Per Elliot e Jonah, e per il mio spirito animale, Sunshine — T.S.
Spirit Animals. Acque pericolose di Tui T. Sutherland Traduzione di Simona Brogli Per il testo italiano © 2016 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it
Copyright © 2014 by Scholastic Inc. All rights reserved. Published by arrangement with Scholastic Inc. 557 Broadway, New York, NY 10012, USA. scholastic, spirit animals, and associated logos are trademarks and/or registered trademarks of Scholastic Inc. Illustrazione mappa di Michael Walton Design del libro di Charice Silverman ISBN 978-88-6966-057-3
ACQUE PERICOLOSE
Tui T. Sutherland
Traduzione di Simona Brogli
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KOVO
G
li abitanti dello Stetriol la chiamavano Roccia dei Brontolii. Sapevano all’incirca dove si trovasse, nel cuore arido e infuocato del continente. Sapevano del borbottio che faceva tremare la terra per chilometri, in ogni direzione. E sapevano quale malefica, sinistra creatura fosse imprigionata proprio lì. Ma soprattutto, sapevano di non doversi avvicinare mai e poi mai a quella roccia, se volevano restare vivi. Ecco perché, da centinaia di anni, nessuno visitava la prigione di Kovo il Gorilla. Non che sarebbe stato facile, ammesso che uno avesse avuto voglia di provarci. La Roccia dei Brontolii si trovava al centro del deserto dello Stetriol, a molti giorni di distanza dall’ultima fonte d’acqua. Ogni versante della rupe era una parete a strapiombo, priva di qualsiasi appiglio, come se qualcuno avesse tagliato via tutte le asperità con un solo, poderoso colpo di spada. La cima della roccia, arroventata dal sole, doveva raggiungere almeno i duecento gradi... nessuno li aveva mai
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misurati, ovviamente, ma sarebbero bastati a carbonizzare all’istante qualsiasi piede, stivale o zampa che avesse cercato di salire là sopra. La gabbia, che sembrava uscire dalla sommità della roccia, era una rete enorme e impenetrabile di rami duri come il diamante. Brillava di un candore accecante, soprattutto là dove quelle specie di sbarre, assottigliandosi, conservavano la vaga forma delle corna gigantesche piantate secoli prima dalla Grande Bestia Tellun. E c’era l’aquila che volteggiava nel cielo, naturalmente: Halawir, il guardiano dalla vista acuta che sorvegliava Kovo giorno e notte. Ragion per cui, niente visitatori. Da molto, molto tempo. E di conseguenza i brontolii. «Prima li scuoierò vivi», bofonchiava una voce simile al rombo di un tuono sulle montagne lontane. «Schiaccerò i loro crani tra i pugni. Avvolgerò le loro ossa nei mantelli verdi e darò fuoco alle loro case. Le loro fortezze diventeranno polvere sotto i miei piedi.» Gli occhi malevoli di un gorilla mastodontico lanciavano sguardi truci dagli interstizi della gabbia. Il suo folto pelo nero era pesante nella calura. Non aveva spazio per andare avanti e indietro, così se ne stava seduto, cupo e in attesa, come faceva ormai da generazioni. Regni e imperi erano sorti e caduti da quando era stato rinchiuso, ma lui aspettava ancora. E mentre aspettava, sognava di vendicarsi. «Ho ucciso quattro Grandi Bestie», borbottò. «Quando sarò libero, punirò quei loro seguaci impudenti, i Mantelli Verdi. Farò a pezzi i loro spiriti animali e poi ucciderò io stesso tutti quegli umani rammolliti. Alcuni li strangolerò
