Per mio fratello Jeff, che una volta mi disse di avere un ippopotamo come spirito animale. — S.H.
Spirit Animals. Fuoco e ghiacchio di Shannon Hale Traduzione di Simona Brogli Per il testo italiano © 2015 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it
Copyright © 2014 by Scholastic Inc. All rights reserved. Published by arrangement with Scholastic Inc. 557 Broadway, New York, NY 10012, USA. scholastic, spirit animals, and associated logos are trademarks and/or registered trademarks of Scholastic Inc. Illustrazione mappa di Michael Walton Design del libro di Charice Silverman ISBN 978-88-8033-024-5
FUOCO E GHIACCIO
Shannon Hale
Traduzione di Simona Brogli
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GERATHON
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erathon si mosse. Le sue scaglie nere, spesse come lastre di metallo, schioccarono contro le rocce di arenaria. La coda guizzò gioiosa dietro di lei. Vita! Fremeva di vita, il corpo che scivolava sul terreno e il terreno che scivolava sotto il suo corpo. La vita è il battito di un cuore, la contrazione di un arto, il frullio di un’ala, il gonfiarsi di un respiro. La vita è movimento. Fece saettare la lingua e avvertì una presenza umana nel vento. Altra vita! In quel momento non aveva fame. Frotte di animali correvano, svolazzavano, zampettavano dietro di lei, tremanti di paura eppure incapaci di allontanarsi. Ogni volta che aveva voglia di uno spuntino, doveva solo allungare il collo smisurato e abbrancare un canguro o un cane selvatico. Da quando era fuggita, non conosceva più la fame. Ciononostante, la vita la colmava di un desiderio irrefrenabile di afferrare creature palpitanti e stritolarle. Cambiò direzione e puntò verso l’umano solitario, il lungo corpo che serpeggiava baldanzoso. Poteva spostarsi senza quasi produrre rumore, naturalmente, ma non ce
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n’era alcun bisogno. Quale essere sarebbe mai sfuggito a due tonnellate di cobra? Eppure questo essere ci provò. Era un giovane uomo, e il suo viso, quando si girò a guardarla con gli occhi sbarrati dal terrore, rivelava tratti ancora infantili. Lei sibilò, una specie di risatina felice, e la forza dei suoi muscoli fece vibrare il corpo possente. Allargò l’elegante cappuccio di pelle del collo, si raccolse e scattò in avanti. Vita! La vita tra le sue fauci si agitò, scalciò, con il cuore che pulsava a mille contro la sua lingua. Urlò con tutte le forze che aveva, sentendosi affondare le sue zanne nella schiena e fluire dentro il suo denso veleno nero. Il cuore pompò cortesemente veleno e sangue in tutto il corpo dell’umano. Che si contorse per un certo tempo prima di afflosciarsi. Ma il cuore gli batteva ancora, lento e squisito, mentre lei lo ingoiava tutto intero, i muscoli straordinari che lo spingevano centimetro dopo centimetro attraverso la morbida bocca rosa fino all’oscurità definitiva dello stomaco. Avvolse le sue spire e si fermò a riposare nella calda sabbia corallina, godendosi la sensazione di quel secondo battito accanto al suo, di un’altra vita dentro di lei, una vita che il suo stesso potere spegneva a poco a poco. Rise, ricordando ora la furia che l’aveva accompagnata per secoli in quella prigione di massi e terriccio, un peso che tentava di schiacciarla, inghiottirla, finirla. Ma la libertà recente rendeva tutto più delizioso. Calda di sole e nuovo cibo, si sentiva volubile e un tantino dispettosa. Non avrebbe potuto mangiare altro, eppure la sua fame di vita era stata appena solleticata. Gli occhi gialli si fecero lattei mentre protendeva la mente. Dietro quello sguardo bianco vibrarono molte
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macchie di calore altrettanto bianche, ognuna corrispondente a una persona che Gerathon conosceva come un pastore conosce le proprie pecore. Scelse una creatura addormentata. Era più facile scivolare dentro il loro subconscio. Quella era una donna, vecchia per gli standard umani, e viveva nel lontano Niloh. La coscienza di Gerathon riempì la sua mente come sabbia che riempie una giara. La fece alzare in piedi, uscire dalla sua casupola e guardarsi intorno. La notte Nilohana era scura e calda, profumata di gelsomino. Gerathon riusciva quasi a percepire lo scricchiolio dell’erba secca sotto i piedi nudi della donna, la terra che tratteneva ancora il calore della giornata. Attraverso gli occhi della vecchia, vide un dirupo proprio lì davanti. La mosse in quella direzione, veloce, sempre più veloce, di corsa. La donna sussultò, a quel punto, come se cercasse di svegliarsi. Gerathon sibilò di piacere. La vita è movimento. La spinse oltre il bordo e precipitò con lei, abbandonandone la coscienza un attimo prima che si schiantasse sul fondo della gola. Uno spreco, forse, tenuto conto dei piani di Gerathon per il futuro. Ma come prima cosa doveva comunque riunire tutti i talismani, e nel frattempo una Grande Bestia merita un po’ di divertimento. Leccò il vento. Sulla sua bocca squamosa continuava ad aleggiare un sorriso.
