Tutta colpa delle meduse

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A L I B E N JA M I N


Tutta colpa delle meduse di Ali Benjamin Traduzione di Alessandra Orcese © 2017 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Pubblicato per la prima volta con il titolo The Thing about Jellyfish da Little, Brown and Company, una divisione di Hachette Book Group, Inc. 1290 Avenue of the Americas, New York, NY 10104 Copyright © 2015 Ali Benjamin Illustrazioni di interni e copertina © 2015 Terry Fan e Eric Fan Design della copertina di Marcie Lawrence ISBN 978-88-6966-212-6


A L I B E N JA M I N

Traduzione di Alessandra Orcese



Ai ragazzi curiosi di ogni parte del mondo.



Cuore fantasma

U

na medusa, se la guardi abbastanza a lungo, comincia a sembrarti un cuore che batte. Non importa a quale specie appartenga: l’Atolla rosso sangue con le sue luci lampeggianti a fare da richiamo, la varietà con l’ombrello a decorazioni floreali o la medusa lunare quasi trasparente, l’Aurelia aurita. È il fatto che pulsano, il modo in cui si contraggono rapidamente per poi rilasciarsi. Come un cuore fantasma: un cuore attraverso cui riesci a vedere dritto in un altro mondo dove ciò che hai perduto – qualunque cosa sia – è andato a nascondersi. Le meduse non ce l’hanno nemmeno un cuore, certo; non hanno cervello, ossa, sangue. Ma osservatele per qualche istante. E le vedrete pulsare. La signora Turton dice che, se una persona vive fino a ottant’anni, il suo cuore batte tre miliardi di volte. Ci stavo pensando, cercando di immaginarmi un numero così 7


grande. Tre miliardi. Fate il conto alla rovescia di tre miliardi di ore, e gli esseri umani moderni non esistono: solo uomini delle caverne dagli occhi infossati, tutti peluria e grugniti. Tre miliardi di anni, e la vita stessa a malapena esiste. Eppure eccolo qui, il tuo cuore, che fa il suo lavoro incessante, un battito dopo l’altro, tutta la strada fino a tre miliardi di battiti. Solo se vivi così a lungo, però. Batte quando dormi, quando guardi la Tv, quando sei in piedi sulla spiaggia e affondi le dita nella sabbia. Forse mentre te ne stai lì, a guardare le scintille di luce bianca sull’oceano scuro chiedendoti se vale la pena bagnarti di nuovo i capelli. Forse ti accorgi che le spalline del tuo costume sono appena un po’ troppo tese sulle spalle bruciate dal sole, o che il sole ti abbaglia gli occhi. Li strizzi un pochino. Sei viva come chiunque altro in questo esatto momento. Nel frattempo le onde continuano a infrangersi sopra le tue dita dei piedi, una dopo l’altra (come il battito di un cuore, quasi, che tu te ne renda conto o meno), e l’elastico preme, e forse quello che noti, più che il sole o le spalline del costume, è quanto sia fredda l’acqua, o il modo in cui le onde creano piccole conche nella sabbia bagnata sotto i piedi. Tua madre è da qualche parte accanto a te; sta scattando una foto, e tu sai che dovresti voltarti e sorriderle. 8


Invece non lo fai. Non ti volti, non sorridi, continui solo a guardare il mare, e nessuna di voi due ha idea di cosa conti in questo momento o di cosa stia per succedere (e come potreste?). E per tutto questo tempo il tuo cuore continua semplicemente a battere. Fa quello di cui hai bisogno, un battito dopo l’altro, finché non riceve il messaggio che è tempo di fermarsi, che potrebbe essere fra pochi minuti e tu nemmeno lo sai. Perché certi cuori battono solo circa 412 milioni di volte. Che potrebbe sembrare un numero enorme. Ma la verità è che questo ti fa arrivare a malapena ai dodici anni.