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lentamente, altri li annegherò, altri ancora li schiaccerò sotto i piedi.» Con un palmo ruvido sfiorò le corna che lo circondavano. In lontananza, un rapace mandò un grido che risuonò acuto e spietato nell’aria torrida. «Non manca molto. Miserabili umani. Se fossi libero, avremmo già tutti i talismani. Saremmo i re di questo mondo e ogni creatura si inchinerebbe davanti a noi.» I suoi muscoli colossali guizzarono mentre premeva contro le pareti della gabbia. «Presto. Il mio momento è vicino. Presto verranno a prendermi», borbottò, strizzando gli occhi verso quel minuscolo quadrato di deserto che riusciva a vedere. «Gerathon è libera da settimane. Stupidi, spregevoli umani. Forse strapperò loro le dita dei piedi.» Alzò la testa, le narici enormi che si dilatavano mentre fiutava l’aria. Un sorriso lento e scaltro gli attraversò il muso. «Gerathon», brontolò. «Finalmente.» «Capisco che tu sia impaziente di versare il sangue dei tuoi nemici», disse una voce dietro di lui. «Ma dopo tutti questi secoli di attesa, che importanza potrà mai avere un mese o due?» «Aspetterò finché sarà necessario per realizzare i miei piani», ribatté Kovo. «Mettiti dove posso vederti.» Un ragazzino dai capelli castani avanzò pian piano e si fermò a qualche passo dalla gabbia, non lontano dal bordo del dirupo alle sue spalle. Basso e mingherlino, doveva avere appena l’età giusta per bere la Bile ed era gravemente ustionato dal sole. Lunghi graffi sanguinanti gli segnavano le spalle. Sembrava non accorgersi del fumo che
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saliva dalle suole arroventate delle sue scarpe, ma forse quello aveva a che fare con chi si trovava davvero dentro di lui e guardava il mondo esterno attraverso gialli occhi da serpente, le pupille enormi e dilatate. «Una creatura insolitamente piccola per te», grugnì Kovo. «Più che di un messaggero, ha l’aria di uno dei tuoi spuntini.» Il gorilla diede un’occhiata al cielo, ma di Halawir nessuna traccia. Tempismo eccellente, quello del suo guardiano sempre all’erta che si assentava nel momento esatto in cui riceveva una visita. «Oh, sono certa che più tardi me lo mangerò», disse il ragazzo, e anche se quella non era la voce di Gerathon, non proprio, conteneva comunque un sibilo inquietante che ricordava la Grande Bestia sinuosa. «È passssato tanto tempo... Allora, cos’hai fatto di bello?» «Molto divertente», ringhiò Kovo. I suoi occhi scuri e infossati lampeggiavano da sotto la fronte corrugata. «Sei venuta fin qui per fare sfoggio della tua libertà?» «No», rispose Gerathon con un tono che per lei era quasi compassionevole. «Sono venuta a parlarti dei nostri successi. I Conquistatori hanno appena sottratto l’Orso Polare di Cristallo a quegli sgradevoli nanerottoli che stanno con i Mantelli Verdi. E io sono anche riuscita a spassarmela praticando un po’ di tortura mentale su uno di loro, visto che sua madre è una delle mie creature. Oh, la sua faccia quando lei ha tentato di ucciderlo... Deliziosa.» «Magnifico», disse Kovo. «Lasciami pure qui per l’eternità, l’importante è che tu ti diverta.» «Il momento di divertirsi sta arrivando anche per te», replicò Gerathon, coprendo la bocca del ragazzo mentre
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lo faceva sbadigliare di proposito. «Abbiamo quasi tutti i talismani che ci servono per liberarti.» «È... quasi quello che voglio sentire», rispose Kovo, con un’evidente minaccia nella voce. «Fidati di me», disse Gerathon in tono languido. «Abbiamo i nostri sistemi per sapere tutto quello che fanno i Mantelli Verdi, e sappiamo esattamente dove andranno adesso i Quattro Caduti. Come sempre. Prenderemo il prossimo talismano e poi li distruggeremo.» «Però non li avete ancora distrutti», sottolineò Kovo. «Ti dispiace spiegarmi perché sono ancora vivi?» Gerathon agitò la mano del ragazzo con aria sprezzante. «Sono ancora utili a me. A noi. Al nostro Re Rettile. Non preoccuparti, moriranno tutti molto presto.» All’improvviso, il ragazzo si lasciò sfuggire un grido di dolore e cadde in avanti, carponi. La sua pelle si ricoprì all’istante di vesciche roventi. «Oh, accidenti», sibilò Gerathon, e il tono calmo della voce