23 ANNI DI PRESENZA La Ciminiera : Ieri, oggi e domani Numero 0-00 - Marzo-Aprile 1996 UNA NUOVA AVVENTURA GRAZIE PER L’ACCOGLIENZA
Periodico di cultura, informazione e pensiero del Centro Studi Bruttium (Catanzaro) Registrato al Tribunale di Catanzaro n. 50 del 24/7/1996. Chiunque può contribuire alle spese. Manoscritti, foto ecc.. anche se non pubblicati non si restituiranno. Sono gratuite (salvo accordi diversamente pattuiti esclusivamente in forma scritta) tutte le collaborazioni e le prestazioni direttive e redazionali. Gli articoli possono essere ripresi citandone la fonte. La responsabilità delle affermazioni e delle opinioni contenute negli articoli è esclusivamente degli autori.
Anno XXIII Numero 2 - 2019 Direttore Responsabile Giuseppe Scianò Direttore editoriale Pasquale Natali Presidente Raoul Elia Progetto Grafico Centrostudibruttium.org info@centrostudibruttium.org
La Ciminiera : Ieri, oggi e domani Numero 1 - Gen/Giu. 2019 - DOSSIER Petroglifi
- La Kugelpanzer: ovvero il tank che non funzionò mai - La legione dei Supereroi e la sua curiosa origine - Insetti piovuti dal cielo? - L’invasione delle dorifere - L’anello del potere
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EDITORIALE
ADDIO XXIII BENVENUTO
XXIV
Pasquale Natali
Con questo numero de La Ciminiera chiudiamo il Ventitreesimo anno di attività culturale. Rilevo (con dispiacere) che il fermento culturale a cui abbiamo dato vita negli anni, in noi è rimasto costante; negli altri operatori della zona, invece, da prima grande entusiasmo ma nel proseguo.., la desolazione assoluta. Anche il C.S.B ha avuto un momento di “stanca” ed è grazie al presidente Elia che l’associazione non solo è riuscita a superare questa fase, ma anche ad arrivare al traguardo dei XXIII anni. Io, come fondatore e per lungo tempo guida del Bruttium, non posso che congratularmi e ringraziare tutti i collaboratori presenti e passati che hanno dato il loro entusiasmo e le loro competenze senza nulla chiedere. Non mi sento di ringraziare le Istituzioni locali perché, salvo in pochi momenti della vita associativa, sono disimpegnate e inattive nell’incentivare cultura e entusiasmo in una zona che chiede una adeguata valutazione dei processi culturali. Qualcuno mi diceve “Buttano tutto in politica, capiscimi…”. Mah! Ogni gruppo associativo che si rispetti ha sempre ricordato il passato per trovare motivazioni per il futuro e in questa nuova rivista del XXIII anno ci tengo a ricordare che questo è anche il XX anno dalla prima verifica triennale del Bruttium e voglio ricordare il 1999 seguendo le attività verificate dalla rassegna stampa del periodo. Per non togliere niente ai contenuti principali della Rivista prenderò le rimanenze delle pagine e spero che a qualcuno faccia lo stesso piacere che fa a me. Buona lettura e arrivederci nel nuovo anno associativo.
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Vent’anni e non sentirli
V
Raoul Elia
enti anni fa (sono passati già venti anni? Pare ieri....) ero certamente più giovane (guarda caso, di venti anni) e non meno sicuramente novizio alla realtà culturale del capoluogo calabrese. Di li a poco, grazie alla gentilezza e al savoir-faire del prof. Natali, che ancora oggi ringrazio pubblicamente per la fiducia concessami (che spero di ripagare, prima o poi), sarei entrato in quella che certamente è una delle più longeve e creative associazioni culturali non del solo territorio comunale della città dei Tre Colli, dato che si pregia di avere collaboratori non solo in tutta la Calabria ma anche nel resto d’Italia (e chissà, nel futuro, anche del mondo). Eppure anch’io, pur se con le difficoltà di un lavoro complesso e delicato come quello del docente, per di più fuori sede, ricordo come fosse ieri (ma siamo sicuri che siano passati tutti questi anni?), in occasione della manifestazione “L’amoroso cantare”, sentì quella forma di attrazione verso (mi si perdoni l’ossimoro) qualcosa di “familiarmente ignoto”, il fascino di quella musica certo difficile per orecchie avvezze ai 4/4 della tradizione melodica e cantautoriale, di quelle tavole dense di chiaroscuri e di immagini sacre, così lontane da un gusto moderno fattosi nei secoli (troppo?) laico e profano, dell’accostamento di pittura e musica di un altro tempo, artisticamente unite per dare allo spettatore, sconcertato e avvinto (altro ossimoro di cui chiedere scusa), non avvezzo a queste soluzioni metalinguistiche, a queste azzardate sinestesie, uno sguardo su un mondo così lontano eppure così vicino al nostro presente. Di questo e di altri cento e più interessantissimi eventi, a tenersi bassi, non si può che essere grati all’associazione di cui faccio orgogliosamente parte. Ma soprattutto del tentativo, riuscito, spero (ma ”ai posteri l’ardua sentenza”), di svecchiare, deprovincializzare, aprire al mondo una cultura catanzarese sonnacchiosa e ripiegata sui consueti, rassicuranti luoghi comuni dell’immaginario di fine secolo. Confidiamo che, malgrado non sia più giovanissimo (dal 1995 ad oggi sono passati ben 24 anni, praticamente una vita per un’associazione di volontariato, per di più culturale), il CSB possa riprendere/continuare ad essere volano propulsore di uno sviluppo culturale di cui Catanzaro e la regione Calabria credo proprio abbiano ancora grande bisogno.
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Fantasmi grecanici di Raoul Elia
N
egli anni ’50 del XX secolo, il paese di Condofuri, così come gli altri comuni dell’area grecanica, venne colpito da una serie di alluvioni distruttive che misero in seria difficoltà gli abitanti del piccolo paesino del Reggino. Raccontano gli antichi che, nella frazione Marina di Condofuri, durante una di queste terribili alluvioni, non si sa quale, un postino che si trovava non si sa perché proprio su un pontino della zona, scomparve, a quanto si pensò venendo trascinato dal fiume in piena. Di fatto, del suo corpo non si ebbe più traccia.
diventarono bianchi, venne rinchiuso in casa perché impazzì per lo spavento e non se ne seppe più niente di lui. Il piccolo paesino di Roghudi, situato nell’area grecanica della provincia di Reggio Calabria, per molti anni è stato collegato agli altri paesi della zona tramite la fiumara Ammendolea e le mulattiere; tra quest’ultime, in quella che collega Roghudi con il paese di Bova è ancora possibile (sebbene non siano stati segnalati avvistamenti recenti), secondo molte testimonianze, incrociare una signora anziana che trasporta sulle spalle carichi molto pesanti.
Dopo una decina d’anni, però, si racconta in loco che un ragazzo di ritorno da scuola notò un uomo che gli dava le spalle con addosso vestiti logori, una bicicletta piena di ruggine e una borsa da portalettere. Inizialmente non gli fece caso, anche se vestiti (o quanto ne rimaneva) e mezzo sembravano chiaramente “arcaici”. Tuttavia, sorpassandolo di lato, vide che quella figura altro non era che un cadavere in avanzato stato di decomposizione; dallo spavento, il ragazzo corse gridando verso casa parolesconnesse.
Come i nomadi Inuit, i locali diffidano gli stranieri dall’avvicinarsi alla donna e dal compatirla, in quanto l’anziana sarebbe, in realtà, un fauno, busto di uomo (o meglio di donna) e gambe di capra, e anche molto cattivo; molti in passato sono rimasti vittima dei suoi tranelli e chi è scampato al fauno ha raccontato chesi presenta come una vecchina bisognosa d’aiuto, invoglia e implora di aiutarla e, se il malcapitato casca nel tranello, lo guida verso la sua casa dove fa bere una bevanda che fa addormentare il malcapitato, con l’intento (probabile) di divorarti.
Come in tutte le leggende di contatto con i morti, il ragazzo non uscì indenne dall’incontro con i morti: i capelli gli
Insomma, una specie di strega di Hansel e Gretel.
CALABRIA GRECA » Borgo di Roghudi
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Dove siamo con la PRIVACY ? di Raoul Elia
Sgombriamo il campo da un equivoco: il problema della sicurezza dei dati (e quindi della privacy) non riguarda solo la scuola. E’ anzi un problema diffuso in tutte le amministrazioni pubbliche (e non solo). La gestione di un sistema di protezione dei dati personali rientra, infatti, tra i principali obblighi di ogni organizzazione, pubblica o privata che sia. Se per un Titolare in ambito privato ciò rappresenta una risorsada difendere, per la Pubblica Amministrazione si configura come un obbligo, quello di trattare i dati personali degli utentisecondo quanto indicato e prescritto dalle norme di legge in materia. Il problema, però, è ben più ampio di un seppur necessario adeguamento alla normativa vigente, di tipo passivo e rassegnato. Il dovere di proteggere i dati personali passa infatti attraverso una serie di misure che sono si tecniche e logiche ma soprattutto culturali. Ciò che deve cambiare è la mentalità, diffusa nelle PA di tutto il Paese e a tutti i livelli, purtroppo, che considera i dati e la loro salvaguardia come, nel migliore dei casi, un problema secondario se non una mania di qualche funzionario troppo zelante. Ne consegue, che il problema, oltre che sottovalutato, è anche superficialmente affrontato con le conseguenze che, purtroppo, non ci si deve limitare ad immaginare perché sono divenute sentenze passate in giudicato di cui occorre imparare a tenere conto.
