Odisseo n. 13

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IL VIAGGIO, LA RICERCA

DISSEO N. 13 (2019)

RIVISTA A CURA DI RAOUL ELIA


Odisseo - il viaggio, la ricerca

Anno VIII (2019) n. 13 - Supplemento a La Ciminiera Anno XXIII (2019) Numero 2, collana curata da Raoul Elia

La Ciminiera, mensile di cultura, informazione e pensiero del Centro Studi Bruttium, registrato presso il Tribunale di Catanzaro n. 50 del 24/07/1996

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Indice Indice 1

Per aspera ad astra 3

Si fa presto a dire Halloween 5

L'antichità di Halloween: Le Antesterie

5

L’Antichità di Halloween: E a Roma?

10

L’Antichità di Halloween: l’area anglosassone

23

L’Antichità di Halloween: la prospettiva italica

32

L’antichità di Halloween: acciderbolina, ma di Samhain quando si parla? 35

Indicazioni bibliografiche

45

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2


Per aspera ad astra Con colpevole ritardo, finalmente giunge alla pubblicazione il nuovo numero della rivista Odisseo, il viaggio, la ricerca.

Il quattordicesimo numero della rivista di ricerca e divulgazione scientifiche si appresta a recuperare il ritardo con qualche numero scoppiettante, iniziando dal presente che decostruisce il mito della festa di Halloween e la sua presunta antichità componendo un affresco ampio e vario che va dall’antichità classica greco-romana al presente passando per tradizioni celtiche, medievali e moderne, inglesi, scozzesi e italiane, fino alla festa attuale.

Un percorso complesso che riscrive le origini della festa e la inserisce in una cornice tutta sua.

Buona lettura a tutti!

3


Prospero Platti, Floralia, 1899, Olio su tela 

4


Si fa presto a dire Halloween Che Halloween sia, fra le occasioni di festeggiamento, quella più pubblicizzata e sovraesposta mediaticamente, non solo nell'emisfero occidentale, è abbastanza evidente. Anche quest'anno bisestile, per quanto disgraziato, ha visto il suo Halloween, con tanto di maratona di film horror in TV e manifestazioni varie, ancorché in streaming.

E anche quest'anno, le inesattezze, i fraintendimenti e il sensazionalismo la fanno da padrone, trasformando quella che, in sostanza, è una festa recente (forse fine '800, non oltre) e consumistica (il che spiega la sovraesposizione mediatica) in una antica tradizione pagana le cui origini si perderebbero nella notte dei tempi, fra Celti, Romani, Greci, uomini preistorici e quanto altro.

Cerchiamo, dunque, di sfatare qualche falso mito.

L'antichità di Halloween: Le Antesterie Fra le feste che sono spesso state accostate a Halloween ci sono le Antesterie ateniesi.

Come mai?

"Mutatis mutandis - sostiene il sito Ancient History - le Antesterie sono paragonabili al moderno Halloween". Ma in cosa sono paragonabili alla festa di "Dolcetto o scherzetto"?

Le Antesterie sono feste cittadine e si svolgevano tra febbraio e marzo, nel mese di Antesterione (ovvero “mese dei fiori”, da “anthe”, fiore) ed erano educate al 5


dio Dioniso che, come dice Ovidio, “ama i fiori”1. Esse celebravano due aspetti solo apparentemente non correlati: il vino e i morti. Erano dunque dedicate sia a Dioniso, dio dell’ebbrezza, eroe culturale che introduce la vite e il vino fra gli uomini ma anche divinità della natura che rifiorisce2, sia ad Ermes che, però, viene venerato in questa occasione nella sua versione più cupa, ben conosciuta fin dai tempi dell'Odissea, l'Hermes Ctonio (che vuol dire “sotterraneo”, con l'ovvio, forse troppo, riferimento al mondo dei morti). le due divinità hanno in comune, oltre al loro essere "borderline" rispetto al logos greco rappresentato da Zeus, Apollo e Athena, anche dall'essere divinità psicopompe, accompagnatrici di anime nell'Aldilà.

Tuttavia, la festività ateniese si svolgeva lungo l'arco di tre giorni, dall’undicesimo al tredicesimo del mese di Antesterione (corrispondente, come si diceva, al periodo fine febbraio – inizio marzo), ovvero Pithoigia, Choes e Chytroi.

Il primo giorno è dedicato all’ apertura dei pithoi (delle giare da immagazzinamento) contenenti il vino da uva dell’autunno precedente. L'apertura avveniva davanti l’ingresso del santuario di Dioniso Limnaios; il consumo del vino novello è un'occasione sociale, e fra i bevitori risultavano anche i bambini di tre anni, i quali venivano così iniziati al consumo di vino, e, eccezione alle regole della vita cittadina, agli schiavi3.

1

Bacchus amat flores, Ov., Fasti, V, 345

Questa caratteristica del Dio dell’ebbrezza è legata alla tradizione del suo viaggio in India con conseguente ritorno trionfale (“τὴν ἐξ’ Ίνδῶν κάθοδον Διονύσου”). 2

3

Ateneo, Deipnosofisti, 437e

6


All’alba “le porte delle case venivano preventivamente spalmate di pece, in modo da essere impermeabili all’esterno (corsivo mio), mentre tutti si mettevano a masticare fogli di ramno, una piccola pianta che si riteneva essere ‘rimedio contro il male’ (alexipharmakon)4.

Il secondo, invece, fa riferimento nel suo nome alla forma (chous, χοῦς — tozza, tondeggiante e trilobata) dei particolari recipienti (oinochoe, οἰνοχόη) da cui il vino veniva versato. In quest’occasione era tutta la città a bere, erano diffuse le feste private e si teneva una gara di bevute presieduta dall’arconte re. In questo giorno, inoltre, era celebrata la ierogamia (ovvero le nozze sacre) tra la moglie dell’arconte basiléus, la basilissa, e il dio Dioniso5.

La donna veniva portata mentre un corteo in maschera accompagnava un individuo con la maschera di Dioniso al tempio di Dioniso delle Paludi. Qui, dopo essere stato accolto da 14 donne, chiamate gerarai (rispettabili), Dioniso veniva preparato mentre la basilica veniva accompagnata in corteo al Boukoleion, dove lo stesso dio la attendeva e dove, verosimilmente, si compiva la ierogamia.

Fin qui Dioniso. E Hermes? E i morti?

Pazienza, ci siamo: sempre in questo giorno, infatti, gli Ateniesi lottavano un rituale apotropaico. Le ombre dei defunti, secondo la tradizione, facevano visita alla città, tanto che Choes e Chytrai (ovvero il giorno delle pentole) erano giorni considerati infausti, giorni durante i quali i templi e le attività commerciali restavano chiusi. Per Pepe L. 2018, p. 61. Il riferimento al ramno è in Fozio, Lexicon, voce ramno, mira heméra 4

5

Aris., Costituzione degli Ateniesi, III,5

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proteggersi dagli spiriti vaganti, gli Ateniesi macchiavano appunto le porte di casa con la pece e masticavano foglie di ramno (secondo altri, biancospino).

Il terzo giorno, infine, prende il nome dai recipienti in cui veniva servita una zuppa di semi e cereali, chiamata “panspermìa”6, che ogni famiglia consacrava ad Ermes Ctonio. A sera, poi, le famiglie solevano compiere il giro della propria dimora, guidati dal capo famiglia, gridando “θύραζε κῆρες, ούκ ἔνι Ἀνθεστήρια!” (ovvero “Uscite fuori Kares [spiriti?]7! Le Antesterie sono finite”)8.

Durante l’ultimo giorno, però, veniva offerto un pasto simbolico ad Erigone, mitologica figlia di Icario, il mortale cui Dioniso fece dono della conoscenza del vino.

Icario, secondo il mito, offrì il vino ai suoi ospiti i quali, impreparati all'ebbrezza, pensarono di essere stati avvelenati e uccisero l'uomo. Dopo la morte di Icario, Erigone si uccise a sua volta impiccandosi.

