MANUALE PRATICO DI VISION CARE - Presbiopia e lenti progressive ed evolute

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Presbiopia Lentiedprogressive evolute

Manuale pratico

© Copyright FGE srl

ISBN 978-88-97929-60-0

Ristampa Febbraio 2023

Prima Edizione Maggio 2017

FGE srl

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Luigi Mele

Medico Chirurgo - Oculista

Dipartimento di Oftalmologia, U.O.C. Trapianti di Cornea

Seconda Università di Napoli

Nicola Pescosolido

Medico Chirurgo

Roma

Silvano Abati

Esperto di lenti progressive Firenze

Indice

Introduzione 7 1 Presbiopia: variazioni strutturali dell’apparato visivo 9 Cornea 9 Sclera 10 Camera anteriore 10 Iride e pupilla 11 Cristallino 11 La compattazione delle fibre nucleari come funzione dell’invecchiamento e della catarattogenesi 17 Capsula 19 Zonula 20 Muscolo ciliare 21 Pressione intraoculare 23 Vitreo 23 Retina e coroide 23 Vie ottiche e aree visive corticali 24 2 Presbiopia: variazioni funzionali dell’apparato visivo 25 Ampiezza accomodativa .................................................................................................... 25 Acuità visiva 29 Sensibilità al contrasto 29 Campo visivo 30 Senso cromatico 30 Abbagliamento 31 Adattamento al buio 31 3 Scelta delle lenti progressive 33 Premessa 33
3a Lenti progressive a porto abituale 37 Introduzione 37 Cenni storici sulle lenti progressive 37 Aspetti caratteristici delle lenti progressive 44 Classificazione delle lenti progressive 54 Lenti progressive di ultima generazione, non personalizzate 58 Limiti imposti dalla scelta di una lente progressiva standard di ultima generazione 60 Lenti progressive personalizzate 64 Indicazioni e controindicazioni all’uso delle lenti progressive 67 Conclusioni 70 3b Lenti per la compensazione del vicino intermedio 73 Introduzione 73 Necessità visive per vicino-intermedio 73 Distanza massima d’uso di una lente per vicino intermedio 76 Tipologie di lenti per vicino-intermedio 80 Ordinazione di una lente per vicino intermedio .................................................... 83 Montaggio di lenti per vicino-intermedio 84 Conclusioni 85 3c Rilevamento parametri per un corretto montaggio ....................................... 87 Introduzione 87 Rilevamento dei parametri necessari per il corretto montaggio delle varie tipologie di lenti progressive 88 Distanza Assi Visuali (DAV) 89 Altezza centri pupillari dal bordo inferiore della montatura 91 Rilevamento della distanza apice corneale-lente (DAL) 92 Angolo di avvolgimento del frontale ........................................................................... 97 Rilevamento Computerizzato 98 Montaggio e controllo di L.P. 99 Dizionario essenziale .............................................................................................................. 101

Introduzione

Questa pubblicazione mira a fornire una panoramica esaustiva, e in linea con le più evolute tecnologie, sulle scelta delle lenti progressive.

Nel settore della compensazione della presbiopia con ausili ottici, le lenti che più riescono a rendere la visione del presbite vicina a quella del non presbite sono sicuramente le lenti progressive (L.P.).

In questo semplice Manuale, senza entrare in tecnicismi, dopo un breve cenno sulla loro nascita, verrà fornita una descrizione delle L.P. costruite con parametri standardizzati e previste per un uso generico definite solitamente come “L.P. standard a porto abituale”. Ne verranno poi illustrate le limitazioni e come queste possano essere generalmente superate utilizzando L.P. personalizzate (individuali). Di queste, oltre a fornire le indicazioni basilari necessarie a comprenderne l’uso, verranno illustrati i vantaggi e i casi in cui diventa pressoché indispensabile il loro utilizzo.

Nella seconda parte, dopo aver illustrato le tipologie di lenti per attività specifiche, ne descriveremo le caratteristiche e le peculiarità fornendo indicazioni per ottimizzarne l’uso.

Nella terza parte illustreremo le metodiche per il rilevamento manuale dei parametri necessari per un corretto montaggio ed i controlli da eseguire a lenti approntate.

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1 Presbiopia: variazioni strutturali dell’apparato visivo

La presbiopia, come già noto, è un fenomeno legato alla senescenza di molteplici strutture oculari dal segmento anteriore al vitreo, alla retina, alla coroide ed a livello dell’inserzione posteriore del muscolo ciliare (Kornzweig, 1951; Verriest, 1981; Weale, 1986; Glasser e Kaufman, 2003). Misurando la capacità accomodativa in funzione dell’età in altri primati è stato calcolato che anche le scimmie sperimentano un declino progressivo e lineare dell’ampiezza accomodativa. Tra tutte le modifiche oculari indotte negli anni, spiccano l’aumento di spessore del cristallino nello stato non accomodato e la riduzione di profondità della camera anteriore (Koretz et al., 1989).

Cornea

La trasparenza corneale è legata alla disposizione regolare delle fibre collagene a livello stromale. Le cellule epiteliali hanno un turnover di 5-7 giorni e svolgono un ruolo molto importante nel metabolismo corneale. Con l’età la cornea assume un colore giallo e diventa meno lucente (“sguardo spento”), compaiono il gerontoxon o il cerchio di Vogt e si riduce il diametro corneale per una tendenza alla degenerazione periferica. Alla nascita la cornea è più curva in periferia che al centro; con l’avanzare dell’età si nota un appiattimento progressivo a livello periferico. L’appiattimento centrale da compressione della palpebra superiore induce spesso un astigmatismo contro regola verso i 40 anni. Le variazioni ormonali portano alla ritenzione idrica con aumento della curvatura e dello spessore corneale, soprattutto stromale. La membrana di Bowmann diventa meno aderente all’epitelio sovrastante, mentre la Descemet si ingrossa (Mannucci et al., 2003).

La trasparenza della cornea dipende anche da una costante idratazione dello stroma per garantire la quale l’endotelio riveste un ruolo primario di pompa. Alla nascita, quest’ultimo conta circa 3000 cellule per mm2, distanziate in modo uniforme. Con

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l’età il loro numero diminuisce, specie tra i 3 e i 25 anni, successivamente in modo molto più graduale.

Oltre a una diminuzione di numero, alcune cellule endoteliali vanno incontro anche a modifiche di forma e dimensione ingrandendosi (pleiomorfismo e polimegetismo).

Superata una soglia critica di alterazioni l’endotelio non riesce più a svolgere una funzione efficiente (distrofia senile dell’endotelio) e si instaura edema.

In effetti, anche in assenza di edema la cornea diviene progressivamente meno trasparente con l’età, soprattutto alle brevi lunghezze d’onda (Weale, 1963, 1973; De Laey, 1988; Pruett, 1993). Questo evento è, tuttavia, meno marcato rispetto a quanto avviene nel cristallino.

Inoltre, con l’età si verificano una diminuzione della sensibilità corneale, dovuta al degrado delle terminazioni nervose corneali ed un aumento della fragilità epiteliale corneale (Mannucci et al., 2003) .

Sclera

Con l’avanzare dell’età aumenta la rigidità sclerale e si riduce la massima velocità sistolica a livello dell’arteria oftalmica. Ciò indica un ridotto apporto ematico oculare (Mannucci et al., 2003).

Camera anteriore

L’aumento di volume del cristallino che si verifica con l’età determina una riduzione della profondità della camera anteriore. Questo porta ad una diminuzione del suo volume e ad un minor contenuto di umor acqueo, la cui composizione rimane invece invariata durante tutto l’arco della vita.

Inoltre, nelle persone anziane si può osservare un piccolo quantitativo di fibre iridee esfoliate fluttuare all’interno della camera anteriore, incrementando il rischio di sviluppare ipertono oculare. L’ipertono può essere provocato dal blocco pupillare o delle strutture angolari da parte del cristallino intumescente.

La filtrazione a livello del canale di Schlemm è fortemente influenzata dall’età; il deflusso a livello della parete interna dell’endotelio trabecolare risulta ridotto. Queste modificazioni sono il risultato della riduzione del numero di vacuoli giganti e dei pori intracellulari. I pori marginali o intercellulari non seguono lo stesso percorso evolutivo ma potrebbero avere un ruolo più importante nella regolazione della permeabilità transendoteliale.

Nei soggetti anziani con riduzione della profondità della camera anteriore, un edema

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ipossico notturno da lenti a contatto permanenti può provocare picchi di ipertono oculare. Perciò, soprattutto nel paziente anziano, è necessario un accurato esame obiettivo prima di prescrivere lenti ad impiego continuativo (Mannucci et al., 2003).

Iride e pupilla

Il diametro pupillare si restringe progressivamente con l’età. Se è inferiore a 2.4 mm circa, la scarsa quantità di luce che raggiunge la retina può rendere difficoltosa la visione.

Al contrario, la midriasi riflessa in condizioni mesopiche causa una riduzione della profondità di fuoco e peggiora la qualità della visione.

Cristallino

Il cristallino continua a crescere per tutta la durata della vita andando incontro a un incremento lineare di massa e volume (Glasser e Cambpell, 1998) (Figura 1.1). Quest’ultimo risulta da un aumento dello spessore per apposizione di nuove fibre dalla zona germinativa unicamente a livello della corticale anteriore e posteriore (Brown, 1974; Niesel, 1982; Koretz et al., 1997). Il nucleo, invece, non si modifica (Cook, 1994) (Figura 1.2). Le misurazioni hanno utilizzato tecniche ultrasonografiche (A-scan) e fo-

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Figura 1.1 Analisi ottica delle modifiche del cristallino correlate all’età

tografiche (Scheimpflug camera) considerando alcune variabili, tra le quali gli indici di refrazione dei mezzi diottrici e altri fattori di correzione nella fotografia Scheimpflug. L’incremento medio di spessore è stato calcolato tra i 13 (Koretz et al., 1989) e 24 μm/anno (Dubbelman et al., 2001).

Poiché la faccia posteriore non si sposta, si verifica una traslazione anteriore del nucleo e del solco centrale (Fischer, 1971; Pau e Kranz,1981; Pierscionek, 1994; Pierscionek e Weale, 1995; Glasser e Campbell,1996). Quindi, il centro di massa della lente avanza e la camera anteriore si riduce di profondità (Lowe e Clark, 1973; Brown, 1974; Koretz et al., 1989; Pau e Kranz,1991; Cook et al., 1994).

Un’altra modifica di forma della lente riguarda la curvatura. Uno studio su cristallini non accomodati di oltre cento soggetti di 10-57 anni mediante tecnica Scheimpflug ha mostrato una progressiva riduzione dei raggi di curvatura centrali della superficie anteriore e posteriore. In particolare, il raggio anteriore si accorcerebbe con gli anni più di quello posteriore. Perciò, con l’età, le facce del cristallino (specie quella anteriore) diventano più curve indipendentemente dalla capacità accomodativa (Brown, 1974). Contemporaneamente l’accomodazione perde man mano la sua efficacia nell’indurre una riduzione dinamica dei raggi di curvatura e si assiste al progredire della presbiopia (Tamm et al., 1992).

Le zone di discontinuità interne diventano più evidenti. Avvengono anche variazioni nell’aberrazione sferica. Mentre in un giovane che accomoda si verifica un aumento dell’aberrazione sferica negativa (stato sovra-corretto) con gli anni si passa a uno stato positivo (o non-corretto) (Glasser e Campbell, 1998). Si tratterebbe di proprietà ottiche età-dipendenti del cristallino dovute ad alterazioni strutturali e non solo all’attività accomodativa. Infatti, sottoponendo la lente a stress

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Figura 1.2 Crescita del cristallino umano con l’età: peso (a); spessore (b) (Brown, 1976; Harding et al. 1977)

meccanici simili a quelli accomodativi, si sono osservate modifiche molto più piccole di quelle reali.

Osservazioni in vivo ottenute mediante risonanza magnetica nucleare hanno permesso di constatare che il diametro equatoriale del cristallino non si modifica in rapporto all’età (Strenk, 1999, 2000). Precedentemente tali misurazioni venivano effettuate post mortem su cristallini isolati e avevano condotto, in taluni casi, conclusioni opposte (Weale, 1982; Schachar, 1992). All’espianto, tuttavia, il cristallino tende ad assumere una forma accomodata, ossia più arrotondata e con diametro equatoriale ridotto, particolarmente di più nei giovani che negli anziani. Quindi, in realtà si erano confrontati cristallini giovani in stato accomodato con cristallini anziani rigidi (Glasser e Kaufman, 1999).

In definitiva, con l’età si realizzano progressivamente sia un arrotondamento del cristallino con aumento dello spessore corticale che un avvicinamento della superficie anteriore della lente alla cornea. Entrambe le modifiche implicherebbero un progressivo aumento del potere diottrico totale con tendenza alla miopizzazione. In pratica, però, assistiamo al fenomeno opposto, ovvero il progressivo allontanamento del punto prossimo o presbiopia. Questo realizza il cosiddetto paradosso del cristallino (Koretz e Handelman, 1986, 1988; Pierschionek, 1990, 1993; Hemenger et al., 1995; Ooi e Grovesnor, 1995).

E’ stato ipotizzato che ciò possa avvenire a seguito di una riduzione nel gradiente dell’indice di refrazione del cristallino (Figura 1.3). Sia determinando i gradienti di concentrazione proteica (Fagerholm et al., 1981; Pierschionek, 1988; Pierschionek e Chau, 1989), sia mediante modelli oculari (Smith et al., 1992; Hemenger et al., 1995), sia considerando la velocità del suono nel mezzo (Dubbleman et al., 2001), appare consolidato che negli anni l’indice di refrazione a livello del nucleo non aumenta.

Figura 1.3 Con l’età si avrebbe una progressiva riduzione dell’indice di refrazione del cristallino, che compenserebbe l’accentuazione della curvatura

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D’altra parte, la concentrazione proteica nei vari compartimenti lenticolari sembra non diminuire a sufficienza e, quindi, rimane ancora indaginoso dimostrare sperimentalmente una correlazione tra l’età ed eventuali modifiche nel gradiente dell’indice di refrazione lenticolare (Glasser e Kaufman, 2003). Tra i vari tentativi, vi è il rilievo di un modesto aumento della percentuale di acqua nel nucleo ricavato dalla media di vari punti campionati lungo l’asse della lente per l’80% della sua lunghezza (Siebinga et al., 1991). Tuttavia, non il nucleo ma la corticale si ispessisce con l’età, quindi in un cristallino anziano l’80% della lunghezza assiale corrisponde ad una porzione maggiore di corticale che non di nucleo.

La capacità del cristallino di deformarsi a seconda dello stato di tensione della capsula si riduce notevolmente al progredire della presbiopia (Fisher e Petet, 1973). Sappiamo che la capsula, attraverso il rilasciamento della zonula e la contrazione del muscolo ciliare, guida l’arrotondamento del cristallino in accomodazione nel giovane. Se la capsula viene asportata, il cristallino isolato del giovane perde potere diottrico e assume una forma simile a quella non accomodata (Fincham, 1937).

Con l’avanzare degli anni si riduce sempre più la possibilità che la zonula e la capsula riescano a plasmare le masse lenticolari: nessuno stress meccanico accomodativo o sperimentale riesce a modificarne la forma già entro i 55 anni di età. In effetti, applicando la stessa forza di trazione al cristallino di un soggetto giovane (10-20 anni) si producono 16-12 diottrie accomodative in più che in uno di 60 anni, quando l’ampiezza accomodativa è ormai nulla (Glasser e Campbell, 1998). Oltre i 50 anni di età il cristallino non si modifica più né al variare della tensione zonulare né se viene asportata la capsula (Figura 1.4). Perciò, nel presbite, qualsiasi sia la forza del muscolo ciliare, la lente non si deforma (Glasser e Kaufman, 2003).