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Parte uno


Obiettivo Non importa se state scrivendo una relazione di laboratorio della scuola media o un vero articolo scientifico. Cominciate con un’introduzione che stabilisca l’obiettivo cui tendono tutte le informazioni che seguono. Cosa speriamo di dedurre da questa ricerca? In che modo è correlata con le vicende umane? Sig.ra Turton, insegnante di scienze naturali Scuola Media Eugene Field Memorial South Grove, Massachusetts



Tatto

D

urante le prime tre settimane della seconda media ho imparato soprattutto una cosa: che una persona può diventare invisibile semplicemente restando zitta. Ho sempre pensato che essere visti avesse a che fare con ciò che la gente percepisce con gli occhi. Ma ora della data in cui, alla scuola Eugene Field Memorial, abbiamo fatto la gita d’autunno all’acquario, io, Suzy Swanson, ero sparita del tutto. Essere visti ha a che fare più con le orecchie che con gli occhi, ho scoperto. Ci trovavamo nella stanza della vasca tattile, quella in cui si possono toccare i pesci, ad ascoltare un animatore barbuto dell’acquario che parlava in un microfono. «Tenete la mano aperta», ha detto. Poi ha spiegato che, se mettevamo la mano nella vasca e la tenevamo ferma, minuscoli squali e razze ci avrebbero sfiorato il palmo come gatti affezionati. «Saranno loro a venire 13


da voi, ma dovete tenere la mano aperta e immobile.» Mi sarebbe piaciuto toccare uno squalo. Ma c’era troppa ressa vicino alla vasca, e troppo rumore. Sono rimasta in fondo alla stanza. A guardare. In vista della gita, nell’ora di arte abbiamo dipinto delle magliette con i colori per la stoffa. Ci siamo sporcati le mani di arancio e blu elettrico, e adesso indossiamo la maglietta come una divisa psichedelica. Forse l’idea era che saremmo stati facilmente rintracciabili se qualcuno di noi si fosse perso. Alcune ragazze carine – tipo Aubrey La Valley, Molly Sampson e Jenna Van Hoose – si erano legate la maglietta con un nodo in vita. La mia penzolava sopra i jeans come un vecchio camice da pittore. Era passato esattamente un mese da quando era successa la Cosa Peggiore, e quasi lo stesso tempo da che avevo cominciato con la storia del non-parlare. Che non è rifiutarsi di parlare, come tutti credono. È solo decidere di non riempire il mondo di parole se non è necessario. È il contrario di parlare-sempre, come facevo prima, ed è meglio che scambiare due parole, come tutti mi dicevano di fare. Se avessi scambiato due parole forse i miei genitori non avrebbero insistito per farmi andare da uno di quei dottori con cui si può parlare, che è quello che dovrei fare 14


oggi pomeriggio, dopo la gita. Sarò franca: il loro modo di ragionare non ha senso. Sì, insomma, se una persona non parla – se soltanto di questo si tratta – allora forse uno di quei dottori con cui si può parlare è l’ultima persona da cui dovresti andare, no? E poi, io sapevo che cosa significava uno di quei dottori con cui si può parlare. Significava che secondo i miei genitori dovevo avere un qualche problema nel cervello, e non il genere di problema che rende difficoltoso imparare a far di conto o a leggere. Erano convinti che avessi problemi mentali, quello che Franny avrebbe definito essere fuori di testa. Quindi, secondo i miei ero una fuori di testa. «Tenete le mani bene aperte», ha detto il tipo dell’acquario, rivolto a nessuno in particolare; che andava benissimo, perché tanto nessuno lo stava ascoltando. «Questi animali possono davvero sentire il battito dei cuori che ci sono in questa stanza. Non c’è bisogno che muoviate le dita.» Justin Maloney, un ragazzo che sillaba ancora con le labbra mentre legge, continuava a cercare di afferrare le razze per la coda. Portava i pantaloni così bassi che ogni volta che si sporgeva sull’acqua gli vedevo qualche centimetro di mutande. Ho notato che aveva la maglietta a rovescio. È passata un’altra razza e Justin ha allungato il 15