Secondo il mito, un'epidemia di suicidi per impiccagione avrebbe decimato le ragazze ateniesi finché, a seguito di un oracolo della Pizia, le ragazze ateniesi presero a dondolarsi su un'altalena che, a tutti gli effetti, per i Greci (o per lo meno gli Ateniesi) era un sostituto simbolico

da πᾶν, pàn, forma neutra di πᾶς pàs, ovvero “tutto”, e σπέρμα, spèrma, “seme” 6

Il significato del termine Kares è sconosciuto. La versione più diffusa è l’interpretazione di Kares come spiriti dei defunti, ma altri alludono ai cari, popolazione da cui, originariamente, derivavano gran parte degli schiavi ateniesi. 7

Il motto è ripotato da uno scrittore delII secolo d. C., Zenobio. Cfr. Zenobio, Epitome, IV, 33 8

8


dell'impiccagione9. Un rito, dunque, che sembra unire vino e defunti.

Ma sarà vero?

In una parola, no.

Innanzitutto, il mito di Erigone e Icario è piuttosto un mito eziologico di fondazione del rituale della consumazione "avvertita" del vino, che nulla ha a che fare con i morti e il loro ritorno. Anche la focaccia da offrire ai morti ha poco da spartire con il Trick or threat anglosassone, quanto piuttosto con l'uso di offrire focacce e primizie agli dei inferi (ricordiamo, ad esempio, la Sibilla che offre la focaccia al triforme Cerbero) mentre il rito della mini processione domestica per scacciare i morti (ammesso che i Kares, come si diceva più sopra, fossero davvero i morti) è legata, come il suo equivalente romano, più al rapporto con la famiglia nella sua continuità metastorica (cioè con riferimento anche alle generazioni ormai passate) che ad una indiscriminata orda di fantasmi schiumanti per le strade: ad essere scacciati sono i morti della famiglia, ritornati per vedere come procede la famiglia stessa e che devono riprendere il loro ruolo dopo aver preso visione dello "stato delle cose".

L'unico legame con la festa moderna è, semmai, il mascherarsi durante la processione che conduceva la moglie dell'arconte re al tempio di Dioniso, da cui poi deriverebbe la tradizione teatrale (commedia deriva da comos, corteo, mentre tragedia deriva da trogos, capro, un'epifania del dio dell'ebbrezza). La processione era, secondo le fonti, caratterizzata dal goliardico scambio di scherzi e di lazzi dai carri alla folla travestita e mascherata e viceversa (come avviene nella battaglia carnevalesca delle arance). Ma anche qui, è un po' poco 9

Igino, Astronomica, II, 4

9


per dimostrare qualunque forma di continuità, anche parziale. L'unico elemento in comune è la credenza secondo cui le ombre dei defunti percorressero le strade della città durante gli infausti 12 e 13 di Antesterione. Ma non è un elemento caratterizzante della festa né tanto meno unico. Nello specifico, infatti, gli Ateniesi credevano che le anime defunte uscissero dalle loro tombe perché attirate dal profumo intenso del vino spillato durante la Pithoigìa.

L’Antichità di Halloween: E a Roma? A Roma ci sono diverse festività in odore di Halloween. fra queste, la più citata è la festa dei Parentalia, ma si svolgevano anche altre feste simili, come i Caristia, i Rosalia e i Lemuria.

I Parentalia I Parentalia erano feste di ambito familiare, come si intuisce dal nome stesso (parens erano, innanzitutto, i genitori e, per estensione, gli avi della familia e della gens), iniziavano i 13 e si concludevano il 21 febbraio con la cerimonia dei Feralia. Nove giorni, proprio come quelli intercorsi fra morte e festa del funerale10. Secondo la leggenda, sarebbe stato addirittura il capostipite dei romani, Enea, a fondarli, per onorare il defunto padre Anchise. Vi è anche una componente pubblica, in quanto Petronio, Satyricon, 65: “Scissa lautum novendialem servo suo misello faciebat, quem mortuum manu miserat”, “Scissa ha offerto un ricco novendiale in onore di un suo chiavo liberato in punto di morte”. Cfr. Anche Tacito, Annales, 6, 5, 1. 10

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le Vestali erano chiamate a sacrificare in nome di tutta la comunità.

Anche a Roma, come ad Atene, i templi vengono chiusi, spenti i fuochi sacri, non si potevano celebrare matrimoni e tutti erano chiamati al culto dei propri morti.

Ai defunti venivano offerte ciotole, lasciate ai bordi delle strade, piene di cereali (soprattutto farro), sale, pane bagnato nel vino e fiori di viola.

Durante questa festa, venivano onorati i Lares, gli spiriti degli antenati.

E' infatti noto che, inizialmente, essi erano le anime dei defunti di famiglia, i cosiddetti Lares Familiares, protettori della loro casa natale e della terra, e successivamente considerati come vere e proprie divinità, ma comunque sempre collegate al focolare domestico. In seguito, la festa ha subito profonde trasformazioni per adeguarsi al mutato andamento sociale e politico della Roma repubblicana prima, imperiale poi.

Ed infatti ai Lares familiares, che erano quelli legati al focolare domestico, si unirono presto i Lares compitales (che vegliavano sugli incroci delle vie e di cui parleremo in un prossimo appuntamento), poi, in età augustea, anche i Lares Augusti (cioè gli antenati della famiglia imperiale che dovevano essere oggetto di venerazione pubblica).

Sulle origini della festa già nell'antichità circolavano diverse interpretazioni. Ovidio11, in particolare, nella sua opera dedicata al calendario, i Fasti, ricorda un particolare rito dedicato alla Dea Tacita o Muta, chiamata anche Lara.

11

Ovid., Fas. II, 571-615

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Durante la cerimonia, una vecchia, attorniata da fanciulle, poneva tre grani d'incenso sotto la porta, legava fili ad un fuso scuro e si metteva in bocca sette fave nere. Doveva quindi bruciare su un fuoco una testa di pesce impeciato e cucito con amo di rame e spargervi sopra vino, bevendone poi il residuo con le fanciulle.

Le fave nere sono sette come quelle che, nel mese di maggio, il pater familias, sacerdote all'interno della propria casa per quanto riguarda i riti familiari, si alza nel cuore della notte per gettarsele alle spalle senza guardare nelle feste Lemuria per scacciare gli spiriti malefici.

Terminato il rito, la matrona e le fanciulle si recavano ad una fonte dove si svolgeva un banchetto allietato da vino, musiche e danze che durava fino a sera. La notte, poi, le donne andavano nei crocicchi e vi ponevano rami di rosmarino e dolci per avere responsi sul futuro dai defunti.

La vecchia rappresenterebbe la ninfa Lala o Lara, sorella di Giuturna. Quest'ultima era una ninfa delle fonti che, in origine, era una donna mortale, amata da Giove che le orÏ, in cambio dei suoi favori, l'immortalità ed il dominio sui corsi d'acqua dolce del Lazio. Secondo un'altra versione, sempre riportata dal dotto poeta marsico, Giuturna era la moglie di Giano, dal quale ebbe Fons. Comunque, Lara sarebbe stata punita da Giove col taglio della lingua e la morte per aver rivelato a Giunone i suoi amori con Giuturna. Secondo questo mito i Lares compitales sarebbero due gemelli da lei partoriti a seguito della violenza subita da Mercurio, incaricato, come il suo alter ego greco Hermes (non a caso chiamato Ctonio), di condurla nell'Ade per ordine di Giove stesso. La vecchia, secondo questa spiegazione eziologica, berrebbe vino fino ad ubriacarsi per poi 12


pronunciare la frase magica "Abbiamo legato le lingue ostili e le bocche nemiche", di fatto trasformando il rito in una sorta di legatura magica sullo stile delle defixiones.

L’ultimo giorno dei Parentalia si celebravano i Feralia12.

Il termine deriva, secondo Varrone13, dal verbo latino fero, che vuol dire “portare”, per indicare che, dopo i festeggiamenti, in quel preciso giorno (il 21 febbraio) si portavano doni sulla tomba dei propri defunti: non solo fiori (usanza che si è tramandata fino a noi) ma anche cibo, grano e specialmente vino per le libagioni. secondo Festo14, invece, la parola significherebbe "ferire le vittime”, forse con riferimento a immolazioni di vittime sacrificali sulle tombe o qualcosa di simile, anche se in questa festa non sembra fossero previsti sacrifici.

