Spirit Animals. I racconti della leggenda Guardiani immortali di Eliot Schrefer Traduzione di Simona Brogli Per il testo italiano Š 2019 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it
Copyright Š 2015 by Scholastic Inc. All rights reserved. Published by arrangement with Scholastic Inc. 557 Broadway, New York, NY 10012, USA. scholastic , spirit animals , and associated logos are trademarks and/or registered trademarks of Scholastic Inc. Illustrazione mappa di Michael Walton Design del libro di Charice Silverman Copertina: Illustrazione di Angelo Rinaldi; design di Charice Silverman & Rocco Melillo; art direction di Keirsten Geise
ISBN 978-88-6966-299-7
Finito di stampare nel mese di dicembre 2018 presso Elcograf S.p.A. - Stabilimento di Cles (TN)
GUARDIANI IMMORTALI
Eliot Schrefer
Traduzione di Simona Brogli
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GIORNO DI MERCATO
S
e solo avesse potuto fare dietrofront e tornarsene a
casa. In genere Kaiina non si allontanava mai dalla sua tribù: erano anni che non si trovava circondata da così tanti estranei, dall’epoca in cui, ancora bambina, una volta aveva accompagnato la madre proprio a quel mercato. Ma ormai aveva dodici anni, perciò era tempo che cominciasse anche lei a sobbarcarsi il lungo viaggio fino al mercato nella giungla per comprare provviste destinate alla tribù. Tutti avevano richieste. Arance per suo padre. Un nuovo coltello da caccia per sua madre. Frutti zuccherini per suo fratello. Pensare a quanto sarebbero stati felici i suoi cari con i doni diede a Kaiina il coraggio di cui aveva bisogno. A testa alta, entrò nella radura. Si fece strada tra le stuoie intrecciate, guardando attentamente la merce disposta con cura su ognuna. Erbe profumate, ananas e sedani selvatici, uova di urogallo... le
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brontolava lo stomaco mentre passava tra i venditori. Per impedirsi di sprecare i soldi della tribù, ripeteva a mente la sua breve lista della spesa, recitandola come un mantra. Arance. Un coltello da caccia. Frutti zuccherini. Nel vederla passare i mercanti chiamavano Kaiina con grandi gesti, ma Kaiina, per timidezza, evitava i loro sguardi. Non aveva mai trattato acquisti prima di allora e aveva paura che si sarebbero approfittati di lei se avesse mostrato interesse per ciò che vendevano. «Kaiina!» Alzò gli occhi, sorpresa, e fu sollevata nel vedere una vecchia che ben conosceva zampettare agile in mezzo alle stuoie ingombre per avvicinarsi a lei e stringerle con affetto le mani tra le sue. Kaiina si rilassò: Prana era un’anziana donna che si spostava di tribù in tribù per barattare vasellame di terracotta. Kaiina la conosceva da anni e non l’aveva mai vista senza un sorriso sul vecchio volto segnato dal tempo. Lo spirito animale di Prana, un martin pescatore dagli scintillanti riflessi dorati, era appollaiato sulla lunga treccia grigia della donna, le zampe sottili strette alle ondulazioni dei capelli argentati. L’uccellino saltò sulla spalla della ragazza con un gorgheggio allegro e stonato. Vorrei tanto avere uno spirito animale, pensò Kaiina. Così avrei sempre compagnia e non dovrei venire al mercato da sola. Ma certe persone stabilivano un legame con uno spirito animale e altre no, non c’era modo di prevederlo. E Kaiina non aveva evocato il suo. «Di solito non è così entusiasta di vedere qualcuno. Gli piaci davvero!», disse Prana. Kaiina accarezzò il piumaggio morbido e lucente
