C O N T A T T O L O G I A D I P R A T I C O M A N U A L E
ISBN: 978-88-98320-04-2
MANUALE PRATICO DI CONTATTOLOGIA
Manuale pratico di contattologia
Coordinatore scientifico Luigi Mele Autori Stefano Aquilini Ottico applicatore - Salmoiraghi & Viganò Milano Stefano Barabino Medico Oculista - Clinica Oculistica, Di.N.O.G.M.I., Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino-IST e Centro Oculistico MAG Medica Sanremo Barbara Kusa Medico Oculista - CMA (Centro Microchirurgia Ambulatoriale) e CAM (Centro Analisi Monza) Monza Danilo Mazzacane Medico Oculista ambulatoriale territoriale Azienda Ospedaliera Melegnano e Pavia Luigi Mele Medico Oculista - Dipartimento di Oftalmologia Seconda Università di Napoli Massimiliano Serafino Medico Oculista - Clinica Oculistica Universitaria Ospedale San Giuseppe - Gruppo Multimedica - Università degli Studi di Milano
Nota sugli autori: i medici oculisti sono membri dell'Advisory Board - Centro Studi Salmoiraghi e Viganò
Coordinamento scientifico: Luigi Mele
Publicomm Srl Via Domenico Cimarosa 55R 17100 Savona Stampa: Litografia Valli Via Pavia, 100 21056 - Induno Olona (VA)
"Questo libro è stampato su carta certificata FSC®. Il logo FSC® identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council®." 1° Edizione: 2° Edizione:
maggio 2014 maggio 2016
ISBN: Copyright: 2014 Il contenuto della presente pubblicazione non è riproducibile in tutto o in parte ed è di proprietà esclusiva del Centro Studi S&V che ne effettuerà utilizzi di attività divulgativa e formativa senza perseguire alcun scopo di lucro.
Manuale pratico di contattologia
Prefazione
Nell’ultimo decennio, grazie in particolar modo all’azione della Società Oftalmologica Italiana e della Società Italiana di Contattologia Medica, la contattologia è entrata a far parte del bagaglio formativo e culturale dei medici oculisti. La gestione del paziente contattologico, dalla idoneità all’uso delle lenti a contatto alla prevenzione e al trattamento delle complicazioni, passando dalla selezione del tipo di lente e della modalità di manutenzione, è di piena competenza del medico oculista. Anche in quest’area dell’oftalmologia c’è una forte innovazione e poter disporre di strumenti aggiornati e rapidi di consultazione è molto utile per garantire al paziente il trattamento più adeguato e i prodotti più innovativi. Il Manuale Pratico di Contattologia coordinato da Luigi Mele è lo strumento adatto per trovare le informazioni necessarie alla pratica quotidiana della contattologia medica, filtrate attraverso le conoscenze e l’esperienza degli Autori. Prof. Pasquale Troiano
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Presentazione
Gentile Dottore, l’attività editoriale del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò, avviata recentemente con la pubblicazione dedicata alle Lenti Oftalmiche, prosegue con questa iniziativa dedicata alle Lenti a Contatto. Lo scopo è quello di realizzare una collana di manuali operativi che forniscano al medico oculista un punto di riferimento chiaro, immediato e concreto nella sua attività quotidiana e che le pubblicazioni del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò siano sempre “a portata di mano” del medico oculista anziché essere dimenticati in uno scaffale dello studio medico. Ciò costituirà per noi un chiaro segno di apprezzamento ed il raggiungimento del nostro obiettivo. A ciò sono rivolti gli sforzi dei medici oculisti che costituiscono l’Advisory Board del Centro Studi: individuare costantemente delle tematiche utili ed interessanti finalizzate alla soddisfazione quotidiana dell’oculista e, contestualmente, dei pazienti. Si rinnova in questo modo l’impegno di Salmoiraghi & Viganò a realizzare con passione ed etica professionale la valorizzazione delle professionalità coinvolte nello sviluppo della cultura del “benessere visivo” e nel rendere il Centro Studi Salmoiraghi & Viganò un centro di pensiero ed azione finalizzato alla collaborazione tra il mondo dell'Oftalmologia e dell’Ottica, nel rispetto dei reciproci ruoli ed ambiti professionali. Un impegno ad oggi molto positivo grazie alle numerose adesioni raccolte in pochi mesi, di molti oculisti al Centro Studi e che ci auguriamo si confermi anche con questa seconda opportunità informativa ed educativa. L’Advisory Board del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò
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Indice •
Brevi cenni storici sulle lenti a contatto
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1. Materiali costitutivi delle lenti a contatto • 1.1 I polimeri • 1.2 I materiali rigidi • I metacrilati • I Silicone Acrilati • I fluoro Silicone Acrilati • 1.3 I materiali morbidi • Gli Elastomeri al silicone • Gli Idrogel • I Silicone Idrogel 2. Classificazione 3. Proprietà fisiche 4. Parametri costruttivi 5. I metodi di costruzione • Sistema a centrifuga • Tornitura • Processo combinato • Stampaggio 6. I trattamenti superficiali • Trattamenti fisici • Trattamenti chimici 7. Inquadramento legislativo 8. Identificazione di una lente a contatto 9. Interazione tra lente a contatto e superficie oculare 10. Gli esami pre applicativi 11. Gli esami post applicativi 12. Le Grading scales
pag. 9
Bibliografia
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APPENDICE Guida al corretto utilizzo delle lenti a contatto Istruzioni per la manipolazione delle lenti Come prendersi cura delle lenti a contatto Le cose da sapere sulle lenti a contatto
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Manuale pratico di contattologia
Brevi cenni storici sulle lenti a contatto
Leonardo da Vinci, nel 1508, introdusse il concetto di lenti a contatto. Egli notò che immergendo l’occhio in una sfera contenente acqua, si realizzava una correlazione ottica fra la superficie interna della sfera e quella della cornea; successivamente fece dei disegni (Fig. 1). Cartesio nel 1636 pubblicò “La diottrica”, mettendo in evidenza che un tubo riempito d'acqua e appoggiato sulla cornea, avente una lente all'estremità, speculare alla cornea, riduceva, notevolmente, le anomalie refrattive dell'occhio. Nel 1801 Thomas Young sviluppò l’idea di Cartesio, disegnando e progettando un piccolo tubo di vetro riempito di acqua e contenente una piccola lente microscopica. La prima vera lente a contatto, rigida, venne costruita, nel 1888, dal medico svizzero A. Eugen Fick, il quale creò un calco dall’occhio di un coniglio per produrre delle lenti da provare su se stesso. Le prime lenti di Fick erano in vetro soffiato, coprivano interamente l’occhio, erano pesanti e poco confortevoli tanto che, lo stesso, non riuscì ad indossarle per più di 2 ore. La svolta avvenne nel 1936, quando il Dottor William Feinbloom sostituì il vetro con materiale polimerico, quale la plastica. Questo materiale risultava altamente biocompatibile, poteva essere plasmato ed aveva un peso, notevolmente ridotto rispetto al vetro; in questo modo la lente sclerale in plastica era molto più confortevole di quella in vetro. Nel 1950, Bier, progettò le prime lenti a contatto corneali. Agli inizi degli anni '60 due ricercatori cecoslovacchi, Lim e Wichterle utilizzando l’idrogel costruirono le prime lenti a contatto morbide. Da allora è stato un susseguirsi di sviluppi e migliorie nella progettazione, e costruzione, sia delle lenti a contatto rigide, ma principalmente, di quelle morbide.
Fig. 1 Disegno originale di Leonardo da Vinci.
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Manuale pratico di contattologia
1. Materiali costitutivi delle lenti a contatto 1.1 I polimeri Chimicamente tutte le lenti a contatto sono costituite da polimeri. Il termine polimero è una parola composta che deriva dal greco 'poli' (molti) e 'meros' (unità o parte) ed è usata per designare una sostanza costituita da grosse molecole ottenute dall'unione in catena di molecole più piccole (monomeri) di una o più specie. L’International Union of Pure and Applied Chemistry (Unione Internazionale di Chimica Pura ed Applicata - IUPAC) definisce i polimeri come “Una specie caratterizzata da una successiva ripetizione di una o più specie di atomi o gruppi di atomi (unità monomerica costitutiva) legati fra di loro in quantità tale da impartire tutta una serie di proprietà che non variano marcatamente per addizione o rimozione di una o qualche unità monometrica”. I costituenti di base dei polimeri sono carbonio e idrogeno, a cui si possono aggiungere svariati elementi quali: ossigeno, cloro, fluoro, azoto, silicio, fosforo, zolfo, ecc. In base all’origine avremo: • Polimeri Naturali (polisaccaridi, proteine, ecc.); • Polimeri di Sintesi ( plastiche, resine, ecc.) In base al tipo di catene monomeriche un polimero viene classificato come:
a
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Fig. 2 Strutture di un polimero.
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c
• omopolimero: catene costituite da un singolo tipo di monomero • copolimero: catene costituite da due differenti unità monomeriche in sequenza generalmente irregolare • statistici in cui la distribuzione dei due monomeri è essenzialmente casuale • alternanti cost it ut i da sequenze regolarmente alternate delle due unità monomeriche lungo la catena • a blocchi formati da sequenze di blocchi delle due unità monomeriche • a innesto in cui blocchi di un monomero sono innestati sullo scheletro dell'altro come ramificazione • terpolimero (ecc.): catene costitute da tre differenti unità monomeriche in sequenza irregolare (ecc.). Per ciò che concerne i polimeri di sintesi, a seconda dell’arrangiamento delle catene monometriche avremo polimeri; • Lineari: sono rappresentabili come catene di monomeri con successione ordinata (Fig 2a) • Ramificati: nelle catene precedenti si diramano delle ramificazioni (Fig. 2b); • Reticolati: sono strutture complesse nelle quali non si riconosce più una singola catena ma un network interconnesso che si sviluppa occupando tutto il volume a disposizione (Fig. 2c). I polimeri lineari e ramificati sono di regola solubili in qualche solvente e rammolliscono per riscaldamento fino a diventare liquidi. I polimeri reticolati sono invece sempre insolubili e infusibili. In base all'organizzazione tridimensionale, i polimeri, vengono suddivisi in: • Amorfi: le catene presentano dei gruppi laterali
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ingombrati a disposizione irregolare che non permettono di impacchettarsi con ordine a formare una struttura cristallina (Fig. 3a); • Cristallini: le catene polimeriche hanno una disposizione ordinata nello spazio (Fig. 3b); • Semicristallini: sono costituiti da una porzione amorfa ed una cristallina (Fig. 3c) I polimeri amorfi sono altamente deformabili e flessibili, ma scarsamente trasparenti. I polimeri cristallini sono invece molto resistenti, possono essere trasparenti, ma indeformabili e fragili. Un polimero amorfo sarebbe troppo deformabile, mentre un polimero completamente cristallino sarebbe troppo fragile per essere utilizzato. Per tali motivi, la maggior parte dei polimeri hanno una struttura semicristallina dove le regioni cristalline donano resistenza e stabilità dimensionale, mentre le regioni amorfe danno al polimero tenacità; ossia la capacità di piegarsi senza rompersi. La struttura tridimensionale, e le conseguenti proprietà chimiche, variano all’aumentare della temperatura attraverso delle modifiche di fase quali la transazione vetrosa (Tv), il rammollimento (Tr), la fusione (Tm) fino alla temperatura limite di stabilità chimica (TL) oltre la quale il polimero subisce trasformazioni irreversibili e degradazioni (Grafico 1). In base alle proprietà strutturali e termiche, finora esposte, i polimeri di sintesi di interesse contattologico, sono: a
b
Grafico 1 Variazioni della struttura in base alla temperatura.
