Margherita Allegri
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Troppo mitico! di Gianfranco Liori illustrazioni di Margherita Allegri © 2017 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Grafica di copertina PEPE nymi Pubblicato in accordo con l’Autore c/o Agenzia Letteraria Kalama Prima edizione © 2011 Editrice Il Castoro Srl ISBN 978-88-6966-187-7
Gianfranco Liori
Troppo mitico! Illustrazioni di Margherita Allegri
PROLOGO
E
ra una calda domenica di primavera e io ero ancora nella pancia di mia madre. Papà aveva avuto la bella idea di portarci allo stadio, nella curva dei tifosi. Io, al calduccio nel mio comodo sacchettino, percepivo un’insolita agitazione. Sentivo urla, schiamazzi, il battere dei tamburi... Ogni tanto forti squilli di tromba mi facevano tremare. Cominciai a scalciare e a sgomitare dentro la pancia. Anche la mamma diventò nervosa, non so se per l’andamento della partita o perché sarei dovuto nascere entro pochi giorni. La partita era molto importante. Il campionato stava per finire e l’Olimpya, la squadra della nostra città, rischiava di precipitare in serie B. Sfidava la Zenit che, invece, era prima in classifica e giocava per lo scudetto. Nonostante le due squadre ce la mettessero tutta, nessuno era ancora riuscito a segnare e, a cinque minuti dalla fine, il risultato era ancora zero a zero. 1
Nel frattempo io ero riuscito ad addormentarmi; chissà, magari stavo sognando qualcosa di bello; e mi ciucciavo il pollice. All’improvviso ci fu un boato pazzesco, un rumore fortissimo che fece vibrare tutto il mondo intorno a me. Mi svegliai terrorizzato. L’Olimpya aveva segnato. Mi sentii sballottato da una parte all’altra, e in su e in giù, nella pancia. Il mondo si capovolse e non riuscii più a trovare la bocca per infilarci il pollice. Tentai di urlare e... credo che in quel preciso momento pensai che l’unica salvezza fosse scappare da quel posto. In poche parole, pensai che fosse giunta l’ora di nascere. Il resto non me l’hanno raccontato bene. So solo che mia madre fu soccorsa da alcuni spettatori e caricata sull’ambulanza dello stadio. E io nacqui proprio lì, dentro l’ambulanza. In pochi minuti ero già avvolto in una copertina, lavato, profumato e senza cordone ombelicale. Strillavo come un maialino da latte. Per quanto cercassero di calmarmi, continuavo a urlare. 2
Lo spavento che avevo preso allo stadio mi aveva come traumatizzato, e nessuno poteva farci nulla. Da quel giorno (cioè da quando sono nato) ho sempre avuto il terrore dei rumori forti, e anche delle sirene delle autoambulanze e della polizia (ho anche paura di un sacco di altre cose, ma questo lo scoprirete presto). E il calcio? Be’... il calcio mi è sempre stato un po’ indigesto. La storia della mia nascita suscitò un certo scalpore, tanto che il giorno dopo apparve anche un articolo in prima pagina sul quotidiano della città:
Partorisce allo stadio grazie al gol del cobra santonastangelo. Lieto evento ieri in curva nord. Protagonista una donna di 32 anni. Il neonato è un bel maschietto di 3 chili. Il giornalista aveva sbagliato, visto che ero nato nell’ambulanza, non allo stadio. L’articolo – che conservo ancora – diceva che il giorno dopo la partita il capocannoniere Santonastangelo era venuto a farmi visita in ospedale: il suo gol aveva anticipato la mia nascita e io sarei stato di buon auspicio per la salvezza della squadra. Il Cobra fece gli auguri ai miei genitori, ma non riuscì a 3
fare una foto decente insieme a me, perché io piansi tutto il tempo. Quell’episodio ebbe una conseguenza spiacevole nella mia vita. Infatti, prima di allora era deciso che il mio nome sarebbe stato Leonardo (un nome meraviglioso). I miei genitori invece cambiarono idea all’ultimo momento. Siccome la squadra si doveva salvare, trovarono più giusto affibbiarmi il nome di... indovinate un po’... Salvatore. Salvatore... Salvatore... A me non è mai piaciuto. Proprio mai. Qualcosa di simpatico però successe lo stesso. Anche il Cobra Santonastangelo cercò di farmi smettere di strillare perché dovevamo essere ritratti nella foto ricordo. Mi prese in braccio e mi coccolò per un po’. Ma io niente, non mi calmavo. Allora mi sollevò delicatamente in aria, un poco sopra la sua faccia, e mi dondolò dicendo le solite paroline sceme che si dicono ai neonati, tipo “gni-gni-gni, gna-gna-gna” oppure “piccinobellopiccolopiccolo...”. In quel momento mi venne un singhiozzo e rigurgitai una bella quantità di liquido giallognolo proprio sugli occhi, la faccia e i baffi del famoso giocatore. Per un attimo smisi di piangere e feci un sorriso. Il giornalista fu lesto e scattò la foto proprio allora. Flash! La stessa che finì anche su diversi giornali. Eccola qua.