L’usanza era stata portata nel Lazio, secondo limito fondante, da Enea, che avrebbe posto sulla tomba del padre Anchise vino e viole. Ovidio racconta che i Romani, nel bel mezzo della guerra, trascurate le Feralia, avrebbero udito gli spiriti dei defunti salire dalle tombe con rabbia, urlando e vagabondando per le strade e, terrorizzati, a avrebbero resero da allora omaggio alle tombe per far cessare l’infestazione.

Anche qui, però, a parte le donazioni ai morti di natura gastronomica, ben poco c’è del nostro Halloween. Occorre inoltre ricordare che il rapporto con i morti dei romani era più complesso e che le offerte ai morti della famiglia venivano compiute in diversi momenti dell’anno. Inoltre, si parla di offerte in senso lato, perché una parte delle cibarie veniva, ad esempio, consumata dai vivi, e il 12

Marquardt e Mommsen 1889, pag. 372 e seg.

13

Varr. Lat. VI, 34

14

Festo (De Verborum Significatu, Feralia),

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resto inserita nella tomba attraverso un’apposita fessura, in modo che, più che di offerta, si dovrebbe parlare di pranzo/cena in comune.

Infine, il periodo scelto non è casuale.

Febbraio è il mese dedicato al culto dei morti, in quanto mese che precede l’inizio dell’anno, che era marzo, il mese dedicato a Mars, divinità agricola prima, guerrafondaia dopo, che segnava anche l’inizio delle attività agricole e militari dell’anno. Dunque, da un punto di vista temporale, non vi era alcun legame con il solstizio e con il giorno dei morti, né con Samhain.

I Lemuralia I Lemuria o Lemuralia erano delle feste dell'antica Roma celebrate nel mese di maggio, in particolare il 9, l'11 e il 13 maggio, per esorcizzare gli spiriti dei morti, i lemuri.

Il nome originale della festività era, secondo Ovidio15, Remuria, perché la tradizione voleva che ad istituire queste festività fosse stato Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui ucciso16, mettendo in commissione, dunque, più o meno esplicitamente, questa festa, con i morti di morte violenta. Infatti, secondo il poeta delle Metamorfosi, Faustolo ed Acca Larenzia, dopo i funerali di Remo, ne avrebbero visto l'ombra che si lamentava per la sua fine e chiedeva a Romolo di dedicare un giorno alla sua memoria:

Romulus ut tumulo fraternas condidit umbras, et male veloci iusta soluta Remo, Faustulus infelix et passis Acca capillis 15

Ovid., Fasti, V, 419-ss.

16

Ovid., Fasti V, 450 ss.

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spargebant lacrimis ossa perusta suis inde domum redeunt sub prima crepuscula maesti, utque erta, in duro procubuere toro. umbra cruenta Remi visa est adsistere lecto, atque haec exiguo murmure verba loqui 'en ego dimidium vestri parsque altera voti, cernite sim qualis, qui modo qualis eram! (…) ut secum fugiens somnos abduxit imago, ad regem voces fratris uterque ferunt. Romulus obsequitur, lucemque Remuria dicit illam, qua positis iusta feruntur avis17.

Romolo, informato della richiesta, avrebbe quindi acconsentito, dando alla ricorrenza il nome di Remuria che col tempo mutò in Lemuria. Ma, secondo un’altra versione, la festa sarebbe invece dedicata ai morti insepolti dimenticati, chiamati larvae o lemurae. Anche “Appena Romolo ebbe tumulato i resti fraterni nella tomba, e sciolti i giusti (riti) al non abbastanza veloce Remo, Faustolo dolente e Acca dai capelli sciolti bagnavano con le loro lacrime le ossa bruciate. Poi tornano a casa verso il primo crepuscolo, mesti, e, così come era, si gettano nel duro letto. L’ombra cruenta di Remo sembrò apparire accanto al letto e dice con voce fioca queste parole: ecco la metà e l’altra parte del vostro voto, guardate quale sia e chi fossi prima (…) non appena, fuggendo, l’apparizione, il sonno portò con sé, il discorso del fratello entrambi riportarono al re. Romolo acconsentì e chiamò quella luce Remuria, durante la quale agli avi deposti (nella tomba) si portano i giusti onori”, Ovid., Fasti V, 450-60, 477-80, trad. dell’autore. in Plutarco (Plutarco, Vita di Romolo, 10, 1-2), invece, Faustolo muore nella stessa rissa in cui muore Remo e viene sepolto nel Foro, dove più tardi fu posto, ad indicare la sua tomba, un leone di pietra. In un’altra tradizione, invece, viene sepolto nel Comitium, sotto il lapis niger. 17

15


questa versione, però, fa riferimento al fantasma di Remo e sul suo lamento.

Detto questo, cosa si faceva in questa festa?

I pochi accenni ci fanno pensare ad un’altra festa “parentale”: si balzava dal letto di notte facendo schioccare le dita per allontanare le ombre dei morti, si offrivano fagioli ai morti e le vestali preparavano nella loro Casa la mola sansa, una salsa fatta con il primo grano della stagione, con cui i pater familias aspergevano le immagini dei Penates.

Ovidio rileva che, in questa festa, esisteva l’usanza di allontanare entità maligne dalla casa lanciando fagioli neri sopra la spalla. Era anche questa una festa “familiare”: il pater familias celebrava la ricorrenza alzandosi a mezzanotte, girando per l’abitazione a piedi nudi, buttandosi alle spalle i suddetti fagioli neri e ripetendo la formula:

“Invio questi fagioli e con questi redimo ciò che è mio”

Tutto questo viene ripetuto nove volte. La famiglia poi doveva percuotere dei vasi di bronzo ripetendo, sempre per nove volte:

“fantasmi dei miei padri e antenati se ne sono andati”.

Anche qui, dunque, i morti che ritornano sono i morti di famiglia, convinti con donazioni (i fagioli) a lasciare la casa e ritornare nella dimora dei morti.

16


I Rosalia I Rosalia o Rosaria sono delle feste stagionali di origine italica, diuse anche nella penisola balcanica e in Asia Minore

I Rosalia non sono feste antiche, relativamente al mondo romano, si intende. La maggior parte delle iscrizioni, infatti, risale al periodo tardo-imperiale. L' iscrizione piÚ tarda tra quelle rinvenute documenta l' esistenza di questa festa in Lucania, nell'Alta Valle del Sele, sotto Domiziano18. Tra tutte le iscrizioni pervenute che attestano l’esistenza delle Rosalia, ben ventisei provengono dall'Italia settentrionale, la cosiddetta Gallia Cisalpina. Sono inoltre menzionate nel Calendario di Filocalo (anno 354) e nel Feriale Capuanum (anno 387). E CIL X, 444, 1883, Berolini apud Georgium Reimerum, Academiae literarum Regiae Borussicae, T. Mommsen. 18

17


proprio il Feriale Capuanum riporta come data il terzo giorno delle Idi di Maggio, ma la data doveva essere molto “instabile”, legata probabilmente al periodo di fioritura locale: un’iscrizione attesta questa festa a Roma nel quinto giorno delle Idi di Maggio19, il Calendario di Filocalo, invece, riporta il decimo giorno delle Calende di Giugno20, un'altra iscrizione testimonia il dodicesimo giorno delle Calende di Giugno e così via, fino alla data citata per Como, nel mese di Luglio21. Vista la distribuzione irregolare delle iscrizioni e delle citazioni, Lattimore ha suggerito che le Rosalia potessero essere feste nate in seno alle comunità della Gallia Cisalpina22.

Anche in questo caso si facevano ai defunti delle offerte, chiamate inferiae; libagioni sulle tombe stesse di acqua, vino, latte caldo, miele, olio, sangue delle vittime sacrificali, che erano tutte, rigorosamente, di colore nero: maiali, buoi e pecore. Si versavano anche unguenti, si bruciavano incensi e le tombe e i monumenti funebri venivano ornati di fiori, tra cui, come si intuisce, rose, e di corone, per lo più interpretati come simbolo di vita23.

