Penelope Pepperwood

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Kate Beasley


Kate Beasley L’unica e inimitabile Penelope Pepperwood Illustrazioni di Jillian Tamaki Traduzione di Mara Pace © 2017 Editrice Il Castoro viale Andrea Doria 7, 20124 Milano info@castoro-on-line.it www.castoro-on-line.it Titolo originale: Gertie’s Leap to Greatness Pubblicato per la prima volta da Farrar Straus Giroux Books for Young Readers © 2016 Kate Beasley illustrazioni © 2016 Jillian Tamaki Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-6966-244-7


Kate Beasley

Illustrazioni di Jillian Tamaki

Traduzione di Mara Pace



1. Un mostro della scienza La rana toro era morta solo per metà, il che era perfetto. Si era rintanata al buio, nella galleria di drenaggio sotto il vialetto di casa, e stava fissando Penelope Pepperwood con un tragico luccichio negli occhi, come se già sapesse che il volto di quella bambina era l’ultima cosa bella che avrebbe visto in vita sua. Penelope infilò la testa e le spalle nella galleria e afferrò la rana. Le sue zampe grasse le penzolavano tra le dita. Corse verso casa e aprì la porta della cucina spingendola con la schiena. Mentre appoggiava la rana sul ripiano, spalancò il cassetto con tutti gli utensili da cucina più strani e interessanti. Rovistò tra le grattugie per il formaggio, i cavatappi e le pinze, alzando lo sguardo in continuazione per controllare che la rana non si fosse mossa o, peggio, che fosse morta. 1


«Che cosa succede lì dentro?», gridò zia Rae dal soggiorno. «Niente!» Penelope afferrò una pipetta dosatrice. Infilò il dito indice tra le labbra della rana – sempre che si possano chiamare labbra –, lo scosse leggermente e inserì la strumento nella bocca dell’animale. Poi schiacciò il palloncino blu della pipetta per ridare ossigeno ai polmoni del piccolo anfibio. Quella boccata d’aria lo risvegliò in fretta, forse perché era meno morto di quanto aveva sperato Penelope, visto che balzò subito verso il bordo del ripiano. Penelope scattò in avanti e bloccò la rana sotto le mani a coppa. «Ecco fatto», disse. «Adesso sei al sicuro.» Sbirciò tra le dita e la rana ricambiò lo sguardo, con i bulbi oculari che tremolavano di gratitudine. O forse tremolavano di rabbia. Era difficile dirlo. Strinse le mani attorno al corpo della rana, voltò le spalle al ripiano della cucina e si scontrò con uno stomaco soffice e floreale. «Ehi», disse zia Rae. Quando si accorse della rana, sgranò gli occhi. «Che cosa caspiterina stai facendo?» «L’ho resuscitata.» Penelope si strinse la rana al petto. Zia Rae si spostò davanti alla presa di ventilazione sotto il mobile e la veste da casa le si gonfiò attorno alle gambe. «Tu… che cosa?»

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«Resuscitata», disse Penelope. «Vuol dire che l’ho riportata in vita.» «So che cosa vuol dire.» Zia Rae spostava il peso da un piede all’altro. «Ma perché hai resuscitato una rana toro, così brutta e vecchia? È questo che mi sfugge.» Penelope sospirò. Trascorreva molto tempo a spiegare cose ovvie. «L’ho fatto perché così sarebbe diventata un miracolo della scienza», disse. «Uh.» Zia Rae guardò di nuovo la rana, arricciando il naso. «A me sembra più che altro un mostro della scienza.» Penelope sussultò. «Oh cavolo.» «Che cosa?» «Zia Rae, suona ancora meglio, detto così!» Il mostro della scienza si agitò tra le mani di Penelope e lei cercò di stringerlo più forte, ma non tanto forte da fargli schizzare gli occhi fuori dalle orbite: non voleva che cadessero sul pavimento. «Devo portarlo nella sua scatola, zia Rae», disse Penelope, «non vorrai che gli cadano gli occhi sul pavimento! Poi ci toccherebbe rimetterli a posto». «Perché mai dovremmo…», cominciò a dire zia Rae. «Oh cavolo! Non posso spiegarti ogni singolo particolare!» «Va bene, va bene.» Zia Rae si sistemò la gonna. «Quando hai finito, però, devi pulire il mio ripiano con la candeggina. Sono stata chiara?»