creò uno strano contrasto con quel viso stravolto dalla sofferenza. «Questo piccolo travestimento patetico non mi sarà di grande aiuto ancora per molto. Forse dovrei richiamare il suo condor perché lo porti via.» «Ah», disse Kovo. «È così che l’hai fatto arrivare quassù.» «Sì. Abbiamo scelto l’umano più piccolo e con la Bile gli abbiamo creato un legame con un uccello gigante», rispose lei. Strizzando gli occhi, Kovo guardò in su e vide due grandi ali – non quelle di Halawir, per una volta – disegnare cerchi nel cielo. Il ragazzo crollò a terra, e l’aria si riempì del puzzo sfrigolante di capelli bruciati. «Ah, be’», proseguì Gera-
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thon, «questo è quasi andato. Che seccatura. Immagino che dobbiamo salutarci, per ora, Kovo». «Aspetta», brontolò il gorilla, aggrappandosi alle corna che gli facevano da sbarre. «Per quanto ancora rimarrò bloccato qui?» «La prossima volta che ci incontreremo», sibilò Gerathon, la voce sempre più fievole mentre gli occhi del ragazzo si chiudevano e la vita abbandonava il suo corpo, «saremo entrambi liberi. E allora... tutta l’Erdas sarà nostra».
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PER MARE
È
così vicino. Abeke fissava la costa che scivolava davanti a loro, oltre le onde scure e impetuose. Il sole del pomeriggio, caldo sulla sua pelle, proiettava uno scintillio dorato sull’oceano, ma il vento era più freddo di quanto avrebbe dovuto essere. Il Niloh. La mia casa. La mia famiglia. Tutto quello che riusciva a vedere della sua patria era una striscia di spiaggia e una fitta giungla verde subito dietro. Quella parte del Niloh non somigliava per niente all’arida savana intorno al suo villaggio, ma era comunque il punto più vicino a casa che avesse raggiunto da molto tempo. Mi chiedo cosa penserebbe Soama se potesse vedermi adesso. O nostro padre. Abeke si sfregò la spalla sinistra, là dove un Conquistatore aveva conficcato un coltello durante l’ultima battaglia. La ferita era guarita abbastanza da permetterle di impugnare di nuovo l’arco – un arco nuovo, in sostituzione di quello fracassato dal martello da guerra
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di un Conquistatore – ma a volte le faceva ancora male, specie quando l’aria era fredda. Sarebbero fieri di me, dopo tutto questo? O penserebbero comunque che sono una disgrazia e una delusione? Si strinse meglio il mantello verde intorno alle spalle e, quasi senza rendersene conto, allungò il braccio in cerca del suo leopardo. «Grrrrao», brontolò Uraza, spingendo la testa sotto la mano di Abeke. Il felino si sedette per un attimo, si lasciò accarezzare dalla ragazza e continuò a fissare l’oceano con occhi minacciosi. Poi si rialzò di scatto e si rimise a camminare su e giù per la nave con lunghe falcate ondeggianti. Forse mi sento giù di corda solo perché si sente così anche lei, pensò Abeke. Come la maggior parte dei felini – giganti o meno – Uraza provava una fortissima antipatia per l’acqua, in particolare per le enormi masse d’acqua, e ancor più in particolare per le enormi masse d’acqua che la circondavano da tutti i lati e odoravano di pesce che non poteva catturare. «Lo so», mormorò Abeke, osservando l’andirivieni del suo spirito animale. «Vorrei anch’io che tornassimo sulla terraferma.» Era dura starsene confinati tanto a lungo sulla nave, ma Tarik aveva insistito che fare tutto il giro del Niloh era il percorso più sicuro per raggiungere l’Oceanus. Il consueto itinerario via mare – lo stretto tra il Niloh e lo Zhong – doveva brulicare di Conquistatori, ormai. Abeke era sul punto di richiamare Uraza e offrirle la possibilità di entrare nello stato passivo, ma proprio in quel momento Jhi, il panda gigante, uscì da sottocoperta, e il leopardo se lo ritrovò tra i piedi.