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UN FURTO
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l vento soffiava da sud, premendo contro la schiena di Meilin, sollecitandola a continuare. Non che avesse bisogno di sollecitazioni. Negli ultimi tempi, sembrava che dentro di lei infuriasse un fuoco, una vampa incontrollabile che le imponeva di andare avanti, avanti, avanti. Gli altri a volte si lamentavano per i ritmi implacabili di quel viaggio infinito, prima attraverso lo Zhong e ora per l’Eura settentrionale, ma secondo Meilin non si sarebbero mai mossi abbastanza in fretta. La luce brillava accecante sul fiume che costeggiava la strada, e lei chiuse gli occhi. Come sempre, dietro le palpebre la aspettavano le stesse immagini. Il coccodrillo gigante, con le fauci spalancate e gli occhi più neri del nero. Suo padre immobile. Morto. Meilin si affrettò a riaprire gli occhi e spronò il suo cavallo perché accelerasse il passo. Il vento cambiò. Una brezza da nordovest le investì il viso. Si strofinò la pelle d’oca che le spuntò sulle braccia.
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«Farà parecchio più freddo», osservò Rollan, portando il cavallo accanto al suo. «Un freddo cattivo. Un freddo di quelli che ti si stacca il naso e ti si congelano le dita dei piedi.» «Sì», disse lei. «Una volta ho visto un altro ragazzo di strada, un buono a nulla pieno di pidocchi, sfidare un ragazzino ricco a leccare un lampione di ferro nel cuore dell’inverno. La lingua del ragazzino ricco è rimasta attaccata lì – incollata al ghiaccio – e il mio amico gli ha rubato il cappotto e le scarpe.» «Non mi dire», commentò Meilin. «Te lo dico sì, cara la mia signora panda!» «E immagino che il ragazzo della tua storia non avesse un nome che inizia per R e finisce per n, vero?» «Certo che no! Non ho mai avuto i pidocchi, io. E te lo racconto solo per avvertirti, visto che hai quella malaugurata abitudine di leccare i lampioni.» Ci mancò poco che Meilin sorridesse. Dal giorno della battaglia al tempio di Dinesh, Rollan aveva passato un sacco di tempo vicino a lei, soprattutto a fare battute. A cercare di distrarla dal suo dolore, pensava. Il viaggio alla ricerca del talismano del Grande Elefante era quello che aveva causato le perdite maggiori, finora. Partita da sola alla volta dello Zhong, Meilin aveva finalmente ritrovato suo padre che, dall’interno del Grande Labirinto di Bambù, guidava una cellula di resistenza sotto assedio. E quasi subito dopo averlo ritrovato, lui era morto, ucciso proprio sotto i suoi occhi. All’inizio Meilin si era sentita... calma. Intontita. Con un terribile senso di vuoto, come se non le fosse rimasto più niente da offrire. Ma poi, lentamente,