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Penelope prese una scatola da scarpe e vi posò la rana e qualche foglia umida dall’aspetto grazioso. Poi chiuse il coperchio con un elastico e uscì sotto il portico. Dalle travi del soffitto pendeva lo Zapper-2000, una lampada insetticida abbastanza grande da friggere dei cuccioli di drago. La Fase Uno della missione era partita alla grande. Penelope aveva sempre una missione in corso e non aveva mai fallito. Non era la più veloce, la più intelligente e nemmeno la più alta, ma questo non contava, perché quello che rendeva Penelope una forza della natura era il fatto che non si arrendeva mai. Assolutamente mai. Suo padre diceva che era come un bulldog con le fauci serrate attorno alla ruota di una macchina. Penelope stava pensando di stamparselo sui biglietti da visita da distribuire in giro. Si accovacciò sotto il raggio di luce blu fluorescente dello Zapper-2000 e raccolse una manciata di zanzare morte dal pavimento. Mentre era impegnata in questa attività, le cicale e i grilli cominciarono a frinire il loro canto notturno. Penelope si alzò e guardò l’ultimo tramonto delle vacanze estive. Con quelle gustose zanzare, di sicuro il giorno dopo la rana toro sarebbe stata bella grassa e gracidante. Con una rana toro grassa e gracidante, Penelope era sicura che il suo discorso estivo sarebbe stato il più bello di tutta la scuola

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elementare Carroll. Strinse le dita dei piedi attorno al bordo del pavimento di legno del portico. Lei, Penelope Pepperwood, sarebbe stata la migliore alunna di quinta elementare della scuola, del mondo e dell’universo! E quella era solo la Fase Uno.

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2. Sei seduta al mio posto Penelope aveva una ragione per voler diventare la migliore alunna di quinta elementare del mondo. Due giorni prima di resuscitare la rana toro, era successo qualcosa di grosso. Aveva visto un cartello. Non un cartello stradale per andare chissà dove, né il cartellino di un arbitro per punire i falli. No. Penelope aveva visto il cartello dell’agenzia immobiliare Sunshine. Il cartello era davanti alla casa dove abitava sua madre e c’era scritto Vendesi - Agenzia immobiliare Sunshine. Il cartello era la ragione per la quale Penelope aveva intrapreso la sua missione più ambiziosa fino a quel momento. La ragione per la quale, quando si era svegliata il primo giorno di scuola, era schizzata fuori dal letto, era corsa in bagno e si era spazzolata i denti davanti allo specchio, producendo molta più schiuma del solito. 6


Si guardò. Aveva capelli castani, che teneva raccolti in una coda alta per far andare il sangue al cervello, perché così le venivano un sacco di idee. Aveva anche un naso piuttosto grosso e il mento appuntito. Aveva lentiggini sul viso e i gomiti a metà delle braccia. Era semplicemente se stessa, come sempre. Puntò lo spazzolino verso il riflesso nello specchio. «Questo è il tuo momento», disse, pulendosi via la barba di schiuma dal mento. Una volta in camera, s’infilò i pantaloncini, la sua maglietta blu preferita e i sandali scontati al venticinque per cento che le aveva comprato zia Rae. Poi si mise al collo un medaglione d’oro. Lo lasciò cadere sopra la maglietta e prese la scatola da scarpe, soppesandola con piacere. Nulla, decise, era più rassicurante del peso di una graziosa rana toro in perfetta salute. Quando Penelope entrò in cucina a passo di marcia, zia Rae le porse un fagottino alla crema e Penelope lo afferrò al volo con la mano libera. Oltrepassò la porta a zanzariera e poi si fermò, inclinando leggermente il capo. «Falli fuori, campionessa!», le gridò zia Rae. Penelope fece il saluto militare picchiandosi il fagottino sul sopracciglio e lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle, sbattendo contro lo stipite. 7


Una volta salita sull’autobus, Penelope si sedette accanto a uno dei suoi due migliori amici. Si chiamava Junior Parks. Junior era molto nervoso e, a furia di agitarsi, bruciava tantissime calorie e infatti era il più smilzo della classe. Era così magro che qualcuno aveva sparso la voce che avesse i vermi, ma non era affatto vero, e se anche lo fosse stato Penelope sarebbe rimasta sua amica, perché i vermi non le facevano schifo. Junior probabilmente era nervoso per via del nome. Il suo nome non era Mitchell Parks Junior o Benji Parks Junior. Suo padre si chiamava Junior Parks. Così Junior si chiamava Junior Parks Junior. Si presentava sempre come Junior Parks Secondo, ma tutti continuavano a chiamarlo Junior Junior. «Che cosa c’è nella scatola?», domandò, non appena Penelope si fu seduta. Junior in questo era una certezza: notava sempre anche i più piccoli dettagli. Per lui ogni novità rappresentava una minaccia. In quel momento, per esempio, forse temeva che nella scatola ci fosse qualcosa di orribile, come una mano mozzata o un ratto morto o un regalino per tutta la classe lui escluso. Penelope si sistemò in grembo la scatola da scarpe e batté la mano sul coperchio. «Aspetta e vedrai.» Cominciò a piluccare la sua merendina. Pensavano tutti che i fagottini

