Piccola Peg va in città

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Piccola Peg va in città Alessandro Gatti Illustrazioni di Giulia Sagramola Š2013 Editrice Il Castoro viale Abruzzi 72 - 20131 - Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Colorazione immagini Giulia Sagramola ed Emanuele Racca ISBN 978-88-8033-682-2



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1. Partire?

G

li occhi si aprirono, come se fossero stati quelli di un robot. Tac! Un secondo prima Piccola Peg dormiva e ora stava già fissando il soffitto giallino, con tutte quelle strane striature che la luce tra le persiane ci disegnava sopra. Di solito, prima di alzarsi, le piaceva starsene sotto le coperte a stiracchiarsi un po’, ma quella mattina no. Proprio no. Guardò la vecchia sveglia dalle grandi orecchie di latta sul comodino. Erano le sette meno un quarto. Non è che Piccola Peg si svegliasse sempre così presto. Il fatto è che quelli erano stati giorni un po’ speciali, per lei. Come dire… giorni un po’ sottosopra. Così scostò le coperte, balzò giù dal letto e, infilati i piedi nelle sue ciabattone a scacchi, corse fuori dalla stanza. 5


La stanza del nonno era in fondo al corridoio. Piccola Peg ne attraversò di corsa metà e poi inchiodò bruscamente i piedi a terra, allargando le braccia per assumere una posizione da campione californiano di surf: le ciabatte di pezza scivolarono sul pavimento liscio e la ragazzina arrivò di slancio fino alla porta del nonno, in perfetto equilibrio e senza andare a sbattere (c’erano voluti mesi di duro allenamento per raggiungere quel risultato!). Quindi, facendo più piano che poteva, girò la maniglia e aprì lentamente la porta, quel tanto che bastava a infilare la testa per dare un’occhiata. Proprio come aveva pensato: il letto era vuoto, perfettamente intatto, e di nonno Mint non c’era ancora nessuna traccia! Che sia già sveglio? Si domandò Piccola Peg. 6


Ma scartò subito quell’ipotesi. La notte precedente, alle undici passate, quando la signora Brick, dopo averle tenuto compagnia tutta la sera, le aveva dato la buonanotte, nonno Mint non era ancora tornato. Per un paio d’ore, Piccola Peg era restata con le orecchie dritte, senza riuscire a prender sonno, ma la fattoria era rimasta immersa nel silenzio. Niente passi nel corridoio, niente porte che si aprivano e chiudevano. E poi comunque nonno Mint si svegliava sempre alle sette in punto, «preciso come un orologio della ditta Zimperfinckel di Zurigo!», diceva lui. Piccola Peg pensò che anche gli orologi di quella benedetta ditta Zimperfinckel di Zurigo potevano fare cilecca, magari solo una volta ogni tanto, e trotterellò giù dalle scale. La penombra silenziosa e immobile della grande cucina le diede tuttavia un’ultima conferma: nonno Mint non era ancora tornato dalla città. La ragazzina esitò qualche istante sulla porta della cucina. Nella sua memoria rivide il nonno che prendeva il cappello di velluto verde scuro sulla credenza lì accanto, se lo sistemava sulla testa e le diceva: 7


ÂŤContinuano a usare il nome di Millygreen, ma i loro prodotti fanno sempre piĂš schifo! Quella gentaglia incravattata farĂ di tutto per non dovermi ascoltare, ma stavolta ho intenzione di insistere. Quindi 8


potrebbero volerci anche due o tre giorni… Ho già avvertito i signori Brick, che ti aiuteranno qui alla fattoria e anche per le faccende di casa. E in ogni caso so che tu te la caverai benissimo, perché…». A quel punto il nonno l’aveva guardata, con quei suoi occhi azzurri piccoli e brillanti e le labbra strette in un sorriso buffo. Aspettava che fosse lei a finire quella frase lasciata a metà. E Piccola Peg lo aveva accontentato in un batter di ciglia.

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L’ultima cosa che ricordava era la risata del nonno mentre usciva di casa. “Bambina-rammollina” era una parola che aveva inventato lui e che a Piccola Peg era subito piaciuta un sacco. Serviva per descrivere quelle ragazzine smorfiose che non sanno cavarsela da sole e si lamentano sempre di qualcosa. Come la sua compagna di classe Cylia Pepperson, insomma! Piccola Peg, invece, era proprio il contrario di una bambina-rammollina e in quei giorni, anche senza il nonno, aveva fatto la sua solita vita. E, visto che l’anno scolastico era finito da poco, la sua vita significava andarsene a zonzo per la fattoria, dare una mano ogni tanto ai signori Brick, salire magari fino al prato delle caprette e soprattutto andare in cerca di avventure tra i sentieri di montagna con il fidato signor Acklethorpe. Piccola Peg risalì di corsa le scale, rientrò nella sua stanza e si diresse subito verso il grande armadio di fronte al letto. Lo aprì di scatto e disse: «Il nonno non è ancora tornato. E sono ormai cinque giorni! Lui aveva detto al massimo due o tre… Ma cinque! E non ha neppure telefonato! Anche se lui odia i telefoni, questo è vero…». 10


La ragazzina sospirò, osservando il suo specialissimo interlocutore.

Era un orsacchiotto, che Piccolapeg prese dal suo giaciglio fatto di morbidi maglioncini impilati in un angolo dell’armadio e sollevò, così da poterlo guardare negli occhi. Perché era così che funzionava tra Piccola Peg e il signor Acklethorpe, fin da quando lo aveva trovato nelle soffitte della fattoria, il primo giorno che erano andati a stare là. Lei lo guardava per qualche secondo negli occhi e capiva immediatamente quello che l’orsacchiotto le voleva dire (be’, tranne le volte in cui 11


lui era arrabbiato per qualcosa e non le rivolgeva la parola, s’intende!). Piccola Peg era l’unica che riusciva a comunicare con il signor Acklethorpe, ma non si dava molta pena per capire come ciò avvenisse. Era una cosa che succedeva e basta! Fin da quel lontano giorno in cui lo aveva trovato dentro una vecchia cappelliera e lui si era presentato.

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Non solo Piccola Peg aveva esaudito il desiderio del signor Acklethorpe, portandolo a stare con sÊ nella sua nuova camera, ma da allora i due erano diventati inseparabili. L’elegante orsacchiotto si era rivelato un consigliere saggio e un compagno di avventure prezioso, anche se a volte un po’ burbero. Era dunque normale che lo consultasse sulla strana assenza del nonno.

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Il signor Acklethorpe rifletté prima di rispondere, e la sua amica si accorse subito che c’era un po’ di preoccupazione sul suo viso. «Non so, Piccola Peg…», disse infine. «Certo è strano che nonno Mint se ne stia tutto questo tempo in città!»

«Vero!», annuì la ragazzina. «Lui ODIA la città.» «E poi anche se non gli piace parlare al telefono, 14


non chiamare neppure per dire che va tutto bene… Questo non è da nonno Mint.» Le parole del signor Acklethorpe colpirono Piccola Peg come uno scappellotto ben dato sulla nuca. Nella testa della ragazzina c’erano molti pensieri e un po’ di paura che a nonno Mint fosse successo qualcosa. Ma anche la voglia di non restarsene con le mani in mano. «Non lo so ancora di preciso, signor Acklethorpe. Ma so di sicuro che non posso starmene qui senza far niente… Come se fossi una bambina-rammollina!»

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