Figura 1.4 Tesi di Hess-Gullstrand: la risposta accomodativa del cristallino presbite si esaurisce molto prima di quella del cristallino giovane, in analogia a quanto osservato da Duane-Fincham

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La velocità delle variazioni di spessore lenticolare diminuisce con l’età dello stesso grado sia nell’accomodazione che nella deaccomodazione (Beers e Van der Heijde, 1994). Il cristallino è il fattore comune e limitante in entrambe le situazioni, per quanto da rilievi condotti sulle scimmie si nota anche una certa riduzione della velocità di contrazione del muscolo ciliare (Croft et al., 1998). Tuttavia, bisogna considerare che la stessa notevole riduzione di ampiezza accomodativa legata alla senescenza condiziona primariamente l’entità e la velocità delle variazioni di spessore della lente.

Secondo osservazioni di risonanza magnetica nucleare, l’aumento di spessore e la diminuzione di diametro equatoriale del cristallino dovuti all’accomodazione si riducono fino ad annullarsi verso i 50 anni di età mentre una certa mobilità dell’anello ciliare persiste anche oltre (Strenk et al., 1999, 2000).

Le masse cristalline, dunque, si presentano come il principale fattore di limitazione delle escursioni accomodative e deaccomodative con l’età: la viscosità aumenta, l’elasticità diminuisce, l’inerzia alla forza modellante della capsula rende impossibile qualsiasi variazione di forma. Si verifica, in effetti, un progressivo aumento della durezza del cristallino che continua ben oltre i 50 anni di età a cui la capacità accomodativa si annulla. Questo processo di invecchiamento risulta in ultimo nella formazione della cataratta.

Già all’età di 35 anni si nota una riduzione di trasparenza alle fotografie Scheimpflug.

Le cause sono la presenza di aggregati intralenticolari, una difettosa adesione tra le fibre cristalline che provoca squilibri elettrolitici e rigonfiamento cellulare nonché la comparsa di pigmenti fluorescenti o cromofori che assorbono le radiazioni luminose specie se di breve lunghezza d’onda (Sasaki et al., 1980).

Le proprietà elastiche del cristallino potrebbero essere alterate da modifiche delle proteine idrosolubili. Queste, però, influiscono anche sulla velocità del suono nel mezzo. In vari studi si assume che questa, come pure l’indice di refrazione globale della lente, rimangano costanti negli anni (1641 m/s) (Dubbleman et al., 2001; Kinge, 1999; Koretz et al., 1989). Tale affermazione è stata confermata da misurazioni biometriche ecografiche effettuate in vivo in 24 soggetti sani di 15-45 anni con acuità visiva ≥1: anche nei casi di iniziale presbiopia, la velocità del suono nella lente non variava (Beers e Van der Heijde, 1994). Quindi, bisogna ricercare la causa della perdita di elasticità del cristallino altrove, presumibilmente in alterazioni del citoscheletro e della membrana plasmatica (Beers e Van der Heijde, 1994; Maraini e Fasella, 1970; Bracchi et al., 1971).

Le modificazioni biochimiche del cristallino legate alla senescenza sono state oggetto di numerose ricerche. Il generale indurimento dei tessuti responsabile della pro-

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gressiva perdita di capacità accomodativa coinvolgerebbe essenzialmente il nucleo (Von Helmholtz, 1855; Fincham, 1937; Fischer, 1971; Nordmann e Mack, 1974; Pau e Kranz, 1991; Glasser e Campbell, 1996). Tuttavia, ciò non sembra potersi imputare a variazioni nel contenuto di acqua (Satoh, 1972; van Heyningen, 1972; Fischer e Petet, 1973; Nordmann 1973; Rink, 1985) ed anzi, l’idratazione del nucleo aumenterebbe con l’età (Siebinga et al., 1991).

Alcuni soluti delle fibre lenticolari come il sodio e il colesterolo aumentano negli anni mentre il potassio e i fosfolipidi diminuiscono (Rink, 1985). Si riduce pure l’attività enzimatica (esochinasi, fosfofruttochinasi, aldolasi, enolasi) (Dudgeon, 1986; Hockwin et al., 1986).

L’assenza di turn-over contribuisce alla comparsa di alterazioni delle proteine sia quantitative che qualitative. La concentrazione proteica diminuisce e si incontrano radicali liberi (Gillet, 1985; Hoenders e Bloemendal, 1993) (Figura 1.5). In particolare, la formazione di ponti disolfuro tra residui cisteinici e di altri legami covalenti causa la formazione di aggregati ad alto peso molecolare dapprima solubili in acqua, poi insolubili in acqua ma solubili nell’urea, poi insolubili anche in quest’ultima. Vi è deaminazione di residui di asparagina e glutamina, proteolisi a livello di siti caratteristici, glicosilazione enzimatica e fotossidazione di residui di triptofano (Harding, 1991). Queste reazioni possono essere frenate da agenti riducenti quali il glutatione, la cui concentrazione, però, diminuisce con l’età. La precipitazione delle macromolecole ad elevato peso molecolare, infine, è coinvolta nella patogenesi della cataratta (Lapko, 2002; Kamei, 2002).

Figura 1.5 Con l’età si verifica una progressiva perdita di solubilità nell’acqua delle proteine più vecchie e interne. L’albuminoide, nel nucleo, è insolubile. La disposizione a strati delle fibre determina una maggiore evidenziazione nel tempo delle bande di discontinuità, la cui curvatura si accentua

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La compattazione delle fibre nucleari come funzione dell’invecchiamento e della catarattogenesi

Le alterazioni sostanziali che si osservano nelle fibre dei nuclei embrionale e fetale durante l’invecchiamento possono condurre al decadimento della qualità ottica della lente soprattutto perché queste fibre sono localizzate presso la regione della lente definita dal margine pupillare.

Osservazioni cliniche del cristallino di pazienti anziani mostrano l’aumento dello scattering luminoso anche senza evidente riduzione visiva (Lerman, 1985).

Le marcate alterazioni a cui va incontro la morfologia delle fibre durante la senescenza influiscono in modo negativo sulla qualità ottica, perché queste fibre sono localizzate direttamente lungo l’asse visivo. La compattazione delle fibre durante l’età risulta in un aumento della complessità della membrana e questo può provocare l’aumento dello scattering luminoso da grandi particelle e in ultimo, ridurre la qualità ottica della lente col passare degli anni.

Lo scattering luminoso nella lente è stato attribuito alle interazioni tra il raggio incidente con le membrane cellulari e le proteine citoplasmatiche che producono, rispettivamente, scattering luminoso da piccole e grandi particelle (Trokel, 1962). Ciò ha suggerito che nella lente normale, la maggior parte dello scattering luminoso origina dall’interazione con le membrane delle fibre che hanno un più alto indice di rifrazione rispetto al citoplasma (Bettelheim, 1985). Il citoplasma è virtualmente trasparente grazie alla stretta associazione delle cristalline che minimizza le fluttuazioni dell’indice di rifrazione (Benedek, 1971; Delaye e Tardieu, 1983).

Anche se sono state osservate numerose modifiche biochimiche nei componenti delle membrane e del citoplasma delle fibre della lente con cataratta nucleare senile, la ragione dell’ eccessivo scattering luminoso deve ancora essere identificata definitivamente. Nella cataratta nucleare l’aumento significativo della compattazione delle fibre può essere considerato uno dei fattori che contribuiscono allo scattering eccessivo nella opacizzazione nucleare. La forma e le dimensioni della lente nell’uomo cambiano profondamente durante il suo sviluppo e maturazione. Attraverso la misurazione della crescita del cristallino umano si è stabilito che la dimensione equatoriale della lente aumenta in misura maggiore rispetto a quella polare (asse antero- posteriore A-P) (Duke-Elder e Wybar, 1961; Worgul, 1982; Kuszac e Brown, 1994).

Con il passare degli anni, la compattazione delle fibre nucleari avviene lungo l’asse A-P, un grado di compattazione ancora maggiore è legato alla formazione della cataratta nucleare (Al-Ghoul et al., 2001).

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Nella maggior parte dei casi di cataratta nucleare senile l’opacizzazione della lente inizia dal suo centro per poi allargarsi gradualmente. È stato notato clinicamente che la presenza di cataratta spesso provoca la riduzione dello spessore A-P della lente coinvolta, se messa a paragone con una lente normale della stessa età. Comunque, il grado di compattazione non è costante.

L’analisi morfometrica indica che, in generale, durante l’evoluzione della lente la compattazione maggiore delle fibre si verifica quando essa, non più giovane, diventa una lente di media età piuttosto che, quando dalla media età, essa diventa senescente. Questo periodo, coincide con quello in cui si diventa presbiti e si aggira intorno ai 40 anni d’età.

È probabile che la condensazione e la compattazione delle fibre nucleari durante l’età adulta contribuisca all’indurimento della lente e alla perdita della funzione accomodativa che caratterizza la presbiopia.

Il processo di compattazione delle fibre è probabilmente dovuto a diversi fattori. La più evidente modifica strutturale è la formazione di pieghe a forma di fisarmonica che rappresentano gran parte della compattazione lungo l’asse A-P. Queste pieghe iniziano a formarsi nel giovane adulto e aumentano sia in numero che in ampiezza col trascorrere dell’età. I cambiamenti strutturali che avvengono nella fibra in maturazione rappresentano eventi controllati di modifiche del citoscheletro (Kuwabara, 1968; Allen et al., 1987; Sandilands et al., 1995a, 1995b) e delle proteine cristalline (McFall-Ngai et al., 1985; Li et al., 1986; Bours et al., 1990; Garland et al., 1996) che accompagnano il normale processo evolutivo della lente e ciò è probabilmente necessario per il mantenimento a lungo termine delle fibre stesse. Tra la quarta e l’ottava decade di vita, l’accumulo di alterazioni legate all’invecchiamento, come la perdita di proteine e di acqua (Horwitz et al., 1983; Bours et al., 1987), modifiche delle membrane lipidiche (Borchman et al., 1994) e delle proteine, può risultare nell’incremento progressivo delle pieghe di compattazione. L’ulteriore incremento della compattazione delle fibre nella cataratta nucleare senile consiste in un’estesa alterazione delle proteine, disidratazione e perossidazione lipidica. Il principale fattore che influenza la compattazione è molto probabilmente la disidratazione del citoplasma che provoca necessariamente una riduzione del volume cellulare senza la riduzione della superficie cellulare.

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Capsula

Invecchiamento della capsula

Studi sul cristallino umano indicano che durante l’invecchiamento la capsula della lente subisce la perdita delle sue proprietà meccaniche parallelamente ai cambiamenti morfologici che in essa si verificano quali: la formazione di accumuli di inclusioni nella capsula anteriore (Seland, 1974; Mohan e Spiro, 1986), la scomparsa della struttura laminare (Seland, 1974; Perry et al., 1979) e l’aumento della sua densità (Dark et al., 1969; Sasaki et al., 1997).

Peczon et al.(1980) studiando le variazioni della composizione aminoacidica della capsula, che occorrono con l’età, hanno rilevato un aumento degli aminoacidi non collageni e un decremento della presenza degli aminoacidi collageni (idrossiprolina). Giacchè è la presenza di collagene a conferire ai tessuti connettivi lassi le loro proprietà meccaniche, è plausibile che queste modifiche della composizione aminoacidica, riscontrate durante il processo di invecchiamento della lente, siano responsabili della perdità delle proprietà meccaniche capsulari.

Il principale componente strutturale della capsula della lente è il collagene di tipo IV della membrana basale che è organizzato come rete molecolare tridimensionale (Barnard et al., 1992) e questa configurazione influenza notevolmente le proprietà meccaniche capsulari. La capsula risulta poco deformabile a causa dell’allineamento con orientamento della rete molecolare tridimensionale in direzione della forza deformante. Durante l’invecchiamento aumenta la rigidità della capsula e diminuisce la sua deformabilità e ciò suggerisce che si siano verificati cambiamenti geometrici della struttura della rete molecolare collagena.

L’aumento di volume della lente con l’età potrebbe essere responsabile dello stiramento della struttura collagena che limiterebbe ulteriori deformazioni.

Un altro fattore in causa potrebbe essere rappresentato dall’aumentato crosslinking della rete molecolare con l’età che concorrerebbe a limitare la deformabilità capsulare (Krag e Andreassen, 2003). Le molecole del collagene capsulare sono praticamente perenni. Ciò le espone in modo significativo a modifiche post-traduzionali, come la glicosilazione non-enzimatica (Cohen e Yu-Vu, 1983; Garlick et al., 1988), che, attraverso la formazione di crosslinks molecolari stabili (Andreassen, 1988; Garlick et al., 1988), provocherebbero l’alterazione delle proprietà meccaniche capsulari.

L’elasticità a 60 anni è ridotta alla metà nonostante l’aumento di spessore possa in parte compensare tale indebolimento (Fisher, 1969). L’estensibilità del foglietto anteriore passa dal 108% nel giovane al 40% nell’ultranovantenne (Krag, 1999). Di con-

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seguenza viene meno anche la capacità di modificare meccanicamente la forma del cristallino, tanto più che quest’ultimo si è accresciuto e indurito (Fisher, 1969).

La perdita di elasticità sembra dovuta alla formazione di ponti disolfuro e collagene atipico proveniente dalle cellule epiteliali (Dubois-Poulsen, 1985).

Negli anni la capsula diventa anche più permeabile e fragile (Weale, 1973).

Relativamente alla capsula bisogna considerare ancora le modifiche di spessore. Lo spessore del foglietto anteriore alla nascita è di circa 11 μm. Successivamente aumenta di due o tre volte fino alla sesta o settima decade di vita (20 μm a 60 anni per Fisher, 1969; 33 μm a 75 anni per Krag, 1999), dopodiché si riduce nuovamente. La continua crescita in volume del cristallino può influire sulle variazioni di spessore in settori specifici. In accordo con tale ipotesi, la capsula si assottiglierebbe con l’età specie a livello equatoriale.

Zonula

Con l’età si verifica il progressivo scivolamento in avanti dell’inserzione capsulare della zonula anteriore (Farnsworth e Shyne, 1979) (Figura 1.6). Questa linea di adesione si allontana dall’equatore del cristallino in misura costante fino ai 50 anni circa (l’età dell’annullamento della capacità accomodativa) e poi in maniera molto più accentuata. Infine, mentre nel giovane si repertano un gruppo di fibre zonulari anteriormente all’equatore, un gruppo in corrispondenza di esso e un terzo posteriormente, nell’anziano le inserzioni sono in maggioranza anteriori e le rimanenti in corrispondenza dell’equatore. Questa disposizione modifica la direzione di forza della zonula anteriore potendo in tal modo influire sulla ridotta efficienza accomodativa del presbite (Farnsworth e Shyne, 1979; Koretz e Handelmann, 1988).

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Figura 1.6 Cambiamento di direzione nell’inserzione capsulare delle fibre zonulari che diventa negli anni sempre più tangenziale al cristallino (Per cortesia del Prof. R. Meduri, Modificata).

La causa dello spostamento in avanti dell’inserzione capsulare della zonula anteriore sembra legata al continuo accrescimento del cristallino o a livello equatoriale o in senso antero-posteriore. In entrambi i casi si considera che il foglietto capsulare posteriore è più sottile e, forse, più cedevole di quello anteriore.

D’altra parte, la distanza tra l’inserzione capsulare della zonula anteriore ed i processi ciliari si mantiene costante. Di conseguenza, se anche la struttura e l’elasticità della zonula rimangono inalterate, si può dedurre che lo stato di tensione di tali fibre non cambia a causa dell’invecchiamento.

Lo spazio circumlenticolare diminuisce con l’età. Questo fenomeno può essere causato: a) da un allungamento del diametro equatoriale del cristallino, b) da uno spostamento centripeto dell’anello ciliare, che a sua volta può essere dovuto: b.1) alla trazione esercitata dalla zonula anteriore sul corpo ciliare sollecitata dalla continua crescita in spessore del cristallino in mancanza di un allungamento della zonula stessa; b.2) all’espansione del corpo ciliare verso l’interno del bulbo.