Il caso In data 28 maggio 2019 è stata pubblicata una sentenza da parte della Corte dei Contidel Lazio (sezione giurisdizionale)con la quale, per colpa grave,viene addebitato al Dirigente Scolastico di un Istituto Scolastico della provincia di Romail risarcimento del danno provocato dalla negligente applicazione della normativa sulla protezione dei dati personali. In breve, la vicenda: in una scuola della provincia di Roma viene redatta una circolare per la convocazione del Gruppo H. Tale documento contiene i nomi dei minori di cui il Gruppo dovrà occuparsi. Il Dirigente Scolastico firma l’atto e ne dispone la trasmissione via mail ai docenti interessati, cui segue la pubblicazione all’albo dell’Istituto. Uno dei genitori degli alunni coinvolti, indispettito dalla mancanza di tutela della privacy di suo figlio, ne informa l’Autorità Garante la quale irroga la sanzione all’Istituto Scolastico. Nel caso in esame, il magistrato contabile ha individuato una grave negligenza da parte del Dirigente Scolastico che non solo ha firmato l’atto incriminato senza controllarne il contenuto, ma non ne ha bloccato la diffusione. Per completezza di informazione, occorre ricordare che il magistrato ha assolto i docenti coinvolti mentre ha condannato il DS alla rifusione del danno in quanto unica responsabile dell’organizzazione, a norma dell’art. 25 del d.Lgs 165/01. Gli altri tre casi (al momento, comunque, non risulta avviata alcuna
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azione risarcitoria da parte della Corte dei Conti in nessuno dei tre), riguardano invece la pubblicazione di graduatorie interne con l’indicazione del codice di esclusione riferito alle invalidità dei dipendenti. I fatti rilanciano un aspetto della questione protezione dati completamente dimenticato da coloro che i dati, in ultima analisi, li trattano. La sanzione irrogata al DS (che è, ricordiamolo, il Titolare della Trattamento dei dati) da parte dell’Ufficio del Garante
ammonta a 20.000,00 euro. Altre tre Ordinanze Ingiunzioni da parte dell’Ufficio del Garante avevano disposto, in data 31 gennaio 2019, una sanzione amministrativa (4.000,00 euro) nei confronti di tre Istituti Scolastici per aver diffuso dati sensibili contenuti nelle graduatorie di Istituto. Nel primo caso, come si evince,la condanna scaturisce dall’azione di rivalsa da parte dell’Amministrazione. Questo perché, in realtà, il vero Titolare del Trattamento
dei dati è l’Amministrazione stessa, che è però rappresentata organicamente dal proprio Dirigente. Ne consegue che, in questi casi, a pagare sia l’Amministrazione stessa. A tutela però dell’interesse pubblico e dei principi di buona amministrazione l’Amministrazione stessa può rivalersi sul Dirigente in base al concetto di responsabilità patrimoniale, che può essere attivato in presenza, però, di colpa grave o dolo.
CVD (come volevasi dimostrare). Come già era successo nel periodo di vigenza del co¬dice privacy D.Lgs 196/03, ad una fiammata iniziale, più che altro per paura delle sanzioni amministrative in caso di mancata nomina del responsabile, mancata comunicazione ecc…, è seguita una rapida discesa della febbre da trattamento (dati), tanto che l’attenzione, anche mediatica, nei confronti di queste procedure, già considerate piuttosto materia tecnica quando non tecnicistica, è praticamente scomparsa. Ciò, però, ha com¬portato una insufficiente crescita cul¬turale in tema di privacy. Il personale, in altre parole, non ha afferrato la vera natura del provvedimento né tanto meno fatto proprie le sue motivazioni, acquisendole e “digerendole”, rendendole pratica quotidiana. Ne consegue che, nel momento in cui viene pubblicato il nuovo codice, c’è stata una vera propria corsa, come si di-
ceva più sopra, alla no¬mina dei DPO, che si ricorda esse¬re consulenti del Titolare, ignorando totalmente che la questione è prin¬cipalmente culturale. Il fiorire di esperti conseguente, indubbiamente preparati per ciò che concerne la protezione infor¬matica dei dati ma poco attenti alla problematicarappre¬sentata dal bilanciamento tra diritto alla protezione dei dati e diritto alla Trasparenza. In realtà, la normativa, probabilmente, è andata, come a volte capita, più avanti dell’opinione pubblica. Quindi, se non ci sono (molte) sentenze in materia è probabilmen¬te dovuto al fatto che, più che una scarsa attenzione, non esisteva una coscienza critica nell’opinione pubblica, nell’utenza delle PA. Appunto, non c’era. Ma col tempo, le coscienze cambiano. Non così rapidamente è invece cresciuta la consapevolezza del problema e la considerazione della materia da parte delle PA.
Perchè? Cosa è successo? Come mai una svista così madornale? Non può essere un errore, una firma frettolosa per un provvedimento urgente da pubblicare, si potrebbe pensare. E se invece lo fosse? Se invece fosse la spia di una più ampia “disattenzione” per la cultura trattamento dei dati e, in generale, per chi è detentore di diritti sulle informazioni che ogni giorno le PA (e le scuole in particolare) manipolano, spesso con imprudenza (quando non con imperizia)? Qualcosa di vero c’è sicuramente… Dopo lacorsa folle post 25 maggio 2018, data in cui è entrato a regime del nuovo Regolamento sulla protezione dei dati personali, fase in cui tutte le amministrazioni pubbliche in generale (e per prime le scuole ) ad una affannosa quanto improvvisata fuga “last minute” alla ricerca del DPO (con risultati discutibili, in molti casi), la questione è caduta nel più totale oblio, i matematici direbbero
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Cosa fare Sicuramente, occorre maggiore attenzione e tutela per i dati che si trattano ogni giorno. Prima di firmare, è opportuno informarsi, chiedere al DPO l’opportunità di pubblicare un atto e la forma dello stesso (perché si sa, in diritto la forma è sostanza).
da una seria e concreta azione formativa nei confronti di tut¬ti i soggetti che trattano dati affinché, come già accaduto (?) in materia di sicu¬rezza sui luoghi di lavoro, si sedimen¬ti una cultura della privacy a livello profondo di fronte all’utilizzo di dati.
Come afferma Foti, in La privacy questasconosciuta (RAS, Ma il problema, come si dice- XXXVIII n. 6, pp. 43-44)“la quanva più sopra, è culturale. E cultu- tità di atti prodotti dal Garan¬te ralmente va affrontataa partire
in materia negli ultimi 12 mesi ci dice che è terminato il periodo in cui la certezza dell’impunità garantiva un riparo sicuro dalle inadempienze”. E’ ormai il momento giusto perché la Protezione dei dati personali (come, del resto, il loro utilizzo) diventi argomento centrale per tuttele Istituzioni Scolastiche.
20 Gennaio 1999 Al centro Bruttium bilancio triennale A CONCLUSIONE del triennio di attività del centro Brutium, si è tenuta un’assemblea nei locali associativi, per rinnovo delle cariche sociali. Nella relazione iniziale il presidente uscente, Lino Natali, ha stilato il bilancio dell’attività, e l’impegno profuso nei tre anni dal centro culturale, attraverso l’organizzazione di oltre cinquanta manifestazioni di alto spessore culturale. Nel corso dell’incontro è stata presentata la programmazione e la nascita del supplemento settimanale di opinioni al mensile sociale “La ciminiera”, del quale è già stato distribuito il numero zero e si intitola “4 Fogli”. Nel nuovo consiglio direttivo è stato riconfermato all’unanimità il presidente Lino Natali, sono stati inoltre eletti: alla vice presidenza Alfonso Giglio, e poi Armando Giorno, lo scrittore Pasquale Talarico, l’editore Pino Grillo, che avranno il compito di dirigere la vita del Centro nel prossimo triennio. il Quotidiano - pag. 1 mercoled 20 gennaio 1999
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Leggende metropolitane Da tempo ormai le aree della Meridione sono periodicamente sconvolte da una leggenda urbana che sembra persistente e incapace di sparire: la leggenda urbana dei furgoni rapisci-bambini. Diamole un’occhiata.