braccio così in fretta che ha spruzzato l’acqua addosso a Sarah Johnston, la ragazza nuova, che stava vicino a lui. Sarah si è asciugata via l’acqua salata dalla fronte e si è spostata un po’ più in là. Sarah è una piuttosto silenziosa, cosa che apprezzo, e il primo giorno di scuola mi ha sorriso. Ma poi è arrivata Molly e ha cominciato a parlare con lei, e dopo l’ho vista che parlava con Aubrey agli armadietti, e adesso la maglietta di Sarah è annodata in vita, proprio come quella delle altre. Ho allontanato dagli occhi una ciocca di capelli e ho cercato di infilarla dietro l’orecchio: Miss Crespy, ricci impossibili. Mi è ricaduta immediatamente in avanti. Dylan Parker si è avvicinato a Aubrey da dietro. L’ha presa per le spalle e l’ha scossa. «Squalo!», ha gridato. I maschi intorno a lui sono scoppiati a ridere. Aubrey ha lanciato un urlo, e così pure le altre ragazze che la circondavano, ma tutte ridacchiavano in quel modo tipico delle femmine quando ci sono dei maschi nei paraggi. E questo mi ha fatto tornare in mente Franny, ovvio. Perché se fosse stata lì, anche lei avrebbe ridacchiato nello stesso modo. Allora ho provato quella sensazione fastidiosa, una via di mezzo fra la nausea e il caldo appiccicoso che ti fa sudare. La stessa cosa che provavo ogni volta che ripensavo 16


a Franny. Ho serrato gli occhi con tutte le forze. Per qualche secondo l’oscurità mi ha dato sollievo. Subito dopo, però, mi è esplosa un’immagine in testa, e non è stata una visione piacevole. Ho immaginato che la vasca dell’acquario si rompesse e che le razze e i piccoli squali si sparpagliassero tutti sul pavimento. Il che mi ha portata a domandarmi quanto a lungo sarebbero riusciti a sopravvivere, i pesci, prima di annegare all’aria aperta. Tutto gli sarebbe sembrato freddo, stridente e troppo luminoso. Dopodiché, quelle povere creature avrebbero smesso di respirare per sempre. Ho riaperto gli occhi. A volte vorresti così tanto che le cose fossero diverse che non puoi nemmeno sopportare di trovarti nella stessa stanza con le cose come sono in realtà. In un angolo lontano una freccia verso il basso indicava una scala che portava a un’altra sala, meduse, al piano di sotto. Mi sono incamminata in quella direzione, poi mi sono buttata un’occhiata alle spalle per vedere se qualcuno se ne fosse accorto. Dylan stava spruzzando acqua addosso a Aubrey, che ha strillato di nuovo. Uno degli accompagnatori è andato verso di loro, pronto a sgridarli. Nonostante la mia maglietta fosforescente, nonostante 17


i miei capelli da Miss Crespy, nessuno ha fatto caso a me. Ho cominciato a scendere i gradini che portavano alla sala delle meduse. Nessuno se ne è accorto. Neanche uno.

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A volte le cose succedono e basta

E

ri già morta due giorni prima che io venissi a saperlo. Era pomeriggio, fine agosto, la fine di una lunga estate solitaria dopo la prima media. La mamma mi ha chiamata dicendomi di rientrare, e ho capito che era successo qualcosa di brutto – ma di veramente molto brutto – solo guardandola. Allora mi sono spaventata, pensando che forse era successo qualcosa a mio padre. Ma, dal divorzio in poi, sarebbe importato qualcosa alla mamma se anche papà si fosse fatto male? Poi ho pensato che magari era successo qualcosa di brutto a mio fratello. «Zu», ha incominciato la mamma. Sentivo il ronzio del frigorifero, il plinc plinc del rubinetto che sgocciolava, il ticchettio proveniente dal vecchio orologio sulla mensola, che segna sempre l’ora sbagliata a meno che io non mi ricordi di caricarlo. Lunghe strisce di sole entravano dalla finestra, come fan19


tasmi attraverso i muri. Si sdraiavano sul tappeto e restavano lì, immobili. Finalmente la mamma ha parlato, le parole le uscivano a una velocità normale eppure tutto sembrava rallentato, come se il tempo stesso si fosse appesantito. O, forse, come se il tempo avesse smesso del tutto di esistere. «Franny Jackson è annegata.» Quattro parole. Probabilmente ci hanno messo solo un paio di secondi a uscire, ma mi è sembrato che impiegassero almeno mezz’ora. Il mio primo pensiero è stato: Strano. Come mai chiama Franny per nome e cognome? Non riuscivo a ricordare che mia madre avesse mai usato il tuo cognome. Sei sempre stata Franny per lei. Solo dopo ho realizzato la cosa che aveva detto subito dopo il tuo cognome. È annegata. Ha detto che eri annegata. «Era in vacanza», ha proseguito la mamma. Ho notato come stesse seduta perfettamente immobile, quanto fossero rigide le sue spalle. «Una vacanza al mare.» Quindi, come se questo potesse dare un senso qualsiasi a ciò che aveva appena detto, ha aggiunto: «Nel Maryland». Ma una cosa è certa: le sue parole di senso non ne avevano. C’erano un milione di ragioni per cui non avevano senso. 20