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dell’uccello. Quello sollevò il mento, invitandola a lisciarlo anche lì. Lei sorrise e lo accontentò. In quel preciso momento, il martin pescatore di Prana si levò in aria e cominciò a stridere. Gli alberi tutto intorno tremarono. Le scimmie urlarono. Le cicale ronzarono. Gli uccelli schiamazzarono. Kaiina si sentì pervadere da una strana vertigine, e il mercato sprofondò nel silenzio. Il terreno sembrò inclinarsi sotto i suoi piedi nudi. «Cosa succede?», gridò. Anche se solo qualche istante prima sudava per il caldo, Kaiina fu scossa da un brivido di freddo improvviso. Il cielo si oscurò, e le nuvole, d’un tratto rabbiose, si fusero l’una nell’altra. La ragazza sentì un boato e uno schianto, e i suoi occhi si riempirono di luce. L’esplosione gettò a terra Kaiina e Prana. Il primo pensiero di Kaiina, cui fischiavano le orecchie, fu aiutare l’anziana ad alzarsi. Ma Prana si era già rimessa in piedi, gli occhi arrossati pieni di lacrime. Battendo velocemente le palpebre per togliersi il bagliore violaceo dagli occhi, Kaiina si sollevò sui gomiti. Con la stessa rapidità con cui si erano addensate, le nuvole si dispersero. La radura tornò a riempirsi di sole, la luce abbagliante che schiariva i contorni di una creatura gigantesca là dove, solo qualche attimo prima, non c’era nulla. «Non è possibile», sussurrò Prana. Eppure era proprio così. Era apparso un elefante. L’enorme animale chinò la testa, la proboscide abbassata per annusare il terreno. Kaiina aveva visto molti elefanti nella giungla, ma nessuno grande come questo. Le
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sue larghe orecchie ondeggiarono mentre si dirigeva verso lei e Prana. I venditori e i clienti delle varie tribù erano fuggiti ai margini del mercato e osservavano la scena con curiosità mista a paura. Le gambe di Kaiina sembravano aver messo radici. «T-tu conosci questo elefante?», balbettò, rivolta a Prana. «Da dove è arrivato? E perché sta venendo verso di te?» «Non verso di me, bambina», replicò Prana, la voce carica di stupore. «Sta venendo verso di te.» «Non capisco!», gridò la ragazza, la vista annebbiata dalle lacrime. «Hai evocato uno spirito animale», disse la vecchia. Si era messa una mano rugosa sulla bocca, il che rendeva le sue parole appena percettibili. «Ma quell’elefante, quegli occhi... è impossibile! Kaiina, hai evocato Dinesh.» Dinesh? La creatura leggendaria, una delle Grandi Bestie dell’Erdas? Ebbe l’impressione che la terra diventasse molle sotto i suoi piedi, come se stesse scivolando nel fango. Avvicinandosi l’elefante rallentò l’andatura, e Kaiina rimase a bocca aperta nel vederlo chinare il capo gigantesco. Due occhi di un vivace color acquamarina si fissarono nei suoi, scintillanti di intelligenza e quasi di divertimento mentre osservavano i frequentatori del mercato farsi piccoli piccoli. Possibile che questo animale fosse davvero il grande Dinesh? «Saluta», la esortò Prana. «Sta aspettando di fare la tua conoscenza.» L’espressione della creatura si addolcì, e Kaiina scoprì che riusciva di nuovo a muovere le gambe. Nonostante le
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decine di sguardi che si sentiva puntati addosso, nonostante l’agitazione di quello sconvolgimento e lo stravagante spettacolo di un elefante enorme fermo sulle stuoie intrecciate, Kaiina non si tirò indietro. Voleva toccarlo. Si sentiva montare dentro una carica che le faceva formicolare la pelle, e sapeva per istinto che solo quello l’avrebbe placata. Tremante, avanzò a grandi passi verso l’elefante fino a mettergli il viso a pochi centimetri dal muso. Quando passò il dorso della mano sul suo orecchio ruvido e chiuse gli occhi, fu pervasa da un sereno tepore. Kaiina sentì un tocco umido sul collo. Aprì gli occhi e sorrise nel vedere la grossa proboscide di Dinesh che si strofinava contro di lei. Che la confortava. D’un tratto le parve di essere grande quanto