Le corbusier e l'homme de Rio

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Università Iuav di Venezia Dipartimento di Culture del Progetto Corso di Storia dell’Architettura A.A. 2014/2015 prof.ssa Maria Bonaiti prof.ssa Cecilia Rostagni prof. Francesco Dal Co

Caterina Rigo

Le Corbusier e l’homme de Rio Influenze del pensiero europeo nelll’architettura moderna brasiliana: il progetto di città dalla Ville Radieuse al Plano Piloto per Brasilia



Indice

Un fil rouge. Introduzione 3 Le Corbusier in Europa L’homme de Rio

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Le Corbusier a New York. I

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Lucio Costa e Le Corbusier

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Le Corbusier a New York. II

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Brasilia: Plano Piloto

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Il tempo. Una conclusione

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Bibliografia

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Un fil rouge. Introduzione “Le vostre automobili attraverseranno a 100 o 150 orari questa città organizzata, in due o cinque minuti, vi daranno la valutazione saporosa di una vera campagna libera, spettacolo di alberi e di campi e di cielo che si estende ovunque. Le strade saranno libere dall’ossessione dei semafori verdi e rossi che contraddicono il principio stesso dell’auto, quello di andare veloce: la strada sarà libera” Le Corbusier, 19371

Nel 1929 Le Corbusier approda a Rio de Janeiro, portando con sé un progetto di città che non mancherà di condividere con i giovani architetti del moderno Brasile, influenzando la loro ricerca di una architettura identitaria nazionale. Quasi trent’anni più tardi uno di essi, Lucio Costa, vince il concorso per il piano urbanistico della nuova capitale del Brasile, e assieme ad Oscar Niemeyer scriverà una pagina cruciale della storia dell’architettura moderna brasiliana. La dittatura militare che governerà il paese per il ventennio successivo all’inaugurazione della capitale non farà altro che favorire la diaspora degli intellettuali brasiliani, lasciando Brasilia orfana dei suoi creatori e soggetta a logiche di evoluzione del tutto autonome rispetto al progetto originario del Plano Piloto. La scelta dell’UNESCO di inserire la città nel patrimonio mondiale dell’umanità accende i riflettori su Brasilia e ne fissa in eterno i caratteri fondativi. A più di cinquant’anni dall’inaugurazione della Nuova Capitale, l’obiettivo di questo studio è di approfondire le ragioni delle scelte fatte da Lucio Costa nel Plano Piloto, ripercorrendo un viaggio a più tappe tra l’Europa e l’America, per continuare a riflettere sul presente e immaginare quale possa essere il futuro della città di Brasilia.

Le Corbusier, Où est le problème américain? in Quand les cathédrales étaient blanches. Voyage au pais des timides, Paris 1937, ed. it. Quando le cattedrali erano bianche. Viaggio nel paese dei timidi: anche oggi il mondo comincia, Faenza 1975, pp. 210 Nella pagina accanto: un’immagine tratta da L’Homme de Rio di Philippe de Broca, 1964. Jean-Paul Belmondo in equilibrio nel cantiere di Brasilia, sullo sfondo si riconosce l’asse rodoviario e il Teatro Nazionale. 1

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Le Corbusier in Europa “Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi” F. Nietzsche, 18822

In un manoscritto mai pubblicato del 1910, Charles-Edouard Jeanneret, partendo dall’esperienza diretta che ha avuto a Chaux de Fonds, la sua città natale, espone le sue prime idee in tema di urbanistica e afferma di riconoscere la piazza come luogo identitario. Quando Jeanneret arriva a Parigi le sue convinzioni, assieme alla sua stessa vita, mutano radicalmente: cambia modo di vestirsi e sceglie la caratteristica montatura degli occhiali, adotta lo pseudonimo di Le Corbusier e comincia a costruire il suo personaggio, arrivando a definirsi come un profeta della modernità. Questo suo avvicinamento al tempo della modernità si manifesta anche con la consapevolezza della solitudine assoluta che caratterizza l’uomo contemporaneo, quello senso di profondo sradicamento che ritornerà in molti progetti di città di fondazione affidati in tutto il mondo agli architetti moderni del ventesimo secolo. In questi anni Le Corbusier viaggia, compie il suo apprendistato in alcuni dei più importanti studi europei (Behrens, Perret) e scopre le grandi città metropolitane, prendendo definitivamente le distanze dall’ambiente di Chaux de Fonds. Acquisisce la consapevolezza di come sia soltanto su di un terreno sgombro di memoria storica, dalla pesantezza della tradizione che egli potrà costruire la città del futuro, una città dominata dalla geometria, che si insedia nella natura e ne riconosce la sua assoluta estraneità. Nel 1922, al Salon d’Automne di Parigi, Le Corbusier presenta la sua idea di Ville Contemporaine, che per molti aspetti sembra contraddire i suoi precedenti studi. La città, secondo Le Corbusier, comincia con un gesto molto semplice: tracciando due assi cartesiani, che generano un processo di urbanizzazione ordinato, misurabile. È una città ideale, dominata dalla tecnica, che contrappone la strada curva, dell’asino, a quella dritta, dell’uomo, così come scriverà nel libro “Urbanisme” edito nel 19253. “Abbiamo constatato che tale civiltà si fonda sulla geometria, abbiamo stabilito che l’uomo vive praticamente solo di geometria, e tale geometria è di fatto il suo stesso linguaggio. La specificità dell’uomo è stabilire ciò che è ortogonale rispetto a lui, classificare, ordinare, vedere chiaramente davanti a sé. Egli lotta contro la natura per dominarla, classificarla, mettervisi a proprio agio. In una parola, per installarsi in un mondo umano che non sia il luogo di una natura antagonista, un mondo che ci appartenga, fatto di ordine geometrico. L’uomo lavora solo intorno alla geometria”4

Si tratta di un modello di città ideale, universalmente valido, che però nel 1925 viene immaginariamente collocato da Le Corbusier in uno specifico luogo: nel centro di Parigi. Presentando il Plan Voisin, egli si propone nelle vesti di nuovo Haussmann, per ridefinire uno dei quartieri più popolati della città, in un atto provocatorio che suscita critiche e riflessioni nel panorama urbanistico internazionale. Il Plan Voisin viene definito secondo una serie di elementi in contrapposizione alla città di Manhattan. Ancora prima di visitare New York, Le Corbusier sente la necessità definire il suo piano per differenza rispetto a Friedrich W. Nietzsche, La gaia scienza, 1882 Le Corbusier, Urbanisme, Paris 1925 4 Le Corbusier, passo tratto da una conferenza tenuta alla Sorbona, Parigi 1924 Nella pagina accanto: Le Corbusier con il modello della Ville Radieuse, 1935 2 3