• Te rm o p l asti c i (PM M A): amor fi o semicristallini, a medio grado di reticolazione, deformabili con scarso recupero della forma e fusibili; • Elastomeri (gomme): amorfi o semicristallini, a bassissimo grado di reticolazione, deformabili con altro recupero della forma, infusibili, insolubili; • Idrogel/Silicone Idrogel: amorfi o cristallini, a basso grado di reticolazione, deformabili con intermedio recupero della forma, infusibili ed insolubili.
1.2 I materiali rigidi Rientrano nella famiglia dei materiali termoplastici. Sono definiti come materiali che ammorbidiscono fino a fondere quando è applicato calore, e
c
F i g . 3 Organizzazione tridimensionale.
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solidificano una volta raffreddati. Possono essere amorfi o cristallini con un coefficiente di reticolazione intermedio e sono solubili. Tutte queste proprietà li rendono facilmente lavorabili e modellabili. I Metacrilati Il primo materiale, appartenente a questa categoria, usato in campo contattologico è stato il Polimetilmetacrilato (PMMA) ottenuto dalla polimerizzazione radicalica del metilmetacrilato (MMA), estere derivato dalla polimerizzazione dell’acido metacrilico e del metanolo. Il PMMA è un materiale duro, fragile, resistente ai graffi ed ha una elevata facilità di lavorazione. È un materiale indeformabile entro i limiti della temperatura corporea, non attaccabile da enzimi presenti nell’organismo; tuttavia, il basso coefficiente di permeabilità dell’ossigeno (Dk) ne riduce l’utilizzo per lungo tempo. L’acetato-butirrato di cellulosa (CAB) è stato il primo materiale disponibile dotato di permeabilità all’ossigeno. I principali vantaggi di questo materiale sono: la permeabilità all’ossigeno; buona bagnabilità delle superfici; scarsa tendenza ad accumulare depositi proteici; capacità di idratazione del 2%; è soggetto a graffiarsi e mostra una propensione all’accumulo di depositi lipidici; ha un basso modulo di elasticità. Ciò comporta che in caso di stress meccanico, il polimero, perda le proprie caratteristiche geometriche e conseguentemente di biocompatibilità. Per tale motivo necessita di una procedura costruttiva per stampaggio più che per tornitura. I Silicone Acrilati Alla fine degli anni '70 furono sviluppati i metacrilati con alta permeabilità all’ossigeno, i silicone/acrilati. Vennero ottenuti dalla copolimerizzazione del 10
metilmetacrilato (MMA) con silossani metacrilici come il metacrilossipropil (TRIS). La componente siliconica fornisce al polimero la permeabilità all’ossigeno, mentre l'MMA garantisce la stabilità dimensionale e la bagnabilità. Da ciò conseguiva che il mescolamento proporzionato di TRIS/MMA permetteva di modulare la permeabilità all'ossigeno, il modulo di elasticità, la durezza e la bagnabilità; cioè la biocompatibilità del materiale che veniva ottenuta mescolando il 65% da MMA con il 35% di silicone tris. Quando il silicone è aggiunto in maggiore quantità, la gas-permeabilità aumenta e diminuiscono la stabilità dimensionale, la bagnabilità e la rigidità della lente, riducendo la possibilità di correzione degli astigmatismi medio elevati e aumentando la capacità di formare depositi lipidici. L’aumento di MM A, invece, riduce la gas permeabilità, aumenta la stabilità dimensionale, la bagnabilità e la rigidità della lente permettendo di correggere gli astigmatismi e diminuendo la capacità di formare depositi. I Fluoro Silicone Acrilati Alla fine degli anni ’80 il costante sviluppo tecnologico, nella scienza dei polimeri, ha permesso di ottenere materiali arricchiti con esafluoroetere (HF); i fluoro acrilati (HF/A). Questi materiali presentavano una buona bagnabilità (tollerabilità) e rigidità (correzione degli astigmatismi), con buona permeabilità all’ossigeno e bassa tendenza a formare depositi proteici e lipidici (biocompatibilità). Erano polimeri costituiti da MMA complessato con HF che sostituisce il silicone; questi materiali offrivano anche protezione verso i raggi UV. Il limite principale, di questi materiali, risiedeva nella scarsa resistenza allo stress strain, con frequenti rotture. Tale inconveniente è stato superato, all’inizio degli anni ’90, con la realizzazione di materiali costituiti dalla
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polimerizzazione di metacrilato (MMA) al 45%, fluoro (HFI) al 45%, silicone (SI) al 7% e vinilpilloridone (NVP) al 3%, i fluosiliconeacrilati. Questi polimeri hanno un’elevata permeabilità, ottime caratteristiche di stabilità dimensionale, elevati valori di stress strain, buona bagnabilità e resistenza ai depositi di natura proteica. Di recentissima sintesi, troviamo i derivati del polistirene; si tratta di polimeri con indice di rifrazione elevato che, abbinato ad un basso peso specifico, consentono di realizzare lenti leggere e, date le caratteristiche fisiche, resistenti alla flessione; hanno una certa fragilità ed una stabilità non molto elevata. Si utilizzano per la costruzione di materiali ibridi, con parte centrale rigida e periferica flessibile.
1.3 I materiali morbidi Rientrano in questa categoria gli elastomeri al silicone, gli idrogeli e i silicone idrogel. Gli Elastomeri al silicone Gli elastomeri o gomme, sono polimeri le cui dimensioni possono variare enormemente sotto sforzo, e poi ritornare ai valori originali (o quasi) quando lo sforzo che ha provocato la deformazione viene rimosso (Fig. 4). Gli elastomeri possono essere naturali o sintetici. L’elastomero naturale per eccellenza è la gomma
Fig. 4 Configurazioni degli elastomeri al silicone.
Fig 5 Polidimetilsilossano (PDMS).
naturale. Essa viene prodotta commercialmente dalle gocce dell’albero Hevea brasiliensis, coltivato nelle regioni tropicali dell’Asia, specialmente in Malesia e Indonesia. La fonte della gomma naturale è un liquido lattiginoso noto come Lattice, che risulta essere una sospensione contenente piccolissime particelle di gomma. La gomma naturale è principalmente formata da cis-1.4-poliisoprene miscelato con piccole quantità di proteine, grassi e sali. Partendo da questa formula e complessandola con altre molecole ed elementi, si ottengono gli elastomeri di sintesi o gomme sintetiche. Quando all’interno della struttura si aggiungono unità monometriche ripetitive contenenti Silicio, Ossigeno e gruppi metilici (gruppi silossano), si otterranno gli Elastomeri al Silicone o, più semplicemente detti, siliconi. I Siliconi hanno la peculiarità di essere notevolmente resistenti alla temperatura, agli attacchi chimici e all'ossidazione. Sono ottimi isolanti elettrici, antiaderenti, elastici, resistenti all'invecchiamento e alle alte temperature. La caratteristica però più importante in campo contattologico risiede nella elevata solubilità dell’ossigeno all’interno dei gruppi silossano. Tale solubiltà consente di legare meglio l’acqua e, di conseguenza, aumentare la diffusione dell’ossigeno. Il Polidimetilsilossano (PDMS) rappresenta il primo elastomero al silicone usato in campo contattologico ed appartiene al gruppo dei silos sani (Fig. 5). Il PMDS è un elastomero con una buona stabilità termica, bassa tensione superficiale e buona 11
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trasparenza (inferiore ai 280 nm). L’indice di rifrazione è 1.430. La sua temperatura di transizione vetrosa è -125°C. La conduttività termica è 0.18 W/mK. Sebbene durevole ad alte temperature, il polimero si degrada completamente ed anche abbastanza velocemente a temperatura ambiente, così che non presenta alcun problema significativo per l’ambiente dove si trova. Sebbene i silossani abbiano eccellenti proprietà ottiche, resistenza alla lacerazione ed alta permeabilità all’ossigeno, la bassa energia di superficie provoca una bassa bagnabilità, una tendenza ad accumulare lipidi e proteine, e anomale adesioni della lente a contatto alla cornea. Al fine di aumentare la bagnabilità, la superficie venne sottoposta ad un trattamento al plasma di ossigeno al fine di ridurre l’angolo di contatto e aumentare l’idrofilia. Nonostante ciò queste superfici modificate tendevano ad essere instabili ed inoltre non offrivano un vantaggio a lungo termine (max 30 min). L’altro problema risiede nella elevata idrofobicità che interagisce molto con i campioni polari attraverso legami tra i gruppi silossano e l’idrogeno. Ciò determina l’adesione di proteine al materiale, provocando discomfort nel paziente e danno alla lente; perciò i ricercatori hanno provato a modificare la superficie con trattamenti come ad esempio l’esposizione a sorgenti energetiche (la luce ultravioletta), multistrati polielettroliti, modifiche covalenti (come la senilizzazione), deposizione chimica in fase vapore, doppio strato di fosfolipidi e proteine. Alcuni studi si sono rivolti anche verso la ricerca di sostanze che provocassero il rigetto delle proteine: in questo senso, sono stati preparati degli elastomeri al silicone con incorporata, durante la formazione della gomma, una piccola quantità di un derivato monofunzionale dell’ossido di polietilene (PEO). Si è notata infatti la migrazione delle molecole 12
di PEO all’interfaccia, causando una diminuzione di assorbimento di alcune proteine molto maggiore rispetto a quello del silicone normale. Gli Idrogeli Sono omo/copolimeri ret icolat i, amor fi o semicristallini, insolubili e con grandi capacità di rigonfiarsi in acqua. Sono costituiti da catene polimeriche, a disposizione tridimensionale (network), unite da legami chimico/fisici (cross linking). Sia il net work che i cross linking permettono che l’acqua si disperda in tutta la struttura rigonfiandola. Contengono uno o più atomi altamente elettronegativi, il che si traduce in una asimmetria di carica che favorisce legami idrogeno con l'acqua. Sono polimeri altamente ionici, spesso mostrano grandi variazioni volumetriche in risposta alla concentrazione ionica (Ca++, H+) o alla temperatura ed il volume è determinato dalla combinazione di forze at t rat t ive e repulsive. Reagiscono a piccoli cambiamenti delle proprietà chimico-fisiche del mezzo in cui si trovano, ad es. pH, temperatura, forza ionica. La proprietà unica di questi gel è la capacità di mantenere la loro forma originale durante e dopo il rigonfiamento (swelling). La forza di rigonfiamento è controbilanciata dalla forza retrattile della struttura reticolata che, quando prevale sullo swelling, porta a disidratazione del materiale con modifica della forma (deswelling). A seconda dei gruppi terminali potranno essere: • Ionici • Non ionici Un polimero per essere definito idrogel, l'acqua deve rappresentare almeno il 10% in peso (o in volume) del materiale; quando il contenuto di acqua supera il 95% del peso totale (o volume), l'idrogel si dice superassorbente. L’idrogel usato in campo contattologico è il poli (idrossietilmetacrilato)
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(PHEMA) ottenuto dalla polimerizzazione di 2 monomeri di HEMA (Fig. 6) con l’aggiunta del glicoletilenedimetacrilato (EGDMA) che aumenta, notevolmente, la stabilità dimensionale del poliHEMA. Grazie a questa struttura il polimero presenta un contenuto di acqua del 38% (idrofilia) e mantiene una struttura flessibile ed ordinata anche se completamente idratato. Attualmente sono presenti in commercio una gamma di idrogeli contenenti vari monomeri idrofilici come l’Acido Metacrilico (MAA) e l’Nvinilpirrolidinone (NVP). L’MAA e l’NVP sono acidi organici che conferiscono alla superficie del polimero una maggiore carica elettrica negativa con conseguente aumento del contenuto in acqua. La principale funzione di questi gruppi chimici contenuti nel polimero è infatti quella di attrarre una certa quantità di acqua e conseguentemente legarla all’interno della struttura facendo aumentare l’idrofilia della lente. In virtù della loro carica ionica, della loro idrofilia e della loro diffusione dell’ossigeno, gli Idrogel non sono adatti ad un porto prolungato sia per la possibilità di sviluppare ipossia corneale, sia per la frequente formazione di depositi proteici sulla superficie. Gli idrogeli al silicone Rappresent ano i polimeri di ult imis sima generazione ottenuti complessando la catena del poli(idrossimetilacrilato) con gruppi silossano. Incorporando gruppi di gomme siliconiche negli
2-Hydraxyethy 1-Methacrylate (HEMA) Fig. 6 Struttura del HEMA.
