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A Taylor, che ama le bestie grandi e piccole. — M.L.

Spirit Animals. La battaglia finale di Marie Lu Traduzione di Simona Brogli Per il testo italiano © 2016 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it

Copyright © 2015 by Scholastic Inc. All rights reserved. Published by arrangement with Scholastic Inc. 557 Broadway, New York, NY 10012, USA. scholastic , spirit animals , and associated logos are trademarks and/or registered trademarks of Scholastic Inc. Illustrazione mappa di Michael Walton Design del libro di Charice Silverman ISBN 978-88-6966-128-0


LA BATTAGLIA FINALE

Marie Lu

Traduzione di Simona Brogli





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VISIONE

E

nell’erba. L’urlo terrificante di un gorilla. Uno stridio penetrante dal cielo. Erba, terriccio, roccia, friabile corteccia. Una pulsazione nel ventre della terra, qualcosa di antico come il tempo stesso. Un profilo di corna sinuose che apparivano e scomparivano. Il sogno cominciava sempre in quel modo. Conor batté le palpebre, accecato dalla luce. Si coprì gli occhi con una mano, nel tentativo di smorzarla, ma la luce vi si aprì un varco, rendendo rossi e trasparenti i contorni della sua pelle. Qualcosa di dorato gli lampeggiò davanti. Svanì immediatamente ma, per quel breve istante, gli erano sembrate foglie. Si sforzò di mettersi a sedere. Il terreno sotto di lui si sgretolava, arido e spaccato, morente. Una voce echeggiò nell’aria. Conor. È la fine di un’era. Ci servi qui. Tellun? pensò Conor. Poco alla volta, capì che quella luce accecante proveniva da una serie di incendi. Il fuoco era ovunque. normi squame nere che strisciavano

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«Conor!» A quel grido così familiare, Conor girò di scatto la testa. Mentre i suoi occhi si adattavano alla luce, si rese conto di essere sdraiato vicino al ciglio di uno strapiombo... e poco lontano da lui c’era Meilin, oppressa dal peso dalle catene. La Zhonghese si scagliò contro un Mantello Verde che si stava avvicinando, gettandolo a terra. Jhi osservava impotente. Rollan era impegnato in un duro combattimento con un enorme serpente. Il rettile gli avvolse entrambe le braccia nelle spire sollevandolo in aria. Lì vicino, Abeke e Uraza combattevano contro quelli che sembravano centinaia di Conquistatori. Briggan! Conor tentò di gridare il suo nome mentre riusciva finalmente ad alzarsi in piedi. Voleva correre dai suoi amici. Ma perché faceva così fatica a muoversi? Muoviti, Briggan! Dobbiamo aiutarli... dove sei? Chiamò più e più volte il suo lupo, prima di accorgersi che Briggan si trovava nello stato passivo. Ma qualcosa non andava. Più Conor fissava il tatuaggio e più i suoi contorni sbiadivano, tanto che non capiva se fosse ancora lì oppure no. Il cuore gli si fermò per il terrore. Conor. Il ruggito del gorilla risuonò ancora, facendo tremare la terra sotto i suoi piedi. Conor si voltò indietro a guardare un grande masso, dove Rollan combatteva ancora contro il serpente. Ritto lì sopra c’era il Grande Gorilla. Con uno dei pugni si batteva violentemente il petto, mentre nell’altro stringeva una specie di bastone, dorato e contorto, che sprigionava uno strano bagliore diafano. Il gorilla girò la testa verso Conor, con un movimento così inquietante da fargli correre i brividi lungo la schie-