Muscolo ciliare

L’escursione accomodativa del muscolo ciliare si riduce progressivamente senza però annullarsi mai anche ad età molto avanzata (Tamm et al., 1992; Strenk, 1999, 2000). La forza di contrazione muscolare sembra aumentare fino ai 45 anni di età e poi gradualmente diminuire (Fisher, 1977).

Il riflesso per vicino è assolutamente conservato tanto che miosi e convergenza avvengono regolarmente. Quindi, si può supporre che la trasmissione dell’impulso dal centro neurale al muscolo effettore funzioni e che l’ostacolo si trovi a valle.

Nella presbiopia sono stati considerati vari fattori muscolari o extralenticolari:

1. Insufficienza funzionale dell’inserzione posteriore del muscolo ciliare.

Nella scimmia rhesus si osserva un graduale declino dell’attività accomodativa negli anni sovrapponibile a quanto avviene nell’uomo (Bito, 1982). Studi isto-patologici del muscolo ciliare in tali primati mostrano alterazioni sostanziali negli animali più vecchi (Lutjen-Drecoll et al., 1988; Tamm et al., 1991; Blum et al., 1997). In particolare, si evidenzia una perdita di elasticità nell’inserzione posteriore del muscolo ciliare alla coroide.

Nei tendini della scimmia giovane si repertano actina e desmina in abbondanza mentre in età avanzata compare un maggior numero di fibre collagene adese alle fibre elastiche. I tendini posteriori sono ispessiti e di forma irregolare. Compare tessuto connettivo neoformato tra i tendini elastici e l’epitelio pigmentato: in corrisponden-

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za delle terminazioni dei fasci muscolari si deposita materiale ialinizzato al di sotto della lamina elastica verso l’epitelio pigmentato. Lo strato elastico della membrana di Bruch è ispessito.

Queste alterazioni strutturali determinano una perdita di elasticità a livello dell’inserzione posteriore del muscolo ciliare e quindi, a parità di forza esercitata, una minore escursione accomodativa.

In effetti, lo studio del muscolo ciliare isolato di scimmia dopo stimolazione con agenti muscarinici dimostra che sia la forza di contrazione sia la potenza (in termini di incremento di forza) del muscolo rimangono indipendenti dall’età (Poyer et al., 1993).

E’ stato osservato che al limite, se l’inserzione alla coroide fosse inestensibile, la contrazione muscolare diventerebbe isometrica e non produrrebbe alcuno spostamento del corpo ciliare in avanti (Glasser e Kaufman, 2003).

2. Alterazioni a livello della porzione anteriore del muscolo nelle scimmie. Nella parte anteriore del muscolo ciliare nelle scimmie anziane si trova del tessuto connettivo neoformato tra le fibre longitudinali e quelle radiali (Lutjen-Drecoll et al., 1988).

3. Variazioni della forza muscolare nell’uomo con l’età. Studi istologici mostrano che le fibre muscolari si riducono ed il connettivo intramuscolare aumenta. Tuttavia, misurazioni indirette della forza di contrazione del muscolo ciliare mediante ciclografia ad impedenza e trazione meccanica dei tessuti oculari indicano che la forza non si riduce con gli anni (Swegmark, 1969; Saladin e Stark, 1975; Fisher, 1977; Stark, 1988). Il muscolo ciliare, infatti, si contrae anche se il cristallino e la capsula non cambiano più di forma, come avviene nel presbite. La forza di contrazione addirittura aumenterebbe con l’età, in particolare del 50% tra i 20 e i 40 anni (Fisher, 1977; Schachar e Anderson, 1995).

Questi risultati sono in accordo sia con le osservazioni sul comportamento del muscolo ciliare isolato di scimmia (Poyer et al., 1993) sia con la teoria classica dell’accomodazione (von Helmholtz, 1855; von Hess, 1901; Gullstrand, 1908).

4. Cambiamenti conformazionali del muscolo ciliare umano con l’età.

L’area totale, l’area delle componenti longitudinale e radiale e la lunghezza del muscolo a riposo diminuiscono. Le fibre longitudinali sarebbero le prime a mostrare depositi di collagene e segni di atrofia mentre le fibre circolari diventano ipertrofiche probabilmente per prevenire eventuali spostamenti antero-posteriori dell’equatore della lente (Tamm et al., 1992).

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L’apice interno del corpo ciliare a riposo si trova in una posizione più anteriore e allungata verso il centro dell’occhio, simile a quella che occupa nello stato accomodato dei soggetti giovani. Questa situazione potrebbe ostacolare la distensione della zonula anteriore al termine della contrazione muscolare e, quindi, l’avvicinamento dei foglietti capsulari e la deaccomodazione del cristallino (Stark,1988; Tamm et al., 1992).

Pressione intraoculare

In accomodazione, gli spazi connettivali tra i fasci muscolari vengono compressi e per contrazioni massimali risultano del tutto obliterati con marcata riduzione del deflusso uveo-sclerale. Pertanto, affinché non si verifichi un’ipertono, l’umore acqueo prende la via trabecolare, in cui avviene l’allargamento degli spazi intertrabecolari e del lume del canale di Schlemm.

Un eccessivo aumento di volume del cristallino con l’età può ridurre l’apertura dell’angolo irido-corneale (Hache, 1981). Per Klinke (1985) i pazienti che richiedono una correzione ottica per la presbiopia superiore alla media sarebbero più suscettibili al glaucoma.

Vitreo

L’invecchiamento del vitreo (Balazs e Denlinger, 1982; Balazs, 1990) è caratterizzato da una colliquazione pari al 10-20% del suo volume (talvolta anche del 50%) e da un collasso della trama collagene. Si possono associare distacchi posteriori di varia estensione che creano un’interfaccia ottica supplementare (Keeney e Keeney, 1985). Tuttavia, si verifica solo una piccola alterazione delle proprietà elastiche, in quanto i mezzi acquosi sono sostanzialmente incoprimibili e il contatto tra fibre zonulari posteriori e ialoide anteriore rimane integro per tutta la vita (Streeten e Pulanski, 1978). Le conseguenze sull’accomodazione non sono chiare ma le alterazioni delle proprietà del vitreo sono parallele alla graduale perdita di capacità accomodativa che conduce alla presbiopia.

Retina e coroide

L’invecchiamento si associa a un ridotto numero di fotorecettori, in particolare di coni. A livello foveolare sono circa 147.300 a 16 anni contro 50.000 a 70 anni (Hogan et al., 1971). Diminuisce anche la sintesi di enzimi e di proteine intrarecettoriali. La popolazione di cellule gangliari si riduce alla metà verso i 70 anni.

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Tuttavia, gli effetti dell’età sembrano più marcati a livello dell’epitelio pigmentato, dove la concentrazione cellulare si riduce alla metà permettendo una maggiore visualizzazione della sottostante trama coroideale. La metabolizzazione del segmento esterno rimane incompleta e ciò genera accumuli di lipofuscina intracellulari e sulla membrana basale (Marmor, 1986). Compaiono corpi colloidi della membrana di Bruch e zone di depigmentazione dell’epitelio pigmentato. La membrana di Bruch nell’anziano si caratterizza anche per un ispessimento e una ialinizzazione progressiva con perdita di elasticità. L’accumulo di lipidi ostacola il passaggio dell’acqua tra epitelio pigmentato e coriocapillare.

A livello della coroide si osserva una sclerosi vasale, una maggiore permeabilità alla fluoresceina e ritardi di riempimento della coriocapillare che aumentano con l’età.

L’atrofia della coriocapillare è relativamente frequente specie in zona peripapillare e in periferia; sarebbe dovuta ad occlusioni coriocapillari localizzate.

L’invecchiamento di questi vasi causa malnutrizione dell’epitelio pigmentato e della retina (Weale, 1963; De Laey, 1988; Pruett, 1993).

Vie ottiche e aree visive corticali

Le fibre del nervo ottico si riducono progressivamente di numero raggiungendo la metà a circa 70 anni. Al contrario, le fibre connettivali ed elastiche aumentano.

Lo spessore della corteccia striata diminuisce da 2400 μm a 20 anni a 1600 μm a 80 anni. Il numero dei neuroni nella zona corticale della proiezione maculare passa da 46 milioni di cellule per grammo di tessuto all’età di 20 anni a circa 24 milioni all’età di 87 anni.

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visivo

Ampiezza accomodativa

L’ampiezza accomodativa nell’uomo può raggiungere le 15 D nell’infanzia per decrescere poi in modo graduale fino alla quinta decade di vita, quando si annulla. In effetti, secondo i primi studi condotti con metodi soggettivi (push-up), tale funzione comincia a ridursi già prima dei 10 anni di vita con un andamento lineare di circa 2.4 D per decade; tuttavia, oltre i 50 anni sembrano residuare circa 2 D accomodative (Donders, 1864; Duane, 1912, 1922, 1925) (Figura 2.1). Così, se un adolescente emmetrope con il punto prossimo a 7 cm sviluppa oltre 14 D di accomodazione, un soggetto di 45 anni con il punto prossimo a 25 cm ha 4 D ed un anziano a 60 anni con il punto prossimo a 1 m sembrerebbe conservare ancora 1 D (Donders, 1864; Jackson, 1907; Duane, 1912, 1922, 1925). La media dei risultati di Duane possono essere descritti anche in termini di punto prossimo di un occhio emmetrope: ad esempio, un bambino di 10 anni riesce a mettere a fuoco un oggetto a 10 cm mentre un adulto di 50 deve allontanarsi a circa 1 m (Figura 2.2).

Impiegando un metodo oggettivo (stigmatoscopico) per valutare 212 occhi presbiti tra i 42 e i 60 anni, Hamasaki e coll. (1956) hanno trovato un limite di 52 anni in cui la capacità accomodativa sarebbe già totalmente scomparsa (Figura 2.3). Anche altri studi confermano tali osservazioni (Fisher, 1977). Esaminando lo stesso gruppo di persone con tecniche sia soggettive che oggettive, Koretz et al. (1989) hanno rilevato che secondo le prime tecniche persino gli anziani avrebbero un’accomodazione di almeno 2 D, mentre con le seconde (refrattometro di Hartinger) i valori sarebbero inferiori di 1.5–2 D ad ogni età fino alla totale assenza di accomodazione a 50.8 anni. Il declino sarebbe di 2.3 D per decade, ad andamento lineare ed inizio precoce. Di conseguenza, la maggior parte dell’ampiezza accomodativa è persa tra i 15 e i 45 anni (specie tra i 15 e i 35) e le curve nel grafico di Duane (1912) possono essere corrette sottraendo 1.5–2 D di accomodazione ad ogni età. La figura 2.4 confronta l’ampiezza accomodativa nel giovane e nel presbite a parità di stimolo.

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Figura 2.1 Riduzione dell’ampiezza accomodativa monoculare e binoculare con l’età Figura 2.2 Ampiezza accomodativa rispetto all’età valutata come distanza del punto prossimo secondo Duane Figura 2.3 Ampiezza accomodativa rispetto all’età valutata con metodo soggettivo (Duane) o oggettivo (Hamasaki)

A conferma di ciò, recentemente, è stato condotto uno studio da Anderson et al. (2008) che ha sottolineato l’importanza del metodo utilizzato per la misurazione dell’ampiezza accomodativa. Infatti, valutando l’ampiezza accomodativa con un metodo oggettivo, come l’autorefrattometro Grand Seiko (Ryusyo Industrial Co., Ltd., Kagawa, Japan) usato in questo studio, si ottengono valori molto più bassi rispetto a quelli ottenuti utilizzando metodi soggettivi. Inoltre, valutando l’ampiezza accomodativa in relazione all’età si deduce che la diminuzione più rapida si ha tra i 20 e i 50 anni. Infatti, confrontando vari studi (Hamasaki et al., 1956; Koretz et al., 1989; Wold et al., 2003; Ostrin et al., 2004; Anderson et al., 2008) si evidenzia che l’ampiezza accomodativa in relazione all’età diminuisce descrivendo una funzione sigmoidale, rimanendo più o meno stabile fino ai 20 anni per poi diminuire rapidamente tra i 20 e i 50 anni (Figura 2.5).

Le discrepanze sono attribuibili, come già evidenziato, all’inadeguatezza dei metodi soggettivi a misurare la reale ampiezza accomodativa e a distinguere quale situazione ottica sia responsabile del risultato del test. Non è detto che se un occhio vede nitidamente un carattere per vicino sia merito di una buona accomodazione. Oltre la quinta decade di vita è più probabile, invece, che si tratti di una favorevole situazione ottica di tipo però (più o meno) statico. Le metodiche soggettive come il push-up inducono, infatti, miosi che a sua volta allunga la profondità di campo (distanza dall’occhio entro cui l’immagine si può spostare senza perdere in nitidezza) e riduce l’aberrazione sferica e l’effetto Stiles–Crawford. Per lo stesso motivo i soggetti presbiti traggono beneficio da una forte illuminazione e hanno maggiori difficoltà la notte.

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Figura 2.4 Differente risposta accomodativa nel giovane e nel presbite a parità di stimolo secondo Duane-Fincham

D’altro canto, il comune impiego in clinica di una ulteriore addizione di 1 D sf nella correzione per vicino oltre i 50 anni ha numerosi vantaggi, tra i quali controbilanciare la diminuzione di trasparenza dei mezzi diottrici, la minore efficienza retinica senile e l’eventuale aberrazione sferica.

Nella prima infanzia si è tentato di usare i PEV da pattern per lo studio dell’attività accomodativa (Sokol, 1983). I primi segni di attività accomodativa sembra che compaiano tra i 2 e i 4 mesi di vita e che tra i 4 ed i 5 mesi raggiungano le 5-6 D. Tali risultati sono stati confermati con la fotorefrazione in bambini di 2-10 mesi con stimoli localizzati a 25-100 cm di distanza dagli occhi (Howland, 1987).

L’ametropia incide sulla presbiopia in modo tale che un ipermetrope con la correzione per lontano ha una riserva accomodativa inferiore rispetto a un emmetrope e, quindi, chiederà un’addizione di lenti positive per vicino in età più precoce. Un miope entro le 4 D può, invece, riuscire a vedere bene da vicino semplicemente eliminando la correzione per lontano.

Alcuni soggetti giovani hanno una riserva accomodativa marcatamente inferiore alla

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Figura 2.5 Ampiezza accomodativa in funzione dell’età valutata nei seguenti studi: Hamasaki et al. (1956), Koretz et al. (1989), Wold et al. (2003), Ostrin et al. (2004), Anderson et al. (2008) (da Anderson et al., 2008)

media, perciò, è importante misurare l’ampiezza accomodativa a tutte le età. La causa potrebbe essere una ipermetropia latente, una patologia sistemica od oculare intercorrente, un farmaco ma anche la mancanza di esercizio. Quest’ultimo evento si può verificare, ad esempio, in occhi miopi non abituati a indossare la correzione anche per vicino. Altre volte una ridotta ampiezza accomodativa, magari associata a insufficienza di convergenza, risulta idiopatica. Al contrario, alcuni soggetti in età avanzata sembrano vantare una riserva accomodativa più ampia della norma ma molto spesso il motivo è una relativa miosi. Se l’ampiezza accomodativa è scarsa, si suppone che parta a livello neurale un impulso maggiore del necessario per la messa a fuoco. Questo sforzo eccessivo viene interpretato dal cervello come se l’oggetto fosse più vicino di quanto realmente non sia. Poiché l’angolo sotteso da un oggetto piccolo ed a breve distanza corrisponde a quello sotteso da un oggetto più grande e lontano in proporzione si verifica una sorta di micropsia, ossia si interpreta l’oggetto come più piccolo della realtà. L’effetto opposto o macropsia sarebbe conseguenza, invece, di uno spasmo accomodativo. Tali fenomeni si possono verificare per l’assunzione di sostanze farmacologiche attive sul muscolo ciliare o per traumi (Knapp, 2002).