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Manhattan, proponendo delle alternative a quelli che secondo lui sono gli errori commessi nello sviluppo della città americana. La definizione che dà al suo progetto è infatti quella di Anti-Manhattan, come è reso chiaro dall’immaginecollage di cui sopra, che Le Corbusier pubblica nel 1933 ne “La Ville Radieuse”5 contrapponendo le due città in un libro che ripropone le teorie progettuali sviluppate già negli ultimi anni Venti. Il ragionamento di Le Corbusier conduce a una sorta di neoumanesimo, un ordine totalmente artificiale, antinaturalistico, che si manifesta nel progetto per la Ville Radieuse, attraverso i suoi grattacieli cartesiani, edifici isolati e collegati da strade sopraelevate. Le Corbusier vuole modificare la dimensione del pedone all’interno della città, per non avere più quel pedone-pidocchio che si muove sopraffatto tra i grattacieli di New York. La città di Le Corbusier passa da un modello centralizzato, limitato, a uno teoricamente replicabile all’infinito, suddiviso in fasce parallele. Un gruppo di grattacieli isolati contiene il settore degli uffici, una fascia centrale ospita le residenze disposte à redent¸ tenute insieme dai servizi del centro culturale. Nel progetto della Ville Radieuse Le Corbusier abbandona l’Immeuble-Villa della Città Contemporanea per sostituirlo con il blocco à redent, una forma edilizia più adatta alla produzione di massa, che consiste in una serie di case a schiera continue, il cui prospetto si allinea o arretra rispetto al limite stradale, seguendo un ritmo regolare. Si tratta di una tipologia abitativa più economica rispetto a quelle precedentemente teorizzate, e appare chiara l’intenzione di Le Corbusier di ragionare attorno a standard quantitativi per la produzione in serie: la singola unità è un appartamento flessibile, a un solo piano. La Ville Radieuse porta a compimento i principi già teorizzati in precedenza da Le Corbusier, per cui gli edifici sono tutti sopraelevati rispetto al terreno, su pilotis, generando al suolo un parco continuo in cui il pedone è libero di muoversi a suo piacimento. Il panverre delle facciate riporta anche nella dimensione del grattacielo quelle che per Le Corbusier sono gli elementi necessari per la vita dell’uomo: il sole, lo spazio, il verde che si estende anche nei giardini pensili sui tetti dei blocchi à redent. Nel 1930 Le Corbusier arriva ad Algeri e viene totalmente affascinato da quella che percepisce subito come una città antioccidentale. Si fa strada nella sua produzione architettonica di quegli anni una contrapposizione di linee, di forze, che appartiene al suo mondo pittorico. Questa complessità non affiora mai nei suoi piani urbanistici di quel periodo, fatta eccezione per il Plan Obus di Algeri. Di una straordinaria ricchezza, le sue forme plastiche ricordano le figure della pittura lecorbusieriana di quegli anni, e l’espressione maggiore di ciò è sicuramente il grattacielo-autostrada, una struttura a nastro che corre su pilotis. All’interno dell’edificio, Le Corbusier immagina dei nuclei residenziali diversi tra loro, facendo affiorare per la prima volta l’idea della trasformazione, del divenire, nel suo progetto di città. È possibile trasformare le singole unità senza mutare la regola di insieme: questa è la convinzione che Le Corbusier riprenderà poi nel 1951 nel progetto di Chandigarh, basato su questo gioco di inattesi, sulla città abusiva che si insinua lentamente ma inesorabilmente nelle maglie della città ordinaria, pianificata e costruita. Il Plan Obus anticipa ciò che accadrà poi, ma si tratta ancora di un caso isolato nella produzione di Le Corbusier, poiché in questo momento in lui domina ancora l’immagine dell’antigrattacielo. Le Corbusier, La Ville Radieuse, Paris 1933 Nella pagina accanto: fotografia del modello per il Plan Voisin di Parigi 5

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L’homme de Rio “Tra qualche mese, un nuovo viaggio mi condurrà a Manhattan e negli Stati Uniti. Mi preparo ad affrontare il campo del lavoro duro, le terre della selezione nella violenza degli affari, i luoghi allucinanti della produzione in eccesso… Noi, di Parigi, siamo degli estrattori di quintessenza, dei creatori di macchine da competizione, dei posseduti dall’equilibrio puro. Voi, dell’America del Sud, di paesi vecchi e giovani, voi siete dei popoli giovani di razze antiche. Il vostro destino è di agire ora. Agirete sotto il segno dispoticamente oscuro dell’hard labour? No, io spero che voi agiate come dei Latini, che sanno ordinare, apprezzare, misurare, giudicare e sorridere” Le Corbusier, 19296