I precursori del furgone La leggenda del furgone rapitore di bambini
di Raoul Elia
La storia dei rapimenti di bambini nella zona di Vallo, la vasta pianura della parte sud-orientale del Salernitano, al confine con la Basilicata, non è una novità. Innanzitutto, volendo partire da lontano, quella dei rapimenti di minori a fini “medici” (o meglio, dell'orrore medico) esiste da secoli. La mtica Sagana, prototipo di tutte le streghe creata da Orazio nel I secolo a.C. rimane famosa per un carme in cui ha rapito un bambino per usare il suo cadavere per terribili malefici. Sebbene la storia sia chiaramente di fantasia e altamente ironica, ciò non toglie che dovette essere orientata da leggende urbane e non che riguardavano rapimenti di bambini a scopi magico-rituali. Ad esempio, pochi conoscono il caso dei (presunti perché mai individuati) ratti di bimbi nella Parigi del 1750. Era diffusa allora la convinzione che i poliziotti prelevassero gli infanti da usare come fonte per bagni di sangue curativi, che il
re Luigi XV avrebbe utilizzato per guarire dalla lebbra (se ne sono occupati due storici francesi, Arlette Farge e Jacques Revel. La loro ricerca è stata pubblicata in La logica della folla, tradotto in Italia nel 1989). Spostandoci in avanti di un secolo, e precisamente al 21 giugno 1868, questa volta nel Belpaese, un uomo venne addirittura linciato dalla folla a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, con l’accusa di aver sottratto un bambino per ricavare candele dal suo grasso. Lo riporta il quotidiano triestino “Il Diavoletto” del 1° luglio di quell’anno, attribuendo il “fatto atroce” ad una voce diffusasi tra il popolo a seguito della (presunta) scomparsa di un fanciullo a Montemurlo, vicino Prato. Quale fosse il legame fra i due eventi, non si è mai saputo. E non dimentichiamoci che i comunisti erano accusati di divorare i bambini (non si sa se crudi o cotti) ancora negli anni ’80 vedi Berlusconi e sua discesa in campo…). la Ciminiera 9
Il furgone rapitore Ora, visti gli antenati famosi, i maiores di questa leggenda urbana, concentriamoci sulla sua forma attuale. Il “furgone bianco che rapisce i bambini” è una storia che ha già fatto il giro d’Italia, dalla Campania al Salento dalla Lombardia alla Sardegna. In alcuni casi, il colore cambia (c’è stato anche un furgone rosso rapitore di bambini), ma è diffusa anche in Francia, nel Regno Unito, e, con varianti anche talvolta significative, in tutto l’Occidente. Un esempio: si legge sul portale del Giornale di Olbia, “è partita una segnalazione da Bosa, in provincia di Oristano, due gli uomini all’interno del veicolo, uno dei due, alto, magro, con i capelli bianchi e una collana d’oro al collo, scende dal furgoncino bianco e con la scusa di fare una foto cercherebbe di portare via il bambino di turno. Dopo si sono aggiunti altri episodi simili a Flussio, sempre in provincia di Oristano, e a Olbia, in prossimità delle scuole elementari, e sono state avvertite le autorità competenti. Secondo la testimonianza di un’insegnante, due uomini, all’interno di un furgone bianco, fotografavano i bambini”. Precedentemente era successo ben di peggio in Francia: a Colombes, nel dipartimento dell’Alta Senna, due uomini che viaggiavano a bordo di un furgoncino bianco sono stati bloccati da una ventina di giovani che li hanno presi per potenziali rapitori di bambini, tirati fuori dall’abitacolo e pre10 la Ciminiera
si a pugni. Il loro mezzo è stato dato alle fiamme, Polizia e Vigili del fuoco, sopraggiunti nel frattempo, sono stati aggrediti e fatti oggetto di una sassaiola. I malcapitati sono stati medicati in ospedale. La voce che circolava nella zona ricordava un furgoncino che si aggirava fra Colombes e Nanterre per rapire bambini. Un diciottenne aveva raccontato che un uomo aveva ammiccato verso di lui da un’auto e che vicino alla vettura c’era un furgoncino bianco e la cosa l’aveva spaventato. Poco dopo, nel quartiere di Grèves la banda di giovani attaccava i due uomini, evidentemente identificati con i mostruosi rapitori. Nella zona di Clichy-Montfermeil, voci insistenti annunciavano per quella sera spedizioni punitive contro la comunità rom. Sebbene la circoscrizione abbia smentito le voci, un rom è stato preso a pugni. La polizia ferma cinque persone. I disordini, però, non solo non si fermano, ma si propagano ad altri comuni come Noisy-le-Sec, Aubervilliers e Bondy. A Bobigny dodici persone vengono fermate mentre cercavano di attaccare campi rom. Fra loro, sei padri di bambini arrivati appositamente da Chelles, nella Senne-et-Marne, per unirsi agli altri. Esistono anche molte varianti della stessa leggenda, che coinvolgono, di volta in volta, mezzi differenti e che sfruttano i social media per diffondersi senza controllo (neanche quello della razionalità umana, se per questo)...
Dopo l’ambulanza nera segnalata tra il sud e centro Italia a inizio anni ’90 del secolo scorso, è arrivato l’allarme diffuso su WhatsApp e Facebook di una Jaguar nera con a bordo un uomo e una donna che si aggira in provincia di Treviso con l’intento di rapire bambini. L’allerta è scattata ai primi di giugno nel comune di Preganziol, per poi diffondersi anche a Casier, Mogliano e Roncade. Scampato al tentato rapimento sarebbe stato un bambino di 6 anni che giocava in bici al parco. A contribuire al diffondersi della paura anche le comunicazioni firmate dalle direzioni di alcune scuole materne che mettevano in guardia i genitori. Ma le indagini di carabinieri e polizia non hanno fornito alcun riscontro. Trascorre un mese e, a inizio luglio, dall’altra parte dell’Italia, a Bitonto, in Puglia, si diffonde su WhatsApp un altro avvertimento.
Le origini della specie Van De Winkel descrive la voce del furgoncino bianco come una miscela di tre leggende urbane ben note: quella dei rapimenti di bambini da parte di pedofili, quella tradizionale dei rapimenti di ragazze per la tratta delle bianche e quella dei furti d’organi. a novità è rappresentata proprio dal furgone, che a suo avviso è comparso negli anni ‘90. Quel genere di veicolo si presta bene al sospetto che all’interno si possano celare chissà quali oscuri segreti e, in più, a un furgone bianco sono state legate, in quello stesso decennio, varie storie di cronaca nera che hanno avuto per teatro la Francia.
Il tema del rapimento dei bambini, peraltro, ha una tradizione radicata. Come ricorda l’antropologa Ida Magli, gli antichi Romani accusarono i cristiani, oltre che di cannibalismo, anche di rapire i bambini per usarli nei loro rituali. Successivamente gli stessi cristiani riutilizzarono questa accusa infamante nei confronti degli ebrei prima, delle zingare e delle streghe poi. L’associazione fra nemici e rapitori di bambini porta alla luce una paura atavica, quella della perdita della continuità familiare garantita dalle nuove generazioni. D’altro canto, la condizione infantile è sempre stata precaria. La
cultura folklorica tradizionale, in effetti, pone i bambini in continuità con i morti (è il senso della tradizione di Halloween chiamata “trick or treat”) per la precarietà della loro condizione di esistenza e la loro difficoltà di raggiungere l’età adulta. Inoltre, mangiare i bambini o, equivalente simbolico, utilizzare i loro corpi per atti nefandi, significa rinunciare ad essere umani, puntando al cannibalismo e rinunciando programmaticamente a quei tabù e a quel sistema di integrazione fra individui che è la famiglia. In altre parole, l’accusa di rapire i bambini per fini abietti è una variante dell’accusare i nemici di essere subumani, animali o simili.
FURGONE BIANCO Tentato rapimento di bambini
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Cosa c’è di vero Di vero, come si intuisce, c’è ben poco. Ma quel poco è preoccupante. D’altro canto, ogni anno, in Europa, si registrano in media 270 mila segnalazioni di bambini scomparsi, una ogni due minuti. In Italia, invece, 15.117 i minori scomparsi e mai rintracciati dal 1974 al 2014. Di questi, 13.489 sono stranieri, 1.628 italiani. Nel periodo che va dal 2009 a fine aprile 2015, sono complessivamen-
te 610 i casi di bambini dei quali si sono perse le tracce. L’anno nero è stato il 2013, con 119 piccoli inghiottiti nel nulla. Cosa succede a questi bambini? Dove spariscono? Come scompaiono? E che dire delle migliaia di minori non accompagnati giunti sulle spiagge italiche e scomparsi nel nulla? Vista da quest’ottica, la leggen-
da urbana del furgone rapitore di bambini è ben più che una storiella da brividi e si può capire perché ricompaia periodicamente, ad ondate, sull’onda emotiva più che razionale, di un terrore ancestrale. Certo, il furgone è una bufala, e anche l’ambulanza, i ratti, la jaguar e tutto il resto. Ma dove sono andati a finire tutti quei bambini? Li ha rapiti il pifferaio di Hamelin?
20 Gennaio 1999 Natali confermato presidente del Bruttium Lino Natali è stato confermato all’unanimità presidente del Centro Studi Bruttium. Lo ha deciso l’assemblea riunitasi ieri per il rinnovo delle cariche elettive. L’assemblea ha inoltre nominato il professore Armando Giorno (segretario), lo scrittore Pasquale Talarico (tesoriere) l’editore Armando Grillo (rapporti come zone) e Alfonso Giglio (vicepresidente). Il centro Bruttium nel tríennio si è reso promotore di oltre 50 manifestazioni culturali. il Domani - pag. 13 mercoledì 20 gennaio 1999
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Gli specchi nazisti di Raoul Elia
Per tutta la Seconda Guerra Mondiale, la città di Hillersleben è stata la sede di uno dei più importanti centri di ricerca di armi del Terzo Reich. Presso una struttura tentacolare immersa tra le colline boscose, un contingente di 150 ingegneri e fisici hanno sviluppato e valutato vari tipi di armi sperimentali, alcuni dei quali alla fine sono stati adottati dalla macchina da guerra nazista. Quando la Germania si arrese nel maggio 1945, gli scienziati di Hillersleben furono costretti ad abbandonare le ricerche su un assortimento di strumenti di morte a vari stadi di completamento. Tra questi c’erano razzi e pezzi d’artiglieria che avevano il 50% di efficacia in più rispetto all’artiglieria standard, un carro armato Tiger modificato che poteva sparare razzi pesanti fino a sei miglia, e un simil-proiettile a catena composto di piccoli missili legati tra loro, con una portata di 100 miglia. Ma le menti più eccelse e al contempo deviate del Reich si erano impegnate soprattutto nella costruzione del Behemoth Sonnengewehr, detto anche “Sun Gun”, un progetto d’arma orbitale destinato a dare letteralmente fuoco ai nemici del Terzo Reich.
Le origini Il Sonnengewehr (traducibile in italiano come “cannone solare”) era un’arma orbitale teorica oggetto di alcune ricerche da parte della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. Essenzialmente questa idea non è originale, dato che può essere fatta risalire addirittura al geniale matematico greco Archimede che, si dice, nel
212 A.C respinse un’invasione navale della flotta romana a Siracusa utilizzando un sistema di specchi in grado di concentrare la luce solare per dare fuoco alle navi nemiche. Vera o falsa che sia questa leggenda, l’immagine della lente che brucia i nemici rimase a lungo nella mente (malata) degli ideatori di armi, anche se senza risultati, fino al 45, almeno. la Ciminiera 13
I primi accenni di arma solare Nel 1929, nel suo libro Wege zur Raumschiffahrt, o “Tecniche per il viaggio spaziale”, il fisico tedesco Hermann Oberth ideò il progetto di una stazione spaziale, in orbita a un’altitudine di mille chilometri, con laboratori e strumenti di osservazione della Terra. Lo scienziato ipotizzò che questa potenziale stazione or-
bitante avrebbe dovuto essere costruita a sezioni prefabbricate, con un ciclo di rotazione centrifuga per la produzione di gravità all’interno della stazione e con preciso sistema di missioni di rifornimenti periodici. Ovviamente, il tutto rimase teorico, non essendovi i mezzzi per realizzarlo.
Ma questo non spaventava certo i ricercatori nazisti, capaci di qualunque cosa (abbiamo già parlato della teoria del ghiaccio e del fuoco?), visto che sulla stazione si poteva installare dalla quale uno specchio concavo del diametro di 100 m avrebbe potuto riflettere la luce solare in un punto preciso sulla Terra.