Acuità visiva

Secondo i primi studi di Donders (1864) all’età di 15 anni la visione sarebbe di qualità ottimale e rimarrebbe stabile fino ai 40-50 anni per poi ridursi progressivamente. Pur tenendo conto delle difficoltà estranee alla visione che impediscono a una persona anziana di avere le stesse performance di un giovane in un test di misurazione, la distanza rimane (Weale, 1975, 1985 ; Pitt, 1982).

Soggetti giovani spesso leggono 12/10 e forse oltre ma le comuni tavole ottotipiche non vanno solitamente al di là di questo carattere. Usando reticoli formati da righe bianche e nere Pirenne (1965) ha riscontrato che l’acuità visiva piena dovrebbe essere di 17/10.

Il decremento progressivo dell’acuità visiva con l’età avviene indipendentemente dal declino accomodativo (Charman,1989).

Sensibilità al contrasto

La sensibilità al contrasto misura la possibilità di discernere differenze di luminanza a vari cicli/grado ed a vari livelli di luminanza (Figura 2.6). Tale funzione diminuisce con l’età, specie dopo i 50 anni per le frequenze spaziali intermedie ed elevate (Figura 2.7).

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Alcuni ritengono che la causa sia la minore illuminazione retinica dovuta alla miosi senile o la diffusione della luce all’interno dell’occhio (Werner, 1981; Owsley, 1983; Wright e Drasdo, 1985; Sturr et al., 1986) mentre altri fanno appello soprattutto alla alterazioni legate all’invecchiamento della retina e delle vie ottiche (Morrison e Mc Grath, 1985; Elliot, 1987).

Campo visivo

L’ampiezza del campo visivo diminuisce progressivamente con l’età per la ptosi senile, la miosi legata all’età, le alterazioni del cristallino e la diminuzione dei neuroni nella retina e nelle vie ottiche. La sensibilità retinica, misurata con il perimetro automatico, diminuisce di 0.8 db per decade indipendentemente dalla densità del cristallino (Weale, 1963; De Laey, 1988; Pruett, 1993).

Senso cromatico

Con l’età soprattutto il blu e il verde si percepiscono meno.

Nel primo caso sarebbero implicate alterazioni di trasparenza della cornea e soprat-

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Figura 2.6 Capacità accomodativa e sensibilità al contrasto

tutto del cristallino, che nell’invecchiamento assorbe maggiormente le radiazione di corta lunghezza d’onda.

La perdita dei coni foveolari può determinare anche alterazioni nella percezione dell’asse rosso-verde (Weale, 1963; Le Rebeller et al., 1986; De Laey, 1988; Pruett, 1993).

Abbagliamento

Le persone anziane sono abbagliate facilmente per fenomeni di diffusione prodotti dal cristallino.

Adattamento al buio

La soglia di adattamento al buio si eleva con l’età. A 80 anni è più alta di circa 1.8 UL rispetto a quella di un soggetto di 20 anni. In gran parte l’innalzamento è dovuto alla ridotta trasparenza dei mezzi diottrici ma vi rientrano anche fattori retinici che sarebbero responsabili di una elevazione di circa 0.5 UL (Weale, 1963; De Laey, 1988; Pruett, 1993) (Figura 2.8).

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Figura 2.7 Andamento della sensibilità al contrasto all’aumentare delle frequenza spaziale dello stimolo nel giovane e nel presbite Figura 2.8 Adattamento al buio

3 Scelta delle lenti progressive

Premessa

Uno dei compiti che l’ottico e l’oculista si trovano ad affrontare più di frequente è il trattamento dei soggetti presbiti; questo prevede di determinare il giusto valore di addizione (*) (Add.), di consigliare quando e come utilizzare l’occhiale per vicino e di illustrare le caratteristiche degli ausili visivi che vengono proposti.

Il cristallino, organo responsabile dell’accomodazione (*), invecchiando riduce progressivamente la capacità di modificare la propria curvatura; ciò provoca una diminuzione del potere accomodativo (*) e di conseguenza un allontanamento del punto prossimo (*) dall’occhio.

La riduzione dell’ampiezza accomodativa (*) continua fino all’età di circa 60 anni. Questo comportamento comincia a creare problemi mediamente dai 40 anni in poi, età in cui insorgono i primi segni di affaticamento o di sfuocamento (*) nella visione da vicino.

La difficoltà non è legata solo al valore d’accomodazione disponibile, ma anche alle esigenze visive cui la persona deve far fronte: se consideriamo, ad esempio, due soggetti che hanno la stessa ampiezza accomodativa ma dei quali uno usa la visione da vicino solo per leggere per pochi minuti, mentre l’altro deve sostenere un’intera giornata di lavoro a distanza prossima, è intuibile come quest’ultimo manifesterà molto prima i sintomi della presbiopia.

Il soggetto presbite non corretto o sottocorretto riferisce di essere costretto a “sforzare” i propri occhi quando svolge le attività da vicino; ciò provoca l’insorgenza di disturbi astenopici (*) caratterizzati da mal di testa, bruciore degli occhi, nausea e sonnolenza.

La spiegazione più realistica di questo sintomo è che lo sforzo accomodativo (*) necessario va ad intaccare quella riserva di potere accomodativo non sfruttata, generalmente valutata come corrispondente alla metà o ad un terzo del potere accomodati-

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vo stesso, che consente di mantenere una visione confortevole nel tempo. Inoltre lo sforzo accomodativo può richiamare un valore eccessivo di convergenza accomodativa (*) inducendo affaticamento anche a livello del sistema motorio.

Anche le ametropie presenti influenzano l’insorgenza della presbiopia in modo diverso a seconda che siano corrette o meno: l’ipermetrope non corretto o sottocorretto ha il punto prossimo più lontano dell’emmetrope, cosicché i sintomi della presbiopia compariranno in anticipo; al contrario, il miope non corretto o sottocorretto sfrutta l’eccesso di potenza per compensare il deficit accomodativo e questo ritarderà la comparsa dei problemi legati alla presbiopia.

Nel caso in cui l’ametropia sia corretta con lenti oftalmiche vi è ugualmente un comportamento diverso: al miope è richiesto uno sforzo accomodativo minore ed all’ipermetrope maggiore: la variazione dipende della potenza della lente oftalmica e dalla sua distanza dall’apice corneale (DAL). Nella fase incipiente della presbiopia vengono riferiti disturbi che insorgono principalmente nelle ultime ore della giornata lavorativa a causa della stanchezza accumulata. Nella fase conclamata verrà riferito sfocamento alle brevi distanze, difficoltà per leggere i caratteri piccoli, i numeri di telefono o infilare l’ago.

L’Add. da prescrivere ad un presbite deve essere tale da permettergli visione nitida e confortevole a distanza ravvicinata; questo si ottiene facendo in modo che il soggetto eserciti solo una parte del potere accomodativo di cui dispone, lasciando la restante come riserva inutilizzata. Nel calcolo dell’Add. quindi, non si deve tener conto di tutto il potere accomodativo disponibile, ma solo di una parte di esso la cui entità varia in funzione del criterio cui si fa riferimento: per alcuni autori (Lawrence 1920, Maxwell 1937) la riserva deve essere pari alla metà dell’ampiezza accomodativa, mentre secondo altri (Sheard 1918, Giles 1965) tale valore è sufficiente che sia pari ad un terzo del potere accomodativo totale. È quindi previsto che si conosca l’esatta distanza di lavoro e l’ampiezza accomodativa: la prima sarà misurata dopo aver chiesto al soggetto di posizionare l’ottotipo alla distanza cui di solito legge o lavora, mentre il potere accomodativo si può determinare in base ai valori medi legati all’età o, meglio, misurandolo direttamente con opportuni test optometrici. Si deve quindi arrivare a prescrivere una correzione che consenta una visione nitida e confortevole alle distanze a cui il soggetto abitualmente legge, lavora o svolge il proprio hobby. Non bisogna dimenticare tuttavia che il soggetto dovrà adattarsi ad una visione diversa da quella a cui era abituato, in particolare per quanto riguarda il restringimento dell’intervallo di visione nitida (*), questo si verificherà sia la prima volta che metterà gli occhiali per vicino e ancor più tutte le volte che si renderà neces-

3 - Scelta delle lenti progressive 34 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

sario un aumento dell’Add. Spesso una lente monofocale non consente di avere un intervallo di visione nitida ottimale, per questo motivo si deve fare attenzione a non prescrivere una prima Add., o un incremento di essa, superiore a 0.75–1.25 dt; valori superiori a questi potrebbero provocare disturbi al sistema delle vergenze (*) e uno spazio di funzionamento troppo ristretto. Quando ci si trova di fronte ad un soggetto che necessita di una Add. più alta, si deve prescrivere il minimo valore di positivo che consente una visione nitida e confortevole, tenendo presente che l’occhiale porterà già un netto miglioramento e che in molte attività per vicino non è richiesta l’acuità visiva massima (es. per leggere il giornale a 40 cm. sono sufficienti 5-6/10) e spesso le distanze effettive di lavoro sono maggiori di quelle riferite in fase d’esame. L’avvento delle L.P. ha molto aiutato nella soluzione di queste problematiche pur con alcune limitazioni, intrinseche al loro progetto, soprattutto per la visione alle distanze intermedie.

Alla fine dell’esame optometrico si dovrà illustrare al presbite come funzionerà l’occhiale che gli viene proposto, gli si farà notare lo spazio in cui funziona, sottolineando le difficoltà che incontrerà nella visione alle altre distanze. In questo momento è possibile registrare le sue reazioni, per capire quale tipologia di lente sarà più idonea alle sue esigenze.

(*) Questo simbolo, che troverete via via nel testo, vi rimanda al Dizionario essenziale situato a pag. 101

3 - Scelta delle lenti progressive 35

3a Lenti progressive a porto abituale

Introduzione

Per visione da vicino si intende solitamente quella che viene svolta tra 45 e 25 cm; per tale impegno il nostro sistema visivo deve esercitare una accomodazione (*) da 2.25 a 4.00 diottrie. Considerando che per avere visione confortevole non si può usare tutto il potere accomodativo (*) a disposizione, ma solo una parte, è evidente che con il progredire dell’età e quindi della presbiopia, è necessario apportare, con una lente oftalmica, quanto la modificazione del cristallino non riesce più a dare. Alla presbiopia può sovrapporsi l’ulteriore problema della mancanza di visione nitida per lontano (oltre 5 metri); in tali condizioni le possibilità di compensazione sono:

– utilizzo di due occhiali monofocali, uno per lontano ed uno per vicino;

– uso di lenti bifocali (Figura 3a.1) o trifocali (Figura 3a.2);

– uso di lenti progressive (Figura 3a.3).

Il vivere moderno sta portando sempre più all’abbandono sia dell’utilizzo di due occhiali, sia delle lenti bifocali e trifocali, in parte per la scomodità dell’uso di due occhiali, in parte per l’aspetto antiestetico delle lenti bifocali o trifocali. Oltre alle limitazioni ottiche che queste lenti presentano, con queste due soluzioni non si effettua la compensazione per le medie distanze (da 35 cm a 5 metri). Queste limitazioni estetiche e funzionali possono essere superate con l’utilizzo delle L.P.

Cenni storici sulle lenti progressive

La prima L.P. commercializzata risale al 1950 ad opera di Maintenez, i primi studi su queste lenti risalgono comunque ad un brevetto di Owen Aves del 1907, a successivi studi di Henry Gowland che introdusse sul mercato, nel 1922, una L.P. con il nome

“Ultipo”. Attorno agli anni 50 anche in Italia, ad opera delle Officine Galileo di Milano, sembra sia stata utilizzata una superficie a proboscide di elefante per costruire una lente varifocale. Dalla commercializzazione della prima L.P. gli studi non si sono

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più arrestati, anche se le “vere” innovazioni sono, a nostro avviso, riassumibili in precisi periodi storici che abbiamo riportato nella Tabella 3a.1.

Se la prima L.P. commercializzata risale al 1950 dovranno comunque passare vari anni prima che tali lenti trovino un mercato reale. Nonostante l’evoluzione della tecnologia per raccordare i poteri, nel passaggio dalla parte alta di lente alla parte bassa (a maggior potere), non si riuscivano ad avere zone stabili di potere, necessarie per la visione per lontano e per vicino.

Nella Figura 3a.4 vediamo schematizzati tutti gli sviluppi fino al 1958, anno in cui si riuscirono a stabilizzare le zone per lontano e vicino; tale data può essere considerata la data effettiva della nascita delle L.P. Le prime L.P. (lenti di prima generazione) furono inserite sul mercato dalla ditta Essilor con il nome Varilux 1; in queste lenti veniva curato prevalentemente l’aspetto geometrico, le zone funzionali si ottenevano mediante superfici sferiche con i centri di curvatura che formavano un’evoluta(*)

(Figura 3a.5). L’incremento di potere veniva realizzato dalla diminuzione del raggio di curvatura della superficie anteriore, nel passare dalla zona per lontano a quella per vicino, (Figura 3a.6). In queste lenti erano presenti notevoli aberrazioni (*) nelle zone periferiche, sia del vicino che del canale di progressione (*) (C.P.) cioè la zona di variazione del potere per passare dal lontano al vicino. Queste aberrazioni aumentavano con l’Add.(*)

3a - Lenti progressive a porto abituale 38 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Figura 3a.1 Occhiale con lenti bifocali Figura 3a.2 Occhiale con lenti trifocali; si mettono in evidenza due tipologie di lenti trifocali Figura 3a.3 Occhiali con lenti progressive

Lenti a progressione esterna

1950 Prima L.P. commercializzata

1958/’9 Stabilizzazione dei poteri

1972 Introduzione delle sezioni coniche evolutive

~ 1980 Aspetto prioritario v. binoculare

Lenti a progressione interna tecnologia Free-Form

2000/01 Lenti personalizzate

2001/05 Ulteriori sviluppi lenti personalizzate

2006/07 Lenti per usi specifici

2007/10 Ulteriori personalizzazioni

Lenti a progressione integrata

2010/14 Nuovi approcci alla costruzione di L.P.

2014/17 Lenti a progressione integrata (realizzate da alcune aziende anche precedentemente)

3a
39
- Lenti progressive a porto abituale
Tabella 3a.1 - Sviluppi delle L.P. Figura 3a.4 Sviluppi tesi a ottenere la stabilizzazione dei poteri nelle zone per lontano e vicino

Tali inconvenienti comportavano lunghi periodi di adattamento se non il rifiuto della lente stessa; le problematiche si manifestavano soprattutto come limitatezza del campo di visione (*) per vicino oltre ad evidenti aberrazioni, nelle zone tempiali e nasali, nelle lateroversioni (*).

3a -
progressive a porto abituale 40 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Lenti
Figura 3a.5 Localizzazione dei centri di curvatura al fine di raccordare la superficie esterna delle L.P. di prima generazione cerchi cerchi cerchi Figura 3a.6 Realizzazione dell’incremento di potere mediante superfici circolari

Un primo passo verso la risoluzione, sempre nell’ambito geometrico, di questo problema fu nel riuscire a rendere più uniforme la potenza nelle zone destinate alla visione per lontano e vicino pur continuando ad utilizzare superfici derivate da sezioni circolari. Restarono comunque ampie zone non funzionali sia nelle porzioni laterali del corridoio di progressione che nelle porzioni laterali della zona destinata alla visione per vicino (Figura 3a.7).

Intorno al 1972 si passò alle lenti di seconda generazione in cui venne considerato come prioritario sempre l’aspetto ottico. In queste lenti, al fine di ridurre l’eccessiva variazione di curvatura nelle aree attorno alla zona per vicino, responsabili delle aberrazioni (astigmatismi di superficie(*) indotti dalla variazione di curvatura), furono introdotte superfici derivate da sezioni coniche evolutive(*) sia nella zona per lontano che in quella per vicino (Figura 3a.8). In tali lenti le zone funzionali si ampliarono e l’entità delle aberrazioni diminuì in modo rilevante. I miglioramenti furono decisivi e le L.P. iniziarono ad avere un mercato, pur con tutte le limitazioni dovute alla scarsa conoscenza del prodotto ed alla mancanza di attrezzature adeguate per il loro corretto montaggio.