Lucio Costa (1902-1998), francese di nascita, trascorre la prima parte della sua vita in Europa, tra il Regno Unito e la Svizzera, arrivando a Rio de Janeiro all’età di quindici anni. La sua formazione pluralista contrasta con le tendenze stilistiche della scuola di architettura brasiliana di quegli anni, che si occupa ancora di architettura neoclassica e neocoloniale, e che influenza i suoi primi progetti. L’incontro professionale con l’autore della Casa Modernista, Gregori Warchavchik – architetto emigrato dalla Russia ma di formazione romana – con cui Costa lavorerà negli anni Trenta, rafforza la sua insoddisfazione nei confronti dell’architettura accademica. Nominato direttore della Escola Nacional de Belas Artes di Rio, istituisce un corso di architettura moderna – a cui prenderà parte il giovane Oscar Niemeyer – determinando un importante cambio di direzione nella scuola stessa. Le Corbusier compirà tra il 1929 e il 1936 ben otto viaggi in Brasile, e arriverà ad influenzare in maniera radicale l’architettura moderna brasiliana. Inizialmente, Lucio Costa non sembra interessarsi particolarmente alla presenza di Le Corbusier a Rio, tanto che, come scrive nelle sue memorie7, arrivato in ritardo alla prima conferenza del maestro, rinuncerà ad assistere ancora inconsapevole dell’importanza che quella figura avrebbe avuto di lì a qualche anno nel panorama brasiliano. Solo tra il 1932 e il 1936 Costa, libero da incarichi professionali, in quelli che egli stesso definirà los años de desempleo, ha il tempo di studiare approfonditamente l’opera di Le Corbusier e l’architettura moderna europea. Scrive successivamente il manifesto “Ragioni della Nuova Architettura” in cui difende l’inevitabilità storica del modernismo8. Nel 1929, Le Corbusier arriva a Rio de Janeiro per la prima volta, a bordo di uno Zeppelin che passa sopra la città regalando una vista dall’alto che rimarrà impressa negli schizzi di quel periodo9. L’impatto che le visite di Le Corbusier hanno sull’architettura brasiliana evidenzia l’affinità che esiste da sempre tra le sue concezioni e le aspirazioni del gruppo di giovani architetti e intellettuali di Conclusione della conferenza tenuta da Le Corbusier a Rio de Janeiro, dicembre 1929, ora in Précisions, ed. Vincent Freal, 1960, p. 245 7 Presence de Le Corbusier, intervista a Lucio Costa di Jorge Czaijkowski, Maria Cristina Burlamaqui e Ronaldo Brito, 1987, ora in AA.VV, Lucio Costa. XXe siècle brésilien, témoin et acteur, Ecole d’Architecture de Saint-Etienne 2001, pp. 217-233, ed. orig. Lucio Costa: registro de uma vivencia, Sao Paulo 1995 8 Lucio Costa, Razoes da Nova Arquitetura, in Revista da Diretoria de Engenharia da Prefeitura do Distrito Federal, 1936, pp. 3-9 9 Remo Dorigati, Come le forme nascono dal vuoto. Storia, cultura e paesaggio, in A. Balducci, A. Bruzzese, R. Dorigati, L. Spinelli, a cura di, Brasilia. Un’utopia realizzata. 1960-2010, pp. 107-117 Nella pagina accanto: schizzi di Le Corbusier a Rio de Janeiro, 1929 6

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Rio de Janeiro. In nessun’altra città, in quel periodo, la presenza di Le Corbusier avrà tanta rilevanza, e d’altronde a Rio persino la personalità di Wright nel 1931 non avrà che influenze deboli, sebbene egli diriga un atelier per i giovani architetti che lavorano con Costa. I viaggi aerei fanno emergere una nuova scala nella progettazione urbanistica, quella territoriale, definita da elementi geografici e topografici che influenzano le forme delle infrastrutture e degli insediamenti umani. La scoperta del paesaggio, in Le Corbusier avrà una ricaduta immediata nei disegni per San Paolo, Montevideo, Rio de Janeiro, Buenos Aires e più tardi anche per Chandigarh. Scriverà durante uno dei suoi viaggi in Brasile: “Dall’aereo, tutto vi diviene chiaro e questa topografia – questo corpo così movimentato e così complesso […] Sul mio carnet ho disegnato immediatamente tutto quello che mi appariva chiaro. Ho espresso delle idee di urbanistica moderna”10. Il progetto moderno in Brasile cerca di costruire una nuova identità nazionale, lanciata verso il futuro, e ha bisogno di un riferimento stabile e autoctono: nel paesaggio e nella relazione che l’uomo brasiliano instaura con esso, viene identificato il soggetto possibile di questa identità. Non si tratta solo di un paesaggio naturale, estetico, è anche la componente ambientale e umana, di interazione con questi luoghi, che contribuisce alla creazione di un luogo. Lucio Costa identifica lo spirito originario dell’architettura tradizionale brasiliana con la “capacità di adattare lentamente e progressivamente i modelli importati dalla metropoli spagnola alle condizioni della natura tropicale, ai materiali locali, al clima e alla disponibilità tecnico-costruttiva”. Questo lavoro di adattamento lento è per Costa il vero spirito dell’architettura brasiliana, “robusta, forte e solida […] con linee calme e tranquille”11. Nelle “Ragioni di una Nuova Architettura” Lucio Costa afferma in maniera esplicita l’origine di questa profonda parità di intenti tra le radici dell’architettura brasiliana e il progetto lecorbusieriano. Egli sostiene che la nuova architettura non ha nulla a che vedere con i misticismi nordici, deriva piuttosto dalle più pure tradizioni mediterranee “da quella stessa Ragione dei Greci e dei Latini che ha cercato di rinascere nel Quattrocento per affondare rapidamente sotto gli artifici del mascheramento accademico. È solamente adesso che essa riappare con rinnovato vigore”. Nel progetto culturale di Costa, il progetto lecorbusieriano permette l’aggancio alla tradizione costruttiva brasiliana perché proviene dalle stesse origini e ne condivide lo stesso spirito: “anche se le forme sono cambiate, lo spirito è sempre lo stesso, e le stesse leggi, fondamentali, sono presenti”12. La nuova architettura brasiliana riprende così le formulazioni dell’avanguardia europea, ma affonda le sue radici nella propria storia, che è di per sé internazionale. Un’architettura che ammette l’arrivo inevitabile del mondo industrializzato, ma che mantiene il suo punto di riferimento fondamentale nel paesaggio e cerca sempre il dialogo con esso anche nel contesto urbano. Le Corbusier in Roberto Segre, Le Corbusier: Los viaje al Nuevo Mundo, Rio de Janeiro 2006 11 Lucio Costa, O Aleijadinho e a arquitetura tradicional brasileira, 1928, ora in Carlos Ferreira Martins, État, culture et nature aux origines de l’architecture moderne au Brésil: Le Corbusier et Lucio Costa, 1929-1936, contenuto in AA.VV, Le Corbusier. La nature, Paris 2004, pp. 200-201 12 Lucio Costa, Razoes da Nova Arquitetura, cit. Nella pagina accanto: schizzo per il progetto di Rio de Janeiro, Le Corbusier, 1929 10

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Le Corbusier a New York. I “Sono milioni di creature votate a una vita senza speranza, senza saper dove sbattere la testa, senza cielo, senza sole, senza verde” Le Corbusier, 193713