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aveva cominciato a prendere fuoco. Dentro di lei ardeva una fiamma, un costante promemoria del fatto che il Divoratore era libero da qualche parte, libero di uccidere. Meilin non avrebbe permesso che affetti o stupide battute spegnessero quella fiamma. Incitò il suo cavallo a correre ancora più veloce. «Più avanti c’è un crocevia», annunciò Tarik. «Fermiamoci per la notte.» «Ma abbiamo ancora un po’ di luce», obiettò Meilin. «Al crocevia, il fiume cambia direzione rispetto al nostro percorso», spiegò il Mantello Verde. «Dobbiamo far abbeverare i cavalli prima di procedere verso nord.» Meilin avrebbe voluto protestare, ma Tarik la stava guardando di nuovo con aria comprensiva e compassionevole. Jhi le lanciava spesso quel tipo di occhiate, ed ecco perché la teneva nello stato passivo il più possibile. Stava diventando insopportabile. Il prossimo che l’avesse guardata così si sarebbe ritrovato... «Meilin?», disse Abeke. «Cosa?», scattò lei. «Oh!» La Nilohana fece quasi un salto indietro. «Ehm, stavo solo per chiederti se volevi aiutarmi a raccogliere legna per il fuoco.» «Sì, certo», replicò vivacemente Meilin. La zona pianeggiante intorno al crocevia cominciava a riempirsi di viaggiatori e carovane di mercanti che si accampavano per la notte. Il gruppo dei Mantelli Verdi stava attraversando una piatta distesa erbosa dell’Eura settentrionale. Da tutt’altra parte rispetto a Glengavin, purtroppo, o a Finn, ma, per una volta almeno, la strada era tranquilla e sicura. C’era persino una coppia di menestrelli,
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composta da un suonatore di liuto che strimpellava e da una donna velata di azzurro che cantava sottovoce come se stesse facendo le prove. Abeke non parlò mentre cercavano pezzi di legno trasportati dalla corrente e rami rotti sulla sponda del fiume. Bene. Il silenzio permetteva a Meilin di concentrarsi totalmente sul proprio incendio interiore, di orientare tutta se stessa verso il pensiero del Divoratore, come se lei fosse la punta di una freccia e lui il bersaglio. Con le braccia cariche di legna, le due ragazze tornarono dove Tarik, Rollan e Conor stavano togliendo le selle ai cavalli. A disporre pietre in cerchio attorno alla buca per il fuoco c’era invece l’Eurana dai capelli fulvi, Maya, un Mantello Verde cui Tarik aveva chiesto di unirsi a loro nella missione che li avrebbe riportati al Nord. Era di qualche anno più grande di Meilin, ma il suo visetto pallido sotto la massa di riccioli rossi poteva indurre in errore e farla credere più giovane. Maya si tirò su la manica del maglione viola, scoprendo il piccolo tatuaggio a forma di lucertola che aveva sull’avambraccio. Con un lampo di luce, la sua salamandra pezzata uscì dallo stato passivo e le si arrampicò velocissima sulla spalla. L’animaletto aveva il corpo nero costellato di macchie di un giallo brillante ed era così minuscolo da potersi rannicchiare nel palmo della mano della ragazza. Meilin rivolse a Maya un sorriso triste, certa che fosse rimasta delusa dal suo spirito animale come lo era stata lei dal suo panda. Quali doti utili in battaglia avrebbe mai potuto darle, una salamandra? Meilin e Abeke scaricarono la legna, e Abeke ne lasciò cadere un po’ nella buca. La Zhonghese fu sul punto di