In queste lenti le zone funzionali si presentavano con notevoli variazioni rispetto a quelle di prima generazione: la zona per lontano presentava un leggero aumento del potere verso la periferia, la zona per vicino una situazione opposta, in alcune lenti si arrivava anche all’annullamento del potere correttivo; anche nella zona di progressione, con un canale decisamente più ampio di quelle di prima generazione, si aveva un decremento di potenza verso i bordi laterali della lente.

3a - Lenti progressive a porto abituale 41
canale
zona
zone
zona vicino
di progressione
lontano
non funzionali
Figura 3a.7 Presenza di elevate aberrazioni nelle porzioni di lente attorno al C.P. e della zona per vicino

I vantaggi di queste lenti furono notevoli, lo sfruttamento di superfici derivate da sezioni coniche permise di controllare parzialmente gli astigmatismi di superficie; nonostante questi miglioramenti le L.P di seconda generazione presentavano comunque forti limitazioni funzionali. Le zone di aberrazione, come per le lenti di prima generazione ed in generale in tutte le L.P. anche di nuova generazione, aumentano con l’Add. rendendo, conseguentemente, più limitate le zone funzionali (Figura 3a.9).

1, 2, 3:

4: cerchi

5,

3a -
progressive a porto abituale 42 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele -
Pescosolido -
Abati
Lenti
Nicola
Silvano
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
ellissi oblate 6: ellissi prolate 7, 8, 9, 10: parabole e iperboli
+1.00 +2.00 +3.00
Figura 3a.8 Superfici realizzate dal raccordo di superfici coniche evolutive Figura 3a.9 Ampliamento delle zone di non funzionali (in azzurro) all’aumentare dell’Add.

Intorno agli anni ’80, grazie alle possibilità offerte da apparecchiature computerizzate, si ebbe la nascita delle L.P. di terza generazione. In queste, come aspetto prioritario, si cercò di favorire la visione binoculare(*) attraverso tutte le zone delle lenti; ciò portò a modificare le superfici fino ad allora utilizzate e ad introdurre lavorazioni asimmetriche(*), Figura 3a.10 a. Queste lenti, già in fase di costruzione, presentavano il C.P. decentrato nasalmente ed i margini superiori delle zone aberrate risultavano pressoché orizzontali.

Per contro, le lenti simmetriche (*) (Figura 3a.10 b) in fase costruttiva non avevano diversificazione tra lente destra e sinistra e per posizionare il C.P. venivano ruotate prima della stampigliatura.

La simmetria tra lente destra e sinistra nel passaggio dalla zona per lontano a quella per vicino, decentrata nasalmente comporta inevitabilmente una asimmetria notevole con diversità di aberrazioni nelle zone di lente utilizzate nelle lateroversioni soprattutto nella parte intermedia inferiore. In queste aree gli astigmatismi e gli effetti prismatici possono essere molto diversi come entità e come direzione, anche nei pressi del C.P. e dell’area per vicino. Tutto ciò, oltre alle quasi inevitabili distorsioni e perdite di nitidezza dell’immagine, comporta notevole ostacolo o impossibilità di fusione delle due immagini monoculari che, nei casi peggiori, può portare a diplopia(*) in quelle A B

3a - Lenti progressive a porto abituale 43
Figura 3a.10 Rappresentazione di lenti asimmetriche a) e lenti simmetriche b)

posizioni di sguardo ed, in ogni caso, sempre a un deterioramento della percezione stereoscopica(*) e della localizzazione degli oggetti. Per ridurre questi inconvenienti i progettisti hanno cercato di ottimizzare le aree intermedie e inferiori nasali della lente destra e tempiali della lente sinistra e viceversa. Ciò comporta di rendere il più possibile simili e simmetrici, in ogni coppia di aree corrispondenti delle due lenti, i poteri e gli assi degli astigmatismi ed il valore, la direzione e il verso dei prismi (Figura 3a.11). Questo produce enormi vantaggi nell’uso pratico, sia statico che dinamico, delle lenti, consentendo posture più naturali, riducendo l’esigenza di ruotare molto la testa e poco i bulbi oculari per la visione laterale. Queste lenti consentono di avere un campo di visione periferico meno distorto e ondulato, anche se pur sempre sfuocato. Per la lettura sono poi più facilmente sfruttabili le aree per vicino fino ai loro margini, riducendo la fastidiosa sensazione di vedere come attraverso un tubo e di avere difficoltà a ritrovare la riga quando si torna a capo. Attualmente le L.P. a porto abituale sono tutte asimmetriche; si possono comunque trovare lenti simmetriche in alcune tipologie di lenti per vicino-intermedio ed in alcune vecchie tipologie di L.P. a porto abituale.

Aspetti caratteristici delle lenti progressive

Le L.P. presentano due zone funzionali, una per la visione per lontano (oltre i 5 metri) ed una per quella da vicino (40-33 centimetri). Queste due porzioni di lente sono

3a - Lenti progressive a porto abituale 44 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Figura 3a.11 Zone diverse tra lente destra e sinistra devono fornire qualità dell’immagine uguale al fine di rispettare la visione binoculare

unite, come visto, dal C.P. in cui la potenza della lente cresce dall’alto verso il basso per arrivare al valore del potere per vicino. Questa parte di lente viene utilizzata per la visione a distanze intermedie, cioè da 40 cm a 5 metri (Figura 3a.12).

Le lenti presentano proprietà diverse nelle varie porzioni caratteristiche: nella zona per lontano hanno un potere diottrico pressoché stabile e valori bassi o assenti di astigmatismo indotto.

Nella zona per vicino le lenti hanno un potere diottrico stabile e valori di astigmatismo indotto bassi o assenti. Nella zona intermedia (C.P.) le lenti presentano variazioni diottriche continue, anche se non lineari e modesti valori di aberrazioni di ordine superiore (coma).

Nelle zone non funzionali(*) considerate generalmente quelle con astigmatismi di superficie superiori a 0.50 dt, si hanno valori significativi via via crescenti di astigmatismo indotto più ci si sposta lateralmente, distorsione prismatica ed aberrazioni di alto ordine. Tali aberrazioni, come detto, aumentano all’aumentare dell’Add. All’aumentare dell’Add. le zone non funzionali diventano generalmente più ampie: la localizzazione delle zone di aberrazione è da ricondursi anche alla lunghezza del C.P. La larghezza del C.P. aumenta in modo direttamente proporzionale alla sua lunghezza e si riduce all’aumentare dell’Add.

Le L.P. rispetto ad altre soluzioni ottiche (lenti monofocali, bifocali, trifocali) presentano quindi porzioni di lente tali da consentire la visione nitida a tutte le distanze; oltre a questo pregio, ed ad altri di natura ottica, non presentano l’antiestetica linea di separazione presente nelle lenti bifocali.

3a - Lenti progressive a porto abituale 45
zona per lontano canale di progressione zona non funzionale zona non funzionale zona per vicino
Figura 3a.12 Zone caratteristiche di una lente progressiva

Accanto ai numerosi pregi, presentano certi condizionamenti legati alle zone non funzionali, cioè le zone adiacenti al C.P., nelle quali la qualità dalla visione è deteriorata a causa delle aberrazioni.

La presenza di tali zone limita l’ampiezza della zona per vicino e soprattutto riduce fortemente l’ampiezza orizzontale del C.P.; queste problematiche aumentano con l’aumentare dell’Add.

Le differenze tra i diversi tipi di L.P. si possono determinare valutandone le seguenti caratteristiche:

– posizione ed ampiezza delle zone destinate alla visione per lontano e vicino,

– larghezza e lunghezza del C.P. necessario per la visione a distanze intermedie,

– variazione di potere lungo il C.P.; da tale variazione deriva il più o meno funzionale utilizzo delle lenti per la visione a medie distanze,

posizione e ampiezza delle zone non funzionali dipendenti dalle aberrazioni introdotte dalla modificazione del potere nel passaggio dalla zona per lontano a quella per vicino.

Tali caratteristiche portano alla classificazione delle L.P. in Soft e Hard.

Le lenti soft presentano zone per lontano e per vicino più ridotte, ma in compenso le zone periferiche presentano meno effetti disturbanti alla visione, ciò anche nelle rotazioni occhio-testa (Figura 3a.13). A

un C.P.

3a - Lenti progressive a porto abituale 46 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido -
Abati
Silvano
0.50 2.00 1.50 1.00 0.50 Soft Soft Hard Hard 1.00 1.50
parità di altre condizioni le lenti con Figura 3a.13 Rappresentazione di lenti Soft e Hard

lungo, presentando una distribuzione di potere con un gradiente minore(*), sono quindi generalmente a filosofia soft.

Le lenti hard sono quelle che presentano zone per lontano e per vicino ampie ma contemporaneamente elevate aberrazioni nelle zone non funzionali (Figura 3a.13). Dobbiamo evidenziare che molte limitazioni sono state oggi superate e sempre di più si sta facendo per riuscire a superare l’etichettatura in hard e soft e rendere la lente di facile utilizzo per tutti i tipi di attività.

È comunque fuori dubbio che non tutti i problemi potranno essere risolti da un punto di vista ottico e che molto continuerà a dipendere da vari fattori quali:

– una corretta selezione dei pazienti

– un corretto montaggio e centratura di queste lenti

– la corretta informazione di quali sono i passi importanti per il raggiungimento dell’adattamento e il corretto utilizzo.

Ciò si traduce in ultima analisi in una corretta prescrizione ed una altrettanta attenzione verso tutti quegli aspetti tecnici che solo professionisti preparati possono garantire.

I tentativi per correlare gli astigmatismi di superficie con l’Add., la lunghezza del C.P. e la sua larghezza, portarono anche ad elaborare delle relazioni; ci sembra significativa la formula di Minkwitz che mette in evidenza come all’aumentare della variazione di potere (Add.) e al diminuire della lunghezza del C.P., aumenta il primo membro della relazione, cioè il rapporto astigmatismo larghezza del C.P.

Dove: ΔA = astigmatismo

ΔP = variazione di potere (Add.)

Δy = lunghezza C.P.

Δx = larghezza C.P.

Tali considerazioni ci portano, già in questa fase, a capire come sia importante dare la minima Add. necessaria a svolgere quel determinato compito visivo e a tenere in debita considerazione la lunghezza del C.P.

Le L.P. si presentano con una stampigliatura, personalizzata da azienda ad azienda, come in Figura 3a.14. La stampigliatura è costituita da segni delebili ed indelebili.

I segni indelebili indispensabili sono i due riferimenti posti sull’asse orizzontale, situati tra loro a 34 millimetri, ed il valore dell’addizione, sempre indicato sotto il riferimento tempiale; inoltre le aziende inseriscono anche altri simboli quale il logo

3a - Lenti progressive a porto abituale 47

A = zona di riferimento lontano

B = centro geometrico (o centro di riferimento prismatico)

C = zona di riferimento per vicino

D = croce di centratura

E = simboli di riferimento incisi

I = Inset

della ditta, la base di curvatura e l’indice del materiale (sotto il riferimento nasale) e un’indicazione sul tipo di Design della lente.

I segni delebili sono la croce di centratura D, la zona A dove leggere il potere per lontano, il cerchietto dove leggere il potere per vicino C. Il punto B, delebile, localizzato tra i riferimenti indelebili orizzontali, è un punto caratterizzante la L.P., è in tale punto che, salvo l’eventuale prisma di alleggerimento (di compensazione), non si hanno prismi né orizzontali, né verticali.

La distanza, in orizzontale, tra la verticale condotta per il centro geometrico(*) della lente e la verticale condotta per il centro geometrico del riferimento per vicino costituisce l’inset.

Come vedremo successivamente, nonostante il valore dell’inset possa dipendere da vari fattori, nelle L.P. il cerchietto, che rappresenta la zona di riferimento per vicino, viene generalmente stampigliato nasalmente a 2,5 mm (Figura 3a.15) rispetto alla croce di centratura, ma non è da considerarsi come reale valore dell’inset.

Alcune aziende per facilitare la ricerca, marcano la zona per vicino con stampigliature più ampie in orizzontale; ciò permette di trovare il centro della zona per vicino più agevolmente.

Nel centro geometrico o centro di riferimento prismatico possiamo misurare, se presente, il prisma di alleggerimento. Tale prisma, a base bassa, viene introdotto per ridurre lo spessore della lente. Nella Figura 3a.16 in A è rappresentata, in sezione, una L.P. senza prisma di alleggerimento con la progressione realizzata sulla superficie esterna. Come è evidente la necessità di incrementare il potere (riducendo i raggi di

3a - Lenti progressive a porto abituale 48 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
A D E E C I B
Figura 3a.14 Rappresentazione di una L.P. con la presenza della tracciatura

Dalla similitudine dei triangoli abbiamo

infatti:

35 : 2,6 = 3,2 : x da cui

x = 2,6 . 3,2 / 35 ≅ 0,24 cm = 2,4 mm

curvatura) fa sì che la lente presenti uno spessore maggiore nella parte alta rispetto alla parte bassa. In B si mette in evidenza come, per rendere equispessorata la lente, sia necessario togliere una sezione di lente simile a un prisma base alta. Otterremo pertanto, in C, una lente con uguali spessori nella parte superiore e inferiore ma in cui è presente un prisma base bassa. Tale prisma, in diottrie prismatiche, varia generalmente tra la metà ed i 2/3 (da 0,5 a 0,66%) dell’Add; è generalmente maggiore nelle L.P. a progressione esterna rispetto a quelle a progressione interna. Con le montature di dimensioni abitualmente utilizzate (Figura 3a.17) i riferimenti per la centratura delle L.P. vengono a trovarsi, rispetto ai centri geometrici degli anelli

3a
abituale 49
- Lenti progressive a porto
Figura 3a.15 L’inset fisso era realizzato, in prima approssimazione, con un valore di circa 2,5 mm come risulta da semplici considerazioni dalla figura Figura 3a.16 Fasi di realizzazione del prisma di alleggerimento nelle L.P.
A B C

della montatura, spostati nasalmente (DAV < dello scartamento della montatura) e sopra la linea base (linea passante per i centri geometrici degli anelli); questo fa si che il prisma di alleggerimento assuma particolare importanza per le lenti positive e sia meno significativo, o superfluo, realizzarlo nelle lenti negative. Nella Figura 3a.17 (solo per semplicità di rappresentazione si sono utilizzate lenti piano convesse e piano concave) si vede come nel montaggio, per rispettare il corretto posizionamento verticale, le lenti vengano tagliate maggiormente nella parte alta, facendo si che al bordo superiore si trovino spessori ancora maggiori nelle lenti positive e spessori minori nelle lenti negative. In queste ultime lo spessore può risultare quindi automaticamente più uniforme e non è sempre necessario o conveniente introdurre il prisma di alleggerimento. Si tenga presente che alcune aziende, in qualche tipologia di lenti progressive, costruiscono anche prismi di alleggerimento a richiesta, oppure possono essere eliminati.

La lunghezza del C.P. e la sua importanza sarà oggetto di considerazioni successive, è comunque importante, per il professionista che deve approntare l’ausilio ottico, conoscere dove inizia e dove finisce.

La conoscenza del suo inizio è utile per la centratura in verticale della L.P.; sapere quanti millimetri inizia sopra il centro geometrico o sotto la croce di centratura permette di valutare l’entità dell’escursione angolare degli assi visivi verso il basso prima di incontrare l’incremento di potere. Anche per la marcatura della croce di centratura, che è intimamente correlata con l’inizio della progressione, non esistono regole generali; può infatti risultare posizionata sul centro geometrico della lente o sopra di esso a 2, a 4 e fino a 6 mm (Figura 3a.18).