Non avevano senso perché non era passato così tanto tempo da quando ti avevo vista, ed eri viva come chiunque altro. Le sue parole non avevano senso perché eri sempre stata una nuotatrice esperta, meglio di quanto non lo fossi io fin dall’istante in cui ci siamo conosciute. Non avevano senso perché le cose fra noi due non sono finite come dovevano. Non come dovrebbe finire qualsiasi cosa. Eppure mia madre era lì, davanti a me, e stava pronunciando quelle parole. E se le sue parole erano vere, se quella cosa che mi stava dicendo era vera, l’ultima immagine che avevo di te – tu che ti incamminavi per il corridoio, l’ultimissimo giorno di prima media, in lacrime, con quei sacchetti pieni di vestiti bagnati – sarebbe stata l’ultima che avrei mai avuto. Ho fissato la mamma. «No, non è vero», ho detto. Tu non eri annegata. Non potevi essere annegata. Di questo ero sicura. Lei ha aperto la bocca per dire qualcosa ma poi l’ha richiusa. «Non è morta», ho insistito io, a voce più alta. «È stato martedì», ha ripreso la mamma. La sua voce era più calma di prima, come se il fatto che io avessi alzato la mia le avesse risucchiato via l’energia dal respiro. «È successo martedì. L’ho appena saputo.» Era giovedì, in quel momento. Erano trascorsi due giorni. 21


Ogni volta che ripenso a quei due giorni – allo spazio fra te che finisci e io che lo vengo a sapere –– penso alle stelle. Lo sapevi che la luce proveniente dalla stella più vicina a noi impiega quattro anni a raggiungerci? Significa che quando la guardiamo – quando vediamo una stella qualunque – in realtà la stiamo vedendo come appariva nel passato. Tutte quelle luci ammiccanti, ogni singola stella in cielo, potrebbero essersi estinte anni fa; l’intera notte stellata potrebbe essere vuota, in questo preciso istante, e noi nemmeno lo sapremmo. «Ma sapeva nuotare», ho detto. «Era una brava nuotatrice, ti ricordi?» Lei non mi ha risposto, perciò ci ho riprovato. «Te lo ricordi, mamma?» Ma lei si è limitata a chiudere gli occhi e ha sprofondato la faccia fra le mani. «È impossibile», ho insistito. Ma perché non riusciva a capire che era impossibile? Mia madre ha alzato la testa e ha parlato lentamente, come se volesse essere sicura che io sentissi bene ogni singola parola. «Anche i bravi nuotatori possono annegare, Zu.» «Ma non ha senso. Come può essere…?» «Non tutto ha senso, Zu. A volte le cose succedono e basta.» Ha scosso la testa e ha sospirato forte. «È probabile che questa cosa non ti sembri nemmeno vera. Non sembra vera neanche a me.» 22


Ha chiuso gli occhi per alcuni lunghi secondi. E quando li ha riaperti il suo viso si è contratto in una smorfia orribile. Le lacrime hanno cominciato a rotolarle giù per le guance. «Mi dispiace», ha detto. «Mi dispiace così tanto.» Aveva un aspetto grottesco, con la faccia accartocciata a quel modo. Non sopportavo di vederla così. Ho distolto lo sguardo, con quelle parole assurde che ancora mi giravano nella testa. Tu eri affogata. Nuotando nel Maryland. Due giorni prima. No, niente di tutto questo aveva senso. Non in quel momento e non più tardi, quella notte, quando la Terra è sprofondata verso le stelle. Non il mattino dopo, quando si è voltata di nuovo verso la luce del sole. Non aveva senso che il mondo potesse girarsi di nuovo verso la luce del sole. Avevo sempre pensato che la nostra storia fosse solo questo: la nostra storia. Per scoprire tutto d’un colpo che tu avevi la tua, di storia, e io la mia. Le nostre due storie potranno anche aver coinciso per un po’; abbastanza a lungo da essere sembrate la stessa storia. Però erano diverse. Il che mi ha fatto capire questo: la storia di chiunque è diversa, per tutto il tempo. Nessuno è mai davvero insieme a qualcun altro, anche se per un po’ sembra che sia così. C’è stato un momento in cui mia madre sapeva cosa ti era 23