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na. L’ombra proiettata dalla bestia lo inghiottiva completamente, oscurando ogni centimetro di terreno fin dove riusciva a vedere. Quando il gorilla si accorse di lui, i suoi occhi divennero due fessure minacciose. Poi gettò la testa all’indietro in un altro ruggito. E lo caricò. Corri! gridò a se stesso Conor, ma aveva l’impressione di trascinare le gambe nella melassa. Cercò di camminare a balzi, col solo risultato di sentirsi risucchiare indietro ogni volta. Dietro di lui, il gorilla scattò in avanti, gli arti poderosi che percuotevano il suolo con un rumore sordo. Conor corse verso l’orlo del precipizio, senza ben sapere cos’avrebbe fatto una volta lì. Si fermò in scivolata proprio sul bordo, roteando le braccia. I suoi stivali sollevarono un ventaglio di sassolini che ricaddero a pioggia lungo il fianco della montagna. Non poteva andare da nessuna parte. Alle sue spalle, il gorilla lanciò un altro ruggito. Ormai era vicinissimo. Conor indietreggiò fino al ciglio del precipizio. Intorno a sé vedeva solo le immagini dei suoi amici che stavano perdendo la guerra, che combattevano contro nemici decisamente troppo forti per loro. I Mantelli Verdi caddero davanti ai Conquistatori e le fiamme si levarono alte nel cielo, sullo sfondo di una terra cupa e morente. Il gorilla lo raggiunse. Uno stivale di Conor scivolò. Il ragazzo tentò di frenare la caduta, e nel mentre scorse gli occhi terrificanti dell’animale, vicinissimi. Barcollò sull’orlo del precipizio. Un’aquila enorme apparve sopra di lui. Le sue ali dai bagliori bronzei e bianchi oscuravano la luce del sole. Conor alzò gli occhi a guardarla e, con sua grande sorpresa, vide Tarik che la cavalcava, il mantello che gli svolazzava

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dietro. Tarik! Sei vivo! Una gioia e un sollievo indescrivibili lo travolsero alla vista di quelle sembianze familiari. Tarik era lì. Sarebbe andato tutto bene. Il Mantello Verde tese una mano guantata verso Conor, e Conor si allungò a sua volta per afferrarla. Solo che quello non era Tarik. Il viso si trasformò. Gli occhi gentili e intelligenti furono sostituiti da altri, subdoli e freddi. Conor si ritrovò a fissare la faccia di Shane. Il ragazzo gli rivolse un sorriso così largo da mettere in mostra tutti i denti. In lontananza, il grido del gorilla si mescolò con la voce profonda di Tellun. Shane ritirò la mano protesa, e Conor vide l’abisso spalancarsi sotto di lui per inghiottirlo.

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SONNAMBULISMO

E

al Baluardo di Greenhaven. Rollan avvolse il suo mantello – anzi, il vecchio mantello verde di Tarik – più strettamente intorno alle spalle e si mise a gironzolare fuori dall’entrata principale, dove aveva visto Abeke scrutare il paesaggio grigio con Uraza al suo fianco. Il Polpo di Corallo gli pendeva pesante dal collo, battendo contro il suo petto a ogni passo. Si sorprendeva spesso a toccarlo. Dopo tutto quello che era successo – il tradimento di Shane, il voltafaccia di Meilin, la morte di Tarik – non poteva permettersi di perdere uno degli unici due talismani che rimanevano loro. Quanto tempo era passato da quando Shane era fuggito con gli altri? Qualche settimana? Chissà perché gli sembrava che fosse accaduto il giorno prima. Ed eccoli lì, ancora a radunare Mantelli Verdi da ogni parte dell’Erdas, ad aumentare le loro forze per fronteggiare i Conquistatori. Rollan serrò le labbra, esasperato. Se ci fosse stato Tarik, gli avrebbe detto di non preoccuparsi, di calmarsi e pensare lucidamente, di concedersi il tempo di piangere ra una mattina fredda e uggiosa

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e poi andare avanti con pazienza e serenità. Ma in quei giorni, Rollan riusciva solo a camminare irrequieto per il castello, in attesa delle parole che avrebbero permesso loro di partire per recuperare i talismani, fermare Kovo il Gorilla e salvare Meilin. E salvare Meilin. Per un momento le sue dita cessarono di giocherellare con il Polpo di Corallo, interrotte dal peso di quel pensiero. Salvarla sembrava impossibile. A volte, quando chiacchierava con gli altri, si sorprendeva a cercare Meilin per poterle raccontare l’ultimissima storiella che gli era venuta in mente. Desiderava farla ridere, ma poi si rendeva conto che lei non c’era. Che era molto, molto lontana. Rollan sospirò. Non poteva permettersi di continuare a rimuginare su tutto quello che era andato storto. Chiuse gli occhi, respirò a fondo e provò a fare finta che Tarik stesse ancora gironzolando in qualche parte del castello, che Meilin stesse dormendo nelle sue stanze al piano di sopra. Sapeva che né una cosa né l’altra era vera, ma in quel momento si sforzava di crederci, e quello teneva a bada i suoi pensieri più cupi. Il tempo. Quello era un pensiero molto più innocuo. Devo pensare al tempo. Per la quindicesima volta in quella mattina, Rollan rifletté su quanto il tempo fosse stato bizzarro, di recente. Quella doveva essere la stagione secca, ma la settimana prima, mentre Olvan si dedicava a organizzare le loro forze in vista della partenza, non avevano avuto altro che cieli grigi e pioggia ininterrotta. Anche gli animali all’improvviso si comportavano in modo strano. Gli uccelli, per esempio, che avevano anticipato la loro migrazione.