Anche per la marcatura della zona per vicino non vi è uniformità di comportamento tra azienda ed azienda e si possono avere più situazioni: da 1-2 mm sopra il raggiungimento della piena Add., su l’inizio di questa o nel centro della zona che presenta il potere costante per vicino. Sapere, con esattezza, questo dato permetterebbe al professionista di conoscere dove finisce il C.P., cosa importante per la scelta della montatura e per saper quale ampiezza utile rimane con la piena Add (Figura 3a.19). Purtroppo, non sempre questi dati sono a disposizione dei professionisti preposti alla scelta della tipologia di L.P. e al suo successivo approntamento. Per ovviare a questa situazione molte aziende chiedono al professionista di fornire la distanza che intercorre tra la croce di centratura e il margine inferiore dell’anello Figura 3a.20; mediante tale dato viene costruita la lente con una lunghezza del C.P. tale da permettere che vi sia una porzione sufficiente per vicino. A nostro avviso anche questo escamotage non risponde all’esigenza di conoscere la effettiva lunghezza del C.P., questa infor-

3a - Lenti progressive a porto abituale 50 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

Croce di centratura da zero a 6 mm sopra il c. geometrico

Scartamento

Centro geometrico

Zona per lontano

Zona intermedia

Zone per vicino

mazione permetterebbe di avere sotto controllo il funzionamento dell’occhiale anche in presenza di valori diversi di compensazione, in particolare sul meridiano a 90°. Teoricamente per scegliere correttamente la lunghezza del C.P., l’ottico dovrebbe poter fare una valutazione della componente di rotazione dell’occhio e della testa.

La certezza dell’andamento della variazione del potere lungo il C.P., è di

sé una informazione importante, non solo per il montaggio, ma anche per sapere come si comporterà la lente. Dall’analisi dell’esempio rappresentato in Figura 3a.21 possiamo trarre varie considerazioni: la distanza tra la croce di centratura e il centro geometrico

3a - Lenti progressive a porto abituale 51
DAV
Figura 3a.17 Si evidenzia come il prisma di alleggerimento, generalmente, acquisti maggiore importanza nelle lenti positive rispetto alle lenti negative per Figura 3a.18 Distanza della croce di centratura dal centro geometrico. Il simbolo m indica le aree oltre le quali il cilindro indotto supera le 0.50 dt

Marcatura della zona per vicino

Inizia 2 mm sopra l'inizio della piena addizione

Inizia con l'inizio del potere stabile corrispondente alla piena addizione

È centrata sul centro della zona con potere stabile per vicino

è 4 mm., la piena Add. si raggiunge 14 mm sotto tale punto e l’85% dell’Add. 8 mm sotto lo stesso. È evidente che le modalità di variazione della potenza potrebbero, pur mantenendo fissi i punti di partenza e di arrivo, essere infinite e questo cambierebbe il comportamento della lente.

L’85% dell’Add. è un valore significativo nella costruzione delle L.P. essendo, generalmente, un valore che permette già la lettura e invita l’utilizzatore della L.P., che percepisce nella porzione di lente più bassa una visione ancora più nitida, ad effettuare un’ulteriore infraversione (*) e quindi il raggiungimento della piena Add. Per il raggiungimento dell’85% dell’addizione a 8 mm sotto il punto di riferimento princi-

3a - Lenti progressive a porto abituale 52 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Figura 3a.19 Rappresentazione di dove si può considerare si raggiunga la piena Add. Figura 3a.20 Altezza croce di centratura / bordo inferiore montatura h

pale, nell’esempio precedente, gli assi visivi devono, rispetto alla direzione primaria di sguardo, abbassarsi di 12 mm sulla lente (considerando che la croce di centratura si trovi 4 mm sopra il centro geometrico della lente); a tale quantità corrisponde una rotazione degli occhi di circa 25°. Tale valore è maggiore di quanto generalmente ruotano gli occhi per passare alla visione per vicino, in assenza di compensazione con L.P. (Figura 3a.22).

asse di simmetria verticale

asse orizzontale

asse visivo in posizione secondaria di sguardo oggetto di osservazione

asse visivo in posizione primaria

3a - Lenti progressive a porto abituale 53
Figura 3a.21 Variazione del potere nel canale di progressione
a b
Figura 3a.22 Per la visione per vicino, senza l’uso di occhiali, la rotazione degli occhi (a) varia generalmente tra b/2 e b b / 2 ≤ a ≤ b

Si deve ricordare che per la visione di un oggetto per vicino ruotiamo sia la testa che gli occhi; indicando con b l’angolo di rotazione della testa e con a la rotazione degli occhi e considerando che per la visione per vicino la rotazione occhio-testa è circa 45°, abbiamo mediamente per a valori variabili da b/2 a b (15° ≤ a ≤ 22,5°).

Si deduce che la rotazione dei bulbi oculari necessaria per raggiungere l’85% dell’addizione, è già superiore ai valori naturali, valori ancora maggiori saranno pertanto necessari per arrivare ad utilizzare la piena Add., a meno che non si aumenti la DAL.

È quindi evidente che l’utilizzo di una L.P. richiederà sempre un adattamento e particolare attenzione e opportune spiegazioni dovranno essere fornite all’utilizzatore quando si approntano L.P. a canale particolarmente lungo.

Classificazione delle lenti progressive

Le L.P. si possono suddividere in due grandi categorie: quelle a porto abituale (lenti che utilizziamo normalmente) e quelle per vicino-intermedio, cioè le tipologie di lenti che trovano utilizzo per attività lavorative specifiche (lavoro di ufficio, bricolage, ecc),

Tabella 3a.2.

Nella tabella per la categoria delle lenti vicino-intermedio non abbiamo utilizzato volutamente il nome di L.P. per vicino intermedio o, come è consuetudine, lenti degressive(*). Aver evitato il termine progressive o degressive dovrebbe già farci capire che, parlando di tali lenti, ci troveremo di fronte a tipologie decisamente diverse tra loro. Gli sviluppi che si sono avuti nella costruzione delle L.P. si sono concretizzati nella ricerca di lenti con zone funzionali più ampie, nella riduzione delle aberrazioni nelle zone non funzionali e nello “sfruttamento” ottimale delle zone funzionali, tale condizione si realizza se il C.P. è posizionato correttamente lungo il cammino degli assi visivi nel passare dalla visione per lontano alla visione per vicino. L’importanza del suo corretto posizionamento (inset adeguato alle esigenze dell’utilizzatore) è condizione

a = arctg 12/26 ≅ 25°

dove: 26 mm è la distanza dal centro di rotazione oculare al vertice posteriore lente; tale valore deriva dalla somma della distanza del centro di rotazione oculare-apice corneale con la DAL (distanza apice corneale – lente)

Lenti progressive a porto abituale:

• Standard

• A canale di lunghezza variabile

• Lenti a canale accorciato

• Personalizzabili (individuali)

Lenti per vicino-intermedio

3a - Lenti progressive a porto abituale 54 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele -
Pescosolido -
Nicola
Silvano Abati
Tabella 3a.2 - Classificazione L.P.

essenziale non solo per la visione intermedia ma, e soprattutto, per il corretto utilizzo della L.P. nella visione per vicino.

L’evolversi delle conoscenze e delle tecnologie produttive delle aziende hanno portato a costruire L.P. con inset dipendenti da molteplici parametri quali l’Add., l’Add. ed il potere per lontano (P.L.) e a sviluppi successivi che hanno portato alla realizzazione di lenti ad inset individuale, cioè dipendente da parametri legati a caratteristiche anatomiche del viso del portatore (DAV) e a come l’occhiale scelto si adatta sul viso dell’utilizzatore (Tabella 3a.3).

Se nel cammino degli assi visivi, passando dalla visione per lontano alla visione per vicino, si percorre il centro del C.P. è evidente che nelle latero-versioni le zone funzionali risulteranno simmetriche rispetto a questo cammino; tale condizione porterà inoltre, nella visione per vicino, ad utilizzare con ogni singolo occhio la zona centrale del vicino e quindi la massima zona utile per la lettura fornita della sovrapposizione dei due campi monoculari. La corretta inclinazione dei canali di progressione di una lente dipende da molteplici fattori, è stata ed è tuttora motivo di ricerca.

Le prime tipologie di lenti erano realizzate ad inset fisso, tale valore era approssimativamente dichiarato di 2,4-2,5 mm (Figura 3a.15). Il calcolo è stato effettuato considerando un soggetto con una distanza assi visuali (DAV) di 64 mm, che utilizzi un occhiale con i semplici filtri di presentazione posti a 2,6 cm dal centro di rotazione oculare e che il punto di fissazione si trovi a 35 cm di distanza, sempre dal centro di rotazione oculare.

La zona di lente utilizzata nella visione per vicino dovrebbe risultare spostata na-

Realizzazione dell’Inset

Progressione superficie esterna

• Inset fisso 2,4 – 2,5 mm

• Inset variabile con l’Add. e sfera base

Progressione superficie interna

• Inset variabile con Add. e P.L.

• Inset individuale

Progressione integrata

• Inset variabile con Add. e P.L.

• Inset individuale in relazione a parametri oggettivi e altri parametri legati alle scelte tecnologiche dell’azienda

3a - Lenti progressive a porto abituale 55
Tabella 3a.3 - Sviluppi delle L.P.

salmente di 2,38 mm., è evidente che tale valore varia al variare della DAV, della distanza di osservazione, del posizionamento dalla lente (variazione della distanza apice corneale-lente) e dal potere, con rispettivo segno, della lente utilizzata per la compensazione.

I comportamenti visivi in caso di lenti positive o negative sono infatti opposti; fermi rimanendo tutti gli altri parametri, la presenza di una lente positiva obbliga gli occhi a convergere maggiormente che in assenza di lente, questo a causa della presenza di effetti prismatici base tempiale. In caso di lenti negative avverrà la situazione opposta: gli occhi convergeranno di meno di quanto avverrebbe in assenza di lenti, questo per la presenza di effetti prismatici base nasale (Figura 3a.23).

Per avere un esempio di riferimento supponendo di avere sempre una DAV di 64 mm, 35 cm la distanza di osservazione dal centro di rotazione oculare e un occhiale posto alla distanza di 26 mm, sempre dal centro di rotazione oculare, avremo approssimativamente (la dimostrazione del calcolo dei valori riportati non è immediata e non importante ai fini pratici, tralasciamo pertanto la spiegazione), Tabella 3a.4.

La costruzione di una L.P. non può che partire da un preciso progetto; tale progetto dovrà prendere in considerazione i parametri che possono condizionarne l’uso (Figura 3a.24); tralasciando i parametri ovvi come il potere per lontano e l’Add., abbiamo, in Tabella 3a.5 i parametri che vengono presi come riferimento. Prendendo come riferimento tali valori medi, per una lente standard di ultima generazione viene realizzato un inset in modo tale che gli assi visivi percorrano, nel modo più simmetrico possibile, il C.P. e quindi, nella visione per vicino, si utilizzi la zona centrale.

3a - Lenti progressive a porto abituale 56 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Figura 3a.23 Presenza di prismi base tempiale con lenti positive e base nasale per lenti negative

3a - Lenti progressive a porto abituale

Tabella 3a.4 - Inset al variare del potere lente

• Lente neutra x = 2,38 mm

• Lente di +3.00 dt x = 2,55 mm

• Lente di –3.00 dt x = 2,22 mm

Tabella 3a.5 - Parametri per la costruzione di una L.P. standard

• DAV (generalmente 63 ± 1 mm)

• Distanza di fissazione (35-40 cm)

• DAL (variabile secondo l’azienda, es. 13-14 mm)

• Inclinazione pantoscopica(*) ad occhiale in uso (variabile secondo l’azienda, es. a = 8-9°)

• Angolo di avvolgimento(*) del frontale < 5°

Figura 3a.24 Rappresentazione dei parametri oggettivi che condizionano il progetto di una L.P. standard. Nella figura sono evidenziati: DAL, inclinazione pantoscopica, angolo di avvolgimento dell’occhiale, DAV, distanza di lavoro per vicino

L.P. standard ultima generazione

• Inset variabile con Add. e Sfera base

• Lunghezza C.P. ≈ 14-16 mm

• Costruzione asimmetrica (*)

w

57
3 Distanza lente-apice corneale (DAL) 4 Inclinazione pantoscopica 5 Distanza di lavoro per vicino 1 Distanza assi visuali (DAV)
1 4 2 3 5
2 Angolo di avvolgimento del frontale

Gli assi visivi nel passare dal lontano al vicino dovrebbero percorrere quella che viene chiamata linea ombelicale(*) o meridiano principale; lungo tale linea non dovrebbero essere presenti effetti prismatici orizzontali e pertanto gli assi visivi dovrebbero idealmente attraversare al meglio le zone funzionali di quella determinata lente. È facile intuire che questa situazione è puramente teorica: l’esistenza di una ipotetica linea ombelicale richiederebbe che ogni lente avesse una precisa sfera base, che gli assi visivi si muovessero perfettamente secondo tale linea (si capisce che nella lettura gli assi visivi si spostano prevalentemente su un piano orizzontale e pertanto l’ipotetico percorso lungo l’ipotetica linea ombelicale è una considerazione teorica). Tenendo conto delle geometrie utilizzate per realizzare le L.P. positive o negative e per tutte le altre considerazioni fatte, è previsto che l’inset delle lenti cresca con l’Add. e con il potere positivo per lontano. Poteri negativi per lontano superiori all’Add. portano a valori negativi per vicino, con conseguenti effetti prismatici, fuori della linea ombelicale, posizionati in direzione opposta rispetto a poteri positivi e quindi esigenza di inset minori.

Lenti progressive di ultima generazione, non personalizzate

Già le prime lenti asimmetriche presentavano l’inset variabile con l’Add.; nelle lenti di ultima generazione (non personalizzate) l’inset varia, oltre che con l’Add., anche in funzione del potere per lontano. Queste lenti presentano, in relazione alle curve base scelte (generalmente in numero di 6-8) e alle Add. (generalmente da 0.75 dt a 3.50 dt), valori di inset da 0 a 5 mm in circa 60/70 combinazioni diverse. Relativamente alla effettiva lunghezza del C.P. si hanno generalmente valori variabili da 14 mm a 16 mm. In base alle considerazioni precedenti non sempre è possibile sapere dove l’azienda considera l’inizio del C.P. e dove considera la fine. Molte aziende realizzano L.P., nella stessa tipologia, con canali di lunghezza variabile; si ricordi che, a parità di altri parametri, allungare il canale permette di distribuire maggiormente le aberrazioni e portare la tipologia della lente ad essere generalmente soft.

Lenti a canale di lunghezza inferiore a tali valori, vengono classificate come L.P. a canale corto; in queste tipologie possiamo anche trovare lenti con canali di lunghezza di 10 mm. È evidente che, in particolare per alte Add., si instaurano grosse variazioni di incremento di potere per piccoli spostamenti quindi aberrazioni rilevanti che fanno assumere alla lente il comportamento di lente hard, con conseguente limitazione nell’uso del C.P., la lente viene utilizzata pressoché come una lente bifocale.

Passando da lenti con canali “normali” a lenti a canale corto e quindi con posizionamento di zone per vicino spostate più in alto, è opportuno dare alcuni suggerimenti all’utilizzatore come:

3a - Lenti progressive a porto abituale 58 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

– abbassare maggiormente la testa, ad esempio, per scendere le scale, – se già portatore di progressive tradizionali, abbassare meno lo sguardo durante la lettura.

Come si è visto, le lenti a canale corto, in particolare per alte Add., penalizzano fortemente l’intermedio; possiamo comunque individuare dei casi, elencati in Tabella 3a.6, in cui il loro uso può portare dei vantaggi.

I primi tre punti sono di facile interpretazione.

