Sorelle Vampiro. Missione Dracona di Franziska Gehm Š 2014 Editrice Il Castoro Srl viale Abruzzi 72, 20131 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Traduzione di Alessandra Valtieri In copertina progetto grafico e illustrazione di Iacopo Bruno/theWorldofDOT Titolo originale: Die Vampirschwestern - Ein zahnharter Auftrag Š 2008 Loewe Verlag GmbH, Bindlach ISBN 978-88-8033-796-6
Capitolo 1
Il molk fa bene
e
ra un dorato pomeriggio d’ottobre. Il quartiere di villette a schiera nella periferia nord della città sonnecchiava come un cane pigro e satollo. Jacob Barton camminava lungo il vialetto strascicando le scarpe da ginnastica. Erano troppo larghe. Di mezzo numero. Ma arrivavano direttamente da Londra. Jacob lanciò un’occhiata alla stringa destra che si era sciolta. Pensò agli spaghetti che si sarebbe riscaldato appena arrivato a casa. Forse ci avrebbe aggiunto un uovo. L’uovo contiene albumina. L’albumina sviluppa i muscoli. E Jacob, di muscoli, riteneva di averne pochi. Con una mano ricacciò indietro la borsa a tracolla e con l’altra si tirò su i jeans. Anche quelli erano una taglia di troppo. Poi imboccò la strada principale. Da lì alla stazione della metropolitana c’erano ormai pochi passi. Giunto di fronte alla scala mobile, si fermò. Aprì la borsa e cominciò a rovistarvi dentro con entrambe le mani. Frugò nell’angolo sinistro. La testa si abbassò di due centimetri. Frugò nell’angolo destro. La testa si abbassò di quattro centimetri. Frugò al centro. I capelli biondo rossiccio sfiorarono il bordo della borsa. Ancora un po’ e ci avrebbe cacciato dentro tutta la testa se… 5
missione Dracona AAAAAHHHH!!! FUUUUMPFS! SCHLOTZ ZOPPOOO! … qualcuno non avesse gridato. Jacob drizzò il capo. Guardò in basso e strabuzzò gli occhi. Per poco non gli cadde la mascella. In fondo alla scala mobile, un gigantesco groviglio informe si agitava e urlava come un ossesso. Persone, stimò Jacob a occhio e croce. Ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Le urla avevano un che di animalesco. E a giudicare da come la massa cambiava forma muovendosi, poteva anche essere un’enorme palla antistress. «State fermiii!», gridò una voce acuta. «Boi noap», si lamentò una roca voce femminile. «Stai ferma tu, se ci riesci», protestò una voce maschile. Jacob aguzzò la vista e scrutò nella penombra. Ancora loro? Quelle svitate? Saltò sulla scala mobile e scese in soccorso del viluppo umano (sempre che fosse possibile). Li aveva quasi raggiunti quando… AAAAAHHHH!!! … qualcuno cacciò un altro grido. Acutissimo. Da sfondare i timpani. A un palmo dal suo orecchio. Jacob sobbalzò. E gridò. Così, solo per sicurezza. Lei era lì, davanti a lui. Lei era una delle due svitate. Sbucata dal nulla. O forse era già sulla scala mobile e non l’aveva vista prima? Jacob sbatté le ciglia. Anche la svitata sbatté le ciglia e sgranò i suoi occhioni verde tiglio. 6
Il molk fa bene «Hoi! Ehm… cioè, ciao! Che piacere rivederti! Era un po’ che non ci scontr… incontravamo, eh?» La svitata sbatté le palpebre, tre volte, di seguito, a velocità supersonica. Poi si attorcigliò una ciocca di capelli intorno a un dito e sorrise. «E ora, invece… bam!» Jacob alzò un sopracciglio. Fu la sua unica reazione. «Che colpo! Di fortuna… voglio dire. Un gran colpo di fortuna, no? Boibine! Cioè… forte.» La ragazza sorrise di nuovo. Poi abbassò lo sguardo. Jacob annuì lentamente. E guardò la svitata con maggiore attenzione. Intorno agli occhi le erano spuntati due piccoli cerchi rossi. Gli fecero venire in mente gli anelli di Saturno. Forse perché quella ragazza sembrava avere qualcosa di… extraterrestre. E non tanto per gli occhi cerchiati di rosso, quanto più per il pallore. Estremo. Una sottile vena azzurra le correva sulla fronte. Aveva le ciglia lunghe e castane e le sopracciglia sottili, molto arcuate. I suoi occhi verdi brillavano come foglie riflesse in uno stagno limpidissimo a primavera. Una cascata di boccoli ramati sgorgava da sotto un vistoso cappello ricoperto di fiori di stoffa. Il cappello gli ricordò la bisnonna Agnes. C’era una foto che la ritraeva sulla spiaggia con in testa una cuffia per fare il bagno, tutta ricoperta di fiori di plastica. Molto simile al cappello della ragazza. Estremamente chic. All’ultimo grido. Per l’epoca. Intorno al 1948. Jacob aveva visto la svitata almeno un paio di volte alla stazione della metropolitana. E almeno un paio di volte l’a7