19

CIL VI, 10234, anno 1882

20

CIL VI, 10239, anno 1882

CIL V, 5272, anno 1887. Marjeta Sasel Kos sostiene, ad esempio, che “The date of the festival of Rosalia varied in different regions and differing seasons in accordance with the blossoming of roses, ranging from May to the first week of July” (Marjeta Sasel Kos 2002, p. 134) 21

22

Lattimore 1942, p. 140

23

Lattimore 1942, pag. 138

18


I Caristia Altra festa che ha a che fare con i morti sono i Caristia.

Anche qui, però, occorre pensare soprattutto a feste di famiglia, anzi, il valore “domestico” di questa festa è sottolineato dalle fonti in maniera equanime. Durante i Caristia, i parenti riuniti per ricordare i morti di famiglia rinsaldavano i legami di parentela: mangiavano tutti insieme e facevano offerte di grano, uva, favi, focacce, vino e incenso; sanavano eventuali discordie e facevano una sorta di censimento dei familiari ancora in vita. In questo giorno non erano ammessi estranei, ci ricorda Ovidio:

Proxima cognati dixere Karistia kari, et venit ad socios turba propinqua deos. scilicet a tumulis et qui periere propinquis protinus ad vivos ora referre iuvat, 620 postque tot amissos quicquid de sanguine restat aspicere et generis dinumerare gradus. innocui veniant: procul hinc, procul impius esto frater et in partus mater acerba suos, cui pater est vivax, qui matris digerit annos, 625

quae premit invisam socrus iniqua nurum.24

Il mundus Festo, in accordo con Catone (l’Uticense), a proposito del lemma “mundis”, afferma che: "Mundo nomen impositum est ab eo mundo qui supra nos est"25, cioè "il nome Mundus proviene dal mondo che sta sopra di noi”,

24

Ovidio, Fasti II, 617–626

25

Festo, De verborum significatu, p. 273 Lindsay

19


oppure “Mundus è il nome imposto da quel mondo che sta sopra di noi”.

In molti commenti è collegato al culto della dea Cerere, tanto che è anche denominato mundus Cereris. Questa particolare tradizione appartiene alla religione romana arcaica, ed è ritenuta, nel bene o nel male, di origine etrusca. Keller ricorda infatti che “nessuna città etrusca crebbe mai a casaccio, come accozzaglia progressivamente crescente di abitazioni umane (…) la città fondata secondo le leggi sacrali costituiva […] una minuscola cellula del Tutto, armonicamente inserita in un ordine governato e determinato dagli Dei”26.

Il tutto era strettamente connesso alla fondazione della città. Anzi, la costituzione del mundus è conditio sine qua non per la corretta (dal punto di vista religioso) realizzazione della fondazione della città stessa.

Sempre secondo Weller, “dopo aver delimitato uno spazio sacro a mezzo di due assi ortogonali (quindi disposti a croce) che I Romani avrebbero in seguito denominato Cardo (asse Nord-Sud) e Decumanus (asse Est-Ovest), nel punto centrale si procedeva a scavare una fossa che fungeva da legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti; questa veniva poi ricoperta da grandi lastre di pietra e insieme alla ‘volta celeste di cui sembrava costituire la controparte, fu chiamata mundus’”27.

Varrone (citato da Macrobio) dice: “Mundus cum patet, deorum tristium (gli dèi tristi di marrone sono gli dei dell’Oltretomba) et inferum quasi ianua patet”, ovvero “quando il Mundus si apre, quasi si apre la porta degli 26

Keller 1981, p. 85

27

Ibidem

20


dei tristi ed inferi”. Ma l’erudito sabino afferma anche che “mundus muliebris dictus a mundizia”, cioè l’oggetto della toilette femminile denominato mundus deriva il suo nome da un lemma (mundizia) che si rifa ai concetti di lindore, pulizia. Si intende, quindi, come il rito appaia connesso ad un atto di rinnovamento / ripulitura esistenziale ma, attenzione, non dei singoli individui, come potrebbe essere il Giorno dei Morti attuale, ma dell’Urbe, a cui la cerimonia, a differenza di Feralia, Lemuria ecc.., fa riferimento28.

Il Mundus, differenza delle altre feste, è anche e soprattutto un luogo fisico: era infatti un edificio sotterraneo con un pavimento semicircolare, una arcaica fossa praticata nel terreno, prima nuda poi lastricata, e aveva il compito di mettere in contatto i tre livelli, ovvero Cielo, Terra e Oltretomba. Alle divinità del mondo sotterraneo si offrivano sacrifici e doni. Anche in questo caso, fra i sacrifici comparivano frutti della terra e resti sacrificali, ma negli elenchi risultano anche soluzioni più “strane” e originali come formule tracciate su tavolette di argilla, in modo non dissimile dalle defixiones di cui si è già discusso altrove.

La fossa, chiusa per tutto l’anno, veniva aperta in tre giorni precisi: il 24 Agosto, il 5 Ottobre e l’8 Novembre con la formula “mundus patet” ossia “il mundus è aperto”.

In questi tempi sacri, i due universi dei vivi e dei morti venivano in contatto e in quei giorni, alle anime dei defunti era concesso, almeno in teoria, aggirarsi per le strade della città indisturbati. L'apertura del mundus era Gli studiosi oggi riconducono il lemma Mundus al tema aryo mand con il significato di “ornare” ovvero “ordinare” in forma circolare. 28

21


un momento pericoloso perché, sostiene Macrobio, il mundus avrebbe attratto i vivi nel mondo dei morti, specialmente in occasione di scontri e battaglie. Era anche e soprattutto la festa dei Dei Mani, i quali, secondo Ovidio, erano Spirit dei riti né buoni né cattivi29.

Assomiglia ad Halloween? Poco e niente, in effetti, anche se Plutarco30 utilizza per il rito il termine Telete, termine greco riservato ai Sacri Misteri.

Come si può vedere, il rito è connesso piuttosto alla fondazione “urbanistica” della città, per cui è probabilmente una forma di “renovatio” dell’Urbe, e i revenant sono una caratteristica “di contorno”, tra l’altro non compare nella ritualità connessa alcuno strumento apotropaico, per quanto poco ne sappiamo, nessun meccanismo rituale di difesa dal ritorno dei morti, e lo stesso Macrobio ci fa intuire che il pericolo, piuttosto, era che i vivi penetrassero il segreto del mondo dei morti che non viceversa.

29

Apul.., Il demone di Socrate, XV

30

Plut., Vita di Romolo, XI, 1-4

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L’Antichità di Halloween: l’area anglosassone Le origini di Halloween: etimologia e cronologia “Halloween is closely associated in folklore with death and the supernatural”31, sostiene Jacqueline Simpson, e, almeno per quanto riguarda la festa attuale, potremmo anche essere d’accordo. Ma alle sue origini? Dando per scontato che, da quanto emerge dai paragrafi precedenti, il collegamento con l’antichità classica è assolutamente generico e poco fondato, a dir poco, rimangono le presunte origini celtiche.

Purtroppo, su queste ultime non possiamo sapere molto, in quanto, a proposito dei Celti, esiste poca documentazione e tutta successiva all’incontro con Roma. Anche in area medievale esistono pochi riferimenti, per lo più generici e poco attendibili.

Per questo, possiamo rifarci solo a fonti più recenti e provare ad analizzare questo materiale che, sebbene più recente della presunta origine in Samhain, potrebbe riservare qualche sorpresa interessante, a cominciare dal nome della festa.

Diamo un po’ un’occhiata.

La parola Halloween o Hallowe'en sembra risalire non oltre il 1745 circa ed quasi sicuramente è di origine cristiana. La parola "Hallowe'en" dovrebbe infatti significare "viglia dei santi” e deriva da un termine scozzese per All Hallows’ Eve (la sera prima di All 31

Simpson 2001, p. 14

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Hallows' Day ). In scozzese, la parola "eve" è spesso contratta in e'en o een.

Nel tempo, (All) Hallow (s) E (v) en si sarebbe dunque evoluto in Hallowe'en. Sebbene la frase "All Hallows '"si trovi in inglese antico, "All Hallows’ Eve" non compare prima del 1556.