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correggerla. Per accendere un falò, prima dovevano mettere i pezzi più piccoli, e poi... Maya sollevò la mano, e sul suo palmo si formò una palla di fuoco. Soffiò, e il fuoco colpì la legna, avvolgendo all’istante l’intero fascio nelle fiamme. «Oh!», esclamò Meilin. «Non avevi mai visto il trucchetto di Maya?», chiese Conor. Meilin fece segno di no. «Temo di non essere un granché, come guerriero», disse Maya con un largo sorriso. «Il mio unico trucco è questo, e più o meno non so fare altro.» «Quell’unico trucco potrebbe rivelarsi indispensabile, nel gelo del Nord», commentò Tarik. La cantatrice velata passò davanti a loro mentre si avviava verso il fiume insieme al suo compagno liutista. «State andando a nord?», chiese. «A fare cosa? A nord di qui non c’è niente, solo freddo, più freddo e freddissimo.» «E trichechi», aggiunse Rollan. «Voglio proprio vederlo, un tricheco. Sempre che esistano davvero.» «Rollan, te l’ho già detto», intervenne Tarik. «Li ho visti con i miei occhi.» «Elefanti con le pinne e senza zampe?», insisté il ragazzo. «Ci crederò quando ne vedrò uno.» «Siamo diretti a Samis», disse Abeke ai menestrelli. «Voi ci siete stati?» «Ah, Samis, giusto», rispose il suonatore di liuto. «Mi ero quasi dimenticato che ci fosse qualcosa tra qui e l’Arctica. Nessuno si prende la briga di andare a Samis.» «Ci abbiamo provato una volta anni fa, vero, amore mio?», disse la donna velata, prendendo la mano del com-
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pagno e piroettandogli intorno. «I mercanti ci avevano avvertiti che a Samis respingono tutti i visitatori. Ma di certo dovevano avere una gran voglia di un po’ di svago, abbiamo detto noi. E così siamo arrivati fin là...» «E indovinate un po’?», continuò il suonatore di liuto. «Ci hanno mandati via senza neanche farci entrare.» Pizzicò una corda del suo strumento come se fosse la nota finale di una canzone. La coppia si allontanò a passo di danza. «Niente mercanti?», si sorprese Abeke. Stesa al suo fianco, Uraza si stiracchiò. La ragazza accarezzò il leopardo con aria pensierosa, suscitando fusa tali da far tremare le ossa. «Nel mio villaggio, senza mercanti non avremmo oggetti di metallo di nessun genere, né pentole né padelle, o badili. Se comprassimo degli utensili di metallo qui per poi offrirli agli abitanti di Samis, forse riusciremmo a entrare nelle loro grazie.» Tarik annuì. «Idea eccellente.» Tolse alcune monete dalla borsa e le consegnò ad Abeke, che partì alla ricerca dei doni, seguita silenziosamente da Uraza. Qualche istante dopo, Meilin sentì delle urla rabbiose levarsi dall’estremità opposta del campo. Si alzò in piedi, con il braccio già sollevato per richiamare Jhi, ma si trattenne. «Abeke e Uraza sono ancora in giro?», chiese. «Stai qui», replicò Tarik, e corse verso l’origine del rumore. Ma l’incendio che ardeva dentro Meilin le impedì di restarsene con le mani in mano. Si precipitò quindi dietro Tarik tallonata da Rollan, mentre Conor e Maya rimanevano a occuparsi del fuoco e a sorvegliare le loro cose.