idrogel, si realizza un evidente arricchimento delle proprietà di trasmissione dell’ossigeno senza aumentare il contenuto d’acqua. Con gli idrogel convenzionali la permeabilità all’ossigeno aumenta solo se viene incrementato il contenuto d’acqua della lente, la quale deve possedere una struttura più porosa al fine di facilitare la diffusione di ossigeno attraverso il materiale. Con il silicone idrogel, invece, per incrementare il contenuto d’acqua basta aumentare, leggermente, la proporzione di monomero di idrogelo convenzionale rispetto al monomero di silicone, provocando un notevole aumento della permeabilità all’ossigeno del materiale. Tuttavia l’idrofobicità della componente siliconica, riduce notevolmente la bagnabilità e aumenta la tendenza ad accumulare lipidi; problemi risolti, in parte, con l’uso di stampi nel processo di fabbricazione e l’uso di tecniche di modifica delle superficie. Altro problema è insito nel modulo di elasticità del materiale, che esprime la resistenza alla deformazione. Esso rappresenta la forza necessaria per produrre la deformazione del materiale in una sezione resistente di area definita attraverso dei valori desumibili da calcoli logaritmi elaborati attraverso il cosiddetto modulo di Young. Il modulo di Young, quindi, descrive le proprietà meccaniche del materiale e maggiore diventa il suo valore più alta diviene la resistenza alla deformazione; tale fattore, assieme allo spessore e alla geometria della lente a contatto, genera la rigidezza finale del sistema. I gruppi silossano, presenti nei polimeri in silicone idrogel, in virtù della loro stechiometria e della loro carica ionica determinano un modulo di elasticità superiore rispetto alle lenti idrogel tradizionali. Risulta fondamentale, quindi, trovare un perfetto bilanciamento tra la quantità di polimeri di idrogel e la quantità di gruppi silossano al fine di ottenere un modulo di rigidità che non faccia perdere al materiale le caratteristiche di biocompatibilità necessarie. 13
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2. Classificazione
È consuetudine classificare le lenti a contatto da un punto di vista clinico, appannaggio dello specialista oculista, e da un punto di vista tecnico, appannaggio dell’ottico applicatore. Quella clinica si basa, principalmente, sulla identificazione dei materiali da utilizzare e sulle finalità cliniche da raggiungere. In base ai materiali costitutivi, le lenti a contatto si dividono in: Morbide • Idrogel • Silicone idrogel • Biocompatibili Rigide • Gas impermeabili • Gas permeabili (RGP) Ibride (costituite in parte da materiali rigidi, e in parte da materiali morbidi) • Gemellate • Composite • Piggyback • Piggyback inverso • Morbide spessorate Al fine di rendere di facile individuazione la natura del materiale costitutivo, l’FDA ha stabilito il suffisso focon per i materiali rigidi e il suffisso filcon per i materiali morbidi. A seconda delle finalità cliniche da raggiungere si distinguono lenti a contatto a scopo: Ottico Cosmetico • Lenti a contatto colorate • Gusci esterni per protesi endoorbitarie Terapeutico • Umettanti (a rilascio di acido ialuronico) • Dispenser (a rilascio controllato di farmaci). 14
Da un punto di vista meramente tecnico le lenti a contatto si distinguono a seconda della: Geometria • Sferiche (costituite da un superficie anteriore e posteriore sferica fissa); • Sferoasferiche (costituite da una superficie a curvatura fissa e l’altra con differenti raggi di curvatura dal centro alla periferia) • Asferiche (costituite, sia sulla faccia anteriore che posteriore, da differenti raggi di curvatura dal centro alla periferia; simulando la curvatura corneale); • Toriche (i due meridiani principali hanno differenti raggi di curvatura) • Toro anteriore (quando la toricità interessa la superficie anteriore) • Toro posteriore (quando la toricità interessa la superficie posteriore) • Bitoriche (quando la toricità interessa entrambe le superfici) • Sclerali • Bifocali • Progressive • Multicurve (la superficie posteriore è costituita da due o più zone di curvatura con andamento “ speculare” alla curvatura corneale) • Geometria inversa (la superficie posteriore è costituita da due o più zone di curvatura con andamento “opposto” alla curvatura corneale) Tecniche costruttive • Tornite • Stampate • Centrifugate • Combinate Frequenza del ricambio (principalmente per lenti a contatto morbide) • Quotidiana • Quindicinale • Mensile
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3. Proprietà fisiche
della superficie della lente a contatto, di lubrificarsi. Il CoF è un coefficiente strettamente legato al comfort oculare. Quando basso, le lenti, hanno una superficie setosa e liscia, con ottimi livelli di comfort.
Indice di refrazione (n) È l’espressione della capacità del mezzo ottico di deviare le radiazioni luminose. È rappresentato dal rapporto tra la velocità della luce nel vuoto “c” e la velocità della luce nel mezzo ottico. Questo parametro deve essere tenuto in considerazione durante la costruzione della lente, ed in generale maggiore è il suo valore e minore sarà lo spessore delle lenti a contatto.
Bagnabilità Definita come la capacità di un solido di trattenere l’acqua sulla propria superficie. È una importante caratteristica per la contattologia, infatti esprime la compatibilità fisiologica tra lente ed ambiente oculare, dove gioca un ruolo importantissimo il film lacrimale che è composto per più del 90% da acqua. La bagnabilità viene misurata attraverso l’angolo di bagnabilità, che è l’angolo delimitato dalla superficie del solido e dalla tangente alla superficie di separazione tra solido e liquido presa nel punto di contatto tra solido e liquido stesso.
Trasparenza È la differenza tra il flusso di radiazioni incidente sulla lente ed il flusso di radiazioni emergente dalla stessa. Vengono calcolate per lo spettro del visibile (in media 550nm), per i materiali utilizzati in contattologia essa si assesta intorno al 90%. Stabilità dimensionale È la capacità del materiale di mantenere i parametri geometrici originali (curvatura delle superfici, diametro, spessore…). È un valore importante per garantire una costanza di rendimento delle lenti a contatto nel tempo. Il modulo di elasticità o di Young (E) È descritto come la capacità di un materiale di allinearsi alla superficie oculare e resistere alla deformazione. Una lente E basso è più difficile da maneggiare e presenta una ridotta mobilità con l’ammiccamento, riducendo lo scambio lacrimale. Un valore di E alto, favorisce la maneggevolezza, ma può portare a danni meccanici a carico della superficie. Il coefficiente di frizione (CoF) Anche definito potere lubrificante, indica la capacità,
Permeabilità all’ossigeno (DK) Indica la capacità di un materiale di lasciarsi attraversare da un gas, e varia con la temperatura. Esprime la moltiplicazione tra il coefficiente di diffusione attraverso il materiale (D) ed il coefficiente di solubilità del gas all’interno del materiale (K). Moltiplicando D×K si ottiene la permeabilità al gas, l'unità di misura è espressa in unità fattoriali n×10ˉ11 (Tab. 1). Trasmissibilità all’ossigeno (DK/T) Esprime la capacità delle lenti a contatto di farsi attraversare dall’ossigeno. Essa è indirettamente proporzionale allo spessore centrale della lente (T), infatti il suo valore si ottiene dal rapporto tra permeabilità specifica del materiale in cui è costruita la lente a contatto e la misura in metri dello spessore centrale: DK/T. Idrofilia (%H2O) L’idratazione è la quantità di fluido assorbita dal materiale di una lente, espressa in percentuale del totale, in date condizioni: 15
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• CA(%)= (Li-Ld)/Li X 100 • AA(%)=(Li-Ld)/Ld X 100 dove CA = contenuto d’acqua, AA = assorbimento d’acqua, Li = acqua di una lente completamente idratata, Ld = acqua di una lente completamente disidratata. I fattori che influenzano l’idratazione della lente a contatto sono: temperatura, natura del polimero, spessore della lente, qualità delle superfici, umidità, osmolarità, pH, fisiologia lacrimale, apertura palpebrale, frequenza d’ammiccamento. Per gli effetti della disidratazione si hanno variazioni nei parametri fondamentali di una lente a contatto: in tal caso vi è una riduzione della curva-base, un restringimento del diametro, una diminuzione della trasmissibilità e dello spessore, un aumento dell’indice di rifrazione e del potere (positivo). In base al contenuto di acqua, le lenti a contatto, vengono suddivise in materiali a bassa idrofilia quando contengono meno del 50% di acqua e ad alta idrofilia quando ne contengono più del 50%. Ionicità Indica la presenza di carica ionica sulla superficie anteriore della lente. Varia a seconda del materiale e del trattamento. In base alla carica ionica, le lenti a contatto vengono suddivise in materiali non ionici o ionici.
Valore
Unità Dk: (cm2/s) • [ml O2/(ml • hPa)]
1
1-15 unità
2
16-30 unità
3
31-60 unità
4
61-100 unità
5
101-150 unità
6
151-200 unità
7
>250 unità
Tab. 1 Valore assegnato in base alle unità di Dk sec. ISO 1999.
