Quattro fratelli e mezzo

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Esta Spalding Quattro fratelli e mezzo! illustrazioni di Sydney Smith Traduzione di Gina Maneri Per la presente edizione © 2018 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Pubblicato in accordo con Little, Brown and Company, New York, New York Titolo originale: Lookout for the Fitzgerald-Trouts Copyright testo © 2016 Esta Spalding. Copyright illustrazioni © 2016 Sydney Smith

ISBN 978-88-6966-336-9


TRADUZIONE DI GINA MANERI





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I

quattro piccoli Patterson-Smith – Kim, Kimo, Pippa e Toby – vivevano felicemente da anni in una piccola

macchina verde nel parcheggio vicino alla spiaggia. Ma tutto questo finì un sabato, quando il sole sorse sull’oceano e cominciò a splendere sul parabrezza dell’auto in cui i bambini avevano dormito malissimo. Così male da cambiare tutto. Kim, che aveva undici anni ed era la più grande, si era girata e rigirata sul sedile del posto di guida senza riuscire a trovare una posizione. Per gran parte di quella notte insonne non aveva fatto che pensare a

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quanto le sarebbe piaciuto vivere in una casa vera con un letto vero. Kimo, che era molto più grosso di Kim, torace ampio e spalle larghe, aveva dormito anche peggio, ma dato che era un ragazzo pratico non aveva passato la nottata a sognare un letto: l’aveva trascorsa ad armeggiare con la rotella dello schienale, cercando di reclinarlo ancora un po’. Purtroppo non c’era stato niente da fare. Scese dalla macchina, stiracchiandosi nella luce del mattino e massaggiandosi le braccia e le gambe indolenzite. Kim lo raggiunse, lasciando Pippa e Toby, i due Patterson-Smith più piccoli, a girarsi e rigirarsi sul sedile posteriore, dove avevano passato una nottata altrettanto lunga e insonne. Mentre, senza far rumore, apriva il bagagliaio dell’auto per prendere spazzolino e dentifricio, Kim si rese conto che stava pensando – forse per la milionesima volta – ai Perfetti. I Perfetti, una famiglia con quattro splendidi bambini, erano i protagonisti del suo libro preferito. Abitavano in una lussuosa villa di un quartiere residenziale, dove le mamme portavano

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a spasso i bebè nel passeggino e i papà facevano volare gli aquiloni nel parco. Quel libro aveva per Kim un valore inestimabile, tanto che lo teneva sempre con sé, o nel cassettino della macchina oppure sotto il sedile di guida. Le sarebbe tanto piaciuto che la sua famiglia assomigliasse ai Perfetti, ma poi guardava Kimo, che si toglieva il cerume dall’orecchio con il mignolo, e l’automobile, dove i due più piccoli dormivano praticamente uno sopra l’altro. Sapeva che la sua famiglia non assomigliava affatto ai Perfetti. Sapeva anche che le cose sarebbero potute andare molto peggio di così. Dopotutto, la macchinetta verde non era piazzata in fondo a un vicolo buio o lungo una via commerciale; era parcheggiata davanti a una delle tante spiagge sabbiose dell’isola tropicale dove i Patterson-Smith vivevano. L’isola non era molto grande. C’era una strada che correva lungo la costa e si poteva fare il giro completo in circa quattro ore. Solo in un punto la strada si inoltrava verso l’interno per schivare una foresta, la Sakahatchi Forest. Secondo una leggenda diffusa sull’isola, nel cuore

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della foresta vivevano iguane succhiasangue appollaiate sugli alberi, ma nessuno sapeva se fosse vero o no. Gli isolani evitavano la Sakahatchi Forest e passavano il tempo nelle tante cittadine piene di negozi, ristoranti e chioschi di granite, oppure andavano a prendere il sole su una delle numerose spiagge o facevano trekking sulle montagne di origine vulcanica. A parte la Sakahatchi Forest, era davvero un’isola molto bella, e c’era gente di tutto il mondo che attraversava l’oceano in volo per poterci stare qualche giorno. Kim però non aveva mai vissuto in nessun altro posto, per cui le era facile dimenticare quanto fossero meravigliose l’isola e la spiaggia e passava tutto il tempo a preoccuparsi. Tutte la mattine, appena sveglia, Kim tirava fuori di tasca un quadernetto con la lista delle cose da fare. Quel giorno la lista era bella lunga. Ecco cosa diceva: Lavarsi i denti Pettinarsi Preparare la colazione