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E infatti, quando Rollan guardò il cielo, vide un altro stormo fare rotta verso sud in due gigantesche formazioni a V. «Fai pure, Essix», mormorò al girifalco che se ne stava appollaiato sulla sua spalla. Se avesse continuato a pesargli addosso in quel modo, gli sarebbe venuto di sicuro il mal di schiena. «So che vuoi andare a caccia» Ma anche Essix sembrava giù di corda. Pigolò appena, arruffò le penne del collo per toglierne le gocce di pioggia e si mise ancora più comoda. Sembrava assolutamente soddisfatta di starsene lì, invece di partire per una buona caccia. Rollan la studiò per un po’. Quando il falco riprese a lisciarsi le penne della coda, provò a ignorare le proprie spalle doloranti e decise che la cosa migliore era lasciarlo fare. Chi era lui per giudicare il suo umore tetro? Forse Essix detestava l’attesa tanto quanto Rollan. Il tempo di arrivare all’entrata del castello, e la pioggerellina fine si trasformò in pioggia battente. L’acqua imperlò il tessuto del mantello di Rollan prima di inzupparlo completamente. Uraza rimase a guardare lui ed Essix mentre si avvicinavano. Faceva sibilare la coda, avanti e indietro. Non era il suo spirito animale, ma Rollan riteneva che anche il leopardo cominciasse ad averne abbastanza di quegli indugi. Abeke era in piedi accanto a Uraza, appoggiata all’arco d’ingresso, e accarezzava con aria assente la testa vellutata del leopardo. Neanche si girò quando Rollan la raggiunse. L’Ariete di Granito, l’unico altro talismano rimasto, le pendeva dal collo, il grigio pallido del ciondolo che risaltava contro la sua pelle scura. «Ehi», disse Rollan. «So che avresti dovuto essere la

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Danzatrice della Pioggia del tuo villaggio eccetera, ma non potresti andarci un po’ più piano con tutto questo danzare?» Guardò il cielo per sottolineare le sue parole. Gli occhi di Abeke si posarono per un attimo sul mantello di Rollan, poi tornarono a fissare il paesaggio desolato. Non sembrava divertita dalla battuta, e il ragazzo, a disagio, preferì non insistere. «Ehi», disse solo Abeke. Rollan si fece serio. «Olvan dice che presto saremo in grado di partire. Tra pochi giorni.» «Qualche nuovo messaggio?» Lui scosse la testa. Avevano inviato decine di uccelli delle tempeste e piccioni viaggiatori agli alleati e agli amici dei Mantelli Verdi in altre nazioni, nella speranza che qualcuno, almeno, ricevesse la loro richiesta d’aiuto in tempo per soccorrerli. Abeke stessa aveva spedito numerose colombe nel Niloh, per informare suo padre e sua sorella. Amici, ci dirigeremo verso lo Stetriol tra una settimana. Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Per quello che ne sapeva Rollan, il padre di Abeke non aveva risposto. «Mi dispiace.», le rispose Rollan. Abeke lo ringraziò con un cenno della testa, abbassò lo sguardo e tornò a girarsi. Rollan fece una smorfia, per una volta senza risposta pronta. Dov’erano le battute buone quando te ne serviva una? Negli ultimi tempi, Abeke era spesso così, persa nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso all’orizzonte. Rollan sapeva che, con ogni probabilità, continuava a rimuginare sul tradimento di Shane e su come Meilin fosse stata costretta a mettersi contro di loro. E, dal modo in cui abbas-