16
4. Parametri costruttivi I più rilevanti sono: • Raggio di curvatura: rappresenta il raggio con il quale si è generata la curvatura della superficie esterna (dipende dal potere che si desidera dare alla lente). • Raggio base (Rb): rappresenta il valore del raggio con il quale si genera la curvatura della superficie della zona ottica interna. • Flangia (curva periferica): è quella zona compresa tra la zona ottica esterna ed il bordo. Ha un proprio raggio di curvatura, che nelle geometrie tradizionali è più ampio rispetto al Rb. Il nome della geometria delle lenti a contatto viene stabilito proprio in base al numero di flangie presenti (Es: Bicurva, Tricurva, Tetracurva...). Termine
Abbreviazione Simbolo
Diametro totale
TD
∅T
BOZD
∅0
BOZP
∅1, ∅2, ...
FOZD
∅a0
FPZD
∅a1, ∅a2, ...
BOZR
r0
Raggio periferico posteriore
BPR
r1, r 2, ...
Raggio periferico anteriore
FPR
ra1, ra2, ...
Diametro della zona ottica posteriore Diametro della periferica posteriore Diametro della zona ottica anteriore Diametro della zona periferica anteriore Raggio della zona ottica posteriore
Spessore al centro geometrico
tc
Spessore assiale al bordo
te
Tab. 2 Simbologia normalizzata sec. ISO 1986.
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•
Diametro zona ottica (∅o): è il diametro della parte centrale della superficie interna. • Diametro totale (∅t): è il diametro totale della lente a contatto inteso come somma tra il diametro della zona ottica e le ampiezze delle flangie. • Spessore centrale: è importante ai fini del calcolo della trasmissibilità all’ossigeno ed è la distanza metrica tra la superficie anteriore e la superficie posteriore presa nel centro ottico della lente, parallelamente all’asse ottico. Di grande importanza è il bordo della lente: esso unisce la parte anteriore con quella posteriore. Le sue caratteristiche sono lo spessore, la posizione apicale, la forma ed il sollevamento periferico il cui valore corretto è fondamentale sia per una corretta dinamica, sia per impedire spostamenti anomali o formazione di bolle d’aria sotto la lente. Nel 1986 l’ISO (International Organisation for Standardisation) ha proposto una terminologia standardizzata per le lenti a contatto (Tab. 1-2 e Fig. 7-8).
Fig. 7 Rappresentazione schematica di una lac.
Fig. 8 Rappresentazione grafica dei parametri ISO 1986.
OR
BPR 1
TD
BOZD
FOZD
BP
FOZ R
5. Metodi di produzione
Attualmente vengono usati comunemente quattro metodi di produzione per produrre lenti morbide. Con ogni metodo si ottengono lenti con caratteristiche leggermente diverse. I processi sono: 1. sistema a centrifuga 2. tornitura 3. processo combinato 4. stampaggio Di seguito verranno descritte le caratteristiche, con i relativi pro e contro, di ogni metodo di produzione.
1. Sistema a centrifuga Il sistema a centrifuga è stato sviluppato negli anni ’60 da un gruppo di scienziati cecoslovacchi sotto la guida del prof. Otto Wichterle presso l’Istituto di chimica macromolecolare di Praga. Come molte altre innovazioni scientifiche, il sistema a centrifuga nacque con un principio molto semplice: trasformare un liquido in rotazione in un solido. Le lenti centrifugate sono molto sottili e hanno una superficie posteriore asferica. La forma asferica è simile a quella della cornea umana. La curvatura della lente si appiattisce gradualmente a partire dal raggio apicale posteriore centrale fino alla periferia. Poiché il processo di centrifugazione utilizza lo stesso stampo per poteri diversi, la superficie anteriore è sempre la stessa. La curvatura posteriore invece varia a seconda del potere. Per questo motivo le lenti centrifugate non hanno una curva a base fissa. Il design sottile, il materiale flessibile e la geometria asferica danno come risultato una lente che si adatta con facilità alla conformazione della cornea. 17
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Sistema di produzione: utensili e stampi. Per prima cosa si costruiscono gli utensili in acciaio che servono per produrre gli stampi in plastica. Si usa l’acciaio inossidabile perché è facile da misurare e riprodurre. Gli utensili producono l’esatta depressione (concavità) dello stampo e consentono di verificare facilmente i parametri dello stampo. Quando la lente viene fatta ruotare all’interno dello stampo, la superficie dell’utensile determina la geometria della superficie anteriore della lente. Gli utensili di precisione consentono di produrre geometrie estremamente complesse. La prima fase nella costruzione di un utensile è la creazione delle sue curvature. Quindi tutte le superfici interne vengono levigate fino ad ottenere una finitura di tipo ottico. Un controllo di precisione è fondamentale perché qualsiasi difetto si rifletterà anche nel prodotto finale. Le dimensioni dell’utensile vengono verificate accuratamente confrontandole con i disegni originali utilizzando tecniche come l’interferometria, che misura curvature fino a +/- 0,0005 mm. L’ultima fase può prevedere l’incisione del logo o dei segni identificativi della lente sull’utensile. La fase successiva è la costruzione dello stampo. Le dimensioni e le tolleranze degli stampi si ricavano dal disegno della lente. Le prime lenti a contatto morbide furono realizzate con stampi in vetro riutilizzabili. Gli stampi erano difficili da fare e richiedevano una lucidatura costante, oltre a presentare delle variazioni inaccettabili. La tecnologia ha permesso, ormai da alcuni anni, di realizzare stampi in plastica. Gli stampi in PVC sono monouso, economici, stabili a livello dimensionale e, soprattutto, identici tra loro. Vengono realizzati con macchine a iniezione modificate che producono fino ad otto stampi in una volta. Gli stampi vengono ispezionati singolarmente 18
e devono rientrare entro rigide tolleranze per quanto riguarda varie dimensioni, incluso il diametro e il valore sagittale. Materiale per le lenti. Il materiale più utilizzato per la realizzazione delle lenti morbide è l’HEMA. È di fondamentale importanza che l’HEMA usato nelle lenti morbide sia esente da particelle o impurità. Tutto il monomero viene sottoposto ad un’approfondita analisi per verificarne la purezza. Questa analisi viene effettuata sotto a filtri che eliminano la luce ultravioletta, perché la luce ultravioletta viene usata per indurire l’HEMA e anche minimi quantitativi di raggi UV possono innescare il processo di polimerizzazione prima della produzione. Produzione delle lenti. La macchina a centrifuga è composta da due componenti principali: un centro di controllo computerizzato e un tavolo di produzione lenti. Il centro di controllo computerizzato monitorizza tutti gli aspetti della produzione. Controlla la quantità di monomero liquido iniettato in ogni singolo stampo e la velocità di rotazione dello stampo. Il tavolo di produzione lenti è una piattaforma girevole con più cavità rotanti. La produzione delle lenti ha inizio quando uno stampo viene fatto cadere in una cavità di rotazione. Quindi viene usata una siringa automatica ad alta precisione per iniettare un determinato volume di monomero liquido nello stampo girevole. Lo stampo ruota intorno al tavolo per un periodo di tempo preimpostato. Mentre ruota, la forza centrifuga, la gravità e la tensione superficiale agiscono sul materiale liquido della lente e distribuiscono il monomero su tutto lo stampo. Per impedire la formazione di bolle, questo processo viene effettuato a temperatura ambiente in un ambiente senza ossigeno con gas di azoto. La geometria della lente è determinata dal volume di materiale iniettato e dalla velocità di rotazione. La velocità di rotazione determina anche il potere
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finale della lente: più la velocità è elevata, più potere minore avrà la lente finale. Lo spessore centrale della lente è determinato dal volume del monomero iniettato nello stampo: maggiore è il volume, più elevato è lo spessore al centro. Dopo avere ruotato per circa 30 secondi, la forma della lente si stabilizza e viene polimerizzata (solidificata) sotto una serie di luci ultraviolette. Ora la lente è completamente formata. Tutto il processo dura dai 30 ai 60 secondi, a seconda della serie e del potere che devono essere ottenuti. In qualsiasi momento ci sono 24 lenti “in fase di elaborazione” sul tavolo girevole. La produzione a centrifuga usa un sistema “a lotti”, il che significa che ogni volta vengono prodotti un solo potere e una sola serie di lenti. Ogni lotto è composto da 700-850 lenti, e sistemi di registrazione manuali e computerizzati impediscono che vadano perse alcune serie o poteri di lenti o che vengano etichettati in modo errato. Finitura del bordo. Per produrre un profilo ideale e aumentare il ricambio lacrimale, tutte le lenti hanno un’inclinazione marginale periferica di 1,0 mm nella superficie posteriore. Un processo di rifinitura dei bordi con un diamante consente di rimuovere una piccola quantità di materiale dal bordo della lente e anche parte dello stesso stampo. Per questo motivo gli stampi vengono gettati dopo l’uso. Quindi l’area periferica della lente viene lucidata e rifinita per ottenere una superficie liscia. A questo punto la lente è completamente formata e rifinita e si trova in uno stato rigido all’interno dello stampo. Idratazione ed estrazione. La lente viene idratata in un bagno d’acqua sterile a 210° F/99° C. La lente assorbe circa il 38,6% del suo peso in acqua e si gonfia di circa il 12%. In queste condizioni è molto facile estrarla dallo stampo. Lo stampo viene smaltito e la lente idratata viene collocata in una camera di estrazione. Per le
cinque ore successive la lente viene risciacquata continuamente con acqua purificata a 190° F/80° C. Questo risciacquo elimina eventuali monomeri che non hanno reagito e altre impurità e assicura inoltre la qualità della lente. Ispezione per l’assicurazione della qualità. La lente finita viene sottoposta a una lunga serie di test per verificarne l’integrità e l’accuratezza dei parametri. Accettabilità estetica. Operatori valutano ogni lente controllando la presenza di possibili difetti. Per rilevare queste imperfezioni, le lenti vengono posizionate in celle d’acqua e ingrandite 10X con uno schermo per proiezioni. Se viene rilevato un qualsiasi difetto la lente viene distrutta. Tra le possibili imperfezioni rientrano: • segni lasciati dal tornio • segni della lucidatura • segni provocati da sollecitazioni • superficie toroidale • zona ottica scentrata • bordi scheggiati • criccature/perforazioni • bordi irregolari • graffi • segni lasciati dallo stampo • particelle • ruggine • segni lasciati dal flusso • scoloriture/macchie Stabilità dimensionale. Per ogni lotto, per verificare l’accuratezza dei parametri, viene controllato un campione casuale statisticamente rilevante di 30 lenti. Gli operatori controllano il diametro delle lenti, il valore sagittale, lo spessore centrale, il contenuto d’acqua e l’indice di rifrazione. Potere della lente. Gli operatori del controllo qualità usano un frontifocometro per misurare il potere di una lente in una cellula bagnata. 19
