Corriere Imprese
Lunedì 29 Maggio 2017
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MONOPOLI
L’effetto Pir spinge Emak Il presidente Bellamico: «I piani di risparmio hanno convogliato i fondi sulla manifattura». Dopo l’acquisto di Lavorwash il titolo sale al massimo Identikit
Fausto Bellamico, presidente di Emak Il gruppo reggiano è specializzato in attrezzature per giardinaggio e pulizie ed è quotato a Piazza Affari dal 1998 Prima delle acquisizioni di Lavorwash e Cifarelli, Emak contava 1.700 dipendenti, due stabilimenti in Italia e due in Cina, un fatturato 2016 di 392 milioni
di Massimo Degli Esposti
L’
acquisizione di Lavorwash, il 10 maggio scorso, ha spinto il titolo al massimo storico di 1,935 euro per azione. Ma il rally in Borsa della reggiana Emak era iniziato molto prima, proiettando il gruppo di Bagnolo in Piano (Reggio Emilia) specializzato in attrezzature per giardinaggio e pulizie nella top ten di Piazza Affari: più 160% in un anno, più 120% negli ultimi sei mesi e quasi più 20% negli ultimi 30 giorni. Per il presidente Fausto Bellamico è l’effetto-Pir, cioè la diretta conseguenza dell’introduzione, da inizio anno, dei nuovi strumenti di investimento dedicati alle piccole e medie aziende italiane. «Finalmente — dice — la nascita dei Pir ha acceso l’interesse dei grandi fondi sulle eccellenze della manifattura italiana. Ovviamente contano i fondamentali e i piani i sviluppo. A questo riguardo Emak si è fatta trovare pronta: negli ultimi anni abbiamo sempre guardato alla crescita interna, ma anche a quella per vie esterne, selezionando acquisizioni mirate di aziende che ci permettessero di ampliare la nostra gamma di prodotti oppure che ci consentissero di accedere a nuove tecnologie e a nuovi mercati. Certo con Lavorwash abbiamo realizzato l’operazione più importante della nostra storia». L’acquisizione sarà chiusa il 3 luglio prossimo ed è stata realizzata attraverso la controllata Comet. Riguarda l’83% del capitale Lavorwash, con opzione per un ulteriore 15% entro il 2020 (il 2% resterà comunque alle due famiglie dei fondatori Migliari e Lanfredi). La società con sede a Pegognaga, nel Mantovano, è stata valutata circa 55 milio-
Manifattura La sede di Emak a Bagnolo in Piano (Reggio Emilia)
ni di euro. Fattura 70 milioni con un utile netto di 5,8 milioni, ha stabilimenti produttivi in Italia, Cina e Brasile, occupa circa 350 dipendenti. Fondata nel ’75, è stata quotata in Borsa per qualche anno, prima del delisting avvenuto nel 2008. «Porta nel nostro gruppo — spiega Bellamico — una consolidata presenza nel mercato delle idropulitrici retail e semiprofessionali commercializzate attraverso la rete Gdo, mentre Comet si rivolge alla gamma medio alta delle idropulitrici professionali e alla distribuzione specializzata. Poco prima avevamo acquisito il 30% della Ciffarelli, azienda molto più piccola ma molto
1,935 Euro È il valore a cui è salita l’azione di Emak a Piazza Affari dopo l’acquisto della mantovana Lavorwash avvenuto il 10 maggio
forte negli spruzzatori a spalla e nei soffiatori. Ma il mercato delle attrezzature per giardinaggio è già consolidato e le acquisizioni sono difficili da realizzare». Anche prima degli ultimi ingressi, il gruppo Emak era leader in Italia, con 1.700 dipendenti, due stabilimenti in Italia e due in Cina, un fatturato 2016 di 392 milioni, in crescita del 2,7%, un Ebitda di 40,5 milioni e un utile netto di 17,7 (+96%). La crescita è proseguita nel primo trimestre di quest’anno, chiuso con un aumento dei ricavi del 4,3% a 119,2 milioni. «Anche il mercato delle attrezzature per giardinaggio e agricoltura, che costituisce quasi la metà delle nostre vendite, è ora in sensibile ripresa dopo qualche anno di stasi — aggiunge il presidente —. Quindi prevediamo un 2017 decisamente positivo, anche al netto del consolidamento dei ricavi Lavorwash». Restano ovviamente nel mirino altre acquisizioni, ma non di taglia tale da