l’elefante: troppo grande per essere intimorita da un mercato affollato. Le parve ridicolo esserlo mai stata. Posò una mano esitante sul fianco dell’animale. La pelle era ruvida e spessa, il torace gigantesco si alzava e si abbassava sotto le sue dita. Guardò l’elefante negli occhi, e vide nel suo sguardo un’intelligenza sconfinata. «Come posso aver evocato Dinesh?», chiese, strabiliata. «E perché proprio io?» Prima che la vecchia riuscisse a risponderle, un uomo che indossava una casacca nera si fece avanti. «Questa è davvero una mattina di lieto auspicio!», gridò lo sconosciuto. «Le Grandi Bestie stanno tornando, e io sono stato mandato a condurle in salvo.» Il martin pescatore dorato di Prana puntò subito il becco affilato contro l’uomo. L’attenzione di Kaiina fu attratta dalla spirale color carbone sulla fronte del nuovo
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arrivato. Vide che era gonfia e in rilievo, più un marchio che un tatuaggio. Sembrava quasi incresparsi nel tremolare della calura, ma dopo lo shock che aveva subìto in quegli ultimi minuti, non era certa di potersi fidare dei propri sensi. Si appoggiò al fianco di Dinesh, in cerca di sicurezza, e trasse sollievo dal ritmico movimento delle sue costole. «Puoi lasciare la ragazza e il suo elefante alle mie cure, vecchia. Da qui in avanti ci penso io.» Il pachiderma alzò la proboscide e mandò un barrito profondo, abbastanza potente da riecheggiare nel petto di Kaiina. Da qualche punto nella giungla, gli risposero altri suoi simili. Quando Kaiina sentì una serie di schianti in lontananza, capì che gli elefanti si stavano avvicinando. Dinesh scrollò la testa in direzione dello sconosciuto, abbassando le zanne e rivolgendole contro l’uomo con la casacca nera. Kaiina accarezzò un orecchio di Dinesh e vide che i suoi occhi erano carichi di diffidenza. «Kalistan-ah», sussurrò la ragazza a Prana nella lingua del luogo. In guardia. Prima che la donna potesse risponderle, lo sconosciuto avanzò verso di loro. Era bello, con la pelle marrone chiaro e una barba curata che gli copriva la mascella. «Siaga», disse mentre sul suo viso si allargava un sogghigno malvagio. «Parlo la vostra lingua, e sì, dovete temermi.» Le cime degli alberi ricominciarono a oscillare, le scimmie e gli uccelli ripresero a strillare. Le cicale passarono da un basso ronzio a un vero e proprio rombo. Kaiina guardò Dinesh, sperando di trovare nei suoi occhi gentili la conferma che non c’era niente di cui aver paura. Ma la paura fu proprio ciò che vi scoprì.
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L’elefante fece prima un passo avanti poi un passo indietro, la testa nervosamente abbassata. La ragazza seguì il suo sguardo e vide una macchia di vegetazione spinosa scuotersi e tremare. Mentre i rami si piegavano ancora di più e la creatura che nascondevano – qualunque fosse – cominciava a uscirne, Dinesh tornò a lanciare il suo barrito. «Cosa succede?», gridò Kaiina. La fragorosa vibrazione del richiamo le rimbombava in testa. I frequentatori del mercato, che avevano cominciato ad avvicinarsi dai loro sicuri punti di osservazione, nel sentire il barrito dell’elefante si paralizzarono. E fu un bene, perché all’improvviso Dinesh caricò. Tutti si affrettarono a togliersi di mezzo, ma il pachiderma era arrivato solo a metà della radura quando si bloccò di botto, la grossa mole che slittava sul terreno minacciando di cadere in avanti per lo slancio. Dalla macchia emergeva un’altra creatura colossale. Era un orso, ma diverso da tutti quelli che Kaiina aveva visto fino a quel momento. Le avevano sempre insegnato che gli orsi erano marroni o neri, ma questo era bianco, il mantello che spiccava chiaro come le nuvole del mattino contro i neri e i verdi intensi della giungla. Sconcertata, la ragazza si girò di scatto e colse lo sguardo terrorizzato di Prana. «Quale sventura è mai scesa sul nostro mondo?», gridò la vecchia portando la mano al cuore. Dal cielo venne uno stridio, e una grande aquila calò in picchiata, abbassandosi tanto da battere le ali poco sopra la testa dell’orso polare. Poi, dalla parte opposta della radura, giunse un verso cupo e minaccioso, e quando