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Sterilizzazione. Prima della sterilizzazione 10 lenti di ogni lotto vengono contaminate con strisce di spore. Queste spore e qualsiasi altro microrganismo che possono contenere le lenti, vengono distrutti grazie all’elevata temperatura e alla pressione della sterilizzazione in autoclave. In autoclave le lenti vengono sterilizzate a 250° F per 30 minuti, poi quella stessa temperatura viene mantenuta per altri 30 minuti. Per ogni ciclo di sterilizzazione vengono mantenuti dei registri dettagliati sulle temperature. Dopo la sterilizzazione tutte le lenti vengono messe in quarantena per 72 ore. Le lenti precedentemente contaminate vengono esaminate con tecniche di coltura microbiologica per rilevare eventuali crescite microbiche. Al termine, le lenti usate per i test vengono distrutte. Naturalmente le lenti devono risultare prive di qualsiasi microbo prima che il lotto riceva l’autorizzazione alla vendita. Confezionamento. Dopo aver passato l’ispezione, le lenti vengono confezionate negli appositi contenitori. Etichettatura. Un sistema computerizzato abbina l’etichetta alla serie e al giusto potere del lotto, quindi sull’etichetta viene posta una pellicola trasparente di protezione. L’etichetta riporta dei parametri rilevanti per la lente, come il potere, la serie, il valore sagittale, la curva base e il diametro. Sull’etichetta compaiono altri due numeri importanti: la data di scadenza in cinque anni e il numero del lotto. La data di scadenza si riferisce alla confezione e alla soluzione salina, non alla lente stessa. Il numero di lotto rappresenta un modo per ricostruire il percorso della lente attraverso il processo produttivo e il controllo di qualità. Vantaggi e svantaggi. Il processo a centrifuga rappresenta uno sviluppo rivoluzionario nel settore delle lenti a contatto. Il design sottile della lente permette un’eccellente 20
trasmissibilità dell’ossigeno e prestazioni fisiologiche ottimali. Le lenti centrifugate hanno bordi dai profili rastremati e superfici lisce che consentono un grande comfort e possono ridurre i depositi superficiali. In realtà le lenti centrifugate sono così comode che i pazienti si adattano alle nuove lenti quasi immediatamente. Grazie al loro design particolare e alla loro natura estremamente flessibile, le lenti centrifugate sono facili da indossare. Ora non c’è più bisogno del lungo processo di selezione della curva base o di procedure complicate, come per le lenti realizzate con altre procedure di fabbricazione. Il processo a centrifuga è altamente automatizzato e controllato mediante computer. Per questo consente di ottenere lenti con una riproducibilità, una consistenza e un’accuratezza dei parametri mai avute finora. Tuttavia la tecnologia a centrifuga ha i suoi limiti. Ad esempio non è in grado di produrre lenti dalle geometrie complesse, come le lenti morbide toriche. In alcuni pazienti le lenti centrifugate possono decentrarsi leggermente. Questo non influisce sull’acutezza visiva o sul rendimento fisiologico, ma molti medici considerano questa particolarità un effetto indesiderato. Inoltre il prodotto centrifugato non include una designazione della curva base e alcuni medici ritengono che questo impedisca un calcolo di precisione. Ma le ricerche confermano che la designazione della curva base non produce differenze significative nel rendimento clinico. Inoltre, poiché le lenti centrifugate sono sottili e flessibili, sono più difficili da maneggiare, soprattutto a poteri bassi, e hanno un minimo movimento sull’occhio. Tuttavia la ricerca ha dimostrato che anche questo minimo movimento della lente - ridotto a 0,1 mm - produce un film lacrimale dinamico. Questo film lacrimale trasporta dietro alle lenti delle lacrime con ossigeno fresco e facilita la rimozione dei depositi a livello corneale.
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2. Tornitura La tornitura è il metodo più comune per la fabbricazione delle lenti a contatto morbide. È il metodo utilizzato per produrre le tradizionali PMMA e le lenti rigide permeabili al gas. La tornitura produce lenti leggermente più spesse e meno flessibili. Proprio perché sono così rigide, le lenti tornite non si adattano alla cornea con la stessa rapidità delle lenti centrifugate più flessibili. Preparazione del materiale. Il processo di tornitura inizia con un bottone preformato di HEMA polimerizzato che viene prodotto versando un monomero liquido in un tubo di vetro. La polimerizzazione avviene a temperature molto elevate e produce una barretta di materiale che viene poi tagliata in piccoli dischi piani detti bottoni. Produzione delle lenti. Dopo essere stato formato, il bottone viene posto in un tornio con utensile diamantato e viene fatto ruotare a velocità elevate. A sua volta l’utensile diamantato viene fatto ruotare sulla superficie del bottone. In questo modo si taglia il polimero e si ottiene una lente con curvature e una geometria precisa della superficie. La superficie centrale posteriore, detta curva base, viene generata per prima. Nella maggior parte dei casi, la porzione periferica posteriore della lente ha curve più piane che possono essere anch’esse tagliate nel bottone. Ora la lente è parzialmente finita e viene lucidata per eliminare eventuali graffi o imperfezioni causate dal processo di tornitura. Quindi la lente viene posta su un altro tornio, dove la superficie anteriore convessa viene tagliata e lucidata con l’esatta curvatura richiesta per un potere ottico adeguato. L’ultima fase è sottoporre la lente ad un processo di trattamento dei bordi. Questo si fa utilizzando le comuni tecniche di lucidatura dei bordi utilizzate per le lenti rigide. Una volta completata la tornitura, la lente viene idratata in soluzione salina per renderla flessibile.
Nella sua forma finale la lente viene misurata e controllata per verificarne la precisione, ispezionata per controllarne i difetti estetici, etichettata, sterilizzata e testata per appurarne la sterilità. Vantaggi e svantaggi. Poiché molti programmi educativi insegnano la tecnica di calcolo della curva base, molti ottici credono che le lenti tornite con curva base offrano una maggiore precisione. Benché i materiali abbiano delle formulazioni chimiche identiche, il processo di polimerizzazione delle lenti tornite produce delle caratteristiche del materiale completamente diverse da quelle del polimero utilizzato nella tecnica a centrifuga. Queste differenze spiegano anche la leggera differenza nel rendimento “sull’occhio” tra le lenti centrifugate e le lenti lavorate al tornio. Poiché le lenti tornite sono più spesse e meno flessibili di quelle centrifugate, presentano dei movimenti sull’occhio leggermente maggiori e sono più facili da maneggiare, soprattutto a bassi poteri. Ma le lenti tornite tendono ad essere meno comode di quelle centrifugate e il loro profilo più spesso causa una leggera diminuzione nella trasmissibilità dell’ossigeno. Il processo di tornitura lascia poco spazio agli errori di produzione. Alcune lenti a gradazione minore possono essere sottili fino a 0,035 mm nel centro. Com’è noto, le lenti a contatto devono essere prodotte nell’ambito di tolleranze estremamente critiche. Il tornio lascia scanalature e imperfezioni leggerissime sulla superficie della lente e alcuni medici ritengono che questi graffi attirino depositi di proteine. Le lenti tornite devono essere pulite attentamente. Ma una pulizia eccessiva può alterare la curvatura e danneggiare le qualità ottiche della lente. Le lenti tornite sono difficili da riprodurre, perché non è facile verificare delle geometrie intricate ed eventuali sottigliezze possono andare completamente perse in fase di lucidatura. La maggior parte dei produttori usa dei design molto semplici. Tuttavia negli ultimi anni i torni controllati da computer hanno ridotto i 21
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problemi e ora la tornitura è diventato un metodo di produzione molto più praticabile. Rispetto al sistema a centrifuga, la tornitura è più lenta e laboriosa. Ci vogliono circa 30 minuti per completare l’intero processo. Di conseguenza i costi di produzione delle lenti sono quattro o cinque volte superiori a quelli della procedura a centrifuga.
3. Processo combinato Come si può vedere, ci sono vantaggi e svantaggi in entrambi i sistemi al tornio e a centrifuga. È stato quindi sviluppato un nuovo processo che unisce il meglio delle due tecniche e riduce gli aspetti negativi (combinato). Con tale processo la superficie anteriore della lente viene prodotta con la tecnica a centrifuga, mentre la superficie posteriore della lente viene tornita. Processo di produzione. La superficie anteriore della lente viene prodotta per prima. Per questa superficie il processo utilizza lo stesso monomero di base e la stessa tecnologia di stampaggio del processo di centrifugazione. Lo stampo viene modificato leggermente per includere un collare scanalato che consente di collocare la lente su un tornio nella fase di lavorazione successiva. Questi stampi contengono una geometria precisa che determina la curvatura anteriore della lente. Gli stampi vengono usati un’unica volta e poi vengono distrutti. Dapprima lo stampo viene posto in una cavità girevole. Quindi viene iniettato il monomero liquido. Usando la luce ultravioletta il materiale viene polimerizzato e si ottiene un pezzo fuso. Poi il pezzo fuso viene trasferito su un tornio computerizzato che taglia la giusta geometria per la superficie posteriore della lente. Per lucidare la superficie posteriore della lente vengono usati vari utensili. Questa lucidatura consente di ottenere la superficie più liscia possibile dal processo di tornitura. A questo punto la lenta viene posta in una camera di idratazione calda ed estratta dallo stampo. 22
Vantaggi e svantaggi. La superficie anteriore della lente prodotta a centrifuga è molto liscia, cosa che le conferisce una qualità ottica cristallina, un comfort eccellente e un profilo del bordo ideale. La superficie posteriore lavorata al tornio aumenta le prestazioni sull’occhio con un movimento ed una centratura ottimi. La tornitura crea anche una lente rigida più durevole. Ciò rende la lente più facile da maneggiare anche a poteri bassi.
4. Stampaggio Lo stampaggio è il quarto processo utilizzato per produrre lenti a contatto. Con questo metodo di produzione viene creata una lente tra due stampi in acciaio, ottone o plastica. Gli stampi sono disegnati con una precisa geometria superficiale anteriore e posteriore. Diversamente dalla tecnica a centrifuga, è necessario uno stampo diverso per ogni potere. Produzione delle lenti. Nello stampaggio vengono uniti due stampi e nella cavità tra i due viene iniettato un polimero liquido. Il polimero liquido si sostituisce all’aria nella cavità e viene polimerizzato, formando una lente completa. Quindi la lente viene estratta dallo stampo. Possono poi essere eseguiti altri processi, come la lucidatura dei bordi. Come le lenti centrifugate e tornite, anche le lenti fuse vengono idratate in soluzione salina, misurate, ispezionate, etichettate, sterilizzate in autoclave e testate per la sterilità. Stampaggio: vantaggi e svantaggi. I vantaggi dello stampaggio includono una buona riproducibilità, superfici lisce e un design sottile. Con lo stampaggio si riescono a produrre anche lenti ad alta e media idratazione. Tra gli svantaggi rientrano gli utensili complessi, che sono difficili da verificare e da sottoporre a manutenzione, gli elevati costi iniziali e, per alcune tecniche di stampaggio, tempi di produzione molto lunghi.