successo, in cui il peso di questa cosa le era già piombato addosso mentre io correvo semplicemente sul prato come se fosse stato un giorno qualunque. E c’è stato un momento in cui qualcun altro lo sapeva e mia madre no. E un momento in cui tua mamma lo sapeva e quasi nessun altro su questo pianeta… E questo vuol dire che c’è stato un momento in cui tu te ne eri andata e nessuno sulla Terra ne aveva idea. Solo tu, completamente sola, che sparivi nell’acqua e nessuno ancora che si chiedeva dove fossi finita. E questo è un grado di solitudine spaventoso a cui pensare. A volte le cose succedono e basta, aveva detto la mamma. Era una risposta terribile, la peggiore. La signora Turton dice che quando capita qualcosa che nessuno riesce a spiegare significa che sei andato a sbattere contro il confine dell’umana conoscenza. Ed è allora che ti viene in aiuto la scienza. La scienza è il procedimento capace di trovare spiegazioni che nessun altro è in grado di darti. Scommetto che tu non l’hai nemmeno conosciuta, la signora Turton. A volte le cose succedono e basta non è una spiegazione. Non è nemmeno lontanamente scientifica. Ma per settimane e settimane è stato tutto quello su cui ho potuto contare. Finché non mi sono trovata in quel seminterrato a guardare le meduse dall’altra parte del vetro.

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Invisibile

L

a stanza dedicata all’esposizione delle meduse, sotto la vasca tattile intorno a cui i miei compagni di seconda media si spruzzavano acqua a vicenda, era quasi deserta. C’era silenzio laggiù, e per me è stato un sollievo. La stanza era piena di vasche di meduse. Ne ho viste alcune con tentacoli più sottili di un capello; credo che ci siano delle luci proiettate dentro la vasca, perché le meduse continuavano a cambiare colore. In una vasca accanto, ho visto meduse con tentacoli che turbinavano come i capelli di una ragazza che galleggi sott’acqua. In una terza vasca, i tentacoli erano così spessi e diritti da dare la sensazione che quelle creature si fossero create da sole una prigione. C’era persino una vasca piena di piccoli di medusa appena nati; sembravano fiori minuscoli, delicati e bianchi. 25


Creature strane, tutte quante; somigliavano ad alieni, quasi. Alieni dai movimenti aggraziati. Alieni silenziosi. Ballerine aliene che danzavano senza bisogno di musica. In un angolo della stanza un cartello diceva un enigma invisibile. Conoscevo il significato della parola “enigma”: spesso mia madre diceva che lo ero io, un enigma, e specialmente quando intingevo le uova fritte nella gelatina d’uva o mi mettevo apposta i calzini spaiati. Enigma significa “mistero”. A me piacciono i misteri, perciò mi sono avvicinata per leggere il pannello esplicativo. Una fotografia sul pannello mostrava due dita che reggevano un barattolino minuscolo. Dentro il barattolo, quasi impossibile vederla, galleggiava una medusa trasparente delle dimensioni di un’unghia. Il testo spiegava che il barattolo conteneva una cosa chiamata medusa Irukandji, il cui veleno è fra i più pericolosi al mondo. Alcuni dicono che sia mille volte più forte di quello della tarantola. Una puntura di Irukandji provoca mal di testa e dolori al corpo devastanti, vomito, sudorazione, ansia, battito del cuore pericolosamente accelerato, emorragia cerebrale e liquido nei polmoni. Una volta punti, i pazienti riferiscono di un senso di catastrofe immi26