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Fare la spesa Ghiaccio per la borsa termica Benzina Panini per il pranzo Aggiustare gli occhiali di Pippa Cena intorno al fuoco Trovare una casa Quando non aveva dormito bene perché la macchina in cui vivevano era troppo affollata e piena di roba, quell’ultimo punto della lista – trovare una casa – a Kim sembrava particolarmente urgente. Kim teneva anche una lista delle cose che doveva fare Kimo e continuava a ricordargli quelle in arretrato. Quel giorno, davanti al bagagliaio dell’auto, Kim mostrò a Kimo la sua lista. Ecco cosa diceva: Cambiare la lampadina del bagagliaio Lavare i piatti Pulire la borsa termica Raccogliere legnetti

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Insegnare a Toby a scrivere il suo nome Pescare un pesce La lista di Kimo comprendeva sempre un pesce da pescare. Per sua fortuna, l’oceano ospitava creature marine di ogni genere ed era quindi una fonte di cibo inesauribile. Naturalmente, quando ne avevano abbastanza di mangiare pesce, i bambini saltavano in macchina e andavano alle pendici del Monte Muldoon, dove si trovavano frutti per tutti i gusti se si era disposti a camminare, cosa non semplicissima, dato che nessuno dei bambini dell’isola, neppure quelli che vivevano in vere e proprie case, portava mai le scarpe. Il fango si insinuava tra le dita dei piedi mentre si inerpicavano per il sentiero. In certi punti era così fangoso che dovevano aggrapparsi ai rami degli alberi per non scivolare, e a volte persino Kimo, che aveva un gran senso dell’equilibrio, cadeva a faccia in giù nella melma. Però ne valeva la pena, perché i frutti che crescevano sugli alberi e sui cespugli in cima alla montagna erano

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più squisiti di qualsiasi cosa potessero comprare nei negozi di caramelle dell’isola. Anche quando non avevano fame, la gita valeva comunque la pena, perché c’erano cose bellissime da vedere. Sulla montagna c’erano cascate e alberi con foglie grandi quanto le ruote della macchina. C’erano fiori esotici che attiravano certi uccellini così piccoli da stare in una scatola di fiammiferi. Lo so perché Pippa Patterson-Smith ne teneva una in tasca, e dentro c’era proprio uno di quegli uccellini minuscoli. Una volta l’aveva portata a scuola per il Mostra&Racconta, e il fatto che nessuno dei suoi compagni ne fosse rimasto stupito la dice lunga sull’isola. Anzi, diversi di loro avevano in tasca una scatoletta con un uccellino dentro. Mentre Kim andava nei bagni pubblici della spiaggia a lavarsi i denti e preoccuparsi, Kimo, che dormiva sempre con il costume da bagno, si avviò verso l’oceano. Una volta arrivato sulla riva, non ebbe un attimo di esitazione e si buttò dritto in acqua, tuffandosi in

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un’onda. Quando toccò il fondo rimase lì sdraiato, a guardare il cielo attraverso l’acqua blu. Era in momenti come quello, quando dopo essere scappato dalla macchina sovraffollata si ritrovava solo nell’oceano a trattenere il fiato, che Kimo si concedeva di pensare a suo padre. Il padre di Kimo, Johnny Smith, era disperso in mare da quando Kimo era piccolo. Ciò che Kimo aveva saputo di suo padre da uno degli insegnanti della scuola era che Johnny Smith discendeva dai primi coloni dell’isola, la prima tribù ad aver mai pescato in quell’oceano o messo piede su quelle montagne, centinaia di anni prima.