In presenza di anisoametropie, nel passaggio della visione per lontano a quella per vicino, l’uso di L.P. può presentare vari problemi a causa della differenza di effetti prismatici che si presentano in verticale (anisoforia ottica). Per esempio con un canale di lunghezza 16 mm e una differenza diottrica tra i due occhi di 1.50 dt si presenterebbe una differenza di effetti prismatici in verticale di 2.4 dtp (δ = h . ΔP / 10); tale differenza può essere non tollerata, con la conseguenza che l’utilizzatore non sfrutti la zona per vicino ma una porzione più alta del C.P. con una visione non nitida ed un’ampiezza in orizzontale ridotta; utilizzare lenti con C.P. più corti riduce la differenza prismatica.

Relativamente ai giovani con miopia progressiva, senza entrare in considerazioni che esulano dal presente lavoro, qualora si volesse dare del positivo per vicino, l’uso di una L.P. a canale corto, che può essere montata anche su di una montatura di piccole dimensioni, è decisamente più estetica di un bifocale. Per bambini esoforici(*) o esotropici(*) o con altri problemi di visione binoculare, che necessitano di bifocali, le L.P. di questo tipo, possono sostituirli con vantaggi estetici e funzionali. Relativamente agli effetti prismatici in verticale lungo la linea ombelicale per le L.P. si possono fare considerazioni pressoché simili alle lenti sferiche (lungo l’ipotetica linea ombelicale esistono prismi in verticale dipendenti dal potere della lente in quel punto e dalla distanza dal centro geometrico). Tali considerazioni dovrebbero essere tenute presenti nella costruzione delle L.P. (Figura 3a.25).

• Focalizzare da vicino abbassando meno la direzione di sguardo

• Abitudine consolidata all’uso del bifocale

• Ametropi che presentano limitazioni nei movimenti del collo

• Anisoametropi(*) fino a 2.25 dt

• Giovani con miopia progressiva o altri problemi che richiedono la prescrizione di Add. positiva per vicino

• Bambini esoforici(*) o esotropici(*), o con problemi di visione binoculare

3a - Lenti progressive a porto abituale 59
Tabella 3a.6 - Favorevole utilizzo di L.P. a canale corto

Nella figura si evidenzia come, pur essendo uguale la distanza che intercorre dalla croce di centratura per lontano alla piena addizione, l’inset varia: è minore per il miope rispetto all’ipermetrope.

Riferendosi all’85% dell’Add. si vede come questa si raggiunga prima per lenti negative rispetto alle positive, in considerazione degli effetti prismatici diversi che si presentano in verticale.

Limiti imposti dalla scelta di una lente progressiva standard di ultima generazione

Nell’approntamento di L.P. standard le considerazioni precedenti portano a comprendere come diventa importante rispettare i parametri indicati dall’azienda che ripropongono le condizioni che avevano portato a quel determinato progetto per l’angolo pantoscopico, la DAL e l’angolo di avvolgimento del frontale. Per la distanza di utilizzo si dovrà effettuare la determinazione dell’Add. per tale distanza e invitare il portatore al rispetto della stessa.

Se i parametri visti sono in qualche modo “aggiustabili” la DAV (per correttezza le DAV monoculari) è un parametro su cui non si può operare nessuna variazione e pertanto le variazioni dallo standard (63±1) mm penalizzano il funzionamento della L.P. e questo tanto più ci si allontana da esso.

3a - Lenti progressive a porto abituale 60 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Figura 3a.25 Variazione dell’Inset, e della distanza a cui si raggiunge l’85% dell’Add. al variare del potere della lente

Il non rispetto di tali parametri destabilizza il comportamento delle zone funzionali e rende vano utilizzare una lente anche di adeguata tipologia, poiché le immagini fornite dai due singoli occhi non si sovrappongono perfettamente per ottenere la fusione (Figura 1.26). Dalla figura si evidenziano le varie penalizzazioni al variare dell’angolo pantoscopico, della DAL, dell’angolo di avvolgimento e della DAV; sempre nella figura si mette in risalto come la somma dei problemi renda le zone funzionali fortemente ridotte in relazione a quelle che si avrebbero se venissero rispettati i vari parametri. Nella Figura 3a.27a si vede come la variazione della DAL porti a variazione delle zone utilizzate in tutte le direzioni di sguardo, trascurando la variazione di effetto compensativo. Nella Figura 3a.27b, si evidenzia inoltre come al variare della DAL dovrebbe variare l’inset. Analoga considerazione può essere fatta per le variazioni dell’angolo pantoscopico che, a parità di rotazione oculare, oltre a portare all’utilizzo di zone diverse (Figura 3a.28), introduce valori cilindrici non desiderati. Si ricorda che le lenti di ultima generazione sono costruite in posizione d’uso, cioè i valori di rifrazione richiesti si hanno quando il piano frontale della lente è posizionato seguendo le indicazioni

3a
61
- Lenti progressive a porto abituale
Ang. pantoscopico scorretto DAV scorretta DAL scorretta Somma problemi Avvolg. scorretto Parametri giusti Figura 3a.26 Si evidenziano le penalizzazioni delle zone funzionali in relazione al non rispetto dei parametri elencati

dell’azienda. Variando l’angolo pantoscopico si introducono pertanto valori cilindrici, con asse orizzontale, dati dalla relazione:

Cil = P . tang2 a

Dove:

– a rappresenta il valore dell’angolo che intercorre tra l’angolo consigliato dall’azienda e l’angolo di approntamento,

– P il potere della lente.

Figura 3a.27 In A si evidenzia come per un certo angolo di rotazione si incontrino zone diverse al variare della DAL, in B come al variare della DAL dovrebbe variare l’inset

Figura 3a.28 Si evidenzia come al variare dell’angolo pantoscopico dell’occhiale, a parità di rotazioni oculari, si usino porzioni di lente diversa

3a - Lenti progressive a porto abituale 62 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele -
Pescosolido - Silvano Abati
Nicola
Inset1 Inset2 DAL1
A B
DAL2
DAV

L’angolo d’avvolgimento dell’occhiale, come conseguenza, introdurrà un valore cilindrico indesiderato con asse a 90° e, come abbiamo visto, un effetto prismatico indesiderato.

Nelle Figure 3a.29 e 3a.30, si mettono in evidenza le variazioni necessarie dell’inset se si variasse la distanza d’uso e la DAV.

DAV

Figura 3.29 Si evidenzia come al variare della distanza d’uso si dovrebbe variare l’inset

Figura 3.30 Si evidenzia come il variare della DAV richiede inset diversi, a parità di DAL

3a -
a porto abituale 63
Lenti progressive
Inset1 Inset2 DAV2 DAV1 Inset1 Inset2

Vale la pena sottolineare che quanto abbiamo detto comporta inevitabilmente non pochi problemi e non lascia l’utilizzatore libero nella scelta dell’occhiale. Dover rispettare l’angolo pantoscopico, la DAL e l’angolo di avvolgimento previsti implica condizionare la scelta della montatura e che questa permetta di essere modellata per rientrare, con buona approssimazione, nei parametri indicati dall’azienda.

In presenza di DAV del soggetto maggiori o minori rispetto ai parametri standard, si può parzialmente correggere l’inevitabile errore di inset rispettivamente riducendo o aumentando la DAL; per correzioni importanti si tenga eventualmente in considerazione la variazione di effetto compensativo.

La distanza d’uso, come abbiamo detto, è uno dei parametri che condizionano il progetto della L.P., questa distanza (generalmente da 35 a 40 cm) è un parametro importante e deve essere rispettata sia nella determinazione dell’Add. che nell’uso delle lenti. Qualora le distanze d’uso siano insolite, causa particolari attività lavorative dell’utilizzatore, si dovrà ricorrere a L.P. specifiche o ad altre tipologie di lenti.

Per un buon successo delle L.P. standard la misura e il rispetto della DAV assume particolare importanza, sia perché non è modificabile sia perché i valori che può assumere possono subire variazioni consistenti. Risulta evidente che sommando diversi fattori come il non rispetto della DAV, dell’angolo pantoscopico, della distanza d’uso e dell’angolo di avvolgimento o in presenza di DAV che si discostano dai valori per cui la L.P. è progettata, si vengono a creare forti penalizzazioni nell’uso; si ha solitamente una limitazione della zona per vicino che deriva, nella maggior parte dei casi, da un non corretto posizionamento del canale di progressione. Si riducono inoltre, anche se in maniera meno apprezzabile, le zone destinate alla visione per lontano.

Lenti progressive personalizzate

Partendo da tali presupposti e nell’intento di soddisfare, per quanto possibile, le aspettative dell’utilizzatore senza vincoli per i parametri e per la scelta della montatura che non sempre può essere adattata in modo ottimale, negli ultimi anni le maggiori aziende produttrici hanno introdotto sul mercato L.P. il cui inset è calcolato in funzione non solo dell’Add. e del potere per lontano, ma anche in funzione degli altri parametri (DAV, angolo pantoscopico, DAL, distanza d’uso e angolo di avvolgimento), che vengono rilevati ad occhiale indossato dopo il suo adattamento sul volto dell’utilizzatore. Tali lenti vengono dette personalizzate (individuali) e la loro costruzione viene eseguita in base alle indicazioni fornite dal professionista all’azienda costruttrice.

3a - Lenti progressive a porto abituale 64 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

Le lenti personalizzate vengono ulteriormente suddivise in:

– L.P. personalizzate in funzione di parametri oggettivi,

– L.P. personalizzate in funzione di parametri oggettivi e soggettivi, Le prime sono quelle sopra illustrate con innumerevoli varianti: progressione sulla faccia esterna o interna e, in caso di correzione anche cilindrica, costruzione torica o atorica.

Le L.P. personalizzate in funzione di parametri soggettivi sono lenti nelle quali, oltre ai parametri oggettivi si tiene conto anche di parametri soggettivi quali: alcune specifiche d’uso, l’attività prevalente, la relazione rotazione occhio-testa per la visione laterale. Ciò permette di ottimizzare le zone funzionali in funzione di queste specificità soggettive. Oltre queste possibilità, il miglioramento delle tecniche di lavorazione (lavorazioni free-form Figura 3a.31) ha permesso di introdurre sul mercato lenti sempre più sofisticate; sono state introdotte infatti lavorazioni asferiche e, in presenza di cilindri, lavorazioni biasferiche (atoriche). Alcune aziende modificano la geometria dello sbozzo in relazione anche alla lunghezza del bulbo oculare (lenti biometriche), altre, mediante l’utilizzo di sofisticate attrezzature, analizzano le aberrazioni introdotte dalla lente a un fronte d’onda che la attraversa. Lo studio ed il controllo delle aberrazioni, grazie a particolari lavorazioni coordinate delle superfici, permette di far si che il fascio di radiazioni, dopo aver attraversato la lente, sia ancora piano.

Riportiamo per completezza i casi in cui, a nostro avviso, è fortemente indicata una lente progressiva personalizzata.

– L’aumento dell’addizione porta ad una riduzione delle zone funzionali → passare a lenti personalizzate

– Il nostro cliente usa più occhiali con L.P. → utilizzare lenti personalizzate

Il nostro portatore è insoddisfatto delle L.P. in uso → passare a lenti personalizzate

Il soggetto presenta una DAV fuori degli standard → utilizzare lenti personalizzate

L’occhiale scelto non permette aggiustamenti → proporre lenti personalizzate o cambiare montatura

3a - Lenti progressive a porto abituale 65
Figura 3a.31 Tecnica di lavorazione free form

Grazie a questa tecnologia è possibile controllare anche il coma, aberrazione di ordine superiore, che, oltre a ridurre la qualità visiva, comporta anche una perdita di contrasto. Esistono inoltre lenti la cui costruzione è legata al rilevamento di aberrazioni del sistema ottico oculare del portatore o lenti in cui, mediante lavorazioni integrate delle due superfici, si distribuisce l’Add. su entrambe le facce della lente, ciò con l’intento di far trovare più facilmente la zona per vicino e ottenerla della massima ampiezza. Tralasciando la descrizione delle caratteristiche peculiari delle lenti delle varie aziende, che esula dagli scopi del presente lavoro, possiamo rimarcare che le lavorazioni free-form, con realizzazione della progressione sulla superficie interna della lente, stanno portando a sostanziali miglioramenti nell’utilizzo delle L.P. La costruzione Free Form (Figura 3a.31) ha consentito non solo di superare i limiti relativi alla gamma più o meno limitata dei design disponibili (si ricordi che nelle lenti ad inset variabile con l’Add. ed il P.L. si potevano avere combinazioni di inset non superiori a circa 60/70 valori) ma anche di introdurre innovazioni quali:

– Calcolo dell’inset in funzione di molteplici elementi: Potere diottrico per lontano

- Addizione - Semi DAV - Distanza di utilizzo per vicino - Angolo pantoscopico

- Angolo di avvolgimento - Angolo di abbassamento dell’asse visuale per vicinoSituazioni in cui è presente insufficienza di convergenza o visione monoculare. Grazie ad una sempre maggiore sofisticazione dei programmi di progettazione si possono prevedere interessanti sviluppi per il futuro. I valori di inset che si possono realizzare con questa tecnologia superano quelli realizzabili con lenti non personalizzate e possono superare anche i 5/6 mm.

– Ampiezza delle aree funzionali (campi di visione) maggiori anche in presenza di situazioni sfavorevoli come: ametropie elevate, astigmatismi elevati, assi obliqui, ecc. Le aree funzionali risultano infatti aumentate di circa il 6-8% e ciò si traduce in un apprezzabile aumento di ampiezza del C.P e, soprattutto, della zona per vicino.

– Possibilità di controllare efficacemente l’entità delle aberrazioni periferiche, la direzione degli astigmatismi indotti, l’ingrandimento e gli effetti prismatici in zona per vicino; gli astigmatismi di superficie risultano ridotti del 10-15% con evidente minori effetti disturbanti nelle zone periferiche durante le lateroversioni.

– Possibilità di costruire lenti che tengano conto anche dell’utilizzo prevalente e del comportamento del soggetto, in altri termini prendere in esame i movimenti della testa e degli occhi (head mover; eyemover), tenere conto di precedenti esperienze del soggetto con altre L.P.

Per non vanificare gli sforzi progettuali del costruttore è importante che in fase di esame rifrattivo l’occhiale di prova sia sistemato e aggiustato in modo corretto sul

3a - Lenti progressive a porto abituale 66 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

viso, ben centrato in orizzontale e verticale con angolo pantoscopico uguale a zero. Infatti i calcoli che vengono fatti per ottimizzare la lente (ricalcolare i poteri in posizione d’uso), in funzione di parametri rilevati dall’ottico come semi DAV, DAL, angolo pantoscopico e angolo di avvolgimento della montatura prevedono che l’occhiale di prova sia sistemato con angolo pantoscopico di 0° e centrato alla DAV per lontano corretta. Relativamente alla DAL, da impostare sull’occhiale di prova, non vengono date indicazioni per cui è presumibile che vengano considerati valori medi attorno a 12 mm, rapportati ai valori di DAL che vengono rilevati dal professionista con la montatura scelta, ben adattata sul viso del soggetto.

Una volta approntato l’occhiale con queste tipologie di lenti, all’atto della consegna, in particolare se l’utilizzatore è alla prima esperienza con L.P., è opportuno fornirgli consigli riportati in Tabella 3a.7, che renderanno più agevole l’adattamento.

Il tempo dedicato a questi suggerimenti ha, a nostro avviso, un’importanza fondamentale: permette all’utilizzatore di adattarsi più velocemente all’uso delle L.P., evita di dovere giustificare a posteriori gli eventuali disturbi che evidenzierà nei primi giorni di utilizzo e gli fanno capire di essere di fronte ad un professionista che conosce bene l’ausilio ottico che gli ha proposto e quindi ne garantisce l’ottimale adattamento. Le raccomandazioni suddette diventano tanto più importanti quanto maggiore sarà l’Add. delle L.P.

Indicazioni e controindicazioni all’uso delle lenti progressive Il successo nell’approntare una L.P. dipende, oltre che dal corretto montaggio ed esatta prescrizione, da una accurata selezione del portatore. Il candidato ideale per la L.P. è il giovane presbite che lamenta i primi problemi per la visione prossima.