missione Dracona veva vista scendere a cavallo del corrimano della scala mobile come un cowboy al rodeo. Davvero stravagante. «Comunque… io sono Silvania. E visto che il destino ci ha fatto scontr… incontrare, potremmo approfittarne per conoscerci meglio, no?», disse Silvania porgendo la mano a Jacob. Jacob esitò un istante. Fissò il grosso anello rotondo che le ornava l’anulare. Sembrava un occhio. La pupilla si muoveva. Jacob alzò subito lo sguardo, preferendo di gran lunga guardare gli occhi verdi di Silvania. Poi le strinse la mano. Era fresca e delicata. Morbidissima. «Jacob.» Silvania sorrise. Jacob sorrise. Silvania si arrotolò una ciocca di capelli intorno all’indice e i suoi occhi vagarono sognanti dal volto di Jacob all’azzurro del cielo d’autunno. Cielo. Jacob. Cielo. Jacob cacciò le mani in tasca e guardò la stringa slacciata. Non pensava più agli spaghetti, ora. «Abiti anche tu da queste parti?», chiese Silvania. Jacob scosse il capo. «Ci vengo solo a dare ripetizioni.» «Ripetizioni. Forte!» Silvania sorrise. «E di cosa?» Jacob si grattò dietro l’orecchio destro. Era forte dare ripetizioni? Bah. «Inglese, per lo più. A volte anche matematica.» Gli occhi verdi tiglio mandarono scintille. «Inglese! Adoro…» Silvania tossì. «Io faccio letteralmente schifo in inglese. Davvero. Un caso disperato. Non riesco a ficcarmi in testa una sola parola. Anzi, non credo proprio di saperne neppure una.» 8
Il molk fa bene Jacob aggrottò la fronte. «Non è possibile. Di sicuro saprai come si dice latte, per esempio.» La svitata si concentrò. Pensò a lungo. Per lo sforzo cacciò anche fuori la lingua. Strizzò gli occhi e aggrottò le sopracciglia. La piccola vena azzurra sulla sua fronte si gonfiò. Poi, a un tratto… «Ci sono!», disse, sollevandosi in punta di piedi. «Molk!» Era trionfante. Jacob spalancò gli occhi, sconcertato. «Hai ragione. Sei proprio un caso disperato.» «Te l’avevo detto.» La svitata sogghignò. «Ti serve qualche ripetizione.» Silvania annuì energicamente. «Un corso intensivo.» Su questo la svitata aveva proprio ragione, pensò Jacob. Le lanciò un’occhiata compassionevole. «Patti chiari fin da subito: io prendo cinque euro e cinquantacinque all’ora.» Silvania alzò le sopracciglia. Contò sulla punta delle dita. Aggrottò la fronte. Poi sorrise di nuovo. «Bene. Affare fatto. Mia nonna dice sempre: per l’istruzione e per le scarpe non si bada a spese. O erano i bikini e le scarpe? Boh. Comunque, nonna Zezci parla inglese perfettamente.» Jacob annuì a bocca aperta. Scarpe, bikini, istruzione. Okay. «Che ne dici di domani?», chiese Silvania. «Domani va benissimo. Prima cominciamo meglio è. Alle tre?» Mentre la svitata gli scriveva l’indirizzo su un foglietto, Jacob lanciò un’occhiata alla scala mobile. Il groviglio umano si era intanto districato. Due ragazze e un ragazzo stavano ora risalendo la scala mobile. Il ragazzo aveva i capelli scuri, 9
missione Dracona di media lunghezza. Guardava fisso e serio davanti a sé come un soldato alla parata militare. Dietro di lui c’era una ragazza bionda e magra. E incastrata fra il ragazzo e la ragazza bionda c’era la seconda svitata. La riconobbe subito dai capelli dritti come aculei di un porcospino. «Perfetto. A domani, allora.» Silvania sospirò, allungando a Jacob il biglietto con l’indirizzo di casa. «La nostra prima ripetizione.» Jacob si cacciò il biglietto nella tasca dei pantaloni, che tirò su dall’altra parte con la mano libera. Poi guardò la svitata-bisognosa-di-ripetizioni e la salutò con un sorriso. Molk, pensò scuotendo appena il capo, mentre andava verso la scala mobile. Non sarebbe stato un compito facile. Niente affatto. Salì sul primo gradino e si lasciò trasportare in basso. Per un istante pensò di provare anche lui a mettersi a cavalcioni sul corrimano come un cowboy al rodeo. Ma solo per un istante.