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6. Trattamenti superficiali Sono i trattamenti a cui viene sottoposta una lente a contatto, morbida o rigida, allo scopo di migliorare la bagnabilità. Sinteticamente si dividono in: 1. Trattamenti fisici di superficie 2. Trattamenti chimici
1. Trattamenti fisici
Tecnologia al plasma: utilizzando il 4° stadio della materia (plasma) in ambiente sotto vuoto si possono effettuare due differenti modalità di trattamento atti ad aumentare la bagnabilità di superficie ed a diminuire l’affinità con i depositi. Attivazione superficiale: dove non viene depositato alcuno strato di sostanza sulla superficie delle lenti a contatto ma vengono pulite ed attivate ionicamente con l’utilizzo di gas (ossigeno) sotto forma di plasma ad alta energia. Deposizione di strati monometrici ad alta performance di bagnabilità: utilizzando la tecnologia plasma viene deposto un COATING o un sottile strato di monomeroidrofilico sulla superficie delle lenti a contatto sempre sotto vuoto grazie al plasma.
• • • • •
HPMC (idrossi-propil-metilcellulosa) PVP (polivinilpirrolidone) HA (acido ialuronico) TSP (tamarind seed polysaccharide) PC (fosforilcolina)
I trattamenti permanenti invece utilizzano alte temperature, raggi UV o ultrasuoni per polimerizzare, legare o far aderire sulla superficie delle lenti a contatto molecole colloidali di una data sostanza ad altissima idrofilia, quali: • Acido ialuronico • Silicati di sodio o potassio • NVP Nvinilpirrolidone
2. Trattamenti chimici Sono metodologie di modifica permanente o temporanea della superficie delle lenti a contatto. I trattamenti temporanei prevedono l’immersione delle lenti in soluzioni contenenti un agente surfattante che poi viene rilasciato durante l’uso quali: • PVA (alcol polivinilico) • PEG (polietilenglicole) 23
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7. Inquadramento legislativo
8. Identificazione di una lente a contatto
Dal punto di vista legislativo, le lenti a contatto sono biomateriali appartenenti al gruppo dei dispositivi medici. Si definisce biomateriale un materiale concepito per interfacciarsi con i sistemi biologici per valutare, dare supporto o sostituire un qualsiasi tessuto, organo o funzione del corpo (II International Consensus Conference on Biomaterials, Chester, Gran Bretagna, 1991). La direttiva CEE 93/42 definisce il dispositivo medico come uno strumento, un apparecchio, un impianto, una sostanza, o altro prodotto usato da solo o in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo di: • diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; • diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; • studio, sostituzione e modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; • intervento sul concepimento, purché non eserciti l’azione principale nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici, né mediante processo metabolico, ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi. In base al Dls n. 46 24/02/1997 e successive modifiche "Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici”, le lenti a contatto rientrano nei dispositivi medici invasivi di classe II.
Nel 1999 l’ISO (ISO 1153:1999) ha standardizzato i metodi di classificazione dei materiali. Grazie a questo sistema è possibile inquadrare tutti i parametri necessari ad identificare una lente a contatto: Prefix: indicativo della molecola. Stem: suffisso focon per materiale rigido, filcon per materiale morbido. Series: lettere A-B-C ecc. per indicare la serie di produzione della molecola. Group: idrofilia e ionicità (I, II, III, IV) (Tab 3). Dk range: codice di identificazione del Dk (Tab 1). Codice di modifica superficiale: indicato dalla lettera m, quando la superficie della lente è stata trattata con un procedimento che ha modificato, in parte, le caratteristiche chimico fisiche del materiale. A titolo di esempio: 1. Codice identificativo: Paflufocon B III 3 Prefix: Paflu - molecola Stem: focon - mteriale rigido Series: B - seconda formulazione Suffix: III - contiene sia silicone che fluoro Dk range: 3: un Dk compreso tra 31-60 unità. 2. Metafilcon A IV 1 Prefix: Meta - indicativo della molecola Stem: filcon - materiale morbido Series: A - prima formulazione del polimero Suffix: IV: H2O ≥ 50%, materiale ionico Dk range: 1 - Dk compreso tra 1-15 unità
Gruppo
Lenti rigide
Lenti Morbide
I
No silicone, no fluoro
< 50% H2O, non ioniche
II III IV
No silicone, no fluoro Sì fluoro, sì silicone No silicone, sì fluoro
>50% H2O, non ioniche < 50% H2O, non ioniche < 50% H2O, non ioniche
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Tab. 3 L’FDA suddivide le lenti a contatto morbide in 4 gruppi a seconda della presenza di silicone, del contenuto di acqua e della carica ionica.
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9. Interazione tra lente a contatto e superficie oculare Si riportano sinteticamente gli elementi di fisiopatologia, essenziali, dell’interazione tra superficie oculare e lente a contatto. Nel momento che una lente a contatto di qualsiasi tipo viene applicata, entra in stretta correlazione con le strutture principali della superficie oculare quali film lacrimale, palpebre e cornea. Nel momento che la lente a contatto viene applicata, viene immersa nel film lacrimale. I continui ammiccamenti generano una pressione all’interno del sacco congiuntivale tale da consentire al film lacrimale di essere spinto verso i dotti lacrimali e, contemporaneamente, di essere sostituito con il film lacrimale di nuova produzione (meccanismo della pompa lacrimale). Il movimento di chiusura della rima palpebrale, inoltre, genera uno stress meccanico sulla lente a contatto tanto da farla collassare su se stessa. Durante l’apertura invece, la lente a contatto a seconda delle sue caratteristiche costruttive, riprende, più o meno rapidamente, la sua forma originaria. Tutto ciò, però, innesca una serie di processi fisiopatologici che, se ignorati o sottovalutati, potrebbero arrecare danni più o meno gravi alla superficie oculare.
9.1 Palpebre - Meibomite, Congiuntivite gigantopapillare, Ptosi La dinamica palpebrale, nel soggetto sano, prevede circa 15-20 ammiccamenti al minuto. Durante questi movimenti di apertura e chiusura della rima palpebrale, la congiuntiva tarsale è sottoposta ad un continuo “sfregamento” contro il bordo e la superficie della lente. Questo determina l’instaurarsi di fenomeni infiammatori, a carico dell’epitelio e dello stroma congiuntivale, che si manifestano sia con alterazioni delle ghiandole accessorie congiuntivali (Krause, moll
ecc), sia con ostruzione delle ghiandole di Meibomio (Meiboimite) (Fig. 9), sia in forma di congiuntivite giganto papillare (Fig. 10). In molti casi, quando l’uso delle lenti a contatto è prolungato e la geometria non idonea (lente larga), lo stimolo infiammatorio interessa gli strati più profondi delle palpebre coinvolgendo il muscolo elevatore delle palpebre ed il muscolo del Muller con conseguente ptosi.
9.2 Film lacrimale - Sindrome della lente stretta La lente a contatto immersa nel film lacrimale scinde lo stesso in due porzioni (menischi). La porzione pre lente (menisco pre lente) e la porzione post lente (menisco post lente) (Fig. 11).
Fig 9 Meiboimite.
Fig 10 Congiuntivite giganto papillare da lac.
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Il menisco pre lente ricopre la superficie esterna della lente a contatto ed è costituito principalmente dallo strato lipidico e acquoso del film lacrimale e, in virtù della presenza della lente stessa, perde i suoi rapporti sia con lo strato mucoso del film sottostante, sia con il glicocalice e le mucine degli epiteli corneale e congiuntivale. Per tale motivo è scarsamente stabile e tende facilmente ad evaporare. Il menisco post lente, invece, è rappresentato, principalmente, dallo strato acquoso e da quello mucoso ed è a diretto contatto con il complesso glicocalice - mucine degli epiteli corneale e congiuntivale. In virtù di ciò il menisco, post lente, è più stabile di quello pre lente, ma tende a ricambiarsi più difficilmente, e meno frequentemente, con gli ammiccamenti. Le lenti morbide, per loro natura chimica, presentano una quantità di acqua legata ai terminali monomerici, ed una quantità libera, proveniente dal mezzo esterno (blister, film lacrimale, ecc.) che occupa lo spazio tridimensionale tra le varie catene polimeriche. L’acqua libera evapora rapidamente a contatto con l’aria. Il rapporto tra la quota di acqua libera e legata, espressa in percentuale, determina l’idrofilia della lente. Quando applicata, la lente a contatto tenderà ad assorbire l‘acqua presente nel film lacrimale al fine di saturare i legami covalenti, trasformandosi in acqua legata, in un ciclo continuo garantendo le caratteristiche geometriche e di biocompatibilità della lente.
Fig 11 Menisco pre lente e post lente (da Troiano et al).
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Appare chiaro che quanto maggiore sarà l’idrofilia di una lente, maggiore sarà la quantità di acqua che verrà “sottratta” dal film lacrimale. Nel caso in cui la produzione di film lacrimale da parte del paziente non sia ottimale, si ridurrà sia l’apporto di acqua alla lente, sia la quantità di film lacrimale disponibile. Ciò provocherà due condizioni, la prima caratterizzata da un aumento dell’osmolarità lacrimale con conseguente secchezza e relativo disconfort oculare, la seconda caratterizzata da assottigliamento, riduzione del raggio di curvatura e riduzione del Dk. Si instaurerà così la Sindrome della Lente Stretta (tight lens sindrome) caratterizzata da uno shift positivo del potere diottrico della lente e dall’instaurarsi di fenomeni di ipossia tissutale. Questa sindrome è frequente nei portatori di lenti a contatto morbide che richiedono elevate quantità di acqua e che, in virtù del loro elevato raggio di curvatura che le rende immobili, non favoriscono un ottimale ricambio di lacrime; mentre è assente nei portatori di lenti rigide vista sia la loro bassissima idrofilia che difficilmente causa secchezza oculare, sia il loro piccolo raggio di curvatura che, rendendole mobili, favorisce il ricambio di lacrime. Tale sindrome si previene sia con una attenta valutazione dello stato della superficie oculare, sia mediante l’instillazione ripetuta di colliri a base di soluzione fisiologica durante il porto delle lenti a contatto.