Le Corbusier arriva a New York nel 1935, per la prima volta, accolto da giornalisti e fotografi, e tiene una serie importante di conferenze. Koolhaas, in “Delirious New York”14 descrive l’incontro con la città di Manhattan come un momento tragico per Le Corbusier, perché l’architetto che aveva tanto sognato e progettato la città del futuro si vede costretto a confrontarsi con la prima vera città moderna costruita. “Nell’epoca della velocità, il grattacielo ha pietrificato la città. Il grattacielo ha ripristinato il pedone, lui solo… Egli si muove ansiosamente intorno alla base del grattacielo, pidocchio ai piedi della torre. Il pidocchio sale sulla torre; è notte nella torre oppressa dalle altre torri: tristezza, depressione… Ma in cima ai grattacieli più alti, il pidocchio diventa felice. Egli vede l’oceano e le navi; sta al di sopra degli altri pidocchi”15

Le Corbusier avvia allora quella che secondo Koolhaas è una vera e propria campagna di diffamazione nei confronti di New York, nel tentativo di distruggere idealmente quella città per potervi poi costruire la sua visione della città moderna. Già nelle pagine de “La Ville Radieuse”16 Le Corbusier cercava di ricostruire un identikit di New York, facendo un processo che Koolhaas ritiene come un tradimento alla vera natura di Manhattan. Nel 1937 uscirà una pubblicazione intitolata “Quando le cattedrali erano bianche”17, che raccoglie scritti e interviste in cui Le Corbusier esprime il suo pensiero sulla città di New York, cercando di identificare quello che definisce il “problema americano” e proponendo la sua personale soluzione urbanistica: un piano rivoluzionario per ristrutturare tutta la città. L’idea di città moderna di Le Corbusier si contrappone radicalmente a quanto è avvenuto a Manhattan: una pagina del New York Times del 1935 mostra una fotografia in cui Le Corbusier osserva critico la città, riportando nel titolo le parole dell’architetto alla sua prima conferenza all’arrivo in America: “I grattacieli di New York sono troppo piccoli, troppo stretti per una circolazione libera ed efficiente”18. Quello che Le Corbusier propone è una rifondazione della città, attraverso la costruzione di un minor numero di grattacieli, ma enormemente più grandi, così da liberare il suolo e distribuire verde e spazio pubblico su tutta Manhattan, restituendo agli abitanti della città “le più profonde necessità della natura umana: sole, cielo, spazio e alberi – beni essenziali”19. Le Corbusier, Où est le problème américain? in Quand les cathédrales étaient blanches. Voyage au pais des timides, Paris 1937, ed. it. Quando le cattedrali erano bianche. Viaggio nel paese dei timidi: anche oggi il mondo comincia, Faenza 1975, p. 206 14 Rem Koolhaas, Delirious New York, 1978, ed. it. M. Biraghi, R. Baldasso, Delirious New York, Milano, 2001, pp. 223-260 15 Le Corbusier, La Ville Radieuse, Paris 1933, p. 127 16 Ibid. 17 Le Corbusier, Quand les cathédrales étaient blanches... cit. 18 Le Corbusier in un’intervista al New York Times Magazine, 3 novembre 1935 19 Le Corbusier, Où est le problème américain?, cit., p. 215 Nella pagina accanto: collage ad opera di Le Corbusier, La Ville Radieuse, Paris 1933 13

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Dal 1922 in poi Le Corbusier contrapporrà sempre a Manhattan il suo grattacielo cartesiano, ripetuto essenzialmente sempre uguale: un impianto cruciforme, governato dall’angolo retto e dall’affermazione della geometria, le cui facciate sono interamente vetrate e trasparenti, destinato solamente ad ospitare gli affari. “La nostra invenzione, sin dal principio, intendeva opporsi alle concezioni puramente formalistiche e romantiche del grattacielo americano. [...] A fronte del grattacielo di New York noi innalziamo il Grattacielo cartesiano, puro, preciso, elegantemente scintillante nel cielo di Francia”20

A New York le teorie di Le Corbusier non troveranno terreno fertile, e le critiche che Koolhaas muove all’antigrattacielo di Le Corbusier esplicano le motivazioni di questo intrinseco rifiuto. Il grattacielo cartesiano è totalmente uniforme, senza tripartizione – elemento ricorrente nei grattacieli di New York – e soprattutto è sprovvisto di basamento: non solo il basamento esterno, ricco di decorazioni che deve attirare il passante, ma quel basamento che accoglie al suo interno l’intera vita cittadina, un pezzo di vita urbana newyorkese che si trasferisce all’interno del grattacielo. La vita di Manhattan è totalmente introversa, interna agli edifici, inattesa, fantastica, tale che non si può intuire dall’esterno, mentre il grattacielo di Le Corbusier nega totalmente questo tipo di rapporto con la strada e con la città. Quello che secondo Koolhaas è il tradimento principale del paradigma newyorkese è la mancanza di un rivestimento opaco: Le Corbusier ha “denudato” l’edificio. I grattacieli di New York sono tutti costruiti secondo una struttura post and beam, tecnica messa a punto da Le Baron Jenney a Chicago, e quello che cambia è la pelle, la maschera che avvolge gli edifici e va a creare uno degli aspetti più caratteristici di New York: l’impermeabilità, l’opacità, secondo cui all’interno di un edificio può accadere di tutto, una proiezione verso l’alto di mondi possibili, che non si può vedere dall’esterno. Questa forma di lobotomia, di separazione tra interno ed esterno, secondo Koolhaas è capace di generare una straordinaria meraviglia, la dimensione dell’inatteso, un caos programmato, totalmente negato dal grattacielo cartesiano che priva di questa libertà. In ogni lotto di Manhattan c’è una straordinaria individualità, senza per questo compromettere la regola che tiene insieme il sistema. Scriverà Koolhaas che passeggiando per le strade di New York, il pedone-pidocchio incontra continue meraviglie, spettacoli inattesi: la griglia, seppur monotona, non è affatto matrice di banalità. Esattamente questa è per Koolhaas l’essenza della metropoli stessa, non fonte di inquietudine, ma di continua meraviglia, e quindi massimamente vitale, di una vitalità che a suo avviso è assassinata dai progetti di Le Corbusier: contro la cultura della congestione di Manhattan si staglia il grattacielo cartesiano, isolato, replicato sempre uguale a sé stesso, in un enorme parco21. E la natura stessa di Manhattan, un insieme di solitudini disposte sulla griglia ottocentesca, ciascuna di esse con le proprie caratteristiche individuali, non può ospitare un progetto isotropo come quello di Le Corbusier. Le Corbusier, La Ville Radieuse, cit., p. 134 Rem Koolhaas, Delirious New York, cit., pp. 223-260 Nella pagina accanto: Le Corbusier, cartolina natalizia spedita da New York, 1935. Schizzi di Le Corbusier contenuti in Quand les cathédrales étaient blanches, cit. 20 21