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avessero un semplice ripieno alla crema, ma Penelope sentiva sempre anche una leggera punta di limone. Junior si tormentava il labbro. Penelope si arrese. Solo per metà. «È per il mio discorso estivo.» Junior sbarrò gli occhi, sferrando un calcio al sedile davanti a sé. «Mi sono dimenticato del discorso estivo», disse con voce soffocata. «Come hai fatto a dimenticarti di una cosa tanto importante?», domandò Penelope. La mattina del primo giorno di scuola, in tutte le classi della Carroll, si tenevano i discorsi estivi. Ciascun alunno doveva mettersi in piedi davanti alla classe e raccontare l’episodio più interessante che gli era capitato durante le vacanze. Gli insegnanti dicevano che non era una gara, ma non ci credeva nessuno. In prima elementare Penelope non sapeva ancora nulla dei discorsi, quindi non si era preparata. Aveva incespicato un po’, cercando di inventarsi qualcosa di elettrizzante all’ultimo minuto. In seconda, aveva analizzato con attenzione l’estate e aveva scelto quello che era senza dubbio l’episodio più interessante: il giorno in cui si era mangiata quindici ostriche senza vomitare. Ma quell’anno Roy Caldwell si era arrampicato su un noce americano e si era rifiutato di scendere

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per due giorni interi, e lo aveva fatto soltanto per avere la storia più bella di tutta la classe. In terza, Penelope era sicura di vincere: aveva deciso di raccontare che cosa era successo sulla piattaforma petrolifera dove lavorava suo padre. Era una vera cannonata, come discorso estivo. Non era importante che cosa dicevi, ma come lo dicevi. Una cosa era spiegare che tuo padre lavorava su una piattaforma petrolifera. Ben diverso era raccontare che un giorno era scattato l’allarme perché c’era una pompa sotto pressione e allora tutti erano saltati nel mare pieno di squali e anguille. Sfortunatamente quell’estate avevano tolto l’appendice a Ella Jenkins: aveva una cicatrice viola tutta bitorzoluta a dimostrarlo. Penelope non voleva nemmeno pensarci, ai discorsi di quarta elementare, quando Leo Riggs si era rasato il sopracciglio sinistro. Ma quest’anno era l’anno di Penelope. Doveva esserlo. Si leccò via dalle dita le ultime briciole gialle e cremose del fagottino mentre l’autobus svoltava in Jones Street. Penelope si protese in avanti, scivolando sul bordo del sedile. In quella via, le case sembravano tutte speciali. La casa di zia Rae aveva i muri scrostati e le cornici delle porte un po’ sbilenche. Le ville di Jones Street, invece, avevano file

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di mattoni belle ordinate, colonne eleganti e batacchi di ottone che luccicavano sui portoni d’ingresso. Ma non era questo l’elemento più interessante di Jones Street. L’elemento più interessante di Jones Street era che ci abitava sua madre. Si chiamava Rachel Collins. Quando Penelope era ancora molto piccola, Rachel si era trasferita in una casa di Jones Street. Alle spalle si era lasciata soltanto il medaglione, il padre di Penelope e Penelope. Il padre di Penelope, Frank Pepperwood, diceva che Rachel Collins se n’era andata perché non era felice e doveva scoprire se poteva esserlo altrove. A Penelope non sembrava granché come motivo. Dopotutto, anche lei a volte non era felice di andare a scuola, ma ci andava lo stesso. E non era molto felice di andare in chiesa, ma zia Rae ce la portava sempre. E spesso non era felice con zia Rae, soprattutto quando le impediva di stare alzata fino a tardi o di andare al supermercato in pigiama. Eppure non aveva mai pensato di abbandonarla. Suo padre le aveva spiegato che Rachel Collins era infelice in un modo diverso. Per lei stare con loro era come indossare un paio di scarpe troppo strette. Puoi zoppicare per un po’, ma i piedi ti fanno sempre più male e alla fine capisci che basta solo un altro passo perché ti si stacchino le dita dei piedi.

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Penelope aveva replicato che un sacco di gente viveva bene anche senza le dita dei piedi. Ma quello che pensava Penelope non contava, perché Rachel era uscita dalla vita di Frank e Penelope ed era entrata nella casa più casa di tutte, in Jones Street, con un grande pioppo che cresceva nel giardino e, da qualche giorno, anche il cartello dell’agenzia immobiliare Sunshine, ben piantato nell’erba tagliata. Sul cartello c’era ancora scritto Vendesi. Penelope sospirò e si lasciò andare contro lo schienale. La casa di Rachel Collins era in vendita perché sua madre stava per trasferirsi: presto si sarebbe sposata con un uomo che si chiamava Walter e che viveva a Mobile con la sua famiglia. In città ne parlavano tutti. Scoprire che tua madre ha intenzione di sposare uno sconosciuto chiamato Walter e di andarsene per sempre dalla città senza nemmeno avvisarti, avrebbe sconvolto qualsiasi altro bambino, ma Penelope non era come qualsiasi altro bambino. Non era affatto sconvolta, perché lei aveva un piano. Più di un piano. Aveva una missione. Si sfiorò la maglietta, perché il medaglione la aiutasse a ricordare le prossime mosse. Dopo aver pronunciato il miglior discorso estivo e aver reclamato la sua legittima posizione di miglior alunna di quinta elementare del mon-

