto un’idea fantastica!», proclamò.
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l giovane Martin Frolly, rampollo di una famiglia di industriali di dolci, è così imbranato che i suoi genitori hanno dovuto affibbiargli un maggiordomo per controllarlo. Un giorno però Martin scopre l’esistenza della “cioccoprugna”, il frutto più buono e più dolce del mondo, ed è la svolta: decide di partire per l’Amazzonia a cercarlo. Dimostrerà a tutti il suo valore! Ma la cioccoprugna fa gola anche ad altri, e c’è perfino chi lo insegue per rapirlo e chiedere un lauto riscatto. Meno male che la fortuna aiuta gli audaci... e a volte anche gli imbranati. Disastro dopo disastro, e risata dopo risata, le avventure di Martin avranno esiti imprevedibili!
PREPARATEVI A RIDERE. QUESTO LIBRO È IL GRIDO DI RISCOSSA DI TUTTI I MALDESTRI, PASTICCIONI E SVAMPITI!!! CLIVE GODDARD ha lavorato per tanto tempo come illustratore per ragaz-
zi. Martin Frolly è il suo primo libro come autore, a cui ne sono seguiti molti altri. Quando non viaggia, non disegna o non scrive, Clive vive a Oxford, dove va in bici, gioca a badminton e si dedica a lunghe sessioni di sonno.
€ 8,90 ISBN 978-88-6966-296-6
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