Per quanto riguarda la data, l’identificazione Halloween/ Samhain/Ognissanti è abbastanza conflittuale e non così antica come si pensa. Innanzitutto, la festa di Ognissanti non era sicuramente legata al 1 Novembre. Solo nell’ ‘835, infatti, il giorno di Ognissanti fu ufficialmente spostato al 1 novembre, la stessa data di Samhain, per volere di Papa Gregorio IV. Sulle ragioni di questa scelta, rimangono perplessità, data la mancanza di dati affidabili per le aree interessate. C’è, infatti chi suggerisce che ciò fosse dovuto all'influenza celtica, mentre altri suggeriscono fosse un'idea germanica, sebbene sia i popoli germanici che quelli di lingua celtica pare commemorassero i morti all'inizio dell’inverno, intorno al 21 dicembre, come la festa in onore di Mitra, divinità solare di derivazione asiatica, molto amata soprattutto dalle legioni romane e molto vicina al Gesù cristiano.

Si suggerisce anche che il cambiamento sia stato fatto per “motivi pratici” (Roma in estate non avrebbe potuto accogliere il gran numero di pellegrini che vi accorrevano) o per considerazioni di salute pubblica (la pericolosità della febbre romana, malattia che avrebbe causato numerose vittime durante le afose estati della regione), ma sono teorie molto labili.

Jack della Lanterna La tradizione americana di intagliare le zucche è registrata nel 1837 ed era originariamente associata al tempo del raccolto in generale, non essendo 24


specificamente associata ad Halloween nelle fonti fino alla fine del XIX secolo.

Eppure questa tradizione è divenuta parte integrante del mito di Halloween attraverso la storia di Jack O’ Lantern, personaggio leggendario così popolare da donare il nome persino ad un super cattivo della Marvel Comics. Ma chi è Jack? E come si arriva alla zucca intagliata?

La tradizione è legata al folklore irlandese e trae origine dalla leggenda di un personaggio detto“Ne’er-dowell” (“non ne combino una giusta”) di nome Stingy Jack (ma anche Hob O’Lantern, Fox Fire, Corpse Candle, Will O’ The Wisp32), un fannullone e scommettitore dal brutto caratteraccio, assai dedito all’alcool. Il termine “Jack-o’Lantern”, però, appare per la prima volta in un testo scritto solo nel 1750.

Questa la leggenda:

Una sera di Halloween, dopo l’ennesima sbronza, a Jack appare il Demonio intenzionato ad impossessarsi della sua anima da peccatore. Jack chiede al Diavolo di bere un ultimo bicchierino. Ottenuto il permesso, però, i buon Jack si lamenta di non avere nemmeno un soldo per pagare, così prega il Demonio di trasformarsi in una moneta da 6 pence. Il Diavolo si trasforma, Jack afferra la moneta e la mette nel suo portafoglio con una croce ricamata sopra. Imprigionato irrimediabilmente, per riottenere la libertà, il Diavolo accetta un nuovo patto: posticipare di un anno la sua morte. La vigilia di Ognissanti seguente, il Diavolo si ripresenta puntualmente, come le tasse, per ottenere l’anima di Jack.

Will-o’-the-wisp è anche il nome del fenomeno chiamato fuoco fatuo, in Latino ignis fatuus. 32

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Anche questa volta Jack gli propone una scommessa: lo avrebbe seguito se fosse riuscito a scendere da un albero. Il Diavolo sorride ed accetta, convinto di vincere. Così, lo sprovveduto tentatore sale su un albero lì vicino ma Jack incide sulla corteccia dell’albero una croce, giocando di nuovo il Diavolo. Con la vittoria in pugno, Jack propone al Diavolo un nuovo patto: egli avrebbe cancellato la croce, se lui si fosse impegnato a non tentarlo più. Giocato, il Diavolo accetta il patto e ritorna agli Inferi scornato.

Dopo circa un anno, però, Jack muore. Al suo bussare alle porte del Paradiso, gli viene risposto che non sarebbe potuto entrare perché aveva condotto una vita dissoluta piena di peccati. Giunto alle porte dell’Inferno, però, anche il Diavolo, sorridendo per la sottile vendetta, gli nega il permesso di entrare, perché ancora offeso per i raggiri dell’uomo. Il Diavolo gli dona un tizzone per illuminare la strada nel limbo e Jack, per far durare più a lungo quella luce, la ripone in una rapa svuotata, ricavandone così una lanterna.

Da allora, nelle notti della vigilia di Ognissanti è possibile scorgere la fiammella di Jack, che vaga alla ricerca della sua strada.

La rapa sarebbe poi stata sostituita in pieno ‘800 per una ragione pratica: la spaventosa carestia delle patate, in Irlanda (1845-50) obbligò più di 700.000 persone ad immigrare in America. Questi immigranti portarono con loro anche la tradizione di Halloween e di Jack o’ Lantern, gli irlandesi sbarcati in America non avendo a disposizione il tubero, lo sostituirà con le grosse zucche gialle, facilmente reperibili nella nuova terra e ben più grandi.

Al di là della modellizzazione della leggenda sulla figura folklorica del trickster, il dio incostante e fondatore mitico 26


suo malgrado, c’è da sottolineare che non vi sono tracce che facciamo pesare ad una grande antichitĂ della leggenda, come, del resto, per tutta la tradizione. Quando, infatti, Jack compare nei testi scritti, inizialmente si riferiva a lui come ad una sentinella o ad un uomo che portava una lanterna, senza alcuna traccia della zucca/rapa e del patto col diavolo.

Children dressed up for Halloween in Jersey City, NJ. Fonte: Bettmann Archive/ Getty Images 27


"Souling" o "Guising": predecessori di Dolcetto o Scherzetto? Il primo uso nella stampa locale del termine "dolcetto o scherzetto" risale invece al 1927, da Blackie, Alberta: “Hallowe’en provided an opportunity for real strenuous fun. No real damage was done except to the temper of some who had to hunt for wagon wheels, gates, wagons, barrels, etc., much of which decorated the front street. The youthful tormentors were at back door and front demanding edible plunder by the word “trick or treat” to which the inmates gladly responded and sent the robbers away rejoicing”33. Dolcetto o scherzetto non sembra essere stata una pratica diffusa negli States fino agli anni '30, dato che la prima apparizione “ufficiale” negli Stati Uniti del termine risale al 193234, mentre il primo utilizzo in una pubblicazione nazionale avviene addirittura solo nel 1939, nell’articolo della scrittrice californiana Doris Hudson Moss35.

Dunque di Trick or Treat prima degli anni ’30, ancorché tardi, a ragion di logica non si può parlare. Eppure, i riferimenti ad antiche tradizioni abbondano.

E se volessimo provare a cercare i suoi antenati illustri? In rete si trovano molti presunti antenati del Dolcetto o scherzetto odierno. Vediamone qualcuno…

'Trick or Treat' Is Demand," Herald (Lethbridge, Alberta), November 4, 1927, p. 5. 33

Precisamente nell’articolo di Marian Miller, del 31 Ottobre 1932 dal titolo "Halloween Jollity Within Reason Need”, apparso su The Morning Oregonian, p. 8. 34

Moss, Doris Hudson, "A Victim of the Window-Soaping Brigade?”, in The American Home, November 1939, p. 48. 35

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Souling

La prima pratica, per anzianità se non altro, è il cosiddetto “Souling”.

In cosa consiste?

Molto tempo fa, secondo una tradizione ampiamente accertata nell’Inghilterra rurale del ‘500-‘600, il povero andava di porta in porta il 1° novembre, chiedendo “torte dell’anima” in cambio della promessa di pregare per i parenti morti del donatore il 2 novembre, il giorno di tutte le anime. La pratica era così popolare che è persino citata in una commedia di Shakespeare, I due signori di Verona. La stessa tradizione, con qualche variante locale non significativa, è attestata, per il medesimo periodo, nelle Fiandre, nel Sud della Germania e in Austria. Ma di questa tradizione non vi sono tracce, pare, successive al XVIII secolo.