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Al centro del campo, due uomini si rotolavano nella polvere, sferrandosi pugni e tirandosi per i capelli. Lumeo, la lontra di Tarik, era a cavalcioni sulla sua spalla. Grazie alle capacità potenziate dal suo spirito animale, il Mantello Verde si gettò nella mischia con la stessa facilità con cui una lontra si tuffa nell’acqua e divise i due contendenti. «Basta!», ordinò, e i fischi e le urla si spensero. «Cosa succede?» «Mi ha derubato!» A parlare era stato un uomo calvo e tarchiato, con il naso sanguinante e la camicia strappata. «Sono anni che risparmio, ormai, una moneta qui e una là. Mancava poco, e avrei avuto i soldi per togliere mia madre da quella lurida cittadina e comprarle una fattoria in campagna. Mancava poco! Finché lui non mi ha portato via la borsa.» Sollevò un lembo della camicia, mostrando le estremità tagliate di due lacci di cuoio legati alla cintura. «Ti dico che non sono stato io!», protestò l’altro. «Bill, viaggio con te da anni. Perché avrei dovuto derubarti proprio adesso?» «Non lo so! Ma sei l’unico a cui l’ho raccontato, e se la mia borsa non l’hai presa tu, dov’è andata a finire?», ribatté Bill. Tornò a stendersi per terra, piangendo con la faccia tra le mani. «Ho risparmiato per tanto tempo...» «Signore, il tuo amico dice la verità», intervenne Rollan. «Non è stato lui a derubarti.» Meilin gli lanciò un’occhiata. Essix volava in tondo nelle vicinanze. In passato, l’animale doveva toccare Rollan per amplificarne le percezioni. Forse il legame tra il ragazzo e il girifalco si stava affinando, finalmente, anche
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se Meilin non aveva ancora visto Essix assumere la forma passiva. Il tizio chiamato Bill alzò gli occhi, la faccia sporca striata di lacrime di disperazione. «Allora chi è stato?» Rollan studiò la folla di mercanti, musici e viaggiatori che si erano raccolti per assistere alla zuffa. Uno strano silenzio calò su tutto il gruppo. Il suo sguardo si fermò su un giovanotto smilzo in camicia bianca e fazzoletto da collo che in quel momento esaminava la ruota di un carro dando le spalle alla rissa. Rollan socchiuse gli occhi. «Io controllerei l’elegantone laggiù», disse, accennando in quella direzione. Tarik afferrò l’uomo smilzo per le braccia, bloccandogliele dietro la schiena. «Cosa stai facendo?», urlò l’elegantone. «Certo che quella è una ruota da carro stupenda», osservò Rollan, «ma la trovi così appassionante da non prestare attenzione a una scazzottata da campo? A meno che tu non stia solo cercando di passare inosservato». Meilin e uno dei mercanti lo perquisirono. La ragazza sentì un rigonfiamento nello stivale e ci infilò dentro la mano, estraendone un pesante sacchetto di pelle, pieno di monete e con i lacci tagliati. Gettò la borsa a Rollan. L’uomo si divincolò tra le imprecazioni. Meilin si rialzò, i pugni serrati e impazienti. Il fuoco divampava dentro di lei, minacciando di bruciarla se non avesse agito, se non avesse abbattuto il Divoratore e tutti i suoi seguaci. Forse per ora poteva bastare quel ladruncolo insignificante. Ma Tarik lo teneva ben stretto, e Meilin esalò il respiro trattenuto, lasciando che i suoi pugni si distendessero.
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Rollan sollevò il sacchetto e lo avvicinò ai lacci tagliati di Bill. «A me sembra che combaci», disse. Gli tese la borsa. «Grazie», sussurrò l’uomo, stringendosela al petto. «All’ultimo crocevia anche un altro è stato derubato», notò una vecchia con i capelli bianchi tirati indietro e ruvidi vestiti buoni per andare a cavallo. «Era sempre opera tua, vero, Jarack?» L’uomo chiamato Jarack si dibatté nella stretta ferrea di Tarik. «I mercanti hanno un codice!», esclamò la donna. «E tu l’hai infranto. Jarack, sei bandito da questa carovana e da qualsiasi futuro commercio nel Nord.» Per un attimo parve che Jarack volesse parlare, ma una decina di mercanti si piazzarono alle spalle della donna, alcuni con le braccia conserte, altri con le armi in pugno. Tarik lasciò andare il ladro, che imprecò, arraffò un fagotto dal carro su cui viaggiava e fuggì nella notte. Quando Meilin e Rollan tornarono al loro accampamento, Bill e il suo amico si stavano stringendo la mano. «Niente ti scalda così bene per la cena come un furto e zuffa da carovana», commentò Rollan. Meilin rallentò in modo da camminargli accanto. Aprì la bocca, preparandosi a rimbeccarlo con qualcosa che potesse farlo ridere o replicare a sua volta, avviando una conversazione che li avrebbe tenuti lì a parlare per ore. Ma invece delle parole, sentì salirle in gola un bruciore incandescente... doloroso, angosciato. Allora accelerò il passo per raggiungere l’accampamento, lasciando indietro Rollan.