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sava gli occhi per la vergogna, capiva anche che di quelle cose incolpava se stessa. Meilin. Ancora una volta, Rollan si rimproverò per essere ritornato al pensiero che lo faceva rigirare nel letto la notte e rifiutare il cibo. Dove sarà adesso? si chiedeva. A cosa pensava? Come doveva essere non avere il controllo di se stessi? Per un istante, il dolore che provava per la perdita di Meilin lo infastidì. Se l’era cavata così bene e così a lungo, per conto suo. Ma adesso c’erano in ballo altre persone, la cui assenza gli faceva male, e la cosa non gli piaceva per niente. Come se potesse leggergli nella mente, Abeke inclinò appena la testa verso di lui e si schiarì la voce. «Sta bene, addosso a te», disse con un debole sorriso. Il mantello di Tarik. Ricordò di colpo l’ultima battaglia del Mantello Verde, l’espressione speranzosa che aveva avuto nel vedere il suo mantello tra le braccia di Rollan, un attimo prima di sacrificare la propria vita. Il dolore invase il petto del ragazzo, finché gli sembrò quasi di non riuscire a respirare. Eppure, c’era qualcosa di confortante nelle parole di Abeke. Come se Tarik non fosse scomparso del tutto. Il mantello continuava a proteggerlo anche ora, riparandolo dalla pioggia. Essix arruffò di nuovo le piume, sollevando un pulviscolo d’acqua. «Grazie», borbottò Rollan. «Chi l’avrebbe mai detto che avrei dovuto imbacuccarmi così per stare al caldo in questo periodo dell’anno?» «A sentire Olvan, i Mantelli Verdi del Niloh riferiscono che anche là il tempo è strano.»

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«Tipo?» «Tipo che ci sono lastre di ghiaccio sugli stagni. Dice che alcuni animali non sanno come comportarsi e non riescono ad arrivare all’acqua.» Ghiaccio. Nel Niloh? Rollan provò a immaginare l’oasi in cui avevano trovato Cabaro ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio. «Be’. Proprio una bella estate normale.» Abeke non riuscì a evitare di sorridere un po’ a quella sua uscita sarcastica. «Non ricordo di aver mai visto una cosa simile, né di averne sentito parlare, quando vivevo nel Niloh. Le tribù saranno nel caos.» «O staranno pattinando sul ghiaccio e divertendosi un mondo. Voglio dire, io lo farei.» Il pensiero le strappò una sincera risata. «Ti ci vedo. Con tavole di legno e di ossa d’antilope legate ai piedi.» Rollan le si avvicinò con un sorriso complice. «Scommetto che a Uraza piacerebbe. A te no?» Fece un cenno della testa in direzione di Uraza, che lo fulminò con lo sguardo. Lui e Abeke rimasero un po’ a ridacchiare, poi la loro parentesi di buonumore finì. Rollan capì che la ragazza doveva chiedersi come se la stessero cavando suo padre e sua sorella. Strisciò i piedi sulla pietra umida del pavimento. «Pensi che stiano bene?» Abeke si strinse nelle spalle. Poi si raddrizzò per un attimo, in un’illusione di sicurezza. «Non ci ho pensato molto» rispose, fin troppo interessata a mostrarsi disinteressata. La menzogna nelle sue parole e nel suo atteggiamento era così evidente che Rollan l’avrebbe percepita anche

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senza le capacità che gli venivano da Essix. Ciononostante, il ragazzo annuì. Lui aveva perso il suo mentore, l’unico uomo che avesse mai considerato un padre... ma il vero padre di Abeke le aveva voltato le spalle. E anche quello che lei aveva sempre ritenuto un buon amico – Shane – si era approfittato della sua amicizia. «Abeke», disse improvvisamente Rollan, sfiorandole il braccio. Sia lei che Uraza si voltarono a guardarlo. «Senti. So cosa stai passando. Non devi fingere con me.» Esitò. Non era mai stato molto bravo a esprimere emozioni serie. «Non è colpa tua», proseguì alla fine. «Il tradimento di Shane... È lui che dovrebbe sentirsi in colpa, non tu. Non potevi sapere. Quando vuoi bene a qualcuno, hai fiducia in lui. E io volevo dire solo che... be’, che mi dispiace quando la gente si approfitta di quella fiducia.» Abeke lo osservò per un lungo istante. Sembrava ancora triste, ma a Rollan parve che i suoi occhi fossero un po’ meno velati dal senso di colpa. Alla fine, Abeke annuì. «Grazie», mormorò. «E a me dispiace che tu abbia dovuto aspettare tanto per avere fiducia nel tuo prossimo.» Sprofondarono in un silenzio confortante. Dopo un po’, Rollan scosse la testa e le diede delicatamente di gomito. «Il gelo finirà, lo so. Ma dico solo che sarei morto di rabbia se il Niloh avesse continuato a monopolizzare tutto il sole e il cielo azzurro.» Abeke abbozzò un sorrisetto. Uraza mandò un brontolio rassicurante, poi con la testa diede un colpetto alla mano della ragazza. All’improvviso, Rollan sentì Essix spostare il peso sulla sua spalla. Un attimo dopo, il falco si spinse via e si levò in aria con uno stridio assordante. La manovra per poco