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Per la cronaca, l’Olimpya si salvò.
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1. UN EVENTO ECCEZIONALE
N
onostante il calcio non fosse decisamente uno dei miei giochi preferiti, a volte capitava che a scuola mi invitassero a fare una partita. E io non dicevo mai di no. Non era nel mio carattere rifiutare qualcosa, se potevo farla. Non volevo dare l’impressione di essere troppo superiore per queste cose. E poi alcuni compagni avevano cominciato ad affibiarmi nomignoli tipo secchione oppure soggetto, e io volevo comportarmi nel modo più normale possibile. Così quel pomeriggio giocavo a pallone con alcuni ragazzi del doposcuola. Avevamo formato due squadre da sette e ci stavamo sfidando stancamente. Non era una partita strepitosa e il nostro impegno era nella media, anzi un po’ sotto. E poi mancavano i più bravi della scuola. L’evento eccezionale accadde verso la fine della partita. 6
A bordo campo vidi mio padre che guardava la mia partita con le braccia incrociate e il telefonino in mano. Da quanto tempo era lì? A differenza degli altri genitori lui non si era mai fermato a vedermi giocare. In tanti anni non era mai successo che venisse a prendermi. Di solito non gli importava quello che facevo, e per questo ero un po’ invidioso dei miei compagni, che spesso erano “assistiti” e incoraggiati dai genitori anche durante le partitelle scolastiche. Forse aveva voluto farmi una sorpresa. Mi fermai in mezzo al campo e mi sbracciai per salutarlo, ma soprattutto per dimostrare agli altri che anch’io avevo un padre in carne e ossa, un genitore vero che si interessava a me. Lui rispose al mio saluto agitando il braccio. Ebbi uno slancio di orgoglio e così mi impegnai per far vedere a mio padre di essere un bravo giocatore (cosa che in realtà non ero) e che poteva essere fiero di me. Fino ad allora avevo giocato svogliatamente ma da quel momento, invece di rimanere in difesa, dove mi avevano piazzato gli altri, andai a cercare la palla. Dopo averla rubata a uno dell’altra squadra, la depositai in rete con un tiro sotto la traversa. 7
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Appena il gioco ricominciò, aspettai gli avversari nella mia zona e nel giro di poco tempo soffiai un altro pallone. Scartai tre giocatori, feci una finta all’ultimo difensore, poi al portiere (che perse l’equilibrio e cadde nell’area piccola) ed entrai col pallone in porta. Era stato un colpo da maestro e i miei compagni gridarono stupiti: «Grande, Salva!». Subito mi girai in direzione di mio padre, che sollevò il pollice in segno di “tutto ok”. «Ehi, secchio che ti prende?», mi chiese quel rompiscatole di Pilo, uno della mia classe che giocava con gli avversari. «Ti sei svegliato?» Sì, in effetti mi ero un po’ svegliato. Però non mi sembrava di avere fatto niente di strabiliante: eravamo tutti stanchi dopo una giornata di scuola, e non era stato difficile fare quei due gol. Poi nessuno si aspettava che io mi impegnassi così tanto in una partita noiosa e inutile come quella. La campanella suonò e tutti noi ci dirigemmo chi verso i propri zaini, chi verso i genitori. Io cercai di nuovo mio padre e notai che aveva lo sguardo perso nel vuoto. Lo raggiunsi da dietro e lo chiamai. «Ciao, papà.» Non rispose, non mi aveva sentito arrivare. Gli tirai la manica. «Ehi, sono qua.» 9