Le radici più profonde, anche in questo caso, vengono fatte risalire alla pratica similare in cui, durante la festività di Samhain (versione irlandese del nome) o Samhuinn (versione scozzese del termine), si usava porre offerte di cibo sulla porta di notte per placare i morti che vagavano la notte. Come sostiene, ad esempio, Mary Mapes Dodge, “it was a regular observance in the country towns of England for small companies to go from parish to parish at Halloween, begging soul-cakes by singing under the windows some such verse as this: “Soul, souls, for a soul-cake; Pray you good mistress, a soulc a k e ! ” 36 . M a l a D o d g e s r i c o rd a a n c h e c h e i quell’occasione si scambiavano le Soul-cakes, “which the rich gave to the poor at the Halloween season, in Mary Mapes Dodge (a cura di) 1883, St. Nicholas Magazine, Scribner & Company. p. 93. 36

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return for which the recipients prayed for the souls of the givers and their friends”37. Carmichael, invece, afferma che “the practice of dressing up and going door to door for treats dates back to the middle ages and the practice of souling”38, ma senza ulteriori indicazioni.

E’ evidente, dunque, che l’azione di donare la torta dell’anima è una forma di ricompensa per le preghiere recitate e lo scambio, lungi dall’essere uno strumento religioso, è in realtà uno di quei meccanismi di stabilizzazione sociale per cui, nell’atto della donazione, si riafferma piuttosto la distanza dei diversi ruoli sociali (offerente ricco vs ricevente povero) che il loro superamento, pur se in campo metastorico.

Guising

Pratica molto vicina al Souling era il Guising, in cui erano invece i bambini, vestiti in costume, a visitare le case chiedendo monete, frutta o torte. Portare le rape scavate con candele dentro per le lanterne questa pratica è molto più vicina al trucco o al trattamento moderno.

Il Guising è registrato con certezza solo nel 1895 in Scozia e in Nord America nel 1911, quando il giornale di Kingston, nell'Ontario, menzionò bambini che si aggiravano per il quartiere in costume.

L'uso di costumi, o "guising", a Hallowmas, è però stato registrato, ma con molte perplessità, in tempi più remoti:

37

Ibidem

38

Carmichael 2012, . p. 70.

30


nella Scozia del XVI secolo39 e in seguito anche in alcune aree della Gran Bretagna e dell'Irlanda40.

Ci sono molti riferimenti al mumming, guising o souling ad Halloween in Gran Bretagna e Irlanda tra la fine del XVIII secolo e il XIX secolo. In alcune parti dell'Irlanda meridionale, un uomo vestito da Láir Bhán (giumenta bianca) conduceva i giovani di casa in casa recitando versi, alcuni dei quali avevano sfumature pagane, in cambio di cibo. Se la famiglia donasse del cibo potrebbe aspettarsi buona fortuna dal "Muck Olla", ma se si rifiutasse di farlo, porterebbe sfortuna41.

C'è però una differenza significativa nel modo in cui la pratica rituale si è sviluppata in Nord America e in Scozia e in Irlanda. In queste terre, i bambini possono ricevere dolcetti solo se prima eseguono un trucco da festa per le famiglie alla cui porta bussano. Questa “rappresentazione” normalmente assume la forma di una canzone o di una barzelletta o ancora di una poesia divertente. Anche qui, dunque, è evidente la funzione di scambio, “do ut des”, anche se il fine è dissimile dal precedente souling (non vi è, almeno esplicitamente, il dono come strumento di (dis)parità sociale). Manca l’elemento “minaccioso” del truck or treat, mentre il treat qui è un joke, un’azione che produce il riso o il sorriso. In questo caso, sebbene vi sia una certa “continuità”, geografica e temporale, fra la ritualità irlandese e quella McNeill, F. Marian. Hallowe'en: its origin, rites and ceremonies in the Scottish tradition, Albyn Press, 1970. pp. 29–31 39

40

Ronald Hutton, The Stations of the Sun, pp. 379–383

Journal of the Royal Society of Antiquaries of Ireland, Volume 2. 1855. pp. 308–309 41

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nordamericana, manca la continuità con il passato arcaico delle tradizioni celtiche, continuità indimostrabile per i secoli più lontani, ma assolutamente indimostrata per quelli più vicini. Tale tradizione, infatti, potrebbe essere fatta risalire, utilizzando le fonti con beneficio di inventario, al XVI, ma non oltre, né vi sono richiami immediati a feste celtiche o a simboli celtici evidenti.

Entrambe queste pratiche probabilmente hanno avuto un ruolo nello sviluppo di Dolcetto o scherzetto, ed entrambe, sempre probabilmente, potrebbero a loro volta derivare dalle più vecchie attività celtiche, ma in che senso?

Appare evidente come le fonti indichino la comparsa del “Trick or Treat” ambientandolo negli saette a partire dagli anni ‘30. Nessuna fonte sembra indicare la pratica rituale precedentemente. D’altro canto, il Souling e il Guising, sebbene ancora in attività, pare, in alcune aree della Scozia, non sono attestate negli States almeno dai primi del ‘900.

Non vi sono, quindi, legami storici evidenti, né tracce di continuità evidenti.

Teniamolo presente, dunque, e andiamo avanti.

L’ A n t i c h i t à d i H a l l o w e e n : l a prospettiva italica Caratteristiche molto simili a quelle che marcano la festa di Halloween si riscontrano anche nelle tradizioni di molte aree della penisola italiana. Vediamone qualche esempio.

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Così, ad esempio, l’antica festa di Sant'Andrea celebrata a Martis e in altri comuni dell'Anglona e del Goceano, in Sardegna, sviluppa alcuni elementi simili ad Halloween: la notte del 30 novembre, infatti, gli adulti vanno per le vie del paese percuotendo fra loro graticole, coltelli e scuri allo scopo di intimorire i ragazzi e i bambini che, nel frattempo, vagano per le strade con delle sinistre zucche vuote intagliate a forma di teschio e illuminate all'interno da una candela. I giovani, quando vanno a bussare nelle case, annunciano la loro presenza battendo coperchi e mestoli e recitando una enigmatica e minacciosa filastrocca in lingua sarda Sant'Andria muzza li mani!! (Sant'Andrea mozza le mani) e ricevendo in cambio, per questa loro esibizione, dolci, mandarini, fichi secchi, bibite e soldi. Ancora oggi, poi, si parla de Is Animeddas e Su Mortu Mortu in Sardegna.

Pratica identica è stata riscontrata nel Lazio del nord, in anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale. La stessa potrebbe esser fatta risalire, tramite, però, testimonianze indirette e non verificate, alla seconda metà dell'Ottocento. La zucca intagliata ed illuminata veniva a volte chiamata La Morte, o anche La Morta oppure Beccamorta.

L'uso di intagliare le zucche e illuminarle con una candela si ritrova anche in Lombardia e in Liguria, ad esempio nella cultura tradizionale di Riomaggiore, paese nelle Cinque Terre, così come in Emilia e, più in generale, in tutta la pianura padana, dove, pare fino alla fine degli anni ’50, si svuotassero le zucche o si usassero normali lanterne, entrambe poste nei borghi più bui ed anche vicino ai cimiteri ed alle chiese. A Parma tali luci prendevano il nome di lümera.

In Puglia, a Orsara di Puglia, la notte tra l'1 e il 2 di novembre si celebra l'antichissima notte del 33


"fucacost" (fuoco fianco a fianco): davanti a ogni casa vengono accesi dei falò (in origine di rami secchi di ginestra) per illuminare la strada di casa ai defunti (in genere alle anime del purgatorio) che in quella notte tornerebbe a trovare i viventi. Sulla brace di questi falò, viene cucinata della carne che tutti mangiano in strada assieme ai passanti. Nella giornata dell'1, nella piazza principale, si svolge, la tradizionale gara delle zucche decorate (definite le "cocce priatorje" - le teste del purgatorio), ma su entrambe le due tradizioni non vi una documentazione anteriore agli anni ’40 del secolo scorso.

In Friuli e Veneto era diffusa la tradizione di intagliare zucche, dette lumère, suche baruche o suche dei morti, con fattezze di teschio. Nelle stesse aree è documentata la credenza che, nella notte dei morti, questi ultimi potessero uscire dalle tombe. Sempre in Friuli era diffusa anche una tradizione simile a quella del "dolcetto o scherzetto", ma durante le festività natalizie o carnevalesche. In queste occasioni i bambini, eventualmente travestiti da figure spaventose e mostruose, potevano bussare di porta in porta recitando filastrocche il cui significato era chiedere dolci, noci o piccoli regali in cambio dell’augurio all'interlocutore di accedere al paradiso.