richiedere operazioni straordinarie sul capitale: «La nostra filosofia è privilegiare l’autofinanziamento, mantenendo sempre il livello di indebitamento a tre volte l’Ebitda» dice infatti Bellamico. Un secondo fronte riguarda l’investimento in ricerca e sviluppo. A giorni sarà ultimata la prima parte del nuovo laboratorio per lo sviluppo prodotti, i cui lavori saranno conclusi l’anno prossimo con un investimento complessivo di oltre 5 milioni. «Stiamo progressivamente inserendo in azienda anche nuove tecnologie Erp, grazie a una partnership con Microsoft. Questo ci consentirà di adeguare i processi aziendali ai principi di Industria 4.0». Emak, quotata dal ’98, nacque nel ‘92 dalla fusione di due storiche aziende reggiane: la Efco di Giacomo Ferretti e la Oleo-Mac di Ariello Bartoli, l’uomo che ancora la controlla con il 75% del capitale attraverso la holding Yama.
Rimini
Celli ora punta alle birre artigianali E si beve la britannica Angram
I
l Gruppo Celli fa shopping in Inghilterra. L’azienda di San Giovanni in Marignano, che produce spillatrici da birra, ha acquistato per 15 milioni il 100% del capitale di Angram Ldt, che ha sede a York. «Stiamo investendo sul mercato delle birre artigianali, che è in forte ascesa grazie alla riscoperta delle spillatrici tradizionali, i sistemi cask ale», spiega Mauro Gallavotti, presidente e ad dell’azienda riminese. «Sono sistemi che preservano la gasatura derivata dalla fermentazione naturale della birra, nella cui produzione Angram è azienda leader di settore». Non è casuale che l’acquisizione sia stata finalizzata tramite la controllata e partecipata britannica Ads2, già acquistata nel 2015. «In quel caso si trattava di mettere piede nel mercato inglese delle birre, il più sofisticato al mondo — ricorda l’ad – mentre ad Ads2, che produce colonne di spillatura ad hoc per i vari brand, l’acquisizione di Angram è servita a completare l’offerta». Il perché dei tanti investimenti Oltremanica è chiaro. «Qui il mercato di settore detta gran parte del trend globale. Hanno riscoperto le birre artigianali, l’Europa segue a ruota». Anche se l’intero comparto del beverage è in ascesa nel Vecchio Continente. «Al di là degli scenari, per noi è decisivo investire su chi punta sulla spillatura piuttosto che sulle bottiglie». Nel 2016 Celli aveva già comprato la Cosmetal di Recanati, attiva nella produzione di erogatori per l’acqua. «Abbiamo chiuso il 2016 con un fatturato di 85 milioni. Ora, con le recenti acquisizioni, il gruppo conta 400 dipendenti e sei stabilimenti. Tra il 2013 e il 2016 abbiamo assunto 50 dipendenti. Nel 2012, un
Beverage Mauro Gallavotti, presidente e ad di Celli
anno prima del mio arrivo, il fatturato era di 30 milioni e i dipendenti erano 70». Per il 2017 si punta ai 100 milioni di ricavi. Dopo aver conquistato un avamposto nella patria della birra e dei pub, quali sono gli obiettivi futuri? «Rafforzare l’internazionalizzazione. Nel 2012 l’80% del fatturato era generato dall’export. Ora invece abbiamo siti produttivi esteri, una società commerciale a Singapore e una Mosca, in più stiamo valutando l’apertura di filiali commerciali in America Latina e Africa. E poi puntiamo sull’Industry 4.0». Come si coniuga con le spillatrici è presto detto. «Ad esempio noi offriamo un digital service in chiave Iot con cui forniamo a distanza un supporto tecnico di assistenza al cliente valutando il tipo di intervento da effettuare». Enea Conti