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L’insegnante aveva detto che gli storici non riuscivano a mettersi d’accordo sulla provenienza di quei primi abitanti: erano arrivati via mare da un certo paese a est o sempre via mare da un altro paese a ovest? E in ogni caso, come avevano fatto a percorrere una distanza simile in quell’oceano così vasto con semplici canoe di legno a vela? Alcuni storici pensavano che doveva esserci un’altra spiegazione. Gli storici si riunivano al Royal Palm, l’albergo più lussuoso dell’isola, per discutere delle proprie teorie. Ma Johnny Smith pensava che quei dibattiti fossero ridicoli. Come si faceva a risolvere un problema simile in un albergo di lusso? Perciò aveva preso un aereo per il lontano paese a ovest; una volta lì aveva trovato un grosso albero, ne aveva scavato il tronco per ricavare un’imbarcazione e poi aveva spiegato le vele per tornare all’isola. Prima di partire, aveva dichiarato di voler dimostrare una volta per tutte che la sua gente era arrivata da ovest. Ma quella era stata l’ultima volta che l’avevano visto, quindi forse Johnny Smith aveva torto.

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Sdraiato sul fondo dell’oceano, gli occhi rivolti al cielo, Kimo pensava a suo padre: forse era naufragato su qualche isola e in quel momento stava nuotando nello stesso mare: così almeno sperava lui. Con l’ultima riserva d’aria che gli bruciava nei polmoni, Kimo si chiese se un giorno lui e suo padre si sarebbero rivisti. Si diede una spinta sul fondo sabbioso e tornò a galla come un siluro, sporse la testa dall’acqua e prese una grossa boccata d’aria. Qualche minuto dopo, tutto gocciolante, risalì la spiaggia e raggiunse Kim alla macchina, per aiutarla a preparare la colazione.

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Facevano la stessa cosa tutte le mattine. Prima aprivano il bagagliaio e tiravano fuori una scatola di cereali e la borsa termica piena di ghiaccio. Poi Kim metteva quattro scodelle sul tetto della macchina e Kimo le riempiva di cereali. Tirava fuori il latte dalla borsa termica (quel giorno si accorse che il ghiaccio si era sciolto quasi tutto) e lo versava nelle quattro ciotole. A entrambi piaceva lavorare insieme a quel modo, avevano la sensazione di comunicare per telepatia. Kim aveva sempre pensato a loro due come quasi-gemelli. In fondo, non erano forse nati a pochi mesi di distanza? E anche se erano nati da genitori diversi, in ospedali diversi, in punti diversi dell’isola, lei si chiamava Kim e lui Kimo. Solo una lettera di differenza. Era come se un filo invisibile li avesse uniti prima ancora di diventare fratello e sorella. Quando i cereali furono pronti, ogni ciotola con il suo cucchiaio dentro, Kim bussò ai finestrini posteriori della macchina per dire ai fratelli più piccoli che era ora di colazione.

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Toby e Pippa scesero dall’auto e si sgranchirono gambe e braccia, che erano tutte indolenzite. Pippa aveva otto anni e tante lentiggini brune: sembrava che avesse la faccia a pois. Infilò una mano nella tasca della portiera e prese gli occhiali, che aveva trovato nel cassettino del cruscotto diversi mesi prima. Le lenti avevano delle crepe qua e là e le stanghette erano storte, ma aveva deciso di portarli lo stesso perché con quelli vedeva le foglie sugli alberi molto più nitide. Quando li inforcò si accorse che le faceva male la testa. La tastò con la mano e ci trovò un bozzo grande come una grossa bacca squish-squosh. «Ho un bernoccolo», disse con la fronte aggrottata. «Come se mi avessero tirato una noce di cocco.» «Perché mai qualcuno dovrebbe tirarti una noce di cocco?», disse Kim sperando di non far arrabbiare Pippa, che aveva un caratteraccio e con quelle lentiggini sembrava sempre sul punto di esplodere. «E io che ne so!», brontolò Pippa. «Anch’io ho un bernoccolo», disse Toby. Toby