La Notte delle Lumere (cioè le zucche con il lumino) è diffusa anche in Sicilia come in Lombardia.

Anche la pratica della “comunione” con i defunti attraverso l’offerta di cibo ai morti attraverso mediatori comunitari (bambini e/o poveri) ovvero la sua consumazione in “comunione” con i morti non è molto diversa: si parla di Ossa dei Morti e Pane dei Morti in Umbria, Marche, Lombardia e Veneto; in Liguria, invece sono i bambini a ricevere un dolcetto chiamato il Ben dei 34


Morti; a Manfredonia, invece, qualcuno ancora appende al muro la cosiddetta “Calza dei Morti” che nella notte tra il 1° e il 2 novembre viene riempita di dolci per i più piccoli.

In altri casi si parla di veri e propri convitati: in Piemonte si usava aggiungere un posto a tavola per gli spiriti mentre in alcuni paesini della Calabria si imbandiva, fino a poco tempo fa, un piccolo banchetto accanto alle tombe dei defunti, proprio come facevano gli Etruschi.

Sono tutte tradizioni ancora in auge o da poco divenute desuete ed abbandonate. Su cosa ci dicono, però, bisogna riflettere. Ci dicono, infatti, che esiste una tradizione continua e senza interruzioni che lega l’antica Roma (o più indietro nel tempo, alla Grecia e all’Etruria pre romana) con le tradizioni popolari contemporanee, oppure che i mitologemi che vanno a formare la tradizione di Halloween sono strutture diffuse in aree senza contatti certi e diretti fra di loro?

L’ a n t i c h i t à d i H a l l o w e e n : acciderbolina, ma di Samhain quando si parla? E finalmente siamo arrivati all’origine di tutto, o almeno a quella che viene considerata dai più l’origine di Halloween. La festa celtica del (di) Samhain.

Le celebrazioni di tale ricorrenza, generalmente il 31 ottobre, avevano inizio al crepuscolo e duravano per tre giorni.

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I Celti, secondo l’interpretazione più diffusa, celebravano questa festa all’inizio del “periodo buio” dell’anno, all’incirca verso i primi giorni di novembre, quando la presenza in cielo delle Pleiadi, costellazione invernale, annunciava la supremazia della notte sul giorno e del buio sulla luce, dando così inizio ufficiale all’inverno. Dal punto di vista letterale, infatti, il termine Samhain deriverebbe dal gaelico antico "Sam Fuin" (Samhuinn in gaelico e Samhain in inglese antico) e significherebbe “(festa di) fine estate”.

Come accadeva per la festa di Beltane, è probabile che anche a Samhain si accendessero falò dai poteri protettivi e purificatori sulle cime delle colline. I fuochi secondo alcuni imitavano il Sole, aiutando la crescita e rallentando il decadimento e l’oscurità dell’inverno. Per questo si presuppone che rappresentasse anche il momento in cui la linea sottile tra i vivi e i defunti poteva essere oltrepassata più facilmente. Per altri, il fuoco, bruciando, distruggeva le influenze dannose.

La connessione Samhain-fuoco pare essere abbastanza certa: uno storico irlandese del XVII sec., E.C. Geoffrey Keating, ha scritto, nel suo Foras Feasa ar Éirinn (“Storia d’Irlanda”), che all’inizio del Samhain era previsto lo spegnimento di tutti i fuochi; ai druidi spettava quindi l’accensione di un nuovo fuoco, un falò in cui venivano gettate le ossa degli animali sacrificati. Forse in connessione con questa usanza, forse no, in alcune aree dell’Irlanda si ritiene che fosse usanza spegnere il fuoco del focolare nella notte di Samhain per riaccenderlo il giorno dopo utilizzando proprio il fuoco del falò. Acceso durante la notte di Samhain. Si sostiene anche che spegnere il vecchio fuoco e accenderne uno nuovo fosse un modo per bandire il male, un rito apotropaico, forse 36


connesso alla dialettica luce/buio cara alla tradizione norrena.

Altre usanze, attestate, però, in tempi più recenti, si ricollegano anch’esse ai falò di Halloween.

Una tradizione abbastanza comune di Halloween sembra prevedesse che una coppia di fidanzati mettesse una noce sul fuoco. Se le noci bruciavano silenziosamente, il matrimonio sarebbe stato felice, altrimenti la loro unione sarebbe stata tempestosa. Allo stesso modo se una ragazza metteva due noci sul fuoco, una per se e l’altra per il suo amante e le noci sibilavano, questo era un cattivo presagio per il loro futuro insieme. E’ questa una forma di divinazione non molto diffusa ma abbastanza attestata, sempre nelle aree nordiche.

Ma ritorniamo a Samhain. Cosa si può dedurre da queste informazioni?

Come si intuisce già da queste scarne note, della festa, in realtà, si sa ben poco e quel poco che si sa si presta ad interpretazioni anche molto diverse fra loro.

Un ruolo centrale pare avesse il fuoco dei falò, falò che venivano accesi durante la notte di Samhain. Tuttavia, le fonti, per di più non molto affidabili, essendo parecchio più recenti della cultura celtica a cui fanno riferimento, non concordano su quale fosse il significato di questi fuochi, sospesi fra il potere divinatorio, al funzione apotropaica e quella astronomica.

Samhain appare dunque indecisa fra l’essere una festa legata alla coltivazione dei campi o una festa dedicata al ritorno dei morti. L’usanza di accendere fuochi, vista come un sistema per allontanare entità potenzialmente malevole, viene da molti associata all’attuale tradizione di intagliare lanterne di rape prima, di zucche poi. Il collegamento, però, appare forzato. Al di là della presenza in entrambi i casi del fuoco (nelle rape/zucche 37


veniva inserita una candela per illuminarla dall’interno), le similitudini finiscono lì.

Inutile dire che di mascherate, scherzetti (in)nocenti e quanto altro è oggi Halloween non vi sono tracce. L’unico elemento associativo rimasto è quello calendariale: la festa di Samhain e Halloween si svolgono entrambe nella notte fra il 31 ottobre e il 1 novembre. Ma ci sono due fattori da considerare:

1) non solo Samhain si svolgeva la notte del 31 ottobre: molte feste pagane erano attestate in quella fatidica notte. Solo per citare quelle che mi vengono in mente, da buon studioso della tradizione romana, la festa di Pomona (anche se di calendarizzazione incerta, pare che la dea compagna dell’etrusco Vertumno fosse festeggiata proprio in quella notte. E, sempre per restare nella Roma imperiale, anche la festa in onore della potente Iside veniva celebrata in quella notte fatidica);

2) Samhain non durava solo la notte della vigilia di Ognissanti, ma per ben tre giorni (verosimilmente gli equivalenti di 31 ottobre, 01 e 02 novembre, ovvero Vigilia, Ognissanti e il Giorno dei Morti della tradizione cristiana).

Alle origini dei Halloween, ovvero, è davvero una festa antichissima? Sembra ormai accertato che le origini di Halloween per come la si conosce oggi non siano così antiche come 38


vuole la vulgata, ma siano strettamente connesse agli States e alla loro storia.

E’ improbabile che sia stata importata nelle Colonie, come dicono gli Inglesi (almeno alcuni) ancora oggi, men che meno come è riutilizzata oggi, dai padri pellegrini del Mayflower, visto il particolare bigottismo fanatico (o fanatismo bigotto, fate voi) che caratterizzava i Puritani. Certo, esistevano delle feste per il raccolto e si narravano, attorno al fuoco, storie di fantasmi e leggende, antenate dei camp fire tales, altra consuetudine falso antica delle tradizioni statunitensi, ma da qui ad Halloween ce ne corre.

La metà del 1800, tuttavia, vede un grande afflusso di immigrati irlandesi, i quali potrebbero aver importato l'usanza di Halloween (ma occorrerebbe dimostrare che essa era sopravvissuta nella terra di S. Patrizio). Gli immigrati irlandesi avrebbero portato l'usanza con loro e le persone, sempre pronte per una festa, l'avrebbero accettata ed ampliata combinando le usanze di varie culture.

Sarà.

