Paul Jennings Storie proprio buffe illustrazioni di Manuela Santoni Traduzione di Francesca Capelli Š 2016 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Titoli originali dei racconti: Licked; Smelly Feat; Tongue-Tied; Spaghetti Pig-out; A Mouthful; Squawk Talk; Ringing Wet; One-Shot Toothpaste; Little Black Balls; Piddler on the Roof Š 2005 Paul Jennings pubblicati per la prima volta nel 2005 da Penguin Australia ISBN 978-88-6966-098-6
PAUL JENNINGS
STORIE
PROPRIO
BUFFE
ILLUSTRAZIONI DI MANUELA SANTONI
Traduzione di Francesca Capelli
SLURP!
Domani, quando papà si sarà calmato, confesserò tutto. Gli dirò la verità. Capace che si mette a ridere. Capace che si mette a gridare. Capace che mi strangola. Ma non posso lasciarlo in questo stato pietoso. Mio padre mi piace. Mi porta a pescare. La sera fa a braccio di ferro con me davanti al caminetto. Gioca a Scarabeo anziché guardare il telegiornale. Mi fa gli scherzi. E mantiene le sue promesse. Sempre. Però ha i suoi difetti. Due soli, a dire il vero, però tosti. Uno c’entra con le mosche. Non le sopporta. Se c’è una mosca nella stanza deve per forza ucciderla. Non vuole usare lo spray perché dice che fa cattivo odore, così la insegue con una paletta schiacciamosche. Corre per casa come un forsennato dando colpi a destra e a manca. Non si ferma finché la mosca non è stecchita. Spiaccicata. Spappolata (a volte si contorce ancora un po’ sul bordo della paletta). È un tiratore scelto. Non sbaglia un colpo. Quando il suo vecchio schiacciamosche era quasi del tutto consumato, gliene comprai uno nuovo fiammante per il com5
pleanno. Era giallo, ma non lo rimase a lungo. Presto papà se lo ritrovò tutto sporco di mosche spappolate. È incredibile la quantità di colori diversi che le mosche schiacciate hanno dentro di sé. Marrone e nero vanno per la maggiore, certo, ma spesso si trovano striature di un rosso sbiadito e persino qualche sfumatura blu. Le ali brillano come diamanti se le metti controluce. Ma se non c’è un po’ di poltiglia a fare da collante, si staccano dallo schiacciamosche e cadono inesorabilmente. La passione per la caccia alle mosche è il primo difetto di papà. Il secondo è l’ossessione per le buone maniere a tavola, tema per il quale può andare su tutte le furie. E a mandarcelo è sempre il mio comportamento. «Andrew», dice. «Non appoggiare i gomiti sul tavolo.» «Non parlare con la bocca piena.» «Non ti leccare le mani.» «Non intingere il biscotto nel caffè.» Questa scenetta si ripete ogni volta che siamo a tavola. Insomma: è proprio fissato con le mosche e con il galateo. Ma torniamo alla nostra storia. C’è papà che sta pelando le patate per la cena. Io sono alla ricerca di una 6
moneta da cinquanta centesimi che mi era caduta sotto al tavolo la settimana prima. Mamma taglia il cavolo e intanto parla con papà. Non sanno che sono lì. È una cena molto importante, perché il capo di papà, il signor Spinks, è invitato. Quando viene qualcuno a cena, papà diventa particolarmente esigente in fatto di buone maniere. O meglio, delle mie buone maniere. «Dovresti smetterla di prendere di mira Andrew a tavola», gli dice mamma. «Non lo faccio mai», risponde papà. «Come no», fa mamma. «È un continuo “non fare questo, non fare quello”. Gli verrà un complesso.» Non ho idea di cosa sia un complesso, ma immagino qualcosa di terribile, tipo i brufoli. «Stasera», insiste mamma, «non ti voglio sentire rimproverare Andrew per tutta la cena». «Come se fosse facile.» «Impegnati», dice mamma. «Prometti che non ti arrabbierai con lui.» Papà la fissa a lungo. «Va bene», dice. «Facciamo un patto. Io non lo rimprovererò per le sue maniere, ma nemmeno tu puoi farlo. Se vale per me, deve valere anche per te.» «Qua la mano», gli fa mamma. Si stringono la mano e si mettono a ridere. Io nel frattempo trovo i miei cinquanta centesimi ed 7
esco alla chetichella. Voglio spenderli prima di cena. Papà ha promesso di non sgridarmi, così mi metto a pensare a qualcosa per farlo andare su tutte le furie. Facile. Per esempio, mangiare la zuppa con il risucchio: odia quando lo faccio. In una situazione normale mi sgriderebbe di sicuro, magari con due urli. Ma oggi no, perché trasgredirebbe al patto. «Sarà divertente», mi dico. La sera mamma apparecchia con una tovaglia nuova e con le posate e i piatti del servizio buono (quello che di solito non mi fanno nemmeno toccare). Mette a tavola i tovaglioli di stoffa, infilati nei portatovaglioli d’argento. Tutti segnali che si tratta di una cena importante. Di solito non usiamo tovaglioli di stoffa. Il signor Spinks è vestito elegante. Porta un paio di occhiali con la montatura dorata e aggrotta molto le sopracciglia. Potrei giurare che non gli piacciono i bambini. È una cosa che si capisce subito negli adulti. Ti sorridono con le labbra ma non con gli occhi. Ci sediamo. Io ho un’arma segreta, che appoggio per terra sotto al tavolo. Sono sicuro di riuscire a fare arrabbiare papà anche senza, ma meglio tenermela accanto per tutte le evenienze. Il primo piatto è zuppa con crostini. La mangio con il risucchio, ma nessuno fa commenti. Aumento il volume e l’intensità dei suoni, sempre di più. Una roba esagerata, 8