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Più avanti, Conor, appoggiato mollemente a Briggan, accarezzava la testa del suo lupo. Maya, invece, sdraiata sulla pancia, reggeva sul palmo della mano Tini, la sua salamandra, e le parlava con grande serietà. Tutti i Mantelli Verdi parlavano ai loro spiriti animali, però Maya stava tenendo quella che pareva un’intensa conversazione unilaterale con un anfibio! Poteva darsi che fosse pazza, ma sembrava soddisfatta, a suo agio. Tutto ciò che Meilin non era. Forse Jhi avrebbe potuto aiutarla... no. Meilin strinse i pugni, ricacciando il pensiero. Jhi l’avrebbe calmata. Ma lei non voleva pace. Voleva combattere! La rabbia che aveva nel cuore avvampò, ancora più rovente, ustionandole il petto, la gola. Chiuse gli occhi per trattenere il pianto e subito rivide l’immagine: suo padre, immobile, gli occhi vitrei. Un singhiozzo le colpì la gola come un pugno. Aprì gli occhi e liberò Jhi. Il panda toccò terra, si voltò e la guardò. Come sempre, Meilin pensò che avesse un’aria comica, zampe nere e corpo bianco come abiti male assortiti, spioventi cerchi neri intorno agli occhi quasi fosse triste. In lei tutto era tenero e rotondo. Meilin avrebbe voluto provare di nuovo la rabbia per non essersi legata a un predatore, feroce e sempre pronto alla battaglia. Ma gli occhi argentei di Jhi la fissavano intensamente. La ragazza sostenne lo sguardo del panda, fece un respiro profondo, e di colpo tutto sembrò rallentare. Si accorse del vento freddo sulla peluria delle braccia, del blu profondo e vellutato del cielo della sera. I suoni parvero dividersi, e Meilin riuscì a distinguere con facilità
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le voci dal mormorio del fiume... i singoli brandelli delle tante conversazioni del campo, i passi di Rollan che si avvicinava dietro di lei e, appena oltre Rollan, altri passi più veloci. Una corsa. Si girò. Il tempo non scorreva più lento, in realtà. Solo che, avvolta dalla pace di Jhi, la sua percezione dell’istante era così acuta che il mondo le sembrava muoversi al rallentatore. Rollan le sorrise. «Cosa c’è?», chiese. Lui non poteva vederlo. Alle sue spalle, Jarack gli si stava avventando contro, un lungo coltello dalla lama ricurva stretto in pugno. «Rollan!», gridò Meilin. La calma proveniente da Jhi la circondava ancora. Già prima che Rollan avesse la possibilità di voltarsi a guardare, Meilin vide un sasso accanto al proprio piede, gli diede un calcio facendoselo volare in mano e lo lanciò, centrando Jarack alla spalla. Sorpreso, Rollan indietreggiò di un passo e si ritrovò a pochi centimetri dal coltello dell’uomo. Meilin, però, era già scattata in avanti. Coprì in scivolata la distanza che la separava da Jarack e, con i piedi, gli assestò un colpo alle gambe, facendogli perdere l’equilibrio. Dal modo in cui si muoveva, capì che l’uomo non aveva alcuna pratica di arti marziali... ma aveva rabbia in abbondanza e un coltello molto grosso. Non si sarebbe arreso. Jarack vibrò un fendente. A Meilin sembrò di vedere l’arco percorso dal coltello come se fosse disegnato nell’aria, di vedere l’arma avvicinarsi lentamente al suo collo. La schivò senza difficoltà, allungandosi per sferrare un pugno alle reni del suo avversario. Questi si piegò in due e