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aveva cinque anni, i capelli scuri come Kimo e gli occhi verde chiaro come Pippa. Non parlava quasi mai, così quando diceva qualcosa gli altri lo prendevano sul serio. «Cos’è successo?», chiese Kim, prendendolo sul serio. «Non lo so», rispose Toby, «ma fa male». I cereali nelle ciotole stavano diventando mollicci mentre loro se ne stavano lì a massaggiarsi la testa. Un dubbio terribile si fece strada nel cervello di Kim. Era un dubbio che non osava formulare ad alta voce: e se a Pippa e Toby faceva male la testa perché la testa di Pippa aveva cozzato contro quella di Toby per tutta la notte? Forse i due Patterson-Smith più piccoli erano diventati troppo grandi per il sedile di dietro? Se così era, le cose dovevano cambiare. Ma chi le avrebbe cambiate? E come? Adesso Kim aveva nuove domande senza risposta da aggiungere alla sua lista di preoccupazioni. Per tutto il giorno Kim sentì quelle domande ronzarle nel cervello. Le sentiva ronzare mentre i

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Patterson-Smith lavavano le stoviglie della colazione nell’oceano, strofinandole con la sabbia al posto del sapone. Le sentiva ronzare mentre facevano il bagno. Le sentiva ronzare mentre andavano alla stazione di servizio a fare benzina e comprare altro ghiaccio per la borsa termica. Le sentiva ancora mentre si dondolavano sul copertone che faceva da altalena al parco giochi vicino alla spiaggia. Le sentiva mentre aggiustava gli occhiali di Pippa con un pezzetto di nastro adesivo. Le sentiva persino mentre, seduta a un tavolo da picnic vicino alla spiaggia, mangiava una granita coperta di crema al cocco. Kimo doveva essersi accorto che qualcosa la preoccupava, perché quando ebbe finito la sua granita afferrò Kim e la sollevò in aria, con le braccia e le gambe che si agitavano come quelle di un insetto, e si mise a ballare intorno al tavolo tenendola stretta e gridando con voce impostata da attore inglese: «Domani tornerà il sereno!». Toby e Pippa lo trovarono molto divertente, come tutte le buffonate da uomo forzuto di Kimo, ma Kim si

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lasciò sfuggire giusto un sorrisetto. All’ora di cena, mentre grigliavano il pesce sul fuoco, Kim decise che non ne poteva più di provare a ignorare le domande che le ronzavano in testa: doveva trovare qualcos’altro che le occupasse la mente. «Andiamo al drive-in», disse. Così salirono sulla macchinetta verde e andarono al drive-in, dove videro un vecchio film in cui le formiche giganti invadevano la Terra. Il film li terrorizzò tutti tranne Pippa, che rideva come una pazza ogni volta che un adulto veniva divorato da una formica (c’era una sola cosa più terribile del caratteraccio di Pippa, ed era il suo senso dell’umorismo). Certo la vita potrebbe essere peggio di così, pensava Kim guardando il film: almeno la nostra isola non è invasa dalle formiche giganti. Ma quando tornarono alla spiaggia e si sistemarono per dormire, le domande ripresero a tormentarla e lei non riuscì più a liberarsene. «Ahia», fece Pippa quando Toby si sdraiò sul sedile posteriore accanto a lei. «Sposta la testa.»