La ricerca nazista Settimanale americano Life 1945
Più tardi, durante la Seconda guerra mondiale, un gruppo di ricercatori dell’Heeresversuchsanstalt di Hillersleben, non avendo altro da fare, pensò bene di iniziare a lavorare all’idea di Oberth e creare una superarma parte di un complesso orbitale. Per risolvere il problema della messa in orbita di stazione e annesso specchio, gli ingegneri avevano previsto di impiegare una versione potenziata del razzo V-2 che la Germania utilizzava per terrorizzare Londra. Questo missile, nome in codice “A11”, era già in fase di sviluppo presso la struttura di V-2 in Peenemünde, a opera di Wernher von Braun, che lo intendeva utilizzare per “bombardare di shrapnel incandescente gli Stati Uniti”. All’interno della superficie abitabile della stazione, l’elettricità sarebbe stata fornita da 14 la Ciminiera
speciali dinamo a vapore che utilizzavano il calore delle radiazioni solari. Nella stazione di complemento, gli astronauti nazisti avrebbero indossato scarpe magnetico per lavorare in assenza di peso e il loro os-
sigeno sarebbe costantemente rifornito da serre costruite a bordo, con una ricca varietà di piante coltivate. L’equipaggio di questa “Sun Gun” completamente assemblata avrebbe poi ricevuto ordini via radio o via telegrafo senza fili. L’equipaggio avrebbe avviato una rete di propulsori a razzo per ruotare la parabola e per puntare l’arma-specchio. Una volta in posizione, lo specchio avrebbe convogliato i potenti raggi del sole in un punto focale sulla superficie della Terra. Non è difficile immaginare l’impatto, anche psicologico, di un’arma del genere: carri armati, eserciti, navi, intere città che si sciolgono come cera. Ogni nazione priva di razzi spaziali sarebbe stata del tutto indifesa contro tali attacchi. Il progetto venne bloccato nella primavera-estate del ‘45; quando la vittoria alleata imminente divenne sempre più
evidente, agenzie di intelligence americane cercarono di mettervi mano nell’ambito del progetto Paperclip, che mirava ad “arruolare” quanti più scienziati tedeschi e le attrezzature prima che finissero in mano sovietica. Il Ten. Col. John A. Keck, responsabile tecnico del Paperclip nel teatro europeo, condusse l’interrogatorio di un gran numero di ricercatori na-
zisti. Gli ingegneri tedeschi gli confessarono le loro partecipazioni allo sviluppo della V-2, e resero noti alcuni dettagli relativi ad altre tecnologie quasi perfezionate: una a base di V-2 di lancio del sistema sottomarino, un razzo di precisione con puntamento a infrarossi, un missile anti-aereo in grado di autodetonare entro dieci metri da un obiettivo. Inoltre consegnarono a Keck
gli schemi ed i calcoli per il loro formidabile Sun Gun. A quanto pare, il tenente colonnello Keck e il suo team di ingegneri considerarono impressionanti gli altri risultati conseguiti dagli scienziati nazisti e presero il progetto molto sul serio. Dove sono andati a finire? Che fine ha fatto tutto quel materiale? Mystero...
21 Gennaio 1999 Si è chiuso un triennio di attività, del “Centro Studi Bruttium”
Il ruolo propulsivo della cultura
CATANZARO A chiusura del triennio di attività del “Centro Studi Bruttium”, si è tenuta, nei locali associativi, l’assemblea per il rinnovo delle cariche sociali. La relazione del presidente uscente prof. Lino Natali ha focalizzato l’attività intensa del Centro che nel triennio ha svolto oltre cinquanta manifestazioni di alto spessore culturale e sociale: dalle conferenze tenute da oratori di levatura nazionale ed internazionale (Marcello Veneziani, Renucio Boscolo, Antonello Palumbo, Pietrangelo Buttafuoco, Giuseppe Cosco, ecc.) che hanno trattato argomenti variegati quali Lao Tzu, New Age, Profeti e profezie in Nostradamus, ecc., alle manifestazioni musicali (serate liriche, operetta, cabaret), dai seminari di aggiornamento per il personale della scuola, alla pittura, trattata con mostre di artisti contemporanei e con incontri con poeti e scrittori vernacolari, all’editoria cui hanno dato il loro significativo e qualificato apporto, tanto per citarne alcuni, Di Lieto, Cosco, Clodomiro, Graceffa, Pagano, Chiriano, Galasso ed altri. La programmazione futura è stata presentata parimenti all’attività passata pregna di alto interesse socio culturale. E nel mentre si è auspicato un aumento maggiore di firme al mensile sociale “La Ciminiera” si è annunciata la nascita del supplemento settimanale di opinioni “4 fogli” che avrà il compito di segnalare ed
essere più incisivo, nell’attualità attraverso la testimonianza di opinioni dei soci e non. Nell’occasione è stato distribuito il numero zero. E’ staio infine rinnovato il nuovo Direttivo,con la conferma all’unanimità del presidente prof. Lino Natali, cui sono stati riconosciuti gli enormi meriti propositivi ed organizzativi nella vita del CSB; sono stati, inoltre, eletti il prof. Armando Giorno (segretario); lo scrittore Pasquale Talarico (tesoriere), l’editore Pino Grillo (rapporti con le zone), e il sig. Alfonso Giglio (vicepresidente) che avranno il compito di dirigere la vita del Centro nel prossimo triennio. Propositive sono stati gli interventi del dr. Mercurio Marceca (presidente Lions di Soverato), della dr.ssa Caterina Galasso, dello storico Vanni Clodomiro, dell’avv. Angelo Di Lieto. A rappresentare le zone CSB si è notata la partecipazione del CSB-Soverato guidata dalla prof.ssa Oriana Mancari, del CSB Squillace guidata dal maestro Paolo Pancari Doria e del CSB Vibo Valentia guidata dal dr. Giuseppe Francica. Il Giornale di Calabria – giovedì 21 gennaio 1999
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Il vampiro della Padania
[Ritratto del Verzeni]
di Raoul Elia
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Molti pensano che i serial killer siano solo appannaggio degli States, o tuttalpiù una recente infausta conseguenza della colonizzazione yankee. Nulla di più sbagliato. Non solo i serial killer italiani non sono un fenomeno nuovo, ma forse, il primo serial killer non è inglese, o statunitense, ma italiano ed era chiamato “il vampiro”, al secolo Vincenzo Verzeni. Vincenzo Verzeni nasce nel 1849 a Bottanuco, un paesino in provincia di Bergamo. Proviene da una famiglia disagiata e vive fin dalla più tenera età una situazione familiare intrisa di violenza, con un padre alcolizzato e violento e una madre bigotta, succube del marito e malata di epilessia. A vent’anni, Vincenzo era un ragazzo robusto, alto 1.66, silenzioso, docile e molto solitario, il classico bravo ragazzo. Ma dietro questa maschera di tranquillità e normalità, dietro questa calma apparente si cela una personalità terrificante. Nel 1867, Verzeni, colto da un raptus improvviso, tenta di mordere alla gola e di bere il sangue della cugina Marianna mentre questa dormiva; la ragazza, però, svegliatasi di soprassalto, mette in fuga Verzeni mettendosi ad urlare. Nel 1869, il giovane compie altre due aggressioni, di cui una, quella avvenuta ai danni di Barbara Bravi, è compiuta in realtà da uno sconosciuto. Anche in questo caso le urla bastarono a far fuggire l’aggressore. Pur non avendo visto bene il volto, la Bravi, interrogata in seguito, non poté escludere (ma neanche confermare, se è per questo) a priori che si potesse trattare proprio di Vincenzo Verzeni. La seconda
vittima di aggressione, invece, Margherita Esposito, riconosce nell’aggressore il giovane bergamasco. Sempre nel 1869, accade un altro fatto strano: Angela Previtali viene aggredita, stordita e condotta in una zona disabitata. Alla fine Verzeni, forse mosso a compassione, forse ancora incerto su ciò che vuole, la libera senza fargli del male. Ma è solo l’inizio. L’8 dicembre del 1870, infatti, scompare Giovanna Motta, una ragazzina di soli 14 anni. E’ la prima vittima accertata di Vincenzo Verzeni. La ragazzina si stava recando a Suisio dai parenti, ma viene aggredita da Verzeni per strada e scompare. Quattro giorni dopo ne viene ritrovato il corpo, orribilmente mutilato. Nuda e squartata, alla ragazzina sono stati asportati gli organi genitali e le interiora, quest’ultime rinvenute in un cavo di gelso. Sul suo collo ci sono evidenti segni di morsi e il cadavere presenta anche una parte del polpaccio strappata via (probabilmente a morsi). Su una pietra vicino al cadavere vengono rinvenuti degli spilloni disposti a raggiera. La scoperta degli spilloni fa pensare che l’aggressore possa essere affetto da piquerismo (un particolare tipo di parafilia consistente nel ricercare il piacere pugnalando e tagliuzzando un corpo con oggetti affilati) ma che non sia riuscito a portare a termine il suo rituale perché interrotto da qualcuno o perché tornato in sé. Non vi sono tuttavia prove che inducano a ritenere che l’assassino abbia abusato sessualmente della ragazzina, vista e considerata l’asportazione dei genitali.