come quando togli il tappo a una vasca piena d’acqua. Papà si schiarisce la gola, ma non dice nulla. A quel punto cambio tattica. Inzuppo un crostino nella minestra fino a farlo diventare molliccio. Poi lo prendo con la mano, alzo il braccio e mi faccio cadere il pezzo di pane direttamente in bocca. Lo biascico a lungo prima di inghiottirlo, poi provo a fare lo stesso con un crostino più grande. Questa volta però manco il bersaglio e il crostino mi colpisce un occhio. Nemmeno un commento. Papà mi guarda. Mamma mi guarda. Il signor Spinks cerca di non guardarmi. Stanno parlando di una possibile promozione di papà. Fingono di non vedere le cose disgustose che faccio. Per secondo c’è il pollo. A questo punto papà crollerà di sicuro. Odia vedermi giocherellare con gli ossicini. Quando il pollo è in tavola, esclamo: «La coda la prendo io». Papà mi guarda serio, ma non commenta. Prendo il pollo e inizio a rimpinzarmi, infilandomi in bocca la carne direttamente con le mani. Prendo anche una patata arrosto, l’apro a metà, intingo le dita nel burro e ne spalmo un po’ sulla patata. Il burro cola dappertutto. Non ho mai visto uno sguardo infuriato come quello di 9
mio padre in questo momento. Mi fissa tra il furioso e lo sbalordito. Poi di nuovo si schiarisce la gola. Che uomo. Niente può fargli infrangere una promessa. Spezzo in due un osso del pollo e mi metto a succhiare il
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midollo. L’osso è cavo, ci si può guardare attraverso. Succhio, risucchio e inghiotto. Papà è rosso in faccia. Gli si vedono tutte le venuzze del naso. Ma ancora tiene botta. Per dessert ci sono mele al forno con crema pasticcera. Sono sicuro che ora riuscirò a fargli perdere il controllo. Il signor Spinks ha smesso di parlare della promozione di papà. Ora discute di disciplina, della necessità di fissare i limiti e i livelli minimi da esigere. Cose di questo tipo. Io intingo l’osso cavo di pollo nella crema pasticcera e lo uso come cannuccia. Succhio la crema attraverso il forellino. Papà tossicchia, sempre più rosso in faccia. «Andrew», dice. Sta per esplodere, ho vinto. «Dimmi», gli rispondo con la bocca piena di crema. «Niente, niente», bofonchia. Papà è straordinario. Malgrado tutto, riesce a mantenersi calmo. Sono costretto a usare la mia arma segreta, non mi dà altra scelta. Appoggio lo schiacciamosche giallo sul tavolo, accanto al mio coltello, sulla tovaglia immacolata. Tutti si mettono a fissarlo, ma nessuno dice una parola. A quel punto lo prendo in mano e inizio a leccarlo, come se fosse un gelato. Un pezzetto di materia gommosa, marrone e appiccicaticcia, mi si attacca alla lingua, 11
ma lo ingoio subito. Poi sgranocchio qualcosa di nero e croccante. Il signor Spinks corre verso la cucina e lo sento vomitare nel lavello. Papà si alza in piedi. Questa volta esplode sul serio. «Aaaaaargh!», grida e mi si getta contro con le mani ad artiglio. Scappo. Scappo in camera mia e chiudo a chiave. Lui, da dietro la porta, continua a imprecare, urlare e dare calci. Domani, quando si sarà calmato, confesserò. Gli racconterò di essere stato al negozio a comprare una nuova paletta schiacciamosche con i miei cinquanta centesimi. Gli dirò dell’uvetta e dei pezzettini di liquirizia che ci ho spalmato sopra. Sì, insomma: non ce la farei mai a mangiare delle mosche morte. A meno che non sia per qualcosa di davvero importante.
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PIEDI PUZZOLENTI
«No!», urlò papà. «Non farlo, ti prego. No, no, no. Abbi pietà. Per favore, Berin, non farlo.» Cadde in ginocchio e si mise a implorare. «Molto divertente», commentai io mentre mi toglievo una scarpa da ginnastica. Papà si mise a rotolare sul pavimento. «Muoio», gridò. «Non resisto.» Si tappò il naso e mi guardò sciogliere i lacci dell’altra scarpa. Vogliamo parlare dell’imbarazzo? Si supponeva che fosse un uomo adulto. Mio padre, dico. Ma si stava comportando come un bambino delle elementari. Faceva sempre così quando tornavo da tennis. Mi sentivo ferito. «Io non sento niente», dissi. «Allora dovresti farti operare al naso», sbuffò. A quel punto ci si mise pure la mia sorellina Libby. «Se ti avvicini ancora un po’ svengo», commentò arricciando il naso. 13