«Oh, scusa.» Mi prese lo zaino, ma sembrava ancora come ipnotizzato. «Salvatore...», disse dopo due minuti buoni. «Stavo pensando...» «Che cosa, papà?» Non rispose e, salito in macchina, cominciò a fischiettare allegramente. Che comportamento strano! Partì senza neanche avere allacciato la cintura e, nonostante il rischio di beccarsi una multa, prese il cellulare e fece una chiamata. Quando dall’altra parte risposero, si lanciò in una lunghissima conversazione parlando di calcio e di affari. Io non seguii la telefonata perché avevo paura di un possibile incidente. Gli feci più volte cenno di spegnere il cellulare e di mettersi la cintura, ma lui neanche mi vide. Una ricerca scientifica ha stabilito che quando una persona guida e contemporaneamente parla al cellulare ha i riflessi talmente allentati che il rischio di causare un incidente aumenta dell’80% È come se fosse ubriaca. E io già mi vedevo intrappolato nelle lamiere in seguito a uno scontro. Per fortuna due minuti dopo parcheggiammo sotto casa e io ringraziai il cielo di essere arrivato sano e salvo. Stavo per scendere dall’auto, quando mio padre mi trattenne, mi mise una mano sulla spalla e mi costrinse a guardarlo negli occhi. 10
«Hai capito?», domandò. «Hai sentito la telefonata? Non mi dici niente?» Strabuzzai gli occhi senza sapere cosa pensare e cosa dire. Non ero stato attento. «Farò di te un calciatore. Un calciatore vero in una squadra vera. Non sei felice?» «Cosa?» «Sei appena stato acquistato dalle giovanili dell’Olimpya. Hai una lunga carriera davanti a te. Grande, no?» «Sì», dissi io alzando il pollice e fingendomi contentissimo. «Grande.» Non riuscii a dire altro. Entrato in casa mi chiusi in camera mia.
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D
iventare un calciatore! Non è il sogno di tutti i ragazzi? Beh, no. Salvatore di calcio non ne vuole proprio sapere. Ma non ha fatto i conti con il suo inarrestabile papà che vorrebbe fare di lui un campione. Dalla sera alla mattina, si ritrova catapultato sul campo da calcio, e deve vedersela con allenamenti estenuanti, un mister che sembra uscito dall’età della pietra e anche con i meccanismi incomprensibili del calciomercato. Per non parlare di un’altra tortura da cui non ha mai avuto scampo: la scuola media! Eppure il calcio riserverà parecchie sorprese... fra nuovi amici, talenti inaspettati e fatti imprevedibili, nella vita di Salvatore niente sarà più come prima.
VINCITORE DEL PREMIO SCEGLILIBRO DEI GIOVANI LETTORI GIANFRANCO LIORI, cagliaritano, lavora dall’età di vent’anni nell’editoria scolastica. Ha scritto una dozzina di libri per ragazzi, alcuni dei quali dedicati alle sue passioni: la musica e i fumetti. Come musicista è uno dei due autori di “Filastrocche’n’Roll”. Con Il Castoro ha pubblicato anche Il Re del Rap.
€ 8,90 ISBN 978-88-6966-187-7
www.castoro-on-line.it