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Le Corbusier a New York. II “Combatto da dieci mesi una lotta agguerrita. Ora è la vittoria totale: la città mondiale si costruisce a NY sulla base delle mie idee. Più esattamente il progetto, i piani, si fanno in urbanistica e architettura Corbu. I tecnici chiamati da dieci paesi e l’equipe americana sono animati dalla stessa idea. Il mese di marzo 1947 sarà esplosione Corbu ovunque. Ciò deve essere scritto negli astri, perché sarà una specie di sinfonia. Non amo annunciare risultati, perché ogni volta il destino può fare di testa sua” Le Corbusier, lettera alla madre, 194722

Le Corbusier torna a New York nel gennaio 1946 per incontrare il signor Kaiser, industriale nel campo nautico-bellico che vuole riconvertire la sua produzione in edilizia in serie e si rivolge all’architetto per la progettazione dei suoi prototipi: è quel committente che Le Corbusier sta cercando da tanto tempo. Le Corbusier sbarca in America portando con sé il modulor, la gamma di misure alla scala umana, messo a punto proprio durante il viaggio. Per poter produrre case industrialmente, egli immagina che vi sia la necessità di un sistema di misura, una scala universale umana. Le Corbusier ragiona da sempre attorno al concetto di misura, cerca un ordine geometrico che possa dominare la sua produzione, come espressione della ragione, di un vero e proprio neoumanesimo. Il modello di questa misura è la macchina; che sia l’automobile o l’aeroplano, il prodotto della tecnica è per Le Corbusier espressione di ricerca di ordine e misura. Dopo aver incontrato di persona il signor Kaiser, Le Corbusier si rende conto che non ci sono speranze di lavorare per il grosso magnate dell’industria, che preferirà indirizzare la sua produzione nel mondo dell’automobile invece che nell’edilizia, ma il viaggio del 1946 gli riserva comunque un’occasione importante: entrerà a far parte della commissione che lavorerà per la messa a punto del nuovo quartier generale dell’ONU. Nel 1945 è infatti nata l’Organizzazione delle Nazioni Unite e si apre un dibattito internazionale sul luogo in cui costruirne il quartier generale – in Europa o negli Stati Uniti – che si concluderà con la scelta della città di New York. Dal febbraio 1946, la commissione lavora per decidere dove costruire il quartier generale, ma i lavori si interrompono bruscamente quando, nel novembre 1946, Rockefeller Jr offre una grande quantità di denaro all’ONU per l’acquisto di un terreno tra la 42esima e la 48esima strada lungo East River, con l’obiettivo chiaro di allontanare dal mercato immobiliare di Manhattan un pericoloso rivale. Offre anche il suo architetto, Wallace Harrison, che viene imposto come capogruppo ai lavori per il palazzo. La difficoltà di far nascere un progetto da una squadra così numerosa di architetti porta al bando di un concorso: il progetto vincitore, oggi conosciuto come “Progetto 23A” è quello di Le Corbusier23. trad. da Le Corbusier, lettera alla madre, 20 febbraio 1947, ora in M. Mameli, Le Corbusier e Costantino Nivola. New York 1946-1953, Milano 2012, pp. 25-26 23 William J. Curtis, Modern Architecture since 1900, Oxford 1982, ed. it. L’architettura moderna dal 1900, Milano 1990, pp. 410-412 Nella pagina accanto: i progettisti di fronte al modello di Manhattan con il progetto della sede dell’ONU, 1947. Il secondo da destra è Le Corbusier, Niemeyer è al centro con il vestito grigio, dietro di lui Wallace Harrison sorride. 22

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Nei disegni per il palazzo dell’ONU è evidente il ragionamento compiuto qualche anno prima attorno all’edificio per il Ministero dell’Educazione e della Salute a Rio de Janeiro: Le Corbusier ripropone quelle figure architettoniche, già apparse nella Ville Radieuse, concretizzate in forme pure che galleggiano nel vuoto, distanti dallo stabilire un rapporto diretto con la città. Il Segretariato costituisce l’immagine dominante del progetto, ospitato in una lastra che sale in altezza, semitrasparente, affacciata sull’East River, con i muri di testata rivestiti in pietra e quelli laterali da lucenti vetrate. La Sala Curva dell’Assemblea e la Sala Rettangolare dei Membri sono disposte come oggetti scultorei su una piastra con passerelle, un piccolo parco e attrezzature pubbliche. Il progetto viene presentato dalla commissione come risultato di un lavoro collettivo e la firma principale è quella del capogruppo, Harrison, che non coinvolgerà Le Corbusier nella progettazione esecutiva, così che il disegno verrà in parte modificato e l’attuale edificio sembra rifarsi a tratti più all’International Style degli anni Cinquanta che alla monumentalità pura ricercata dal suo progettista originario. Le Corbusier tornerà a Parigi, nel suo studio, totalmente sconfitto nella sua intenzione di sbarcare a New York per edificare lì un frammento della sua Ville Radieuse, cominciando a sostituire Manhattan con la sua città moderna. È un fallimento profondo per Le Corbusier, che si verifica in anni in cui il suo lavoro è continuamente discusso a livello internazionale. Impegnato nel progetto per il piano urbanistico di Bogotà, in Colombia, Le Corbusier tornerà negli anni successivi insistentemente a New York, e si fermerà in città per vedere da vicino il procedere dei lavori per il palazzo dell’ONU, una vicenda che resterà per lui una fonte di continua insoddisfazione.

Nella pagina accanto: il modello del “Progetto 23A” di Le Corbusier per la sede dell’ONU.