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non lo mandò a gambe all’aria. Trasalì, le orecchie che gli ronzavano, e rimase a guardare Essix mentre si librava alta nel cielo. «Ehi!», le urlò, seccato. «Lo so già che sei rumorosa... non hai bisogno di dimostrarlo!» «Cosa sta facendo?» chiese Abeke. «Non ne ho idea. Forse ha deciso che aveva fame, dopotutto.» Ma gli uccelli migratori erano troppo lontani, ormai. Qualcos’altro doveva aver attirato la sua attenzione. Rollan osservò Essix mentre volava ancora più lontano... ... e poi, d’un tratto, il mondo gli si precipitò incontro, e fu in grado di vedere attraverso gli occhi del falco. Si sollevò in alto, ancora più in alto, sopra il castello e nello spazio aperto, e poi guardò giù, verso le loro figure minuscole ancora ferme all’ingresso. Lo sguardo di Essix si volse bruscamente a inquadrare uno dei parapetti del castello. Mandò un altro grido. E stavolta era il chiaro segnale che stava accadendo qualcosa di molto, molto grave. Rollan guardò meglio. Lì, sul bordo bagnato e scivoloso del parapetto di pietra, camminava Conor. Ma non camminava in modo attento. Ondeggiava e barcollava pericolosamente lungo la sporgenza, come se non fosse del tutto sveglio. A Rollan si rizzarono i capelli in testa. Cosa ci faceva là sopra, per l’Erdas? Batté le palpebre, sentendo la vista tornare a terra e sotto il suo controllo. Puntò il dito verso l’alto, terrorizzato. «È Conor, quello?», chiese, incredulo. «Cosa?», esclamò Abeke. Guardò in su. Si irrigidì all’istante, poi strizzò gli occhi come se neppure lei riuscisse a credere a ciò che vedeva. Si portò le mani intorno alla bocca. «Conor!», gridò verso di lui. «Ehi, Conor!» Ma Conor non sembrava sentirla. In effetti, non sem-

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brava accorgersi di niente, neanche del fatto che stava avanzando pian piano lungo l’orlo del parapetto. Dov’era Briggan? Rollan diede un’occhiata frenetica alla cima della torre, ma l’enorme lupo grigio non si vedeva da nessuna parte. Doveva essere nello stato passivo. Un brivido gli corse lungo la schiena mentre ripensava allo strano comportamento di Meilin quando era stordita dalla Bile. E se anche Conor ne fosse in qualche modo condizionato? Rollan provò l’impulso improvviso di chiamare Tarik... finché non ricordò, con una stretta al cuore, che Tarik non era più lì ad aiutarli. «Andiamo!», sibilò ad Abeke, afferrandole la mano. Attraversò l’ingresso in volata, entrò nel castello e si precipitò verso le scale che conducevano alla torre. Fecero i gradini a due a due. Rollan per poco non inciampò, ma si riprese e proseguì di corsa. Uraza procedeva a grandi balzi, ogni sua falcata che valeva tre delle loro. Quando finalmente arrivarono in cima, Uraza era già lì. Rollan si tolse la pioggia dagli occhi e il suo sguardo si posò sulla figura barcollante di Conor. No! Essix stridette ancora e si gettò in picchiata verso il ragazzo. Rollan scattò in avanti più in fretta che poté. Raggiunse Conor... proprio mentre Conor scivolava oltre il bordo.

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C’è stato un tempo in cui Conor, Abeke, Meilin e Rollan erano ragazzi come tutti gli altri. Ma da quando hanno evocato come Spiriti Animali le quattro Grandi Bestie della Leggenda, la loro vita è cambiata per sempre.

Libro 7

La battaglia finale

Insieme, hanno viaggiato per l’Erdas nel tentativo disperato di fermare uno spietato nemico. Hanno combattuto e si sono fatti forza. Hanno vinto battaglie e perso degli amici. Qualcuno di loro ha smarrito se stesso. Ora sono alla fine del viaggio. Ma devono raggiungere un luogo dimenticato dal tempo e affrontare un antico nemico liberato dalla sua prigionia. Hanno un’unica occasione per fermarlo... o il mondo intero verrà distrutto.

€ 12,00 ISBN 978-88-6966-128-0

9 788869 661280

www.castoro-on-line.it

marie lu


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