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tirò un’altra coltellata. Stavolta Meilin gli mollò un pugno allo sterno che lo lasciò senza fiato, poi, fulminea, lo colpì al braccio con il taglio della mano. Jarack lasciò cadere il coltello. Reggendosi il polso, la guardò impaurito, dopodiché si girò e si diede alla fuga. Rollan la stava fissando con un’aria di sbalordimento totale. Il flusso di calma che emanava da Jhi si dissolse, e il tempo riprese il suo corso normale. «Ti muovevi così veloce...», disse Rollan. «Come ci sei riuscita?» «Io non mi sentivo veloce», replicò Meilin. «Era tutto il resto che sembrava lento.» Il ragazzo aggrottò la fronte. «Mi dispiace», disse lei. «Probabilmente pensi che io sia prepotente e aggressiva, e che avresti potuto affrontare quel tipo anche da solo, e che non dovrei interferire in continuazione, e...» «Meilin!», esclamò Rollan. La ragazza si accorse che la chiamava per nome già da un bel po’. «Grazie.» «Prego», rispose, e fece per voltarsi. «No, dico sul serio.» Rollan esitò. «Io... quando vivevo per strada, ho sempre fatto parte di una banda, ma se uno della mia banda avesse dovuto scegliere tra me e un pasto caldo, be’, sapevo che direzione avrebbe preso. Ma qui con te... con voi, per la prima volta... quello che sto cercando di dire, credo, è che mi fido di voi. E per me non è mica roba da niente.» Sorrise di quel sorriso tutto Rollan che Meilin stava arrivando a conoscere così bene. All’inizio lo aveva visto solo come un orfano qualsiasi. E adesso eccola lì, orfana lei stessa – sua madre morta nel darla alla luce, suo padre
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ucciso dal Divoratore – senza una casa, senza un posto a cui tornare, che tentava semplicemente di sopravvivere. Più simile a lui di quanto avrebbe mai creduto possibile. Gli occhi castani di Rollan erano affettuosi, la pelle scura chiazzata dalla sporcizia della strada, il viso squadrato così rassicurante nella sua familiarità. Nell’abisso di disperazione che si era spalancato dentro di lei dalla morte del padre, avvertì una piccolissima punta di speranza. E poi Rollan si allungò e le prese la mano. Le sue dita erano calde. Meilin non era mai stata tanto consapevole del battito del suo cuore.
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SAMIS
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a strada per Samis cominciò a perdere il suo aspetto di strada. Rovi e bassa vegetazione ripresero possesso del terreno battuto, al punto che Conor era sicuro di avere davvero una meta solo perché Tarik disponeva di una mappa da seguire. Prima di scorgere una qualsiasi traccia del villaggio, il ragazzo individuò una mandria di caribù. Gli animali dal mantello grigio e dalle grandi corna brucavano in una zona verdeggiante della campagna, sorvegliati da due... «Pastori!», esclamò Conor. «O comunque mandriani di caribù. Mi piacerebbe andare a parlare con loro.» «Certo», replicò Rollan. «Provaci. Solo, ecco, non regalargli l’Elefante di Ardesia o l’Ariete di Granito. Cioè, se puoi evitarlo.» «Rollan...», lo ammonì Tarik sottovoce. Rollan alzò le spalle, indifferente al rimprovero. Conor si sentì di colpo stanco. Era stato uno sciocco a sperare che gli altri avessero dimenticato il modo in cui il Cinghiale di Ferro era caduto nelle mani del nemico.
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Strane cose accadono ai confini ghiacciati del mondo. Conor, Abeke, Meilin e Rollan hanno attraversato tutta l’Erdas nel tentativo di fermare i Conquistatori. Solo loro quattro, insieme ai loro leggendari Spiriti Animali, hanno il potere di impedire al male di prendere il sopravvento.
LIBRO 4
FUOCO E GHIACCIO
Alla ricerca del talismano custodito da una bestia feroce nel gelido Nord, gli eroi giungono a un tranquillo villaggio dove non tutto è ciò che sembra. Scoprire la verità di questo luogo bellissimo e misterioso non sarà facile, e il tempo sta ormai per esaurirsi. I Conquistatori sono sempre più vicini.
€ 12,00 ISBN 978-88-6966-024-5
9 788869 660245
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