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Sorpresa, Uraza fece un salto indietro e ringhiò, rizzando il pelo. Le sue zanne scintillarono feroci sotto il sole e i suoi artigli lasciarono solchi sulle assi di legno del ponte. «Uraza!», gridò Abeke. Jhi batté le palpebre e gettò una placida occhiata al leopardo, poi si girò e si allontanò trotterellando. Meilin, accorsa dietro di lei, guardava accigliata Uraza con una mano sul coltello che portava alla cintura. «Non voleva farle del male», disse Abeke, affrettandosi a raggiungerle. Posò una mano sul dorso di Uraza per tranquillizzarla. «È solo nervosa. Lo siamo tutti.» «Chissà come mai», replicò Meilin. La Nilohana sapeva bene cosa voleva dire: un altro talismano perduto, un altro viaggio inutile, e il piccolo particolare, rivelato da Rollan, che qualcuno di loro passava informazioni al nemico. Per un attimo, Meilin fissò Abeke con uno sguardo duro, poi aggiunse: «Fa’ un favore a tutti noi e impara a controllare il tuo felino irascibile». Uraza soffiò piano mentre la Zhonghese si allontanava a grandi passi. «Va tutto bene», sussurrò Abeke, accarezzando il pelo del leopardo. «Capisco perché è preoccupata.» Ma non sono io, la talpa. Io sono fedele ai Mantelli Verdi. È vero, Shane mi piace e mi capita di pensare che non sia del tutto malvagio, ma... non tradirei mai i miei amici. Però sarebbe come tradirli se andassi a casa, no? Si permise di seguire quella fantasia per un istante. Avrebbe potuto salire di nascosto sul ponte nel cuore della notte, prendere a prestito una delle piccole scialuppe, calarla lungo la fiancata... e puntare da sola verso il Niloh, scomparendo prima che qualcuno se ne accorgesse. Sape-
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va di poter sopravvivere alla lunga marcia fino al villaggio grazie alla sua abilità di cacciatrice e al legame con Uraza, che la rendeva rapida e forte come non mai. Per Meilin sarebbe un sollievo scoprire che me ne sono andata. Anche per Rollan. E perché dovrei restare con gente che non si fida di me? Alzò gli occhi socchiusi verso il sole, pensando a Conor. Era sicura che lui avrebbe sentito la sua mancanza... e sapeva che sarebbe stato reciproco. Nell’Arctica, Conor aveva detto “Stare con te è come stare con uno di famiglia”. Solo che di solito i familiari di Abeke la facevano sentire a disagio, piccola e incapace, mentre stare con Conor era qualcosa di facile e pieno di calore. Ma era comunque preoccupata per loro, per suo padre e Soama. Per tutto il villaggio, in effetti. E se avessero avuto bisogno della protezione sua e di Uraza? Il leopardo ringhiò sotto le sue dita, e lei si chiese se non avesse indovinato quello che pensava. «Oh, non lo farò», disse, accovacciandosi per parlare al suo spirito animale. «È inutile che fai la prepotente. Non sono stupida. Ho visto cos’è successo quando Conor e Meilin hanno preferito i loro cari alla nostra missione... e quando c’è mancato poco che lo facesse anche Rollan. Lo so che il modo migliore per proteggere mio padre e Soama è trovare i talismani e fermare il Divoratore.» Sospirò. E poi è probabile che i miei siano lieti di vedermi quanto lo è Meilin di solito. “Oh, sei tornata, eh? Neanche i Mantelli Verdi ti hanno voluta? Be’, ovviamente non sei stata all’altezza. Noi sapevamo che sarebbe successo. E non pensare nemmeno di portare quel leopardo qui dentro.” No, sarebbe rimasta dov’era. Doveva solo trovare un altro modo per convincere tutti a fidarsi di lei.