nente; alcuni sono così certi che la morte sia vicina da supplicare i medici di ucciderli, per “farla finita con quella sofferenza”. Be’. Sembrava davvero orribile. Ho continuato a leggere: In realtà, esiste un numero documentato di morti per sindrome di Irukandji, ma non si sa se punture di Irukandji siano state il vero motivo di morti erroneamente attribuite ad altre cause. Gli scienziati stanno cercando di saperne di più sul veleno, e scoprire se il reale impatto della puntura di Irukandji sia maggiore di quanto ritenuto in precedenza. Mentre le Irukandji vivono in gran numero al largo della costa australiana, sintomi simili a quelli della puntura di Irukandji sono stati registrati molto a nord, per esempio nelle Isole Britanniche, alle Hawaii, in Florida e in Giappone. Di conseguenza, molti ricercatori ritengono che l’Irukandji sia migrata molto più lontano della nativa australia. Dal momento che l’oceano si surriscalda, è probabile che l’Irukandji, come altre meduse, continuerà a migrare su distanze sempre più grandi. 27


Dopo aver finito di leggere quel passaggio, l’ho riletto una seconda volta. E poi una terza. Ho osservato la fotografia, quella creaturina trasparente. Nessuno avrebbe mai visto una cosa così nell’acqua. Sarebbe stata del tutto invisibile. Sono tornata sulla spiegazione. E ho fissato quelle parole per un tempo infinito. Un numero documentato di morti… Migrare su distanze sempre più grandi… Ho sentito un ronzio in testa e sono stata colta da un lieve senso di vertigine. Era come se niente al mondo esistesse oltre a me, a quelle parole e alle creature silenziose che mi pulsavano intorno. Erroneamente attribuite ad altre cause… Ho fissato quelle parole talmente a lungo che hanno cominciato a sembrarmi non familiari, come se fossero scritte in un’altra lingua. Solo quando ho lasciato uscire l’aria dai polmoni mi sono accorta che non stavo più respirando. Poi sono stata di nuovo raggiunta dal chiacchiericcio dei compagni e mi sono affrettata a risalire le scale per tornare nella stanza della vasca tattile, dove li avevo lasciati. Di sopra, però, era tutto cambiato. Il tipo barbuto era stato sostituito da una donna con i capelli biondi raccolti 28


in una coda di cavallo. Al microfono diceva le stesse cose: la mano aperta, tenetela ferma. Anche le magliette dipinte dei miei compagni erano sparite; adesso la stanza della vasca tattile era piena di ragazzini con la divisa scozzese color cachi. Un gruppo di studenti che non c’entrava niente con noi. Mi sono chiesta se i miei compagni fossero tornati alla scuola media Eugene Field Memorial senza di me. Sono sbucata nella sezione principale dell’acquario e mi sono guardata intorno. Non ci ho messo molto, a trovare le magliette colorate. Serpeggiavano intorno a una gigantesca vasca oceanica come un branco di pesci screziati dai colori fosforescenti. Non gli era nemmeno venuto in mente di visitare la stanza delle meduse. Non ne sapevano nulla di Irukandji. Loro non si sarebbero nemmeno posti quella domanda, del resto. Allora ho capito: nessuno si sarebbe mai posto quella domanda. Nessuno a parte me.

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A volte, proprio quando ci sentiamo più soli, il mondo decide di aprirsi a noi nei modi più inaspettati.

S

uzy Swanson sa un sacco di cose che gli altri non sanno. Sa che ogni anno sulla Terra 150 milioni di persone vengono punte da una medusa. Sa quanto dormono le formiche ogni giorno. Ma, soprattutto, sa di avere fatto una cattiveria tremenda alla sua ex migliore amica, Franny Jackson. E vorrebbe tanto poter rimediare. Però sa anche che è impossibile, perché la vita di Franny è stata spezzata all’improvviso mentre nuotava nello splendido mare d’estate. Suzy non si dà pace e si convince che la causa sia stata la puntura di una rara medusa. Mentre decide di non parlare più fino a quando avrà dimostrato la sua teoria, Suzy comincia a guardarsi attorno con occhi diversi che le rivelano piccole sorprese e piccoli gesti, oltre all’amore e alla speranza di cui ha disperatamente bisogno per riuscire a perdonarsi.

Best seller del New York Times.

€ 13,50

ISBN 978-88-6966-212-6

www.castoro-on-line.it


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