Il 10 aprile del 1871 è la volta di Maria Galli, la quale viene importunata da un uomo che, in seguito (ma solo dopo l’arresto e il conseguente clamore mediatico), identifica in Vincenzo Verzeni. Il 26 agosto del 1871, il mostro colpisce ancora: Verzeni aggredisce Maria Previtali, spingendola e cercando di morderla alla gola. La ragazza si salva, in qualche modo. Ma la strage continua perché, dopo otto mesi e diciannove giorni, il 27 agosto 1871 viene ritrovato il corpo di Elisabetta Pagnocelli, la seconda vittima. Anche in questo caso il corpo risulta squartato e mostra vistosi morsi sul collo. la notizia esalta la nascente opinione pubblica e i media, che ribattezzano il serial killer con il soprannome de “Il Vampiro”. Vincenzo Verzeni viene finalmente arrestato nel 1873. CSI, Criminal Minds e Il silenzio degli innocenti sono ancora nella mente di Dio (o del diavolo?), tuttavia, i crimini del vampiro sono così efferati che scuotono l’opinione pubblica e spingono i magistrati ad un’azione “risanatori”: viene affidato l’incarico di stendere una perizia psichiatrica sul giovane nientepopodimenoché a Cesare Lombroso, il padre dell’odierna criminologia. Lombroso, dopo molti esami, compreso quello frenologico, definsce Verzeni “un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana, affetto da cretinismo e necrofilia oltre che di pellagra in fase avanzata”; tuttavia, non riesce mai a stabilire con certezza se gli omicidi, commessi da
Verzeni, siano stati compiuti in una stato di infermità mentale. Nella famiglia dell’omicida, però, vi erano diversi casi di alterazioni mentali: il padre dell’omicida, oltre che alcolizzato e violento, soffriva di ipocondria, mentre uno zio era affetto da iperemia cerebrale, termine medico per indicare un aumento di sangue in una data parte del corpo, all’epoca connesso con le malattie mentali (Freud non è ancora attivo…). Durante il processo, comunque, l’omicida ammette tutto: “Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell’atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte con le unghie ma con i denti perché io, dopo averla strozzata, la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con la
condannato ai lavori forzati a vita; tuttavia, dato che non riesce a reggere la fatica, il 13 aprile del 1874 viene trasferito nel manicomio giudiziario di Milano, dove viene sottoposto a numerose cure, a che sperimentali (leggasi torture sadiche). Qui, infatti, il pluriomicida vive nell’isolamento e nell’oscuramento più totali, ricevendo getti d’acqua gelata fatti calare da tre metri d’altezza seguiti da bagni bollenti e scosse elettriche. In seguito a questo brutale trattamento, il mostro si chiude in un mutismo totale fino al 23 luglio del 1874, quando gli inservienti del manicomio lo trovano morto nella sua cella. Verzeni è nudo, solo con calze e pantofole, impiccato ad un’inferriata.Lo soccorsero, tagliarono la fune e cercarono di rianimarlo, ma fu possibile soltanto constatarne il decesso.
Mummia del Verzeni
quale godei moltissimo”. Vincenzo Verzeni, reo confesso, scampa al plotone d’esecuzione (sembra grazie al voto di un giurato che ebbe un dubbio sulla sua colpevolezza) ma, a furor di popolo, viene
E qui inizia il piccolo mistero, in quanto qualcuno sostiene che sia sopravvissuto, e morto invece, molti anni dopo. In effetti, il Comune di Bottanuco custodisce una copia del suo atto di morte la Ciminiera 17
che ne certifica il decesso per cause naturali alle 15:35 del 31 dicembre 1918. E, il 3 dicembre 1902, l’Eco di Bergamo scrisse che “la popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finita l’espiazione della pena, che dall’ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione”. Cosa è successo? Molto probabilmente nel 1874 Verzeni non riesceì a suicidarsi, viene salvato in extremis e quindi, dal manicomio criminale, trasferito nel carcere di Civitavecchia dove sconta il resto della pena,. uscito ormai avanti nell’età, decide di stabilirsi nuovamente nel suo paese natale e qui muore a 69 anni, di cause naturali e dimenticato da quasi tutti, l’ultimo giorno del 1918.
http://www.latelanera.com/serialkiller/images/VincenzoVerzeni/vincenzo-verzeni-mummia.jpg [La foto della mummia del Verzeni, conservata al Museo di Arte Criminologica di Roberto Paparella] https://www.ilparanor male.com/wp-content/uploads/2015/06/verzeni-1.jpg [Ritratto del Verzeni] http://www.latelanera.com/serialkiller/images/VincenzoVerzeni/vincenzo-verzeni-02.jpg [Secondo alcuni, una foto del Verzeni da ragazzo] http://www.latelanera.com/serialkiller/images/VincenzoVerzeni/vincenzo-verzeni-vampiro-padania.jpg [Copertina del libro Il vampiro della Padania, di Massimo Centini]
La carta d’identità del nostro serial killer Nome Completo: Vincenzo Verzeni Soprannome: il Vampiro di Bergamo, il Vampiro della Padania Nato il: 11 aprile 1849 Morto il: 23 luglio 1874 Vittime Accertate: 2 Modus operandi: Avvicinava le sue vittime in luoghi isolati, per poi aggredirle all’improvviso provando a strangolarle e in caso di morte procedeva poi ad atti di mutilazione, vampirismo e cannibalismo.
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23 Gennaio 1999
“Bruttium”, rieletto il prof. Lino Natali I1 prof. Lino Natali è stato confermato nella carica di presidente del Centro studi Bruttium. La rielezione di Natali è stata sancita dall’assemblea dei soci che si è riunita a conclusione del triennio di attività. Il direttivo dell’associazione culturale che ha sede a Lido in via Pisacane, è composto inoltre dal vice presidente Alfonso Giglio, dal segretario prof. Armando Giorno, dallo scrittore Pasquale Talarico (tesoriere), dall’editore Pino Grillo (rapporti con le zone). Nella sua relazione, il prof. Natali ha focalizzato alcuni passaggi dell’attività condotta dal Bruttium» nell’arco degli ultimi tre anni: un consuntivo che presenta oltre cinquanta manifestazioni. In particolare è stato ricordato-sono state realizzate importanti conferenze (con la partecipazione di Marcello Veneziani, Renucio Boscolo, Antonello Palumbo, Pietrangelo Buttafuoco, Giuseppe Cosco); inoltre sono state proposte anche manifestazioni musicali dedicate di volta in volta alla lirica, all’operetta; e ancora: seminari di aggiornamento per il personale della scuola dedicati alla pittura, incontri con poeti e scrittori. Una linea di azione, questa che -come ha confermato il presidente Nataliverrà seguita anche nella programmazione futura. Al dibattito sono intervenuti il dottor Mercurio Marceca, presidente del Lions club di Soverato, la dottoressa Caterina Galasso, lo storico Vanni Clodomiro e 1’avv. Angelo Di Lieto. All’assemblea, per le zone in cui è rappresentata l’attività del Centro studi Bruttium, sono intervenutile sezioni di Soverato, guidata dalla professoressa Oriana Mancari, di Squillace diretta dal mastro Paolo Pancari Doria e di Vibo Valentia guidata dal dottor Giuseppe Francica. Gazzetta del Sud - pag. 23 sabato 23 gennaio 1999
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Unicorno Mitologia
Fig. 2:toro alato della porta di Ishtar a Babilonia
di Raoul Elia
hiunque si sia mai affacciato alla tradizione dei bestiari medievali sa C che gli elementi del mito medievale dell’unicorno sono i seguenti: la sua scontrosità, il carattere mirabile del corno, il rapporto (dell’animale
o del suo corno) con la salute, con le acque, con la verginità (femminile), con l’albero. Secondo gli studiosi del settore, però, il mito dell’unicorno, tutt’altro che europeo e medievale, potrebbe esser nato addirittura millenni fa nella vasta area che comprende Cina ed India: in queste aree, quanto meno, si radicano le prime testimonianze di esso o di qualcosa che gli somiglia. La struttura del mito medievale dell’unicorno è frutto di una evoluzione la cui sequenza non ci è chiara malgrado una parvenza “stratigrafica” possa essere definita abbastanza chiaramente.
Archeologia dell’Unicorno Per il Li-Ki, i quattro animali benevoli sono il drago, la feroce, la tartaruga e il “K’i-lin”, nome che sembra riassumere il principio maschile e quello femminile e che è raffigurato come un grande cervo con coda di bue e zoccoli di cavallo, armato di un solo corno, dai peli dorsali di cinque colori e da quelli del ventre gialli o bruni; non calpesta erba viva né uccide animali viventi; compare quando appaiono sovrani perfetti, e la sua comparsa è di cattivo auspicio se viene ferito. Secondo la tradizione cinese, il corno di rinoceronte possedeva caratteristiche terapeutiche e in particolare era considerato un efficace antidoto ai veleni; tuttavia, nessuna confusione nella cultura cinese era possibile tra il rinoceronte, animale ben conosciuto, e il K’i-lin, animale mitico la cui comparsa era associata a eventi straordinari. Il rapporto fra un animale cornuto -ma, attenzione, non si parla di unicorno – e la capacità
di guarigione da certe malattie si trova in un inno dell’ Atharvaveda (1), dove sembra si alluda a una specie di antilope-unicorno; nel SatapathaBrahmana, il pesceunicorno che salva Manu dal diluvio universale è un avatardi Visnu (ancora una volta, l’associazione tra corno, acqua e salute); infine, è al Mahabarata che bisogna risalire per incontrarsi con l’episodio del rapporto fra la vergine e l’unicorno: l’eremita Rishyashringa (“Corno di
Gazzella”), figlio di Ekasringa (“Unicorno”), viene indotto a uscire dal suo romitorio dalla figlia del re, che lo sposa (ma, secondo una diversa versione, viene sedotto da un’etera: l’episodio è comunque di ardua datazione, poiché tutto l’immenso poema è stato composto per stratificazioni tra IV secolo a.C. e III d.C.). Nella tradizione mazdaica persiana, tramandataci nel Bundahishn, si parla invece di un immenso onagro-bianco unicorno, a
Fig. 1: un rilievo di arte persiana riprodotto da Dominique Lenfant in un suo articolo del 1995, dove si vede una processione di uomini (probabilmente indiani) che portano in dono – o comunque esibiscono – al Gran Re un animale con testa asinina che, appunto, sembra avere un unico corno sulla fronte. Cf. LENFANT (1995, 336). 20 la Ciminiera
tre zampe, che purifica l’oceano orinandovi e che ha una qualche affinità con l’albero Gokard, anch’esso sorgente nell’oceano, e che è considerato il rimedio contro tutti i mali.