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Capitolo 2
come stelle in una cascata
«s
chlotz zoppo!» Scendendo dalla scala mobile, Daka inciampò. E cadde. E nel cadere s’aggrappò istintivamente a Ludo. Ludo rovinò su Silvania, ferma imbambolata ai piedi della scala mobile, gli occhi cerchiati di rosso e il cervello in pappa. Helene, che chiudeva la fila, afferrò Daka e cercò di tirarla su. Ma perse l’equilibrio. I quattro amici si abbatterono uno sull’altro come tessere di un domino. Clack, clack, clack. Silvania fu strappata al suo sogno a occhi aperti. Un brusco risveglio. «Ma siete proprio assurdi!» «Chi?», chiese Ludo. «Noi?», chiese Daka. «Assurdi?», chiese Helene. Silvania sospirò. Guardò la sorella gemella e il resto della banda e le venne da ridere. Un’altra delle solite, catastrofiche cadute sulla scala mobile. Da quando le gemelle Daka e Silvania avevano lasciato la Transilvania per trasferirsi nella città di Bindburg, tra loro e le scale mobili era guerra aperta. E come in ogni guerra che 11
missione Dracona si rispetti, le tattiche di aggiramento del nemico erano studiate nei minimi dettagli. Quella che preferivano consisteva nel mettersi a cavalcioni sul corrimano scorrevole come un cowboy su un cavallo da rodeo e lasciarsi trasportare in fondo o in cima, a seconda che dovessero scendere o salire. Certo, avrebbero preferito di gran lunga scomparire e riapparire o meglio ancora volare. Ma sia l’una che l’altra pratica erano proibite. La mamma aveva stabilito sette regole fondamentali da osservare senza riserve per vivere in mezzo agli umani. La signora Tepes era una donna molto saggia. E, saggiamente, Daka e Silvania si attenevano a quelle regole. Il più delle volte. Ma quando avrebbero imparato a prendere la scala mobile come la gente normale? Non doveva essere poi tanto difficile, no? C’era però un piccolo problema: le gemelle non erano gente normale. Erano mezze vampire. E non sempre felici di esserlo. Silvania ogni tanto sognava di essere umana dalla cima dei capelli alla punta dei piedi. Daka, un po’ più spesso, avrebbe voluto essere una vampira al cento per cento. Silvania si raddrizzò il cappello che nello scontro con Ludo, Daka e Helene era finito di sghimbescio. Era stato un vero colpo di fortuna riuscire a sparire e riapparire in cima alla scala mobile con un tempismo perfetto. Sì, certo, aveva trasgredito a una delle sette regole fondamentali (e il senso di colpa l’aveva attanagliata per circa tre secondi), ma quando aveva visto il suo carinissimo ragazzo della metropolitana lassù, davanti al primo gradino, non era riuscita a trattenersi. Era successo – flop! E basta. Perché stupirsene, poi? Dopotutto 12
come stelle in una cascata era una questione di vita o di morte. Beh, forse di morte no. Ma di vita, sì. Eccome! «Sembra quasi che vogliate farmi sentire in colpa per Jacob!» «Scusa?», chiese Ludo. «Quasi cosa?», chiese Daka. «Jacob chi?», chiese Helene. Silvania si stiracchiò impacciata la maglietta rosso sgargiante. S’intonava alla perfezione con i cerchi che aveva intorno agli occhi. «Jacob, il ragazzo che mi dà ripetizioni.» «Che ti dà COSA?» Sulla A finale la bocca di Daka rimase aperta. Helene fece una bolla grossa come una mela con il chewing gum e la lasciò scoppiare. «Non male!» Ludo non disse niente. Fissò Silvania con i suoi occhi color ocra, come se volesse leggere nel più profondo della sua anima. «E da quando in