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Uraza emise un verso che era un misto di ringhio e fusa, come a dire “sarà meglio”. Diede qualche altro colpetto con la testa alla mano di Abeke, poi si allontanò, altera e aggraziata, sferzando l’aria con la coda. Il vento le increspava il mantello dorato a macchie nere. «Tutto bene?», disse Lenori, giungendo alle spalle di Abeke mentre si rialzava. La ragazza annuì. Si erano fermati a Greenhaven giusto il tempo necessario a prelevare Lenori e lasciare Maya... la povera, sconvolta Maya. Poi l’Orgoglio di Tellun era salpato, inseguendo le visioni di Lenori che li spingevano sempre avanti, alla volta dell’Oceanus, dove, a quanto pareva, un polpo gigante voleva tanto scambiare due chiacchiere con loro. «Non potremmo...», si lasciò sfuggire Abeke, che subito si interruppe. «Non potremmo cosa?», indagò Lenori in tono gentile. «Non potremmo fermarci nel Niloh?», chiese Abeke. «Non c’è una Grande Bestia, lì? Il leone, giusto? Potremmo cercare il suo talismano e poi raggiungere l’Oceanus, no?» E magari passare dal mio villaggio... tanto per assicurarci che stiano tutti bene. Si chiese se le piogge fossero mai arrivate. O se i Conquistatori le avessero precedute. Il Mantello Verde piegò la testa di lato con aria comprensiva. «Ti manca la tua famiglia. Lo capisco: anche a me manca la mia. E per te è ancora più difficile... almeno i miei sono nell’Amaya, dove il nemico non si è ancora spinto.» «Non so se i miei mi mancano così tanto», ammise Abeke. «Ma...» «Sei preoccupata per loro.» Il vento del mare faceva
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volare i lunghi capelli scuri di Lenori e costringeva il suo ibis arcobaleno a starle vicino, al riparo del mantello verde. Abeke si voltò a guardare un’altra volta l’intrico lussureggiante della costa. «Vorrei che sapessero cosa sto facendo, che non sono più con Zerif. Vorrei aiutarli a capire di chi fidarsi e di chi non fidarsi. Vorrei... vorrei solo rivederli ed essere certa che stiano bene.» Le perline dei braccialetti di Lenori tintinnarono piano mentre la donna sfiorava la spalla della ragazza. «Io ne sono convinta», disse. «Stai facendo quello che va fatto per salvarli. Per salvare tutta l’Erdas. Ti sei dimostrata molto coraggiosa.» Abeke avrebbe tanto voluto possedere la placida, totale sicurezza di Lenori. «Spero che avrai la possibilità di rivederli presto. Ma quanto ad andare nel Niloh adesso, temo sia troppo pericoloso», proseguì la veggente. «Tutte le notizie indicano che i Conquistatori hanno invaso l’intero continente, proprio come si sono impossessati dello Zhong.» Ragione di più per andarci adesso, pensò Abeke. E mio padre e Soama? Cosa possono avergli fatto, i Conquistatori? Li immaginò obbligati a bere la Bile, legati ad animali orrendi e malvagi, controllati dal nemico. Un brivido la attraversò tutta. «E non si tratta solo dei Conquistatori», aggiunse Tarik, avvicinandosi con calma da poppa. Abeke sobbalzò: non si era accorta che stesse ascoltando. «Cabaro il Leone è una delle Grandi Bestie più letali. Quando ci rivolgeremo a lui, più talismani avremo e più saremo al sicuro.» «E poi Mulop ci sta chiamando», disse Lenori, lo sguardo offuscato come se stesse osservando qualcosa di molto