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Lucio Costa e Le Corbusier “Il Nuovo Mondo non è più né da questa parte dell’Atlantico né dall’altra parte del Pacifico. Il Nuovo Mondo non è né a destra né a sinistra. Esso sta più avanti di noi; dobbiamo elevare il nostro spirito per raggiungerlo, perché non è più ormai una questione di spazio, ma di tempo, di evoluzione e di maturità. Il Nuovo Mondo è oggi la Nuova Era, e tocca all’intelligenza prendere il controllo” Lucio Costa, 196124

Lucio Costa e Oscar Niemeyer, entrambi influenzati dall’opera di Le Corbusier, sono tra gli architetti che in Brasile porranno le basi per un movimento moderno nazionale. Il progetto del Ministero dell’Educazione di Rio de Janeiro rappresenta un momento cruciale per la nascita di un’architettura moderna brasiliana, che segna una rottura netta con le precedenti sperimentazioni architettoniche, aprendo la strada a un’architettura segnata dal continuo confronto con il paesaggio. Negli anni Trenta il governo brasiliano affida a Lucio Costa lo sviluppo del progetto di una nuova sede per il Ministero dell’Educazione e della Salute (MES). Il ministro Capanema ha già chiesto una consulenza a Marcello Piacentini, architetto europeo particolarmente noto in quel momento in Brasile, che viene convocato nel tentativo di praticare un percorso verso la scoperta delle radici nazionali assumendo la classicità coniugata alla modernità. Lucio Costa istituisce un team di lavoro a cui prendono parte anche Oscar Niemeyer e Affonso Eduardo Reidy, ma preferisce invitare Le Corbusier a dirigere il progetto, sostenendo la necessità di un’architettura in grado di rinnovare la cultura accademica affiancandosi alle più recenti ricerche del Movimento Moderno. Costa conosce le nuove idee emerse nell’elaborazione della Carta di Atene e dai CIAM e vede nella costruzione del MES la possibilità di un intervento moderno su grande scala, mai realizzato prima. A Rio de Janeiro egli trova un’occasione per realizzare un grande edificio pubblico sperimentando l’innesto su di una cultura diversa da quella europea – legata alla città industriale – dei principi ritenuti universali dalla modernità. Tra il 1936 e il 1945, anno di inaugurazione, Lucio Costa e Le Corbusier erigeranno il primo grattacielo del mondo che riprende i cinque punti dell’architettura moderna lecorbusieriana, in quello che si considera come un atto inaugurale dell’architettura moderna brasiliana. Anche se la presenza di Le Corbusier a Rio è limitata – si fermerà soltanto per un mese – il palazzo del MES è debitore della sua influenza diretta nel team di progettazione: sollevato su pilotis, con un tetto giardino e soluzioni di facciata con il brise-soleil e il pan-verre, il MES sancisce l’utilizzo del cemento armato come costante nella costruzione di grandi edifici pubblici e privati in Brasile. Lo spazio pubblico rompe la tradizione dell’isolato ottocentesco, la natura tropicale viene riscoperta e inclusa nel progetto attraverso la disposizione di piazze e giardini. Con orgoglio Lucio Costa preciserà la derivazione europea, e non statunitense, del curtain wall, elemento poi ricorrente in molti progetti internazionali. Lucio Costa, Revue Mòdulo, #93, 1961, ora in AA.VV., Lucio Costa. XXe siècle brésilien, témoin et acteur, Ecole d’Architecture de Saint-Etienne 2001, p., ed. orig. Lucio Costa: registro de uma vivencia, Sao Paulo 1995 Nella pagina accanto, dall’alto: schizzi riportanti due proposte progettuali per il MES, l’ultima delle quali è quella effettivamente realizzata. Schizzi di Oscar Niemeyer: comparazione tra le soluzioni proposte da Le Corbusier (a sinistra) e dall’equipe di Lucio Costa (a destra). Le “x” indicano le soluzioni scartate. 24

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Brasilia: Plano Piloto “Il secolo americano (quello degli Stati Uniti) è finito. Comincia una nuova epoca dove, accanto agli Stati Uniti, all’Unione Sovietica, al Commonwealth e all’Europa, si erigono l’Asia, l’Africa e l’America Latina” Lucio Costa, 198725

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta si amplia l’orizzonte dell’architettura moderna brasiliana, con progetti come il Pedregulho di Alfonso Eduardo Reidy a Rio de Janeiro, che richiamano gli schemi abitativi prebellici di Le Corbusier, in particolare il grattacielo-autostrada del Plan Obus per Algeri. In tutta l’America Latina di quegli anni, quando si verifica la necessità di una architettura tesa a celebrare il nazionalismo, il tentativo fatto è di simbolizzare il progresso moderno e contemporaneamente rievocare miti identitari dello Stato, solitamente con riferimenti presi dal passato. Ma il Brasile, terra fortemente influenzata dal colonialismo e decisa a prenderne le distanze il prima possibile, non possiede delle antiche rovine a cui guardare per una nuova concezione dell’architettura. Quando, nel 1957, Lucio Costa vince il concorso per il piano per la nuova città di Brasilia, e a Oscar Niemeyer viene affidata la progettazione delle principali istituzioni statali, essi elaborarono un linguaggio monumentale utilizzando principalmente elementi architettonici moderni. Quello che il progetto di Costa cerca di compiere è sostanzialmente un gesto cosmico, per delimitare un luogo simbolico nel vasto paesaggio incontaminato dell’interno del Brasile. Il Plano Piloto di Costa ricorda sia un aeroplano dalle ali aperte in una forma dall’andamento leggermente arcuato, sia una croce adagiata al suolo26. Brasilia è una città della seconda metà del novecento, periodo che segue un grande dibattito sui modelli urbanistici. Il Plano Piloto nasce con una traccia elementare dichiaratamente chiara nei disegni di Lucio Costa: la croce, sulla quale poi viene innestato un processo di elaborazione costruttiva che fa tesoro soprattutto del movimento moderno. Il segno tracciato da Costa è un’operazione diagrammatica: i punti forti del progetto si trovano nei nodi della croce generatrice dell’urbanizzato, gli edifici principali si distribuiscono alla testa e lungo l’asse monumentale. All’inizio vi si trova la Piazza dei Tre Poteri, che accoglie il Palazzo presidenziale, la Corte Suprema e il Congresso con il suo Segretariato, affiancato dagli edifici delle due Camere, in forma emisferica, rivolte una verso l’alto e una verso il basso. I Ministeri sono disposti lungo i lati dell’asse, mentre la Cattedrale di Niemeyer (1959-70) completa questo insieme di forme astratte con il suo fascio di travi curvate. La parte residenziale della città si sviluppa invece attraverso un sistema di superquadras – agglomerati di quattro quadras residenziali, contenenti anche delle aree regolari per i servizi e gli spazi per il tempo libero – disposte lungo l’asse perpendicolare, detto rodoviario.