qua avresti bisogno di ripetizioni?», chiese Daka. «Da...», Silvania guardò l’orologio, «... cinque minuti e trentatré secondi». Daka ragionò qualche istante. «Fammi capire. Vuoi dire che quel tipo lì dà ripetizioni di volo?» Quando andavano a scuola a Bistrien, c’era una sola materia in cui Silvania faceva davvero pena: il volo, appunto. Daka, invece, adorava volare. Le lezioni di volo erano le sue preferite. Dopo zoologia, ovviamente. «Gumox, Daka! D’inglese», sbuffò Silvania. «Eeeh? Ma se parli inglese come la regina Elisabetta.» Daka guardò confusa la sorella. 13
missione Dracona Silvania scrollò le spalle. «E allora non chiamarle ripetizioni. Chiamali approfondimenti. Guarda che non è mai morto nessuno per avere studiato un po’ di più. E poi lo dice sempre anche zio Vlad: lenoi mutza flatliac!» «Chi è che puzza?» Helene dette un colpetto con l’indice all’apparecchio acustico. Era molto piccolo e spariva quasi completamente nell’orecchio. Sotto i lunghi capelli biondi, si vedeva a malapena. E Helene ne era felice. Quel minuscolo apparecchio era il suo grande segreto. Tranne Daka, Silvania e Ludo, nessuno a scuola ne era a conoscenza. Come del suo hobby preferito: visitare cimiteri. Al tramonto. Solo a pensarci le venivano i brividi di piacere. Si passò una mano sul braccio. Era ricoperto di tanti piccoli mostri disegnati con la biro. Un altro dei suoi hobby preferiti. «Flat – che?», chiese Ludo. «Il pipistrello si scola l’animale pigro», tradusse Daka dal vampirese, una delle lingue più antiche e complesse al mondo. E, come era opinione di ogni vampiro, una delle più belle. Helene e Ludo annuirono. Più per non passare da tonti che per aver davvero afferrato il concetto. «Giusto. Ecco perché domani Jacob viene a darmi la prima lezione», spiegò Silvania. «Viene dove? A casa nostra?», chiese Daka. «Avete visto i suoi occhi?», disse Silvania alzando sognante lo sguardo al cielo. «NO», rispose Daka. «Brillano come stelle in una cascata», sospirò Silvania. 14
come stelle in una cascata «Stelle in una cascata?! Ma... come ci finiscono le stelle in una cascata?» Daka aggrottò la fronte, perplessa. «Ci siamo dati la mano.» Silvania guardò trasognata il palmo della mano destra. Poi l’annusò. Daka si chinò, annusò la mano della sorella e arricciò il naso. «Panino farcito.» Poi con aria esperta aggiunse: «Al salame». «Aveva la mano delicata, liscia. Ma non molliccia. Giusta. Semplicemente giusta. Capite?», disse Silvania. Ludo si grattò il naso e fissò il pavimento. Helene fece un lento cenno di sì con il capo. Daka guardò gli amici senza capire. «Giusta per cosa? Per dare ripetizioni d’inglese?» Alzò le mani davanti al viso e le scrutò attentamente, prima il palmo e poi il dorso. Che avesse anche lei mani da ripetizione? «So cosa vuoi dire», sussurrò Helene a Silvania. Silvania le sorrise. Helene era tutto ciò che aveva sempre sognato: una vera amica. Un’amica con cui poter parlare delle cose essenziali della vita, come l’amore, l’amore, l’amore e... Ah, sì. L’amore. Anche con sua sorella poteva parlare di tutto. O quasi. Perché per le questioni amorose, parlare con Daka era come parlare con una cabina telefonica. Non era ancora pronta. E pensare che aveva solo sette minuti meno di lei. Ma in certe cose contano anche i secondi. Helene prese Silvania sotto braccio. «Hai già deciso come ti vestirai domani?» Silvania trasalì. «Fumpfs! Non ho niente da mettermi!» 15