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Gli smontagomme di Nexion in pista con i cinesi di Bright Technology All’azienda reggiana la maggioranza della joint venture: nasce un gruppo da 200 milioni
Corghi Sul mercato internazionale conviene unirsi per competere con altri grandi gruppi Severi Non si sente spesso che un’azienda italiana ne acquisisca un’altra straniera, soprattutto in Cina
G
li smontagomme del gruppo Nexion battono bandiera italo-cinese. Il big di Correggio produttore di attrezzature per le autofficine ha costituito una joint venture, di cui detiene il controllo, con uno dei più grossi costruttori del mondo dell’automotive Made in Cina: si chiama Bright Technology Co Limited, fabbrica dal 1988 prodotti per la manutenzione e la riparazione di pneumatici ed esporta 70mila unità all’anno in 180 Paesi diversi. Nasce così — con l’acquisizione da parte dei reggiani del 60% dei cinesi — un nuovo gruppo industriale con un fatturato di oltre 200 milioni di euro e più di 1.300 addetti. «Collaboravamo da diversi anni con questo partner, finché abbiamo deciso di farlo diventare uno dei nostri — spiega Cinzia Corghi, ad di Corghi, uno dei marchi storici che fanno parte di Nexion assieme ad Hpa Faip, Mondolfo Fer-
ro, Orlandini, Sice, Tecnomotor e Teco —. Il nostro punto di riferimento è il mercato internazionale, dove conviene unirsi per competere con altri grandi gruppi e aggregare di imprese che operano nel nostro stesso settore. È necessario fare massa critica e costruire sinergie efficaci». Con quest’operazione il gruppo di Reggio Emilia, che in Cina, oltre che in Croazia, ha uno stabilimento produttivo, punta a diventare leader del suo comparto su tutti i mercati mondiali, a cominciare da quello asiatico. «Si tratta di uno dei nostri Paesi di punta ma non è l’unico. Il fatturato globale del gruppo è di circa 170 milioni di euro, e il 75% è relativo all’estero, dove oggi contiamo sette filiali — sottolinea Mauro Severi, consigliere delegato dell’azienda, oltre che numero uno dell’Unindustria locale —. Ma non stiamo smettendo di investire in Italia, dove a Correggio abbiamo
Colosso Lo stabilimento della Corghi a Correggio, nel Reggiano, che fa parte del gruppo Nextion
realizzato Nexion Engineering, un polo di eccellenza per la ricerca e lo sviluppo elettronico con 120 addetti». E se per ora, come spiega lo stesso Severi, non è in programma nessun’altra acquisizione, i nuovi rapporti economici con la Cina apriranno le porte a nuove assunzioni, al di là dei 900 addetti già attivi a livello globale in Nexion.
«Sicuramente apriremo a nuovo personale, anche se è ancora preto per stabilire un numero esatto, ma non smetteremo di investire neanche in questo settore». Oggi Bright Technology Co Limited è il primo esportatore, da sei anni consecutivi, di smontagomme ed equilibratrici della Cina. Si tratta di una realtà nata nel 1988, con sede a Yongkou all’inter-
no della provincia cinese Liaoning, una delle basi industriali del Paese, dove il quartier generale di Bright detiene un ruolo primario nell’assemblaggio e nel controllo finale dei nuovi prodotti. Nel 1992 produsse il primo smontagomme per l’industria aerea e al suo interno ha un centro di ricerca e sviluppo con 32 ingegneri. «La gestione di Bright Technology rimarrà in mano ai cinesi, ma i nostri rapporti con loro saranno più frequenti. Non si sente spesso che un’azienda italiana ne acquisisca un’altra straniera, soprattutto in uno stato come la Cina. In genere avviene il contrario — continua Severi —. Il nostro Paese dovrebbe cercare di investire di più in questo, a livello regionale qualcosa si sta muovendo, ma non basta. Servirebbero più incentivi per le realtà produttive che vogliono fare affari all’estero». Francesca Candioli © RIPRODUZIONE RISERVATA