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«E dove la devo spostare?», disse Toby. «Non lo so», rispose Pippa, «ma non ci sta». «Non può mica staccarsi la testa», osservò Kimo dal sedile del passeggero. «Siamo troppo stretti qui dietro», si lamentò Pippa, e poi aggiunse le parole che Kim tanto temeva: «Non ci stiamo più». Prima che Kim potesse contraddirla, Toby scoppiò a piangere e disse: «Cosa succede se non ci sto più?». Kim si voltò e gli asciugò le lacrime con un fazzoletto di carta. Non sapeva proprio cosa rispondergli. Non poteva offrirsi di dormire dietro al posto suo… sarebbe stato anche peggio. E davanti non c’era spazio anche per Toby. Se tiravano fuori dal bagagliaio tutti i vestiti, le valigie, il cibo, i libri e la borsa termica, forse uno di loro poteva dormire lì? Sentì la portiera dal lato del passeggero che si apriva. Kimo stava scendendo dalla macchina. «Mettiti al mio posto», disse a Toby. «Davvero?», bofonchiò Toby con il naso che gli colava. «E tu?»

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«Io mi inventerò qualcosa.» Mentre Toby scavalcava il sedile per passare davanti, Kimo lanciò un’occhiata verso la foresta e poi un’altra verso la spiaggia illuminata dalla luna. Meglio la sabbia delle foglie come materasso, pensò, così si diresse da quella parte. «Puoi prendere il mio sedile, se vuoi», gli gridò Kim dal finestrino, sperando segretamente che lui non accettasse l’offerta. «Non c’è bisogno», disse Kimo. Quando arrivò alla spiaggia, si distese sulla sabbia e si ricavò una comoda cuccia. Poi rimase sdraiato sulla schiena a guardare le stelle. Si chiedeva se, da qualche parte, anche suo padre stesse dormendo su una spiaggia. Lo sperava. Non è così male, pensò, e poi, con un sospiro: speriamo che non piova. Intanto Kim aveva reclinato lo schienale e tirato fuori la sua copia dei Perfetti. Era un vecchio libro dalle pagine spesse e ruvide. Se ci passava sopra il dito al buio, Kim riconosceva i contorni della casa stampata sulla copertina di tela. Dentro quella casa c’erano le camere da letto in cui i quattro ragazzi Per-

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fetti dormivano e facevano sogni perfetti. Ma quel libro aveva una caratteristica molto insolita: se lo giravi al contrario e lo capovolgevi, il retro diventava la copertina di un secondo libro, con un altro titolo, I Disperati, e una misera baracca stampata sopra. In altre parole, secondo da che parte lo cominciavi, il libro raccontava due storie completamente diverse, una sulla famiglia Perfetti e un’altra sulla famiglia Disperati. Kim non rileggeva mai la parte dei Disperati. Avrebbe anzi voluto che quella parte non esistesse, e riteneva che l’autrice del libro, Stella Spalding, avesse fatto un terribile errore a scriverla. Più di una volta Kim aveva pensato di strappare il libro a metà e buttare I Disperati nella spazzatura, ma amava troppo i libri per distruggerli, anche quando la turbavano tanto. Teneva quindi il libro sempre girato dalla parte dei Perfetti e continuava a leggere e rileggere quella storia. Seduta nella macchina verde, avvolta nell’oscurità, Kim ripassò ancora una volta con il dito i contorni della casa dei Perfetti e si ripromise di spostare

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l’ultima voce della sua lista di cose da fare in cima a tutte le altre. Devo trovare una casa, pensò, mentre scivolava nel sonno.

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Kim, Pippa, Toby e Kimo sono quattro fratelli che vivono su un’isola tropicale. I loro genitori non ci sono mai, ed è per questo che si sono ritrovati a vivere... dentro una piccola automobile verde! Non è sempre facile, ma fra lunghe nuotate nell’oceano e pasti a base di pesce fresco e frutta appena raccolta, la vita trascorre serena. E poi, anche se ha solo undici anni, Kim è una guidatrice provetta e con la macchina può portarli dappertutto! Ma i quattro fratelli stanno crescendo e l’auto diventa sempre più stretta. E se un nuovo bebè si aggiunge alla famiglia... beh, vuol dire che è proprio il momento di trovare una casa vera!

geniali e coraggiosi, questi fratelli vi faranno vivere una grande avventura su un `isola tutta matta!

€ 13,50

ISBN 978-88-6966-336-9

www.castoro-on-line.it


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