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lontano. Tese la mano e l’ibis si strinse ancora di più a lei, fissando Abeke con i suoi occhi inquietanti. La violenza degli spruzzi provenienti dall’oceano sotto di loro quasi sovrastò la voce bassa e musicale di Lenori mentre mormorava: «Lo sento ogni notte nei miei sogni già da qualche settimana. Prima c’è il canto delle balene, e poi il buio intorno a me si tinge di blu, e io capisco di essere sott’acqua. La luce filtra da molto in alto, ma illumina appena la caverna in cui galleggio. E poi una bolla risale a spirale davanti a me, seguita da un’altra, e mi accorgo che ognuna di quelle bolle contiene una parola, così cerco di afferrarle, ma scoppiano tutte non appena le sfioro. Solo che le parole mi rimangono sulla pelle come tracce di inchiostro sbiadito, e io riesco quasi a vedere uno schema, un messaggio che le unisce l’una all’altra». «Quasi?», chiese Abeke. «Le visioni sono sempre un po’ enigmatiche», rispose Lenori. «E le visioni che vengono da Mulop ancora di più. Ma quello che riesco a decifrare dice che vorrebbe incontrare i Quattro Caduti e i loro compagni.» Scosse la testa. «Non dobbiamo farlo aspettare più di quanto abbiamo già fatto. Non si dice di no a Mulop.» Non avevo intenzione di dire di no, pensò Abeke. Solo... sì, va bene, saremo lì presto, ma dacci un momento. «Soprattutto perché questa è la prima Grande Bestia che si è messa in comunicazione con noi», osservò Tarik. Rivolse ad Abeke un sorrisetto amichevole. «Dopo l’esperienza con Suka, ci farebbe comodo un incontro più amichevole, non sei d’accordo? In un posto dove possiamo scaldarci al sole, invece di congelarci le dita dei piedi. Prova a pensare: una Grande Bestia che desidera davvero
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vederci. Potrebbe addirittura essere in grado di dirci di più su quello che sta succedendo. Le leggende concordano nel definire Mulop come un veggente con grandi poteri.» Un discorso molto sensato, ma Abeke doveva ammettere di non essere del tutto convinta dall’ambigua visione di Lenori. Sentì dei passi sul ponte e si voltò: Rollan e Conor si stavano avvicinando. Briggan si trovava nello stato passivo – anche lui non amava particolarmente i viaggi per mare – mentre Essix era in volo e planava sulle correnti d’aria. «Questo è il piano migliore», aggiunse Tarik con aria rassicurante. Per poi proseguire, con aria molto meno rassicurante: «L’unica parte che mi preoccupa è che saremo costretti a passare davanti allo Stetriol. Vorrei che ci fosse un altro modo, ma temo che dovremo solo sperare di riuscire a sgusciar via senza farci notare». «Oh, bello: sperare», commentò Rollan. «Con noi ha sempre funzionato a meraviglia.» Tarik gli diede una sbirciata. «Non ti azzardare a chiedermi di nuovo se sto bene», disse Rollan. Il suo largo sorriso era quasi convincente, a parte il fatto che non raggiungeva gli occhi. «Mi sono messo il cuore in pace. Ho voltato pagina. Sto alla grande. Anzi, alla grandissima: ormai riesco persino a far entrare in stato passivo il mio spirito animale! È vero, sono un mito.» Si aprì la camicia e inclinò il torace verso il cielo. «State a vedere... State a vedere...» Ci fu un attimo di silenzio in cui non accadde nulla. Essix, alta sopra le loro teste, continuò a disegnare languidi cerchi nell’aria, ignorandoli tutti. «Noi stiamo guardando», scherzò timidamente Conor.