AA.VV., Lucio Costa. XXe siècle brésilien, témoin et acteur, cit. Lucio Costa, Memòria descritiva do Plano Piloto, 1957, ora in Martino Tattara, a cura di, Lucio Costa. Brasilia Plano Piloto, Dodo, Venezia 2010, pp. 27-46 Nella pagina accanto: schizzi di Lucio Costa per il Plano Piloto, 1957 25 26

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Il Plano Piloto lascia apparentemente ampia libertà ai progettisti delle singole quadras, imponendo in realtà alcuni canoni inderogabili, come il piano pilotis totalmente permeabile al pianterreno, il limite massimo di sei livelli fuori terra e le distanze minime degli edifici dall’impianto stradale, che si traducono in fasce e zone verdi. Brasilia è una città di fondazione, che viene edificata in tempi velocissimi e strettamente legata alla figura del presidente Juscelino Kubitschek de Oliveira. L’America Latina post-coloniale è fortemente segnata dalla presenza di altre città di fondazione, ma il contesto è protagonista nel progetto per Brasilia, che si situa in un’area isolata nell’entroterra brasiliano – mentre la gran parte delle realtà coloniali si trova sulla costa, per ovvie ragioni commerciali. La geografia del luogo scelto è un elemento importantissimo che condiziona l’operazione urbanistica, e che ritorna all’interno della città stessa, ponendo come elemento determinante per la progettazione l’orografia delle diverse superquadras. La relazione con l’impianto viario è basilare: il centro di tutto il sistema urbano di Brasilia è un incrocio, non la piazza con la cattedrale. Il rapporto con il sistema di trasporti va al di là del funzionale, è un elemento che influenza profondamente il disegno urbano, costruito sulla mobilità carrabile, lasciando la mobilità pedonale all’interno delle singole superquadras. La città di Brasilia vuole diventare un simbolo nazionalista dello sviluppo industriale, ma è la traduzione architettonica di una concezione politica elitaria, che ruota attorno alla figura del presidente Kubitschek. Costruita in un periodo in cui il Brasile investe nell’industria automobilistica e nell’infrastrutturazione pubblica, la città sembra celebrare proprio l’epoca dell’automobile e dell’autostrada. Gli edifici dell’asse monumentale ad opera di Niemeyer si rivelano un progetto ambizioso quanto il Campidoglio di Chandigarh disegnato da Le Corbusier, non riuscendo però ad avere una uguale profondità di significato nel panorama della città. Si tratta di una visione dell’architettura monumentale caratterizzata da grandi distanze, con edifici che “sezionano il paesaggio”, in riferimento agli spazi immensi, immaginati come giardini di pietra da Le Corbusier nella grande piana sul Campidoglio di Chandigarh. È un gesto che separa ma contemporaneamente lascia intravvedere: un concetto che verrà spesso ripreso da Kahn, nel memoriale a Roosevelt di New York ma anche in molte sue altre architetture. I grattacieli gemelli progettati per il Palazzo del Segretariato, affiancati a volumi più bassi, richiamano invece il progetto lecorbusieriano del 1947 per il Palazzo delle Nazioni Unite a New York e le vicende del MES di Rio de Janeiro che l’avevano preceduto27. Nel 1985 Costa e Niemeyer vengono contattati dall’UNESCO per l’inserimento di Brasilia nella lista dei Siti del Patrimonio Mondiale dell’Umanità28, occasione in cui l’IPHAN (Institut du Patrimoine Historique et Artistique National) proporrà l’istituzione di una legge riguardante la protezione delle linee direttive del progetto della città. William J. Curtis, Modern Architecture since 1900, Oxford 1982, ed. it. L’architettura moderna dal 1900, Milano 1990, pp. 498-501 28 Gaia Piccarolo, Un progetto di mediazione. Lucio Costa fra tutela del patrimonio e nuova architettura”, Ravenna 2013 Nella pagina accanto: disegno del Plano Piloto di Brasilia ad opera di Lucio Costa. 27

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Il documento, prodotto direttamente da uno scritto di Lucio Costa, comincia descrivendo quelle che per lui sono le caratteristiche fondamentali del Plano Piloto, in cui l’interazione tra le quattro scale urbane costituisce l’elemento chiave. La legge definisce chiaramente ciascuna di esse: “La scala monumentale è quella che dà a una città nascente lo statuto inalienabile di capitale. Questa scala occupa l’asse monumentale ed è stata introdotta attraverso l’applicazione della tecnica del terrapieno, la disposizione ordinata dei volumi costruiti, i riferimenti verticali delle torri del Congresso e della televisione e lo spazio verde centrale, libero da ogni edificio, che attraversa la città dall’alba al tramonto. La scala residenziale offre un nuovo modo di vivere appartenente a Brasilia, grazie alla proposta innovatrice della superquadra. Essa fornisce una serenità urbana garantita dall’uniformità delle dimensioni degli edifici e dall’accessibilità per tutti al piano del suolo, ottenuta dall’utilizzo generalizzato di pilotis e dalla predominanza di spazi verdi. La sua scala differisce da quella monumentale, non solamente in termini di dimensioni, ma anche in termini di distribuzione planimetrica di ogni quadra, contrassegnata da una fascia verde continua che dona un aspetto di patio urbano interno. La scala gregaria appartiene al centro della città e ha come obiettivo creare degli spazi ad alta densità urbana che favoriscono gli incontri. Si verifica naturalmente all’intersezione degli assi. La scala bucolica è rappresentata da larghi spazi vacanti adiacenti agli spazi dove sono costruiti gli edifici, che saranno piantumati densamente o dove la flora naturale sarà preservata. Essa si trova all’intersezione, senza interruzione, tra l’abitato e il disabitato”29

In termini di conservazione storica, si è creata così a Brasilia una situazione senza precedenti, dove non importa quale edificio possa essere distrutto a patto che la sua scala sia ricostituita. Gli unici edifici salvaguardati fisicamente dalla legge sono la cattedrale nazionale e il Catetinho, residenza temporanea di Kubitschek durante la costruzione della capitale. Quello che la legge tenta di proteggere non è il tessuto urbano di Brasilia, ma la sua grammatica: è una città moderna che non deve essere preservata come se si trattasse di una città coloniale del XVIII secolo. È il progetto, non la città, che deve sopravvivere30.