Ma questa teoria si basa su due assunti indimostrabili:

1) che la festa di Samhain si sia conservata, pressoché intatta, in Irlanda, fino all’età romantica;

2) Che fosse così sentita da essere dominante, almeno nella classe sociale a cui la maggioranza dei sopra citati emigranti irlandesi appartenevano, ovvero la classe proletaria agricola, travolta da una massiccia crisi e dalla siccità.

Non esistono prove effettive che Samhain fosse festeggiata in Irlanda fino al 1800, anzi, il suo ritorno in auge sa più di recupero folkloristico ottocentesco e romantico che non di effettiva continuità culturale con l’antichità celtica o pseudo tale. E’ poi tutto da 39


dimostrare che il sostrato celtico fosse così radicato nelle popolazioni agrarie dell’Irlanda. In effetti, il concetto che le aree rurali siano meno inclini all’ortodossia cristiana è più che altro frutto di un preconcetto non dimostrato (non dissimile da quello che consentiva ai romani del III secolo di chiamare pagani i non cristiani perché il paganesimo era diffuso ancora nelle aree periferiche ed agrarie dell’Impero ormai in decadimento).

Una obiezione: sicuramente, come gli immigrati irlandesi, anche gli immigrati italiani che “invasero” gli States alla fine dell’ ‘800 erano un gruppo fortemente coeso e poco incline ad “americanizzarsi” repentinamente, con le dovute eccezioni. Tuttavia, le feste tradizionali del folklore calabrese, siciliano, emiliano ecc… non sembrano aver avuto grande presa negli States e l’”orgoglio italiano” è stato invece raccolto intorno alla figura di Colombo (il famoso Columbus Day è ancor oggi l’evento più sentito dalla comunità italiana).

Di certo, negli anni '20 e '30, l'usanza era diventata un “affare di comunità”, con tanto di costumi e sfilate, ma anche di violenza e vandalismo; solo negli anni '50 la festa ha assunto il suo aspetto, tutto sommato sereno, attuale e, di conseguenza, Halloween ha guadagnato la sua attuale popolarità nel mondo anglosassone (e non).

E dunque cosa

ogni caso solo in un senso ben preciso: come “scatola vuota”, open box, “pratica rituale” oramai priva del suo significato originario ma pronta ad assumerne di nuovi, “tradizione” bella e pronta da ricontestualizzare per differenti scopi.

40


Conclusioni (parziali) Halloween è considerata dai più una tradizione, una tradizione antica. Abbiamo visto sopra come, in realtà, antica non sia, almeno per gli standard europei ed italiani (per gli Stati Uniti, paese giovanissimo, non so). Ma è una tradizione?

Partiamo da lontano.

Tradizione è un concetto complesso e che deve essere utilizzato con grande attenzione.

“Le «tradizioni» che ci appaiono, o si pretendono, antiche - afferma Hobsbawm - hanno spesso un'origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta”42.

Il termine è quindi utilizzato per proiettare uno più usi ed abitudini, una serie di azioni rituali, nel passato supponendo una continuità la cui funzione principale consiste nel dare valore / autorità alla tradizione stessa (“Disse l’antico”, si usa ancora oggi in molte aree della Calabria). Ora, nelle società tradizionali, il problema si pone in maniera minore, perché si presenta solo nella misura in cui la tradizione pretende di accedere allo spazio simbolico della continuità metaforica della comunità.

Riprendendo Hobsbawm, “gli studiosi dei movimenti contadini - scrive Hobsbawm - sanno che quando un villaggio appoggia sulla «consuetudine invalsa nella notte dei tempi» la rivendicazione di un terreno o un diritto comune, spesso non esprime un fatto storico, bensì il rapporto di forza nella lotta costante del villaggio stesso

42

Hobsbawm E. J. 2002, p. 3

41


contro il signore, o contro altri villaggi”43. In quest’ottica,, la tradizione è una risposta stereotipata all’esigenza di disporre di “centri di gravità permanente”.

“In poche parole, - ricorda sempre Hobsbawm - si tratta di risposte a situazioni affatto nuove che assumono la forma di riferimenti a situazioni antiche, o che si costruiscono un passato proprio attraverso la ripetitività quasi obbligatoria. E (…) il contrasto tra il cambiamento e l'innovazione costanti del mondo moderno e il tentativo di attribuire a qualche aspetto almeno della sua vita sociale una struttura immobile e immutabile ciò che rende tanto interessante, agli occhi dello storico degli ultimi due secoli, il problema dell'«invenzione della tradizione»44.

“La «tradizione» intesa in questo senso va nettamente distinta dalla «consuetudine» che regge le cosiddette società «tradizionali». - è sempre Hobsbawm a parlare -Scopo e caratteristica delle «tradizioni», comprese quelle inventate, è l'immutabilità. Il passato al quale fanno riferimento, reale o inventato che sia, impone pratiche fisse (di norma formalizzate), quali appunto la ripetizione”45.

Ora, da cosa è composta la “tradizione” di Halloween?

Da una parte, c’è la costruzione delle origini. Origini che devono perdersi indietro nel tempo di molto, anche meglio se contraddittorie. Qualunque appiglio è buono: un buon esempio èil nome, che, come si è visto, ha origini nella Cristianità, forse medievale, ma che è irrimediabilmente (ed erroneamente) connesso alla 43

Ibidem, p. 4

44

Ibidem, p. 4

45

Ibidem, p. 4

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tradizione pagana celtica. E quando si parla di antichità, non può mancare, anche al prezzo di forzature storiche anche rilevanti, alla classicità e al mondo celtico come momento di origine. Questo perché, a differenza del concetto di consuetudine delle società tradizionali, la “tradizione” necessità di un “punto d’origine”, di un big bang iniziale, seppur confuso e incerto. Una tradizione ha un inizio (e presumibilmente una fine, anche se di quest’ultima non si parla molto volentieri), deve avere un inizio, un appiglio, non importa quanto sia tenue o contraddittorio. Così si propongono origini “parallele”, anche contraddittorie (è una festa di origine romana, no celtica, o celio-romana, o greca?), partendo da tenui collegamenti o addirittura interpretazioni forzate (la tre notti di Samhain che diviene la notte di Halloween, il rito apotropaico del lancio delle fave o dei fagioli con il dolcetto o scherzetto moderno).

Dall’altra, il recupero di alcuni aspetti di rituali più antichi, anche se non quanto le pretese “origini segrete” (il Guising, ad esempio, o il souling, di cui si è parlato più sopra) che ormai hanno perso senso per le comunità che le propongono. Scatole vuote pronte ad essere “riadattate” in nuove forme per rispondere alle nuove esigenze delle comunità che le recuperano/riadattano. Così, ad esempio, viene riadattata la consuetudine del mascherarsi, fusa con l’abitudine di chiedere, in cambio di preghiere (divenute poi giochi, poesie ecc… e quindi eliminate nel momento in cui la pratica del truck or treat diviene una sorta di ricatto), un dono (inizialmente, la cosiddetta torta delle anime, poi dolci e caramelle) e si ottiene la “tradizione” del “truck or treat” che ormai impazza anche in Italia.

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Il tutto, frullato da una buona dose di battage mass mediale e di confusione mediatica che alimenta la tradizione

1) sia in senso geografico, consentendo, cioè, alla stessa di espandersi più velocemente e di attecchire in aree con tradizioni differenti da quelle dell’area di origine,

2) sia in senso storico, confondendo con notizie errate ma propagandate con forza e condivise, più o meno inconsapevolmente, dai sistemi di trasmissione sociali, pre e post social media.

Il risultato né un prodotto culturale commesso, con una patina di antichità e di mistero e dei rituali percepiti come antichi e potenziato dalla ripetizione e dal valore aggiunto “sociale” che la cosiddetta “tradizione” acquisisce.

Insomma, il vecchio motto dell’Ecclesiaste andrebbe in parte rivisto: “Non c’è nulla (del tutto) nuovo sotto il sole”

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Indicazioni bibliografiche Bibliografia

Articoli di giornale:

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Fonti antiche:

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Sitografia:

https://www.ancient.eu/trans/it/1-14044/le-antesterie/

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Per le altre pubblicazioni, visita il blog del Centro Studi Bruttium all’indirizzo: http://www.centrostudibruttium.org/ blog

N.


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