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Rollan scrollò le spalle. «Non fa niente. Adesso abbiamo un’intesa. Ci capiamo alla perfezione. Giusto, Essix?», gridò. Il falco stridette, il che poteva anche significare “E rimettiti quella camicia”, ma se non altro era meglio delle non-reazioni di qualche tempo prima alle richieste di Rollan. Abeke si chiese se Rollan stesse bene sul serio. Non capiva come fosse possibile, dopo quanto era successo con sua madre, Aidana, ma era evidente che lui non aveva nessuna voglia di parlarne. C’era stata un’unica conversazione sull’argomento, il massimo della concessione per Rollan. Tutti avevano notato quanto era silenzioso e turbato dopo la battaglia al porto, ma all’inizio Abeke aveva pensato che fosse per il fatto di aver perduto l’Orso di Cristallo. In fin dei conti, il talismano era nelle sue mani quando il tricheco l’aveva rubato. Ma poi, due sere dopo, mentre navigavano verso Greenhaven, Rollan aveva raccontato loro tutta la storia. Che sua madre l’aveva abbandonato da piccolo perché il legame con il suo spirito animale era instabile e rendeva troppo pericoloso stare insieme. Che aveva trovato pace con i Conquistatori, quando aveva bevuto la Bile e quel legame era diventato gestibile. Che aveva cercato di convincere Rollan a unirsi a lei... per poi rivelare il lato oscuro della Bile, cioè che chiunque la beveva si trasformava in un burattino nelle mani dei Conquistatori. Qualcun altro si era impossessato del corpo di Aidana, aveva detto Rollan. Qualcosa che non era umano aveva guardato attraverso i suoi occhi e l’aveva costretta a tentare di uccidere il suo stesso figlio.
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Abeke rabbrividiva ancora per l’orrore ogni volta che ci pensava. Non riusciva a immaginare come sarebbe stato vedere una persona che le stava a cuore in balìa di una forza oscura. O peggio, essere quella persona e perdere del tutto il controllo di sé. Pensare di aggredire i propri cari e non essere capaci di fermarsi. Esisteva forse qualcosa di peggio? Povero Rollan. Nessuno sapeva se avrebbe mai rivisto sua madre, o se Aidana sarebbe riuscita a essere di nuovo una vera madre per lui, adesso che la Bile la dominava. Ma Rollan non aveva voluto dilungarsi oltre. Quella era la conclusione della storia. Aveva detto che non desiderava lunghi discorsi accorati sull’argomento, sguardi compassionevoli, facce tristi, o avrebbe fatto assordare tutti dagli strilli di Essix. Era un capitolo chiuso, e in verità (aveva detto) lui non aveva mai conosciuto davvero sua madre, quindi dubitava che ne avrebbe sentito molto la mancanza. Abeke sapeva che era una bugia, ma sembrava una bugia che Rollan aveva bisogno di raccontarsi. Da quella sera, era tornato ai suoi soliti modi sarcastici, forse con un pizzico di vanteria in più, ora che Essix era finalmente disponibile ad assumere la forma inattiva (di tanto in tanto). Eppure, Abeke capiva che Tarik era preoccupato per lui. Pensava che lo fossero tutti... ma non potevano fare altro che dare a Rollan il suo spazio. «Hai avuto altre visioni?», chiese Lenori a Conor. «Mulop ti ha parlato?» «Ehm», rispose Conor, «non direi proprio parlato». Si passò una mano tra i capelli biondi con aria confusa.
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«Stavo giusto dicendo ad Abeke che le visioni mandate da Mulop sono sempre molto strane», lo rassicurò Lenori. «Cosa hai sognato?» «L’inizio è stato lo stesso dell’ultimo sogno», disse Conor. «Fluttuavo nell’aria sopra un mare di isole... somigliavano a migliaia di piccole pecore verdi e bianche sparse sull’acqua. E poi, da sud, una nube di inchiostro ha cominciato a riversarsi nell’acqua, annerendo ogni isola che toccava. A quel punto...» Esitò mentre lanciava un’occhiata a Rollan. «Va’ avanti», lo sollecitò Tarik. «Lui non ti prenderà in giro.» «Certo che ti prenderò in giro», lo rimbeccò Rollan. «Ma non fermarti per questo.» «A quel punto, dall’oceano sono spuntati dei lunghi tentacoli», riprese Conor, «che si sono messi a raccogliere le isole ancora verdi e a scagliarle contro le isole nere, facendole rotolare indietro come biglie. Anche l’inchiostro si è ritirato. E dopo quei tentacoli si sono sollevati ancora di più, quasi indicassero me, e... mi hanno salutato, in un certo senso. Poi sono tornati sott’acqua e io mi sono svegliato». Guardò Rollan, in attesa della sua reazione. «È un’ingiustizia», disse lui. «Non fa neanche ridere.» «Non ci dà molto su cui basarci», commentò Lenori, «ma adesso sappiamo per certo che Mulop cerca di attirare la nostra attenzione». «Credo che stiamo seguendo la pista giusta», disse Abeke. Per qualche motivo, sentirne parlare da Conor la tranquillizzava riguardo al piano. Il ragazzo le scoccò un sorriso e lei avvertì una stretta di gratitudine al petto. Almeno uno dei miei amici mi tratta ancora da amica.