Farès el-Dahdah, Une ville en quatre échelles, contenuto in AA.VV, Brasilia. L’épanouissement d’une capitale, Paris 2006, pp. 168-169 30 Ibid. Nella pagina accanto: Lucio Costa e Le Corbusier. 29

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Il tempo. Una conclusione “Lucio Costa non voleva partecipare al concorso, e ha vinto con un’idea. Tutti gli altri hanno presentato dettagliati piani regolatori, e sono stati bocciati. La giura ha scritto: ‘Bisogna partire dal generale e procedere verso il particolare; non viceversa. Il generale può essere espresso semplicemente: noi sappiamo che è più facile scrivere una lunga lettera che una breve. Nel progetto di Costa c’è tutto quello che vogliamo sapere in questo momento, ed è omesso l’irrilevante” Bruno Zevi, 197131

È il tempo il protagonista dell’ultima fase produttiva di Le Corbusier, che trasforma il suo edificio in una rovina, il tempo dato dalla necessità dei materiali. Le Corbusier continuamente cerca l’analogia tra il corpo e l’architettura: “Ciò che sta accadendo al mio corpo, che è segnato dal tempo, dalle cicatrici, dalle rughe, accade anche all’architettura. È il tempo che lascia la sua traccia sui miei edifici”. Il tempo del farsi dell’edificio, ma anche il tempo che continuamente diviene e trasforma. È un continuo corpo a corpo tra la volontà di forma, il gesto plastico di dare forma allo spazio, e il tempo che continuamente diviene, trasforma. Che importanza ha il fattore temporale nella costruzione di Brasilia? Essa appare oggi come cinquant’anni fa, quasi come una forma di cristallizzazione del momento politico che l’ha generata. Nel suo progetto originario, Lucio Costa immaginava che la città dovesse essere costruita per fasi. Il tempo è un concetto chiave nell’edificazione di Brasilia. Costa si renderà presto conto che il tempo datogli da Kubitschek per costruire la capitale è troppo poco, e gli chiederà di edificarne solo una parte inizialmente; ma il Presidente vuole che la città sia finita il prima possibile, per poter trasferire la capitale del Brasile prima della fine del suo mandato. Kubitschek sapeva infatti che la città avrebbe funzionato solamente se si fosse effettivamente realizzato l’impianto a croce con tutti gli assi, e farà di tutto per convincere Costa, che ricorda le sue parole: “il prossimo governo potrebbe non prenderla seriamente, e io voglio lasciare tutto ultimato e pronto, da un estremo all’altro!”32 Nella costruzione di Brasilia, il poco tempo a disposizione non ha lasciato possibilità di verifica del progetto, fase che solitamente avviene nell’evolversi di un processo di urbanizzazione. Il grande assente nella città di Brasilia è il concetto di trasformazione, la libertà del divenire. Probabilmente è mancata nel progetto di Lucio Costa quella lezione newyorkese che Le Corbusier ha interiorizzato e tradotto nei suoi progetti, primo fra tutti Chandigarh. In un’intervista di Balkrishna Vithaldas Doshi, architetto indiano che lavorerà con lui in India, Le Corbusier parla dell’architetto come di un acrobata, pericolosamente in bilico, tirato da una parte e dall’altra dalle incombenze del mondo. Il mutare delle idee, la main ouverte che doveva girare seguendo il vento, a Chandigarh, rappresenta la condizione per cui tutte le convinzioni possono cambiare. Bruno Zevi, Un piano per Brasilia. La nuova capitale volerà, in B. Zevi, Cronache di architettura, volume III, Bari 1971, pp. 17-19 32 Altamiro Tojal, Lucio Costa. A Visão do Futuro, documentario, 1991 Nella pagina accanto: un’immagine dal film L’homme de Rio, cit. Jean-Paul Belmondo si arrampica sul tetto di un edificio, sullo sfondo si riconosce l’asse monumentale con la Piazza dei Tre Poteri. 31

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Bibliografia Le Corbusier, Où est le problème américain? in Quand les cathédrales étaient blanches. Voyage au pais des timides, Paris 1937, ed. it. Quando le cattedrali erano bianche. Viaggio nel paese dei timidi: anche oggi il mondo comincia, Faenza 1975, pp. 201-215 Le Corbusier, Urbanisme, Paris 1925

Le Corbusier, La Ville Radieuse, Paris 1933

Le Corbusier, Précisions, ed. Vincent Freal, 1960

Lucio Costa, Razoes da Nova Arquitetura, in Revista da Diretoria de Engenharia da Prefeitura do Distrito Federal, 1936, pp. 3-9

Remo Dorigati, Come le forme nascono dal vuoto. Storia, cultura e paesaggio, in A. Balducci, A. Bruzzese, R. Dorigati, L. Spinelli, a cura di, Brasilia. Un’utopia realizzata. 1960-2010, pp. 107-117

Carlos Ferreira Martins, État, culture et nature aux origines de l’architecture moderne au Brésil: Le Corbusier et Lucio Costa, 1929-1936, contenuto in AA.VV, Le Corbusier. La nature, Paris 2004, pp. 194-201 Rem Koolhaas, Delirious New York, 1978, ed. it. M. Biraghi, R. Baldasso, Delirious New York, Milano, 2001

William J. Curtis, Modern Architecture since 1900, Oxford 1982, ed. it. L’architettura moderna dal 1900, Milano 1990 AA.VV., Lucio Costa. XXe siècle brésilien, témoin et acteur, Ecole d’Architecture de Saint-Etienne 2001, pp. 217-233, ed. orig. Lucio Costa: registro de uma vivencia, Sao Paulo 1995

Lucio Costa, Memòria descritiva do Plano Piloto, 1957, ora in Martino Tattara, a cura di, Lucio Costa. Brasilia Plano Piloto, Dodo, Venezia 2010, pp. 27-46

Gaia Piccarolo, Un progetto di mediazione. Lucio Costa fra tutela del patrimonio e nuova architettura”, Ravenna 2013

Farès el-Dahdah, Une ville en quatre échelles, contenuto in AA.VV, Brasilia. L’épanouissement d’une capitale, Paris 2006, pp. 163-169 Bruno Zevi, Cronache di architettura, volume III, Bari 1971, pp. 17-19 Philippe de Broca, L’homme de Rio, 1964

Altamiro Tojal, Lucio Costa. A Visão do Futuro, documentario, 1991 Nella pagina accanto: un’immagine dal film L’homme de Rio, cit. Jean-Paul Belmondo scappa con una bicicletta, minuscolo di fronte alla grandezza del palazzo del Tribunale e del Congresso di Brasilia.

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