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Kaiina si girò, vide un cinghiale gigantesco, irsuto e con due grosse zanne. Accecata dalla paura, la ragazza corse verso Prana, ma fu bloccata da una nuova creatura, una bestia muscolosa a quattro zampe, simile a un’antilope tarchiata e robusta, ma con le corna incurvate sulla testa. L’animale se ne servì per colpire Prana, che barcollò e cadde sotto gli occhi di Kaiina. Il martin pescatore volteggiò sopra la donna, tentando invano di fermare l’attacco della bestia. Kaiina arretrò, le mani tese a cercare lo spirito animale che aveva appena trovato. Non era difficile localizzare Dinesh, che barriva e strepitava turbinando in mezzo alla radura per fronteggiare sia l’orso polare sia il cinghiale. Immobile e tranquillo tra le due bestie che attaccavano l’elefante c’era lo sconosciuto in casacca nera. «Perché lo stai facendo?», gridò Kaiina. L’uomo non rispose. Sentendo l’angoscia nella voce di Kaiina, Dinesh girò su se stesso e le si pose di fronte. Con un unico, preciso movimento, le avvolse la proboscide intorno alla vita, la sollevò e la posò con cura sul suo largo dorso. Subito dopo, riprese a combattere contro l’orso e il cinghiale, sferzando l’aria con le enormi zanne per tenerli a distanza. Lo sconosciuto rivolse un sogghigno a Kaiina. Ora la spirale che aveva in fronte si stava decisamente muovendo, si contorceva sotto la pelle. «Non l’hai ancora capito? Sto riunendo le Grandi Bestie. E Dinesh è il mio prossimo trofeo.» Dopodiché, l’uomo estrasse una fiala di ossidiana da un sacchetto appeso in vita e la stappò. La ragazza si sentì raggelare dal terrore.
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L’orso polare e il cinghiale si erano separati. L’elefante, nervoso, girava su se stesso per fronteggiare ora l’uno ora l’altro. Con le Grandi Bestie ai due lati, Dinesh non era più in grado di respingere allo stesso tempo entrambi gli assalitori. Kaiina si chiese per quanto ancora le sue zanne li avrebbero protetti. Sollevando una folata di vento, l’aquila raggiunse il punto in cui si trovavano. Si librò accanto all’uomo barbuto, che mise la misteriosa fiala nera tra i suoi artigli. Con un paio di battiti delle ali possenti, l’aquila volò verso Kaiina. La ragazza si rannicchiò, stringendosi forte con le gambe ai fianchi di Dinesh mentre d’istinto alzava le braccia davanti al viso. Ma l’aquila non mirava a lei. Kaiina, inorridita, la guardò rigirare con destrezza la fiala tra le zampe e farne piovere il contenuto sull’ampia fronte di Dinesh. All’inizio pensò che contenesse del fango grigio, ma poi vide che quella specie di goccia vischiosa cominciava a muoversi e capì che doveva essere un verme, o una sanguisuga... di forma e dimensioni identiche alla spirale attorcigliata sulla fronte dello sconosciuto. Disperata, la ragazza si sporse in avanti, sperando di poter spazzare via quel mostriciattolo col dorso della mano. A sorpresa, però, il verme si dimostrò incredibilmente veloce. Aderendo senza sforzo alla pelle dell’elefante, prese a strisciargli sulla fronte, indifferente ai suoi frenetici tentativi di toglierselo di dosso. Il verme premette più volte la ventosa munita di denti su Dinesh, ma era chiaro che faticava a penetrarne la scorza coriacea. Kaiina tentò di schiacciarlo, ma quello fu troppo rapido. Raggiunse serpeggiando l’orecchio di Dinesh e sparì in fretta tra le sue