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«RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR.» Un ringhio profondo rimbombò da un capo all’altro del ponte, facendo venire la pelle d’oca ad Abeke. Si voltò di scatto e vide Uraza accucciata in posizione di attacco. La coda del leopardo sferzava l’aria con violenza e i suoi occhi viola, carichi di rabbia, erano puntati su un gabbiano dall’aspetto assolutamente innocuo. Un gabbiano? L’uccello bianco e grigio era posato sulla traversa di un albero proprio sopra i Mantelli Verdi, troppo in alto persino per Uraza, che quindi non poteva spiccare un balzo e catturarlo. In apparenza, non era diverso dalle centinaia di altri gabbiani che planavano lì intorno. L’animale fece schioccare il becco e inclinò la testa, fissando il leopardo con i suoi brillanti occhietti neri. «Uraza?», disse Abeke. «Cosa c’è che non va?» L’uccello girò lentamente la testa verso di loro. Il suo sguardo passò rapido oltre Abeke, che sentì uno strano brivido lungo la schiena, poi si fermò su Conor, fissandolo con attenzione. «Sembra proprio che tu abbia un ammiratore», scherzò Rollan. «Ecco perché continuo a dirti di lavarti di più, Conor. Se non puzzassi tanto di pesce, non dovresti...» Il gabbiano mandò uno stridio, un grido penetrante, come se gli stessero strappando le piume. Poi si lanciò in picchiata, dritto al viso di Conor.
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TEMPESTA
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i colpo, ci furono piume ovunque, piume che lo circondavano, oscuravano il cielo, nascondevano i suoi amici, gli toglievano l’aria che aveva respirato fino a quel momento. Due ali bianche e grigie picchiavano rabbiose sulle orecchie di Conor come martelli di un fabbro che tentassero di mettergli fuori uso il cervello. Un becco incredibilmente appuntito gli sferrava colpi alla faccia, agli occhi indifesi, alla gola. Conor lanciò un urlo, inciampò e cadde all’indietro. L’uccello continuò ad aggredirlo, e lui avvertì il dolore di molte ciocche di capelli che gli venivano strappate tutte insieme. Cercò di coprirsi la testa, e subito il gabbiano si gettò all’assalto della tasca del suo giaccone. «L’Ariete di Granito!», sentì gridare a Meilin da una distanza che sembrava infinita. «Sta provando a rubare uno dei nostri talismani!» «È uno spirito animale!», urlò Rollan. «Lavora per i Conquistatori!» Conor percepiva la presenza degli altri intorno a lui,
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CMYK
Libro 5
Il sole splende sulle Cento Isole, ma il cammino di Conor, Abeke, Meilin e Rollan sembra essere fitto di ombre. Hanno attraversato l’Erdas in cerca dei potenti talismani delle Grandi Bestie, per evitare che finissero nelle mani nemiche. Ma qualcuno li segue, qualcuno che sa sempre dove trovarli. E ora sanno perché. Uno di loro è un traditore.
acque pericolose
Mentre navigano le acque cristalline di questo paradiso tropicale, gli eroi sospettano gli uni degli altri. C’è una spia nel gruppo, e prima che la missione sia compiuta, cadranno vittime di una trappola mortale.
€ 12,00 ISBN 978-88-6966-057-3
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Tui T. Sutherland