9.3 Cornea - Sindrome da porto prolungato, danni meccanici Essendo un tessuto avascolare, la cornea deve gran parte del suo nutrimento all’ossigeno presente nel film lacrimale e proveniente dall’esterno. La lente a contatto in virtù delle sue proprietà chimiche interrompendo la continuità del film lacrimale, riduce più o meno drasticamente l’apporto di ossigeno alla cornea. L’ipossia conseguente ad un uso prolungato delle lenti a contatto innesca una cascata di eventi
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che configurano la Sindrome da porto prolungato (over wearing syndrome). Nella prima fase si assiste ad un aumento del PH intracellulare con attivazione del metabolismo anaerobico del glicogeno ed acidosi tissutale, che comporta una compromissione del plesso nervoso trigeminale pericheratico con conseguente ipoestesia corneale; principale responsabile dell’adattamento dei pazienti all’uso di lenti a contatto per tempi prolungati. Nella seconda fase l’ipoestesia determina una riduzione degli ammiccamenti con riduzioni dello stimolo a produrre lacrime. Ciò si traduce in una secchezza oculare con discomfort e fenomeni di intolleranza, anche dopo poche ore, all’uso di lenti a contatto. Successivamente si assiste alla sofferenza, conclamata, dell’epitelio corneale, che tende sia a mostrare infiltrati di cellule infiammatorie sia a sfaldarsi con insorgenza di fenomeni ulcerativi (cheratopatia puntata) (Fig. 12). Nella fase terminale, quando l’ipossia è persistente e prolungata, si assiste alla compromissione dell’endotelio corneale, con polimegtismo e perdita di cellule (blabes), si assiste quindi all'alterazione dei meccanismi di scambio endotelio-stroma con perdita sella trasparenza corneale (sub edemea) (Fig. 13). Oltre che a sofferenza di natura ipossica, la cornea
può essere esposta a danni di carattere meccanico quali abrasioni o ulcere causate tanto dalla secchezza oculare quanto dalla alterata geometria ma principalmente, dalla cattiva gestione da parte del paziente. I quadri clinici sopradescritti possono interessare sia i portatori di lenti a contatto morbide, rigide e rigide gas permeabili. La prevenzione consiste sia nell’idratazione frequente delle lenti a contatto attraverso l’instillazione di colliri a base di soluzione fisiologica, sia nel limitare le ore di utilizzo ad un massimo di circa 6-8 ore per le lenti morbide e 10-12 ore per quelle rigide.
Fig 12 Cheratopatia puntata.
Fig 13 Sub edema corneale con polimegatismo endoteliale.
9.4 Congiuntiva - La congiuntivalizzazione limbare, Epiteliopatia da sfregamento L’iperosmolarità lacrimale indotta dalla lente a contatto morbida, innesca una serie di processi infiammatori a carico della congiuntiva. Si osserva una perdita di cellule mucipare e di villi congiuntivali che a lungo andare porta alla comparsa di una metaplasia squamosa dell’epitelio congiuntivale. La metaplasia interessa anche la zona del limbus corneo-congiuntivale dove si manifesta sotto forma di una congiuntivalizzazione limbare a 360° (Fig 14). Nei portatori di lenti a contatto rigide, invece,
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l’effetto meccanico dello sfregamento della lente sulla congiuntiva determina l’insorgenza di una epiteliopatia da sfregamento; caratterizzata dalla presenza di piccole microulcere congiuntivali in prossimità del bordo della lente (Fig. 15).
9.5 Depositi - Biofilm Tutte le lenti a contatto, appena applicate, vengono immerse nel film lacrimale. Ciò provoca la formazione di un biofilm, sulla superficie delle lenti, costituito da proteine, sali minerali e oligoelementi propri del film lacrimale. Il biofilm rende la lente maggiormente biocompatibile. Un porto prolungato e una cattiva manutenzione delle lenti a contatto, però, provocano la denaturazione delle proteine del biofilm stesso. Queste proteine denaturate si legano alla matrice polimerica in agglomerati più o meno evidenti, i depositi proteici (Fig. 16).
Questi depositi rappresentano siti di aggancio per altre sostanze come i grassi, depositi lipidici, ma principalmente per microorganismi patogeni quali virus, batteri o protozoi. La formazione di depositi è direttamente proporzionale alla ionicità e alla idrofilia della lente a contatto. La prevenzione consiste nel ridurre il porto delle lenti ed in una accurata e scrupolosa manutenzione con enzimi proteolitici.
9.6 Infezioni Tutte le lenti a contatto rappresentano siti preferenziali per lo sviluppo di infezione. Tale sviluppo è favorito sia dall’uso prolungato ma, principalmente, dalla cattiva gestione delle lenti a contatto. I microrganismi interessati sono i batteri, i funghi e i parassiti. I batteri più rappresentati sono tra i Gram + lo Stafilococco Aureus, lo Stafilococco CNS e lo Streptococco Pneumoniae, mentre tra i Gram - lo Pseudomonas, la Serratia Marcenses e la Klebsielle. Tali infezioni interessano sia le lenti rgp che le lenti morbide, ma studi recenti hanno evidenziato una forte tendenza a sviluppare infezioni da Pseudomonas in caso di lenti in silicone idrogel. I funghi sono rappresentati, principalmente dalla Candida, dall’Aspergillus e dal Fusarium. In letteratura
Fig 14 Congiuntivalizzazione limbare.
Fig 15 Disepitelizzazioni ed iperemia congiuntivale.
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Fig 16 Depositi proteici su lac.
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non sono riportati casi di colonizzazione funginea su lenti rigide gas permeabili, mentre risultano frequenti in presenza di lenti morbide in idrogel (Fig. 17). Tra i parassiti si annovera l’Acanthamoeba Castellani (Fig 18). La contaminazione avviene, principalmente, per cattiva gestione delle lenti a contatto, come lavarle con l’acqua di rubinetto, ed interessa sia le lenti a contatto rgp che le lenti a contatto morbide. In caso di sospetto di infezione è necessario asportare le lenti a contatto ed inviarle, con i relativi contenitori, presso un laboratorio per effettuare una coltura con antibiogramma. Successivamente verrà instaurata una terapia antibiotica o antifunginea mirata.
10. Esami applicativi
Al fine di prescrivere una lente a contatto è necessario sottoporre il paziente a pochi, ma mirati, esami diagnostici, di cui si eviterà la descrizione tecnica, bagaglio ampiamente in possesso di ogni oculista, ma si riporteranno solo i dati salienti ai fini della prescrizione contattologica.
10.1 Anamnesi Oltre che alle normali informazioni, l’anamnesi contattologica deve mirare, principalmente, a capire le abitudini di vita, le attività lavorative, le attività sportive, il perchè e la reale motivazione dell’uso di lenti a contatto. Quando completa, potrà fornire indicazioni sia sulla candidabilità all’uso di l.a.c. sia orientare sul tipo di lenti a contatto da prescrivere.
10.2 Esame esterno Ha lo scopo di valutare la presenza di esoftalmo, ptosi e altri processi patologici a carico degli annessi. I quadri patologici suddetti controindicano l’uso di lenti a contatto. Fig 17 Infiltrato fungineo.
10.3 Biomicroscopia del segmento anteriore Ha lo scopo di valutare la presenza di patologie corneali e congiuntivali ma, principalmente la presenza di segni e danni di occhio secco iposecretivo o evaporativo.
10.4 Test di Shirmer e BUT
Fig 18 Acanthamoeba.
Rappresentano un momento fondamentale della fase pre applicativa. I loro risultati permettono di stabilire, sia la natura del materiale ma, principalmente, la sua idrofilia. Appare chiaro che uno Shirmer e un 29
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BUT ai limiti bassi della normalità controindicano l’uso di lenti in idrogel ad alta idrofilia orientando la scelta verso un silicone idrogel, mentre valori elevati permettono l’utilizzo di idrogel tradizionali a media o alta idrofilia.
10.5 Refrazione È fondamentale per la scelta del materiale e della sua tipologia. I rilievi refrattivi ed oftalmometrici consentiranno di stabilire la tipologia di lente, sferica, asferica o torica, nonché il materiale. A seconda della componente sferica e cilindrica ci si orienterà su materiali rigidi o morbidi.
10.6 Topografia corneale e microscopia endoteliale Hanno lo scopo di fornire informazioni sui parametri corneali necessari per la scelta della geometria della lente e sulle condizioni dell’endotelio per la scelta del numero di ore di porto della lente. Mentre la topografia deve essere sempre effettuata dall’ottico applicatore, la microscopia endoteliale è a puro appannaggio dell’oculista.
11. Esami post applicativi
Il controllo post applicativo viene effettuato dall’ottico applicatore e dall’oculista. Il controllo oculistico avviene dopo 7 giorni dall’inizio dell’utilizzo delle lenti a contatto con le stesse indossate da non meno di 4 ore. L’oculista valuterà:
11.1 Esame in sovra refrazione Viene effettuato rilevando il visus con la lente applicata al fine di stabilire il residuo refrattivo. È importante per comprendere se la lente a contatto annulla totalmente il vizio refrattivo o meno.
11.2 Biomicroscopia del segmento anteriore Valuterà vari parametri quali la bagnabilità, la presenza di depositi e la mobilità. Attraverso l’uso della fluoresceina si valuterà l’appoggio della lente. Successivamente alla rimozione della lente a contatto, sempre mediante l’uso della fluoresceina, si valuterà la presenza di deficit epiteliali o di superficie.
11.3 Topografia e biomicroscopia endoteliale Sono test da effettuare non prima di 3-6 mesi dall’utilizzo di lenti a contatto. La topografia post applicativa ha lo scopo di valutare gli effetti della lente sulla curvatura al fine di identificare la possibile presenza di warpage. La microscopia endoteliale, invece, permetterà di stabilire la presenza o meno di sofferenza endoteliale (polimegatismo, blabes).
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12. Grading scales
Rappresenta una forma di standardizzazione della situazione biomicroscopica della superficie anteriore. Ha la finalità di realizzare una “fotografia” della superficie assegnando un punteggio a diversi parametri quali l’iperemia bulbare, limbare e tarsale; la neovascolarizzazione corneale, lo staining corneale ed il polimegatismo endoteliale. Grazie a questo sistema sia l’oculista che l’ottico applicatore avranno dei parametri comuni, e condivisi, su cui poter lavorare. Di seguito è riportato un adattamento dalle Grading Scales del Prof. Efron (Contact Lens Practice - edito da Butterworth-Heinemann, 2010, ISBN 978-0-75068869-7).