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pieghe. La ragazza capì quanto a fondo era penetrato quando sentì l’elefante urlare di dolore e lo vide scuotere la testa con violenza. Il pachiderma cominciò a oscillare e a rabbrividire sotto le gambe di Kaiina. Sollevò la testa e mandò un altro barrito, un grido atroce, tormentato. Poi si fermò e tacque. Il cinghiale e l’orso smisero di attaccare e si allontanarono dall’elefante. «Dinesh!», urlò Kaiina. Le sue mani strinsero forte la testa dell’elefante. «Stai bene? Dinesh!» Il pachiderma non si mosse. «Perlomeno tu hai avuto qualche istante con il tuo spirito animale», disse l’uomo. «Ad altri non concedo tanto.» Kaiina strofinò la pelle dell’elefante, sperando che si sarebbe risvegliato al suo tocco. Ma quella specie di elettricità che li aveva legati era svanita, e Dinesh rimase immobile. Il cinghiale si rilassò, accomodandosi a terra, mentre l’orso, con la lingua penzoloni, ansimava forte nella calura della giungla. D’un tratto Kaiina si sentì girare la testa, come se potesse svenire per lo shock. Lo sconosciuto in nero strattonò il cordone di cuoio grezzo che gli chiudeva il collo della camicia, scoprendo un ampio torace. Al centro, sul triangolo di pelle tra i pettorali da cui si dipartiva l’addome, c’era un tatuaggio che sembrava rappresentare un cobra. L’uomo chiuse gli occhi, la fronte corrugata per la concentrazione. Poi, in un lampo di luce, l’orso e il cinghiale svanirono per riapparire subito sul suo petto, uno per parte, le zampe anteriori allungate sui muscoli delle sue spalle. Kaiina udì degli schiocchi dietro di sé e vide altri due tatuaggi comparirgli
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sul petto: un’aquila e un ariete. Rimaneva un grosso spazio nel mezzo, appena sotto la gola. «No, no...», gemette la ragazza, rendendosi conto di ciò che sarebbe accaduto. «Oh sì, invece», replicò l’uomo con il tono di un gatto che fa le fusa. Un altro lampo di luce, stavolta proprio sotto di lei, e Kaiina crollò. Cadde di schianto sul terreno fangoso con una violenza che le tolse fiato. Boccheggiante, scossa da un tremito, si rialzò sulle mani e vide un nuovo tatuaggio sul petto dell’uomo, lungo lo sterno. Dinesh. «Chi sei?», ansimò. «Perché l’hai fatto?» Lo sconosciuto la sovrastò minaccioso, incrociando le braccia sui tatuaggi animali che gli ornavano il petto possente. Lo strano marchio a spirale sulla sua fronte si contorse. L’uomo fece una smorfia di dolore mentre la pelle s’increspava e si tendeva. I suoi occhi si accesero di una debole fiamma, presero il colore del tramonto. «Un tempo il mondo intero conosceva il mio nome, e presto lo conoscerà di nuovo. Io sono Zerif.»
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Nel mondo di Erdas, ogni giovane deve scoprire se possiede il raro e prezioso dono di evocare uno spirito animale. Conor, Abeke, Meilin e Rollan sono stati gli unici a evocare le quattro Grandi Bestie della Leggenda, coraggiosi guardiani ritornati in vita allo scopo di proteggere il mondo. Adesso, molti altri animali leggendari stanno apparendo in tutta l’Erdas, legati a ragazzi speciali. Ma una forza terribile sta tornando. Più antica della memoria, e rimasta dormiente per secoli nelle profondità del mondo, è pronta a scatenare la sua furia contro gli animali leggendari in ogni angolo dell’Erdas. Se i giovani eroi non riusciranno a fermarla, l’oscurità avvolgerà prima gli spiriti animali... e poi il mondo intero.
€ 13,00
ISBN 978-88-6966-299-7
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