Migrazioni mostruose, ovvero come c’è arrivato l’Unicorno dall’India fino a qui?
Orbene, tra le sue opere, ve ne è una, Indikà, sull’India, anch’essa perduta e giunta sino a noi solo attraverso frammenti tramandatici, nel IX secolo, dal celebre patriarca Fozio di Gerusalemme, in un tempo nel quale l’India - conosciuta soprattutto attraverso i racconti fantastici delle gesta di Alessandro Magno - era già divenuta una specie di paradigma dell’esotico. Ebbene, ecco, nella versione di Fozio, il venticinquesimo frammento degli Indikà: In India ci sono degli asini selvatici grandi come cavalli e anche di più. Hanno il corpo bianco, la testa rossa e gli occhi blu. Sulla fronte hanno un corno lungo circa un piede e mezzo. La polvere di questo corno macinato si prepara in pozione ed è un antidoto contro i veleni mortali. La base del corno, circa due palmi sopra la fronte, è candida; l’altra estremità è appuntita e di colore cremisi; la parte di mezzo è
Fin qui le origini, benché confuse. Ma attraverso quali veicoli culturali è avvenuta la migrazione in Occidente e la sua ricomposizione in un quadro coerente anche se ricco di varianti? A livello puramente iconologico, sono possibili confronti sia con l’arte delle steppe, sia con quella babilonese-persiana (Figg. 1-2) ma potrebbero anche essere somiglianze formali. E bisogna comunque ricordare che ne esistono anche raffigurazioni antichissime di origine geografica europea, come nella celebre Grotta di Lascaux (Fig. 3) che potrebbero essere in contrasto con questa teoria sulle origini orientali. Come procedere, allora? Ci viene allora in soccorso il buonCtesia di Cnido. Chi era dunqueCtesia, oltre che un tizio dalnome strano? Un personaggio molto importante, sebbene misconosciuto, soprattutto per la cultura greca. Medico, storico e viaggiatore vissuto fra Ve IV secolo a.C.,fu anche uomo di fiducia del Gran Re di Persia Artaserse II e fertile scrittore Fig. 3: Una delle più antiche raffigurazioni dell’unicorno, Lascaux (c. 16,000 BC) (1860-1948) di trattati e narrazioni storiche, tutte perduti. Due concerti per ripercorrere il Rinascimento e il Barocco “L’amoroso cantare” a Catanzaro CATANZARO - Giovedì e venerdì prossimi il Centro studi Brutium e il comune di Catanzaro, in occasione delle celebrazioni per il trecentenario della morte di Mattia Preti, presenteranno due concerti, aventi come titolo guida “L’amoroso cantare. La musica in Italia tra rinascimento e barocco”. I1 primo dei due concerti si terrà presso palazzo De Nobili a Catanzaro alle ore 21; il secondo, invece, nell’aula magna dell’Istituto tecnico commerciale “Fra Pacioli” a Catanzaro
Lido. I1 programma si concentrerà sulla musica vocale e strumentale italiana compresa in un arco di tempo che va dalla metà del `500 alla metà del XVII secolo. La parte rinascimentale sarà dedicata soprattutto alla produzione di autori della cosiddetta “scuola napoletana”. Si potranno ascoltare le tipiche forme che portarono Napoli alla fama internazionale: villanelle e villotte alla napoletana, mascherate e canzoni; i testi, alcuni in vernacolo, altri in italiano, appartengono alla tradizione napoletana e sono presi da illustri poeti, quali il Petrarca. Nel programma saranno presentati autori del
primo periodo barocco con una prevalenza di quelli appartenenti alla cosiddetta “scuola romana”. Fu proprio Roma, infatti, a dare un impulso ed una crescita alla vocalità sacra e profana in quel periodo, con una particolare evoluzione del melodramma che si sviluppò nei teatri romani nel periodo 1620-1650. Ad esempio Stefano Landi diede in tal senso un importante contributo negli anni trenta con il dramma sacro il Sant’Alessio. Anche nella produzione cameratistica, eseguita in questi due incontri, le caratteristiche delle musiche, come quelle del tedesco Eapsberger, romano d’adozione, si
svilupperanno intorno ad una splendida esaltazione della linea melodica. Questa caratteristica fa della scuola romana la naturale prosecuzione di quella napoletana del Rinascimento. Si esibiranno gli artisti: Paolo Capirci (flautista), Anna Maria Di Lorenzo (soprano) e il catanzarese Francesco Mirarcbi (liutista). La direzione artistica dei due concerti è stata affidata, dal professor Pasquale Natali, presidente del centro studi Brutium,alla regista Tania’ G. Romeo Palmira Curcio - il Quotidiano - Calabria Estate pag. 19 - mercoledì 21 luglio 1999 la Ciminiera 21
naturale dell’elefante, affilato il suo corno su un sasso si prepara al combattimento e nella lotta mira soprattutto a colpire il ventre dell’avversario, perché sa che è piuttosto molle. Ha la stessa lunghezza dell’elefante, le zampe molto più corte, il colore del bosso. Ma più sotto, parla di un altro tipo di unicorno, decisamente più fantastico: In India conoscono anche buoi dagli zoccoli compatti, con un solo corno (unicornes) ... La bestia più feroce è il monoceros, nel resto del corpo simile al cavallo, nella testa al cervo, nelle zampe all’elefante, nella coda al cinghiale, dal muggito profondo, con un unico corno nero che sporge dalla metà della fronte per due cubiti. Dicono che questa bestia non può essere Fig. 4 le Toucher (il Tatto), uno dei sei arazzi risalenti al XV secolo della serie “la Dama e l’Unicorno” esposti al catturata viva. E’ evidente, dal confronto fra i due brani, che Museo di Cluny di Parigi. che rinoceronte e monoceronte non potevano nera. Coloro che bevono utilizzando questi corni come che essere per il naturalista romano due animali coppe, non vanno soggetti, si dice, alle convulsioni o diversi - anche se dotati di punti di contatto e agli attacchi di epilessia. Inoltre sono anche immuni suscettibili di confusione. da veleni se, prima o dopo averli ingeriti, bevono Un altro naturalista romano (che però vino, acqua o qualsiasi altra cosa da queste coppe. scriveva in greco), Eliano, nel III secolo d.C. Gli altri asini, sia quelli domestici sia quelli selvatici, conosceva bene il rinoceronte e sapeva che nonché tutti gli animali con lo zoccolo indiviso, non anche i Suoi lettori lo conoscevano. Tuttavia, hanno né astragalo né fiele, ma questi hanno sia parla dell’unicorno come di un animale che l’uno sia l’altro. Il loro astragalo, il più bello che io viveva nell’interno dell’India, grande come abbia mai visto, è simile a quello del bue come aspetto un cavallo, di pelo rossiccio e che gli indigeni generale e dimensioni, ma è pesante come piombo e chiamavano kartàzonos. Il suo corno era nero completamente color cinabro (2). e dotato di anelli (o spirali); era scontroso, e Ovviamente, quanto di fantasia ci sia in questa lottava anche con le femmine della sua specie, descrizione non è dato sapersi. Di certo accese salvo nel periodo degli amori (5). l’immaginazione di tutto il mondo classico. Dalle dimensioni all’aspetto zoologico poco Aristotele, nella sua Historiaanimalium, ci vuole… dedica soltanto un cenno fugace, esprimendo E infatti il responsabile di tante creazioni dubbi sul fatto che potessero esistere animali teratologiche divenute famose nel Medioevo, cornuti ma non provvisti di zampa forcuta (3). ossia il buon Giulio Solino, parlando del Giulio Cesare, nel De bello gallico, parla di un monoceros, lo descrive come un mostro dal misterioso “bos cervi figura”, una sorta di bue- corpo di cavallo, la testa di cervo, le zampe di unicorno, che abiterebbe nella Selva Ercinia. elefante, la coda di maiale e un corno in mezzo Plutarco si ricorda invece di un montone con alla fronte. un solo corno la cui testa era stata portata da un contadino alla corte di Pericle. Anassagora, che l’aveva esaminata, era arrivato alla conclusione L’unicorno medievale: alle origini del che si trattava di una menomazione dell’encefalo malinteso (4). Plinio il Vecchio parla con sicurezza del Se però tutto si fosse fermato qua, rinoceronte, già ricordato del resto da Erodoto (di sfuggita, in Herod., HdtIV 192) e noto a probabilmente il mito dell’unicorno non avrebbe Roma fin dai tempi di Pompeo, che ne aveva avuto grande credito e fortuna nel Medioevo. importato alcuni esemplari indiani (ma Plinio E invece, per l’incrociarsi di cultura pagana e conosceva anche la variante africana) per i cultura cristiana, avvenne l’ennesimo errore di traduzione/interpretazione. giochi. Ecco il testo: Nei libri dei Numeri, del Deuteronomio, dei il rhinoceros con un solo corno sul naso, come si vede spesso. Questa bestia, che è il secondo nemico Salmi, di Giobbe, di Isaia, si parla spesso del 22 la Ciminiera