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Bibliografia
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Appendice Guida al corretto utilizzo delle lenti a contatto (Come da Decreto Ministeriale pubblicato sulla G.U. n. 64 del 18/03/03, Art. 1 comma 3) • L’applicazione e l’uso delle lenti a contatto possono essere eseguiti solo quando le condizioni anatomofunzionali dell’occhio del paziente lo consentono. Esistono infatti alcuni fattori di rischio, rilevabili dallo specialista, che possono risultare responsabili di complicanze o dell’insorgenza di fenomeni di intolleranza. • Il medico specialista e l’ottico applicatore della lente sono consapevoli di tali problematiche e solo dopo un accurato esame del soggetto possono consigliare o meno l’uso delle lenti a contatto. • Per utilizzare le lenti a contatto in sicurezza è necessario seguire attentamente le istruzioni d’uso per una corretta applicazione, rimozione, pulizia e manutenzione. • Al fine di evitare danni agli occhi è importante verificare l’assenza di controindicazioni dal medico oculista e sottoporsi a controlli periodici. • Utilizzare le lenti a contatto sterili e non oltre il periodo raccomandato. • Al termine del periodo di utilizzo raccomandato nella confezione (giornaliero, bisettimanale, mensile ecc.) le lenti dovranno essere sostituite con un nuovo paio. • È necessario rimuovere le lenti e consultare il medico in caso di arrossamenti, bruciori, sensazione di corpo estraneo o eccessiva lacrimazione, vista offuscata o altri disturbi della vista. • I farmaci diuretici, antistaminici, decongestionanti, tranquillanti possono provocare secchezza dell’occhio, in tal caso è necessario consultare il medico oculista. • Se una sostanza chimica viene a contatto con gli occhi, sciacquare immediatamente e recarsi subito dal medico. • Evitare l’esposizione a vapori nocivi o lacche per capelli. • Utilizzare sempre soluzioni per lenti a contatto non scadute ogni volta che si ripongono le lenti e non usare mai acqua corrente per sciacquarle. 33
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• Non mettere mai le lenti in bocca per umidificarle. • Consultare il medico per le modalità di utilizzo durante le attività sportive. • Evitare l’uso di lenti a contatto in occasione di bagni al mare, in piscina e di docce nei luoghi pubblici. • Evitare l’uso di saponi contenenti creme, lozioni o oli cosmetici prima di utilizzare le lenti. • L’inosservanza delle norme per la corretta utilizzazione delle lenti a contatto può provocare gravi danni all’occhio. • Raramente possono verificarsi ulcere corneali responsabili di menomazioni visive. • Il rischio di contrarre la cheratite ulcerosa aumenta in caso di inosservanza delle norme d’igiene e di uso in caso di utilizzo delle lenti per un tempo più prolungato rispetto a quello raccomandato. • Il rischio di cheratite ulcerosa aumenta notevolmente nei fumatori. • Le lenti a contatto con protezione UV non sostituiscono gli occhiali da sole perché non ricoprono totalmente l’intero segmento anteriore. Pertanto, i portatori di lenti a contatto devono continuare a portare gli occhiali da sole in caso di esposizione ai raggi UV.
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Istruzioni per la manipolazione delle lenti
Istruzioni per la ma
uzioniLAC_x_IstruzioniLAC_x 04/10/12 14.29 Pagina 2
Prima di ogni manipolazione lavate e sciacquate accuratamente le mani, Prima di ogni manipolazione lavate e sciacquate accur asciugandole con un panno pulito che non lasci residui di tessuto sulle dita. lasci residui di tessuto sulle dita.
Istruzioni per la manipolazione delle lenti
Applicazione lente Applicazione lente Al fine di evitare errori, abituatevi, nelleAlfasi didiapplicazione e abituatevi, rimozione, nelle a evitare fasi di applicaz Prima di ogni manipolazione lavate e sciacquate accuratamente le mani,fine asciugandole conerrori, un panno pulito che non iniziare le relative operazioni sempre dalla stessa lente: in questo modo si lasci residui di tessuto sulle dita. stessa lente: in questo modo si eviterà di confonderle eviterà di confonderle. Applicazione lente Al fine di evitare errori, abituatevi, nelle fasi di applicazione e rimozione, a iniziare le relative operazioni sempre dalla stessa lente: in questo si eviterà le di confonderle. Primamodo di inserire lenti è importante
controllare che esse non siano capovolte, ossia che non rivolgano all'esterno la loro Prima partediinterna. inserire le lenti è importante controllare che esse non siano
Prima di inser capovolte, os
capovolte, ossia che non rivolgano all'esterno la loro parte interna.
Posizionate la lente sulla punta
Posizionate la lente sulla punta dell’indice della mano domidell’indice della mano dominante. nante. Ponete il Ponete dito medio della stessadella manostessa vicino mano alle il dito medio ciglia inferiori e abbassate la palpebra inferiore; sollevate la vicino alle ciglia inferiori e abbassate palpebra superiore col dito indice dell’altra mano e applicate la palpebra inferiore; sollevate la la lente al centro dell’occhio.
palpebra superiore col dito indice dell’altra mano e applicate la lente Rimozione lente al centro dell’occhio.
Posizionate la lente sulla punta dell’indice della man nante. Ponete il dito medio della stessa mano vic ciglia inferiori e abbassate la palpebra inferiore; solle palpebra superiore col dito indice dell’altra mano e a la lente al centro dell’occhio.
Rimozione Guardate verso l’alto e abbassate la palpebra inferiore, togliete la lente afferrandola lente tra pollice e indice. Rimozione lente
Guardate verso l’alto e abbassate la palpebra inferiore
Manutenzione Guardate verso l’alto e abbassate la palpebra inferiore, togliete la lente Per continuare a indossare in maniera confortevole le proprie lenti è necessaria un’accurata manutenzione. afferrandola train pollice e indice. Manutenzione Per la scelta del prodotto più idoneo considerazione delle specifiche esigenze e della tipologia di lente prescritta, è necessario avvalersi della consulenza del proprio specialista. Per continuare a indossare in maniera confortevole le La pulizia e il risciacquo sono necessari per rimuovere tracce di muco, secrezioni, depositi che si possono Per la scelta del prodotto più idoneo in considerazione accumulare sulle superfici delle lenti durante il loro uso. è necessario avvalersi della consulenza del proprio spe I prodotti per la manutenzione delle lenti a contatto in commercio, rispondono alle più elevate esigenze d’igiene e sicurezza garantendo la massima praticità ed efficacia. La pulizia e il risciacquo sono necessari per rimuo
accumulare sulle superfici delle lenti durante il loro I prodotti per la manutenzione delle lenti a contatto in Si raccomanda di sostituire le lenti e pulirle secondo le indicazionisicurezza dello specialista. garantendo la massima praticità ed efficacia
Avvertenze e precauzioni:
Se si avvertisse uno dei seguenti disturbi: prurito, eccessiva lacrimazione, dolore, scarsa visione, sensibilità alla Avvertenze e precauzioni: luce, rimuovere assolutamente le lenti. Sciacquare ogni giorno il portalenti con soluzione salina o disinfettante e lasciarlo asciugare all’aria le aperta. Sifresco raccomanda di sostituire lenti 35 Inserire le lenti prima di truccarsi. Non indossare le lenti in ambienti polverosi o fumosi. Non indossare le lenti durante le ore di sonno.
e pulirle secondo
Se si avvertisse uno dei seguenti disturbi: prurito, e luce, rimuovere assolutamente le lenti.
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Come prendersi cura delle lenti a contatto
Tutte le lenti a contatto (tranne le lenti a ricambio giornaliero) devono essere trattate ogni giorno, dopo l’utilizzo, con delle soluzioniche le puliscono, disinfettano e conservano. La scelta del sistema di manutenzione dipende dal tipo di lente, dal materiale,dalla frequenza di ricambio e dalla modalità di utilizzo. • Lenti a contatto giornaliere Non servono liquidi di manutenzione: a fine giornata basta gettare le lenti utilizzate e indossare un paio di lenti nuove la mattina seguente. • Lenti a contatto quindicinali e mensili è semplice prendersene cura: ogni volta che le rimuovi utilizza il sistema di manutenzione consigliato dal tuo specialista e riponile nel portalenti, fino alla successiva riapplicazione. • Lenti a contatto a sostituzione programmata Vanno rimosse ogni sera, pulite e risciacquate utilizzando il sistema di manutenzione consigliato dal tuo specialista e riposte nel portalenti, fino alla successiva riapplicazione. • I passi principali Pulisci le lenti a contatto con il liquido idoneo. Pulendo e disinfettando correttamente le lenti a contatto, eliminila quasi totalità dei batteri e puoi prevenire problemi legati alla formazione di depositi. Ricordati di rispettare le date di scadenza indicate sulle confezioni delle soluzioni. • Soluzioni Uniche Le soluzioni uniche svolgono diverse funzioni: puliscono, disinfettano, risciacquano e conservano tutte le lenti a contatto morbide. • Perossidi I perossidi sono disinfettanti efficaci che rendono inerti i batteri presenti sulla lente, ma che risultano irritanti se a contatto con gli occhi: devono essere quindi neutralizzati dopo il ciclo di disinfezione. • Soluzioni Saline Le soluzioni saline non effettuano un’azione disinfettante, ma sono indicate per risciacquare la lente ed eliminare residui di soluzioni disinfettanti.
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• Rub Lo sfregamento (rub) è una fase importante e fondamentale della manutenzione delle lenti a contatto, poiché grazie ad essa vengono rimossi i depositi superficiali e altri residui. l rub si effettua tenendo la lente sul palmo della mano, inumidendola con qualche goccia di soluzione e strofinandola delicatamente con un dito. • Portalenti Per conservarle nel modo opportuno, riponi le lenti a contatto nell’apposito portalenti, che deve essere sempre pulito. Ricordati di pulire e di sostituire regolarmente il portalenti, seguendo le indicazioni del libretto di istruzioni. • Umettanti Vengono utilizzati per rendere confortevole l’uso di tutti i tipi di lenti a contatto. Aiutano infatti a rimuovere particelle irritanti e nello stesso tempo umidificano le lenti, offrendo sensazioni di sollievo. Gli umettanti possono essere instillati direttamente nell’occhio con le lenti inserite, prevenendo così sensazioni di secchezza oculare, appannamenti o fastidi che possono verificarsi durante l’uso delle lenti. Una volta aperte e trascorso il periodo di tempo indicato sul foglio illustrativo o sulla confezione, le soluzioni devono essere buttate.
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Le cose da sapere sulle lenti a contatto
• Se non hai mai provato le lenti a contatto, consulta uno specialista che ti potrà consigliare la tipologia indicata per le tue esigenze e ti insegnerà a metterle e a toglierle correttamente. • Rispettare sempre le indicazioni legate alla manutenzione e alla frequenza di sostituzione. • Prima di indossarla, assicurarsi che la lente sia pulita, integra e non danneggiata. • Ricordarsi di lavare e asciugare scrupolosamente le mani prima di mettere o togliere le lenti a contatto. • Se le lenti provocano fastidi o arrossamenti, rimuoverle e far riposare gli occhi. Se i disturbi continuano, rivolgersi allo specialista di fiducia. • Fare attenzione a lacca per capelli, gel spray, profumo o qualsiasi altra sostanza che, nebulizzata, possa raggiungere gli occhi. • Rimuovere le lenti in piscina o indossare gli appositi occhialini da nuoto. • Non indossare le lenti durante le ore di sonno, salvo diversa indicazione dello specialista. • Non indossare le lenti in ambienti polverosi o fumosi. • Non indossare le lenti in concomitanza all’utilizzo di medicinali, incluso quelli oculari (salvo diversa prescrizione dell’oculista). • Non utilizzare mai acqua di rubinetto per sciacquare le lenti o il portalenti. • Non mettere mai le lenti in bocca per umidificarle. • Le lenti a contatto con protezione UV non sostituiscono gli occhiali da sole poiché non ricoprono totalmente l’intero segmento anteriore. Pertanto i portatori di lentia contatto devono continuare a portare gli occhiali da sole in caso di esposizione ai raggi UV. • Usare la punta delle dita per manipolare la lente (non utilizzare le unghie o oggetti taglienti). 38
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Note
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