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do, avrebbe lanciato la Fase Due. Doveva riportare il medaglione a sua madre. Si sarebbe presentata sotto il portico della casa di Jones Street e, sprizzando bravura da tutti i pori, avrebbe fatto oscillare il medaglione davanti agli occhi di sua madre e avrebbe detto, decisa come un vento impetuoso: Non vorrai scordarti di mettere anche questo nei tuoi scatoloni? E così Rachel Collins avrebbe scoperto che Penelope Pepperwood era al cento per cento autentica e incredibile, e che non aveva bisogno di nessuna mamma. Ecco. Penelope batté la mano sulla scatola da scarpe. «È una rana toro», disse a Junior, abbastanza sottovoce perché gli altri non potessero sentirla. «Wow.» Junior sembrava ancora più disperato. «Scommetto che il tuo discorso andrà alla grande.» Junior non era bravo nei discorsi. Era così nervoso che cominciava a scalciare qui e là, e finiva per ribaltare i banchi o lasciare qualche livido sulle caviglie altrui. Penelope al contrario era bravissima a parlare in pubblico, perché si esercitava sempre davanti allo specchio del bagno. «Sarà il più bello di tutti», promise. Mentre raggiungevano la loro nuova aula, Penelope cercò di non coprire i buchi della scatola con le dita. Superò gli altri studenti chiassosi e sistemò la sua sca-

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tola da scarpe su un banco in prima fila. Junior appoggiò lo zaino sulla sedia accanto a lei, continuando a muovere le braccia avanti e indietro, anche se non stava più camminando. I compagni di classe di Penelope stavano scegliendo i posti, salutavano gli amici che non avevano visto per tutta l’estate e sistemavano le loro matite e penne nuove nei rispettivi scaffali in fondo all’aula. Jean Zeller aveva appena finito di usare il temperino elettrico della classe. Jean, insieme a Junior, era la migliore amica di Penelope, ed era la persona più intelligente che Penelope avesse mai conosciuto. Parecchio tempo prima, Roy Caldwell e i suoi amici l’avevano soprannominata Je-nio per prenderla in giro, ma a Jean il soprannome era piaciuto così tanto che aveva cominciato a firmarsi così quando consegnava i compiti in classe. Jean, mentre camminava verso Penelope e Junior, scosse via i trucioli dalle punte affilate e perfette delle sue matite. «Sono tutte numero due», disse Jean, mostrandole agli amici. «Sono stata attenta che fossero tutte rigorosamente numero due. Le vostre di che tipo sono?» Socchiuse gli occhi, guardando il banco vuoto di Junior. «Mmm.» Junior aprì lo zaino e sbirciò dentro. «Gialle?» Jean alzò gli occhi al cielo. «Non importa, ne ho abbastanza anche per voi.»

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Jean occupò l’ultimo posto libero in prima fila, accanto a Penelope. Penelope era al sicuro tra i suoi due migliori amici, aveva una matita nuova ed era convinta che avrebbe concluso la missione in tempo record, quando qualcuno le tamburellò un dito sulla nuca. «Sei seduta al mio posto.»

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enelope Pepperwood ha un’idea ambiziosa: vuole diventare la bambina di quinta elementare più

brava del mondo! Così potrà dimostrare alla mamma cosa si è persa, quando ha abbandonato lei e papà. Per far sì che ciò accada deve solo: preparare il miglior discorso estivo della sua classe (dopo aver salvato una rana zombie); diventare una studentessa modello; ottenere il ruolo da protagonista nello spettacolo teatrale di fine anno. C’è un unico problema: la sua nuova compagna di classe Mary Sue Spivey, ricca, gentile e (quasi) famosa, vuole esattamente la stessa cosa! Ma Penelope non ha mai e poi mai fallito una missione. Non importa se non è la più veloce, o la più intelligente, o la più alta, perché ciò che fa di Penelope una vera forza della natura è che non si perde mai d’animo!

Illustrazioni di Jillian Tamaki Kate Beasley ha ottenuto un master in scrittura per ragazzi al Vermont College of Fine Arts. Vive con la sua famiglia a Calxton, in Georgia, insieme a due cani, un pappagallo, molte mucche, e un gatto di nome Edgar. Questo è il suo primo romanzo.

€ 13,00

ISBN 978-88-6966-244-7

www.castoro-on-line.it


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