cosiddettore’em. Animale arduo da identificare, è stato messo in rapporto, almeno etimologicolinguistico, con il rim arabo (l’orice) o con il rimu assiro (il grande uro). A una specie di grande bufalo, talora rappresentato come unicorno, ha fatto ricorso la tradizione talmudica per descrivere questo “misterioso animale”. Orbene, la versione biblica in lingua greca, detta “dei Settanta”, non esitò a rendere il termine re’emcon la parola monòkeros. Tale traduzione, per quanto errata, ebbe grande fortuna, e questo determinò la definitiva inclusione dell’unicorno fra gli animali della Bibbia. Il Physiologus greco, poi, in cui tutti gli animali, reali o immaginari che fossero,venivano riportati all’unità di misura simbolica costituita da Gesù Cristo, fece il resto, armonizzando i dati della tradizione classica e la figura dell’animale biblico: è proprio in questo testo che compare per la prima volta (per quanto se ne può sapere, almeno) la leggenda della vergine che può ammansire la fiera. E infatti, nelle sue celebri Etymologiae, già Isidoro di Siviglia parlava del monoceron o unicornus: ...È tanto forte che è impossibile per i cacciatori catturarlo; ma, come asseriscono coloro che hanno scritto sulla natura degli animali, gli si pone dinanzi una fanciulla vergine che offre il grembo a lui che sta arrivando; ed esso, posta da campo ogni ferocia, ci pone la testa, e così viene invaso da sopore ed è catturato come se fosse indifeso. Una volta fondate così le basi della leggenda, la sua “moralizzazione”, vale a dire la sua lettura etico-allegorica, procede ancor più rapidamente. Già Tertulliano, a dir il vero, aveva paragonato la ferocia dell’unicorno al rigore del Cristo in quanto giudice dei peccatori e il corno dell’animale leggendario alla vera croce; ma
Fig.5 Giovanni Maria Falconetto (1468-1535), La caccia all’unicorno – Allegoria dell’Annunciazione,1509-1517, Chiesa di san Giorgetto o San Pietro Martirea Verona
anche Ambrogio e Basilio avvicinano il mistero dell’unicorno a quello dell’Unigenito. Nei salmi, poi, l’Unicorno viene usato per rappresentareinnanzitutto la potenza di Dio, come per esempio nel Salmo 28. 6 : “Et comminuete astamquam vitulum Libani et dilectus quemad modum filius unicornium”, ma anche la forza vitale dell’uomo, come nel Salmo 91.11: “Et exaltabitursicutunicorniscornumeum.” Alla forza dell’Unicorno è assimilata anche la potenza del male, per esempio nel Salmo 21. 22: “Salva me ex ore leonis; et a corni bus unicornium humilitatem meam”. Su queste metafore è certamente basata l’allusione all’unicorno come figura di Cristo presente in Tertulliano, quando così descrive la benedizione di Mosè: “Di toro è la sua bellezza, corno dell’unicorno son le sue corna”. Onorio di Autun, poi, nel suo Speculum de mysteriisEcclesiae, scrive: Per mezzo di questo animale viene rappresentato il Cristo, mentre e per mezzo del suo corno la sua indomabile forza. Colui che si posò in grembo alla Vergine, fu catturato dai cacciatori; ovvero fu scoperto in forma umana dai suoi amatori. Fra XII e XIII secolo, l’unicorno ha ormai raggiunto il suo aspetto “classico”: è ormai - sia pure con parecchie varianti possibili - un candido cavallo dal mento barbato e dagli zoccoli bifidi (due attributi caprini) con un corno di narvalosulla fronte. In tutti o quasi i bestiari medievali viene sottolineato il suo carattere di guaritore, sia perché il suo corno purifica le acque e allontana i veleni, sia perché incastonata nella sua fronte c’è una Fig. 6 Richard de Fournival, la Caccia all’unicorno, Be- pietra preziosa e magica, il carbonchio (6). Il stiaire d’amour, fine XIII secolo, miniatura
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corno, il candore, l’elemento acqua avvicinano d’altronde l’unicorno al regime femmineo del simbolo, e di esso si fa talora non solo il simbolo del Cristo, ma anche della vergine stessa. Ed ecco l’ultimo passaggio della leggenda: con una conversione ad U degna del peggior autista, l’unicorno ritorna alla base di partenza, l’Oriente (seppur mitico ed indefinito): nel documento apocrifo conosciuto come la Lettera del Prete Gianni, databile, sebbene con molti dubbi, alla metà XII secolo, infatti,gli unicorni compaiono tra le meraviglie dell’Oriente insieme a varie tribù di mostri medievali, come i Blemmi, i Blachistomi e i Cinocefali.
Da questo momento, il nostro unicorno, però, cessa di essere un essere leggendario, e diviene oggetto di una ricerca ossessiva, perché il suo corno, che, nella tradizione, è una sorta di panacea/cornucopia, assurge al rango di oggetto del desiderio numero uno per le sue virtù scatenando una vera e propria caccia all’unicorno, così diffusa e pervasiva che, malgrado i commenti caustici di Marco Polo sul rinoceronte, anche il grande naturalista Gessner si aspettava che esistessero in realtà.
Note 1) Atharveda è una delle quattro samhita (raccolte) che costituiscono i Veda, la più antica letteratura religiosa dell’Induismo. È composta di venti libri, di massima in versi, che riportano formule magiche e incantatorie, inni e scongiuri, pratiche e formule di magia nera, inni per cerimonie matrimoniali e funebri, inni liturgici e tutti quegli inni e formule connessi con la funzione diatharvan (sacerdote). Mahabarata (Grande racconto di Bharata): è il più grande poema epico dell’India antica. Composto in un periodo temporalmente molto esteso, collocabile tra IV secolo a.C. e IV secolo d.C., narra il conflitto tra i cugini Kaurava e Pandava, entrambi discendenti da Bharata. Intorno a questo nucleo è raccolto un patrimonio ricchissimo di mitologie, leggende trattazioni religiose e ritualistiche. Bundahishn (Creazione Primordiale): opera pahlavica del medioevo persiano che narra la storia cosmica dall’inizio fino alla distruzione e al rinnovamento della fine dei tempi. In questa trama sono inserite leggende religiose e nozioni di zoologia, di geografia, di botanica e di astrologia. 2) FGrHist 677 F 45, 45 e 45q = Ael. NA IV 52 e Ctes. FGrHist 688 F 45, 45 = Photius 72, 48 b 19-49 a 8 Henry). Cfr. LENFANT (2004, CLXXXVI); NICHOLS (2011, 32). Come è noto, il testo di Ctesia è pervenuto solo in frammenti. Alla prima edizione dei frammenti e delle testimonianze dei Persika e degli Indika di HENRY (1947), sono seguite quelle di JACOBY (1958) e LENFANT (2004). Sono comunque da segnalare anche la traduzione inglese con commento dei soli Indika di NICHOLS (2011) e la traduzione francese di Persika e Indika di MALAMOUD -AUBERGER (1991).Questo 24 la Ciminiera
Fig.5 Giovanni Maria Falconetto (1468-1535), La caccia all’unicorno – Allegoria dell’Annunciazione,1509-1517, Chiesa di san Giorgetto o San Pietro Martirea Verona
brano ha fatto versare fiumi d’inchiostro, sui colori, anzitutto: Ctesia ha forse visto animali parati a festa e dipinti per l’occasione (come, per l’appunto, è uso indiano), oppure immagini di essi, magari su stoffe? O si sta adeguando a un codice simbolico (e si ricorderà che anche il k’i-lin cinese è colorato)? E poi, a che animale si riferisce? L’asino selvatico, vale a dire l’onagro, doveva essergli familiare, come lo era in tutta la Persia. Evidentemente, con il riferimento all’onagro egli intendeva soltanto render l’idea generale dell’animale. L’animale potrebbe essere un rinoceronte o un AntholopsHodgsomi, l’antilope tibetana dalle grandi corna dritte (che di profilo possono parere un corno solo). 3) Aris. HA 499 b 15-31. 4) FVS 59 A 16; 5) Ael. IV 52; 6) come si può leggere, ad esempio, nell’unicorno donato da Candace, regina di Etiopia ad Alessandro nell’Alexanderlied, oppure nell’unicorno apparso nel Parzival di Wolfram von Eschenbach.
Bibliografia J. Auberger, 1995, L’Inde de Ctésias, in J.-C. Carrière, E. Geny, M.-M. Mactoux, F. PaulLévy (sous la direction de), Inde, GrèceAncienne. Regardscroisés en anthropologie de l’espace, Paris, 39- 59. V. Ball, 1885, On the Identification of the Animals and Plants of India whichwereknown to EarlyGreekAuthors, «The IndianAntiquity» XIV, 274-87, 303-11, 334-41. D. M. Balme (ed.),2002,Aristotle, Historiaanimalium, Cambridge, New York. B J. Bautze, 1985, The Problem of the Khadga (Rhinocerosunicornis) in the Light of ArchaeologicalFinds and Art, in J. Schotsmans – M. Taddei (eds.), South Asian Archaeology 1983: papers from the seventhinternational conference of the Association of South Asian archaeologists in western Europe, XXXIII, Napoli, 405-433. J. M. Bigwood, 1989, Ctesias’Indika and Photius, «Phoenix» XL, 393-406. C. Bologna, 1977, Libro delle mirabili difformità, Milano, Bompiani. A. Carbone (a cura di), 2002, Aristotele, Le Parti degli animali, Milano. F. Cardini, 1986, Mostri, belve, animali nell’immaginario medievale \ 1 - alla ricerca di un codice interpretativo, in Abstracta n° 4 (aprile 1986), pp. 42-47, poi in F. Cardini, 2006,Mostri, Belve e Animali nell’Immaginario Medievale, Roma. M. M. Davy, 1989, Il simbolismo medievale, Roma. J.W. Einhorn, 1976, SpiritualisUnicornis, München, MünsterscheMittelalterschriften. C. Lavers, 2009, The Natural History of Unicorns, New York. P. Li Causi, 2003, Sulle tracce del manticora. La zoologia dei confini del mondo in Grecia e a Roma, Palermo. P. Li Causi, 2010, I generi dei generi (e le specie): le marche di classificazione di secondo livello dei Romani e la biologia di Plinio il Vecchio, «Annali Online di Ferrara - Lettere» V, 2, 10742. LI P. Li Causi, 2017, From Descriptions to Acts: the Paradoxical Animals of the Ancients From a Cognitive Perspective, in M. Formisano e Ph. van derEijk (a cura di), Knowledge, Texts and Practice in Ancient Technical Writing, Cambridge, 252-68. P. Li Causi, 2018, Gli animali nel mondo antico, Bologna.
Nel prossimo numero
Il Bruttium incontra gli artisti
Calabresi
Prima puntata Intervista all’Artista
Anna Aprile
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Oggi e domani due manifestazioni concertistiche per celebrare il genio di Mattia Preti Quando la musica incontra la pittura CATANZARO - Oggi alle ore 21.00 a Palazzo De Nobili di Catanzaro e domani venerdì 23 luglio 1999 alle ore 21.00 nell’Aula Magna dell’I.T.C. “ Fra Luca Pacioli” di Catanzaro Lido il Centro Studi Bruttium e il Comune di Catanzaro (Assessorato alla Cultura) nell’ambito delle manifestazioni per celebrare il tricentenario della morte dell’insigne artista calabrese Mattia Preti presenteranno una serie di concerti aventi come titolo-guida: “l’amoroso cantare, la musica in Italia tra Rinascimento e Barocco”. Come affermava un illustre del passato, le arti della Pittura e della Musica sono da considerarsi sorelle, poichè entrambe mantengono eterne le caduche bellezze mortali. In questo scenario sarà possibile infatti, ammirare 1’armonicità delle linee e la vivezza dei colori con i quali Mattia Preti ha reso immortali i suoi personaggi e al tempo stesso la grazia della musica e del canto del XVII secolo eseguita con strumenti dell’epoca da maestri di rilievo
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internazionale quali: Paolo Capirci flautista; Anna Maria Di Lorenzo soprano e il “catanzarese” Francesco Mirarchi liutista. Si potranno ascoltare le tipiche forme che portarono Napoli alla fama mondiale: villanelle e villotte alla napoletana, mascherate e canzoni. Riguardo ai testi talora in italiano e talora in vernacolo, appartengono alla tradizione napoletana e sono tratti da componimenti di luminosi poeti come il Petrarca. Nel programma inoltre verranno presentati autori del primo periodo barocco, con una prevalenza di quelli appartenenti alla cosiddetta scuola romana. Fu proprio Roma infatti a dare un impulso ed una crescita alla vocalità sacra e profana in quel periodo, con una particolare evoluzione del melodramma che si sviluppò nei teatri romani tra i1 1620 e i11650. Tra gli autori di maggior spicco ricordiamo: l’italiano Stefano Landi e il tedesco Kepsberger, i quali diedero un contributo eccellente a far sì che tale genere musicale rimanesse nel tempo. La direzione artistica dei due concerti è stata affidata, dal prof. Pasquale Natali (presidente del C.S.B.), alla regista
Tania G. Romeo. In questa occasione sarà distribuita la rivista “ La Ciminiera”. Il Giornale di Calabria - pag. 2 giovedì 22 luglio 1999
25 Luglio 1999 Interessante iniziativa promossa dal Centro studi Bruttium La musica nella ricerca storica Il catanzarese mascherato: versione autoctona d’un eccitante mix fra Diabolik e Batman che azzarda fughe rocambolesche sul ponte Morandi, ma una nuova moda, esplosa con dirompente vigore nel turbillon di parate, ricostruzioni e cortei mimetici, che hanno vivacizzato le sonnacchiose arterie cittadine nel segno dell’inedito binomio Mattia Preti-San Vitaliano. Un’onda anomala che ha rischiato di scuotere i nervi fragili di una cittadinanza poco propensa a folleggiare, più prosaicamente avvezza ai trasalimenti acustici provocati da clacson, sirene e marmitte che allo scalpitar di cavalli e rullar di tamburi quando il torpore della lunga siesta scivola pigramente nella notte estiva. Ma anche, per converso, un colorato invito alla memoria. Ovvero alla ricerca di più puntuali riscontri storici nel recupero di tradizioni possibilmente più nostrane che toscane: lo ha fatto osservare, e fedelmente ne prendiamo nota, più d’un autorevole studioso, impressionato dalle incursioni d’improbabili sbandieratori in un foIklore locale perla gran parte ancora inesplorato. In questa coraggiosa rincorsa ai fasti (?) di un passato non alieno da fantasiose contaminazioni, si è distinto per un certo qual garbo e composta misura il trio di artisti assemblato dal Centro studi Bruttium, presieduto da Lino Natali, nel concerto «L’amoroso cantare. La musica in Italina tra Rinascimento e Barocco» realizzato in collaborazione con l’Assessorato comunale alla cultura, in concomitanza con le celebrazioni pretiane e in apertura della terza edizione di Marinfest, corposa rassegna estiva di musica, teatro, folklore, danza ed arti visive. Un concerto in cui ai costumi rinascimentali della soprano Anna Maria Di Lorenzo, del flautista Paolo Capirci e del liutista Francesco Mirarchi, ha fatto da contrappunto il fascino di antichi strumenti e insolite percussioni. Il tutto mirato, si presume, ad evocare quella suggestiva iconografia che spazia dai melodiosi songs dei drammi scespiriani al malinconico rientrare
della creatività rinascimentale nei canoni severi dell’etica riformista prima, controriformista poi, di un’Europa squassata dai demoni del dubbio. Un periodo di frenetica sperimentazione formale, quello prescelto dai tre musicisti, che vede l’Italia in prima linea con l’affermarsi, sotto il dominio spagnolo (gestito alla corte di Napoli dal viceré di Carlo V, don Pedro di Toledo), della scuola musicale napoletana, favorita da mecenati illustri quali il principe di Salerno Ferrante Sanseverino e dal contemporaneo assurgere della Commedia dell’arte ai massimi vertici dell’invenzione teatrale. A villanelle e villotte, mascherate e canzoni, in italiano e vernacolo, ha giovato la classe a tratti sobria ed austera, talora dolce ed estenuata, del flauto di Capirci, un musicista di sicuro appeal che, diplomatosi al Royal College di Londra e perfezionatosi ad Amsterdam, vanta performances in santuari di assoluto rispetto come il festival di Spoleto, l’accademia romana di Santa Cacilia ed il Metropolitan di New York. Analoga formazione, incentrata sulla prassi esecutiva antica, hanno all’attivo Di Lorenzo e Mirarchi, anch’essi sensibili interpreti della parabola di ricerca melodica che dalla tradizione napoletana della rinascenza si snoda, lungo le impervie ambiguità dello spirito barocco, fin nel cuore di tenebra del Seicento - la nascita del melodramma -, distillato e impreziosito nei raffinati esperimenti della scuola romana di Stefano Landi e Girolamo Kapsberger. Un’elegante antologia di brani, quella dell’«Amoroso cantare», curata dalla giovane direttrice artistica Tania Giovanna Romeo, un blitz su temi non scontati rivolto ad un pubblico che ha risposto solo in parte. Difficile aggregare, quando la stagione distrae il parterre di melomani che normalmente s’incrocia ai concerti. Sorge anche il dubbio che quando non si strappa l’assenso dei soliti noti, ed il tam tam non corre nei giri che contano, gli altri restino a casa. Un fenomeno imperscrutabile, quello dei flussi cittadini, che le associazioni ancor giovani dovrebbero studiare con religiosa attenzione, con l’umile certezza di mai venirne a capo che si riserva ai grandi misteri dell’esistenza si strappa l’assenso dei soliti noti, ed il tam tam non corre nei giri che contano, gli altri restino a casa. Un fenomeno imperscrutabile, quello dei flussi cittadini, che le associazioni ancor giovani dovrebbero studiare con religiosa attenzione, con l’umile certezza di mai venirne a capo che si riserva ai grandi misteri dell’esistenza. Betty Calabretta - Gazzetta del Sud - pag. 25 domenica 25 luglio 1999
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Frisani, voce di rara bellezza CATANZARO - C’è stato un evento in città. Un evento raro, prezioso inaspettato. Un dono da conservare a lungo nello scrigno della memoria. Perchè, preziosa, rara, simile al volo di un uccello, al minuziosa lavoro dell’intagliatore, a quelle favole di palcoscenici lontanissimi che raccontano di sognare del Bel Canto entrate nella leggenda, dono naturale che sorprende: la voce di Rosina Frisani. La soprano, protagonista indiscussa del I° festival di Musica Antica, organizzato e presentato dal centro studi “Bruttium” di Catanzaro in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del comune capoluogo di regione. Un festival che ha visto Rosita Frisani esibirsi insieme al complesso vocale e strumentale “Alessandro Stradella Consort” diretto dal maestro Estevan Velardi, venerdì scorso presso la basilica dell’Immacolata e, sabato 18 nella chiesa del Sacro Cuore di Catanzaro Lido. Per diversi motivi, il primo dei due concerti è cominciato con un considerevole ritardo rispetto all’orario previsto, e tuttavia gli spettatori pazienti, hanno potuto godere di uno spettacolo fuori del comune, così come la sera seguente nella chiesa di Catanzaro Lido. Veniamo al concerto. La voce del soprano è un evento naturale, la dinamica della costruzione vocale sorprende per spontaneità e pathos. Lo studio ha educatola voce senza crearla, ottimo il fraseggio,raro il calore e
l’espressività timbrica degna delle migliori interpreti del Bel Canto, i pianissimi diventano sussurri, ed è poesia quell’andare con facilità nei registri di sua competenza. Lei, Rosita Frisani,presenza scenica, occhi espressivi, fisico minuto, capelli rossi e un elegante abito con scialle, è una signora da teatro della voce sublime. Non a caso, recentemente al fianco di Cecilia Gasdia nell’Orfeo di Sartorio per la regia di Pier Luigi Pizzi e prossima protagonista al theatre del Champs-Elisees di Parigi ne “L’incoronazione di Poppea” di C. Monteverdi. Incide l’aria quel suo sentire. Quasi un palpito del cuore quel suo muoversi nei semitoni cromatici, come fosse una componente di quegli accordi creando la magia del tutt’uno con la partitura. Competenza tecnica, serietà professionale quella dimostrata altresì dagli strumentisti che hanno costruito, dialogando e accompagnandola, un tappeto ideale per la soprano: Rosita Frisani lei stessa una pagina di musica di rara bellezza. Ed ecco il programma di repertorio: di Antonio Vivaldi, “Un furore iustissimo irae”, “Concerto madrigalesco”. “Laudate Pueri”. Di Alessandro Scarlatti, la Cantata per il Santo Natale, “Non so qual più m’ingombra”. Poi applausi e ancora applausi calorosissimi e il bis: finale di “Laudate Pueri”, un cammeo. L’evento si è concluso. Nel cuore la voce senza tempo della Frisani,”da conservare” con cura. e. v. il Quotidiano - pag. 45 martedì 21 dicembre 1999