Nel periodo di adattamento (10/15 giorni) rispettare alcune indicazioni:

• Ruotare maggiormente la testa anziché gli occhi, per la visione laterale

• Evitare di reclinare indietro la testa per la visione a distanza e non abbassarla per la visione per vicino

• Abituarsi, per la lettura, a ruotare gli occhi verso il basso più del naturale, ciò al fine di superare il C.P. => limite ineliminabile delle L.P.

• Tollerare, nei primi giorni, una sensazione di disorientamento spaziale. Tale inconveniente sarà sempre meno avvertito con il passare dei giorni fino a recedere, nelle peggiori dell'ipotesi, nel giro di qualche settimana

3a -
a
abituale 67
Lenti progressive
porto
Tabella 3a.7 - Consigli per l’utilizzatore di una L.P.

Ottimi candidati teorici risultano anche i miopi non elevati, non abituati a togliersi gli occhiali per vicino, l’afachico corretto con lenti a contatto o lo pseudo fachico, i soggetti che per motivi estetici non accettano il bifocale, i soggetti con necessità visive a medie distanze (50/90 cm).

È comunque fondamentale una decisa motivazione verso questo tipo di ausilio ottico e altrettanto fondamentale individuare le situazioni nelle quali l’uso di tali lenti è da sconsigliare o può richiedere lunghi periodi di adattamento (Tabella 3a.8).

– Se si presenta un astigmatismo dinamico (il valore del cilindro e/o dell’asse varia tra la prescrizione per lontano e quella per vicino) può essere problematico l’uso di lenti progressive; sono state, recentemente, immesse sul mercato lenti in cui è possibile variare il valore del cilindro e l’asse nel passare dalla zona per lontano a quella per vicino. Se non si risolve il problema e il portatore vuole un solo occhiale si può comunque utilizzare un occhiale con lenti bifocali di costruzione.

– In soggetti con patologie cerebrali, degenerative e arteriosclerotiche, cerebellari, labirintiche, ipotensioni ortostatiche, distonie neurovegetative, ecc. non è opportuno l’uso di L.P. Nei casi di traumi cranici transitori è consigliabile attendere la risoluzione del problema.

– La risposta celebrale ad eventi improvvisi (es. localizzazione di un pericolo durante la guida) avviene con repentini spostamenti oculari che risultano più rapidi di quelli della testa. L’uso di L.P., al fine di non perdere in nitidezza, richiede lo spostamento laterale della testa e quindi un rallentamento dei tempi di reazione.

• Astigmatismi diversi tra lontano e vicino

• Disturbi dell’equilibrio

• Occupazioni in cui necessita un ampio campo di visione

• Soggetti ben adattati a lenti bifocali o trifocali

• Anisometropie maggiori di 1.50 - 2.00 dt

• Eteroforie in modo particolare verticali

• Add. diversa nei due occhi

• Prima prescrizione con Add. > di 2.00 dt

• Difficoltà nell’adattarsi a cambiamenti

• Asimmetrie facciali

• Soggetti non adatti per ragioni psicologiche

• Soggetti che non controllano la postura

3a - Lenti progressive a porto abituale 68 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Tabella 3a.8 - Difficoltà nell’uso di L.P.

Nel passaggio da una lente bifocale ad una progressiva si deve informare il soggetto della necessità di una maggiore rotazione oculare per l’utilizzo della zona per vicino: infatti l’uso di lenti bifocali porta a meccanismi automatici cervico-cefalici che dovranno essere modificati per il corretto utilizzo delle L.P. Per agevolare l’adattamento può essere consigliabile utilizzare una L.P. a tipologia hard o a canale accorciato, purché la richiesta della L.P. non nasca da esigenze visive per distanze intermedie.

– In caso di anisoametropie, utilizzando zone eccentriche di lente per la visione per vicino, oltre all’aniseiconia si presentano effetti prismatici diversi tra i due occhi. Questa situazione, detta anisoforia ottica, può essere causa di perdita di visione binoculare se il sistema visivo non riesce a compensarla attraverso le capacità fusionali. Il mantenimento della visione binoculare è importante anche in soggetti non anisometropi: infatti per poter stimolare aree retiniche corrispondenti è necessario che le zone interessate delle lenti presentino le stesse caratteristiche. Nelle lateroversioni i due occhi non ruotano simmetricamente quindi è necessario che le due lenti siano realizzate opportunamente. Soggetti eteroforici, anche se non anisometropi, possono avere problemi di tollerabilità all’uso delle L.P., anche per differenze di effetti prismatici di modesta entità in verticale. Sono state recentemente introdotte lenti progressive atte allo scopo; oltre ad alcune compensazioni sul piano orizzontale al fine di incrementare meno il valore di anisoforia ottica, nel passaggio da lontano a vicino si variano le lunghezze del canale di progressione tra le due lenti (la lente con valore diottrico maggiore avrà un canale di lunghezza maggiore) al fine di ridurre la differenza di effetto prismatico e far trovare ai due occhi la stessa addizione nel passaggio da lontano a vicino.

– In funzione dell’Add. l’ampiezza delle zone funzionali e l’incremento di potere nel C.P. sono diversi, ciò può inficiare l’utilizzo delle L.P. o portare ad utilizzarle come lenti bifocali.

– Essendo l’ampiezza delle zone funzionali inversamente proporzionale al valore dell’Add., all’aumentare di questa il portatore incontrerà maggiori difficoltà di adattamento. È pertanto consigliabile informarlo sempre di tali problematiche.

– Le asimmetrie facciali devono essere rilevate sia in orizzontale (rilevamewnto DAV monoculare) che in verticale. Per il corretto montaggio dell’occhiale si dovrà tener conto di questi dati.

3a - Lenti progressive a porto abituale 69 –

Conclusioni

L’evoluzione nel settore delle L.P. è stata continua e, sicuramente, ha permesso un più facile uso di questo ausilio ottico. È pur vero che una lente di un dato potere ha, se del tipo ad inset variabile in funzione del potere per lontano e dell’Add., un preciso valore di inset che può risultare eccessivo, ad esempio nel caso che il soggetto abbia una DAV piccola, o insufficiente per una DAV grande, o non adeguato per il non rispetto di uno o più degli altri parametri (angolo pantoscopico, angolo di avvolgimento, DAL, distanza d’uso). In particolare le lenti a progressione integrata (valore di addizione sulla superficie esterna di valore fisso o variabile secondo differenti scelte costruttive delle varie aziende, e degressione sulla superficie interna per arrivare all’addizione richiesta, unitamente alla possibilità di personalizzare la lente) stanno portando a lenti progressive con zone funzionali sempre di dimensioni maggiori e minori effetti disturbanti nelle altre zone.

Le lenti a geometria integrata hanno inoltre risolto il problema che potevano presentare le lenti a sola progressione interna per gli alti poteri; in tali casi la necessità di non eccedere nelle curvature della faccia esterna della lente, porta a una riduzione della concavità sulla superficie interna introducendo, nelle rotazioni oculari, una forte variazione della DAL con conseguente aumento delle aberrazioni, in particolare la curvatura di campo.

Queste considerazioni dovrebbero portare “sempre” a preferire l’uso di una L.P. personalizzata, tenendo però conto che non sempre tutti potranno sostenere il loro costo maggiore. Considerando le ricerche in atto non è probabilmente lontano il giorno in cui saranno disponibili lenti che realizzeranno la progressione di potere non variando le proprie curvature ma variando l’indice di rifrazione dalla zona per lontano a quella per vicino, superando forse il problema delle zone non funzionali.

Sono disponibili svariati sistemi, anche elettronici, per il rilevamento accurato dei parametri necessari per il corretto montaggio, l’affidabilità delle mole computerizzate per la lavorazione delle lenti stesse e la loro centratura è notevolmente aumentata; ciò comunque non potrà mai prescindere dalla necessità di una approfondita conoscenza di queste lenti da parte del professionista preposto sia alla scelta del tipo più idoneo che al suo montaggio.

Per l’ottimale scelta e montaggio delle lenti, vista la continua evoluzione del prodotto, è necessario che il professionista sia impegnato nella costante ricerca di un corretto aggiornamento, che non si lasci condizionare da un bel depliant o dal prezzo, ma diventi l’attore principale di questo mercato che è, sicuramente, di grossa fidelizzazione verso la propria clientela. Si tenga altresì presente che qualunque tipologia

3a - Lenti progressive a porto abituale 70 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

di L.P. sia standard che personalizzata a porto abituale diventa “insufficiente” per chi svolge attività specifiche, come ad esempio chi lavora ai VDT. In questi casi è consigliabile una lente specifica per vicino intermedio.

3a - Lenti progressive a porto abituale 71

3b Lenti per la compensazione del vicino intermedio

Introduzione

Le L.P. hanno avuto, in questi ultimi anni, sviluppi non indifferenti; allo stesso tempo, sono però notevolmente variate le esigenze visive di gran parte della popolazione (non fosse altro per l’enorme utilizzo che viene fatto dei videoterminali) mettendo a dura prova le L.P. per uso “abituale” ed evidenziandone i limiti, in particolare alle medie distanze, Figura 3b.1. In queste note verranno presentate alcune peculiarità della visione vicino-intermedio, illustrando quello che la tecnologia ha messo a disposizione per tali necessità, oltre a fare una classificazione delle lenti presenti sul mercato con indicazioni per il loro uso.

Necessità visive per vicino-intermedio

Il migliore tenore di vita ha portato ad un aumento della vita media; si stima che negli ultimi 10 anni questa sia aumentata di 2 anni e che le esigenze visive siano raddop-

Problematiche L.P. a porto abituale

• Visione intermedia e vicino limitata lateralmente

• Necessità di adattamento

• Coordinamento rotazione occhi-testa

• Velocità di lettura ridotta

• Scelta tipo di lente da adottare

• Montatura adeguata, centratura orizzontale e verticale

• Montaggio e controlli molto attenti

Figura 3b.1 Si evidenziano (in blu) le zone non funzionali della lente, queste si accentuano all’aumentare dell’Add. e al diminuire della lunghezza del C.P.

73

piate. Ciò porta ad un forte incremento dei presbiti e quindi ad un maggior uso di lenti per presbiopia. Il mercato mostra una diminuzione nell’uso delle lenti bifocali ma non si ha in corrispondenza di ciò un pari incremento delle L.P. che coprono, secondo previsioni ottimistiche, circa il 20% del potenziale mercato dei presbiti. Si stima, inoltre, che oltre il 75% dei presbiti, portatori o meno di L.P. ad uso abituale, abbia necessità di un ausilio specifico per attività particolari (lavoro di ufficio, uso di computer, bricolage, attività ricreative, gioco a carte, scacchi, ecc.).

A fronte di una così elevata richiesta in questo intervallo di distanze, con l’uso di lenti oftalmiche tradizionali si hanno forti limitazioni che si accentuano all’aumentare dell’Add. necessaria. In tali condizioni si può riscontrare:

– necessità di più occhiali, con lenti di potere diverso, per vedere a distanze diverse;

– limiti del tradizionale bifocale (Figura 3b.2) che, se pur determinato per la media distanza e per vicino, non permette, in caso di presbiopia marcata, una idonea compensazione continua per le distanze da 35 cm a circa 2 metri;

– limiti funzionali ed estetici qualora si utilizzasse un trifocale (Figura

3b
74 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
- Lenti per la compensazione del vicino intermedio
3b.3); Figura 3b.2 Nella figura sono evidenti due zone di visione nitida e quindi la mancanza di compensazione per le altre distanze: il bifocale ha inoltre evidenti limitazioni estetiche. Si dovrebbe vedere bene da vicino e da lontano e sfuocato nell’intermedio Figura 3b.3 Nella figura sono rappresentate, sullo stesso occhiale, due tipologie di trifocali. Tralasciando l’aspetto estetico non vi è mai stata, in Italia, una cultura nell’uso di tale ausilio ottico

3b - Lenti per la compensazione del vicino intermedio

– limitazione dell’ampiezza delle zone funzionali per l’intermedio e per il vicino nell’uso di una L.P. a porto abituale (Figura 3b.4).

Con l’uso delle L.P a porto abituale si ha infatti:

– ridotto campo di visione in orizzontale e verticale nella zona di progressione;

– non rispondenza per le necessità richieste delle zone all’interno del C.P., e, anche se in misura più contenuta, nella zona per vicino;

– posizione non corretta delle zone funzionali per particolari attività lavorative.

In caso si utilizzi un computer, tralasciando le problematiche nell’uso della tastiera, la visione del monitor impone un aumento dell’attenzione, al fine di poter seguire la riga, e ciò concorre ad accentuare tutte quelle problematiche che vanno sotto il nome di sindrome da videoterminale (occhio secco, bruciore, visione annebbiata e/o sdoppiata, cattiva percezione dei colori, pesantezza oculare, sensazione di prurito, lacrimazione, fotofobia, ecc.). Da non dimenticare inoltre le difficoltà di postura (Figura 3b.5).

Dobbiamo altresì rilevare che, in caso di midriasi o Add. elevate, si possono creare problemi nell’uso del C.P. L’immagine retinica che si forma quando si utilizza tale corridoio risulta infatti dalla compartecipazione di più potenze (Figura 3b.6). L’utilizzo di una zona, ad esempio di 5 mm, in caso si consideri un’Add. di 2.75 dt ed un C.P. di lunghezza 13 mm, comporta una variazione di potere in verticale di circa 1.00 dt e quindi una deformazione dell’immagine di un oggetto visto attraverso tale zona.

Dalla figura si evidenzia che le zone più penalizzate sono la zona per vicino e soprattutto la zona per la visione intermedia

75
Figura 3b.4 Limiti di una L.P. a porto abituale per la visione vicino-intermedio.

3b - Lenti per la compensazione del vicino intermedio

Figura

del potere nel C.P. Considerando una lente con un C.P. di lunghezza 13 mm e Add. 2.75 dt avremo per ogni millimetro un incremento di potere dato da: 2.75 : 13 = x : 1 da cui: x = 2.75 / 13 = 0.21 dt

Senza addentrarci nell’analisi di queste problematiche è comunque evidente che si dovranno ricercare soluzioni che permettano di avere una visione nitida e confortevole alle distanze previste per le esigenze visive vicino-intermedio.

Distanza massima d’uso di una lente per vicino intermedio

Se le prime lenti studiate per usi lavorativi che si svolgono in ambienti circoscritti sono state inserite sul mercato da circa 20 anni è negli ultimi anni che si è avuto una grandissima evoluzione di lenti specifiche per tutte quelle attività che si possono semplicemente denominare attività lavorative nel vicino-intermedio. Con tale definizione si intendono, in altre parole, quelle attività che richiedono una visione nitida e confortevole da vicino (~ 35-40 cm) fino ad una distanza dipendente dal lavoro che si

76 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
Figura 3b.5 Posizioni di un videoterminalista, in funzione del tipo di compensazione in uso 3b.6 Variazione

svolge; sarà proprio quest’ultima condizione che indirizzerà l’ottico nella scelta della lente che dovrà consigliare.

In queste lenti la potenza nella parte alta della lente non sarà più quella necessaria per la visione per lontano ma avrà un valore dipendente dalla massima distanza di utilizzo (D.u.) che si desidera avere; la potenza nella zona per vicino avrà il potere necessario per la visione prossima. Le diverse modalità di variazione del potere e il valore della variazione di potere stessa, dalla parte bassa alla parte alta della lente, denominato potere di degressione (Pdeg.), caratterizzeranno la tipologia di lente e ne determineranno l’utilizzo.

Partendo da tali considerazioni si pongono due interrogativi:

– con quali criteri viene scelta la tipologia di lente da utilizzare?

– all’interno della tipologia scelta, quale Pdeg. preferire?

Si tenga presente, a questo proposito, che le varie aziende possono avere più tipologie di lenti per vicino-intermedio e, all’interno di queste, poteri di degressione diversi.

Tralasciando la descrizione delle varie tipologie di lenti per vicino-intermedio, che verrà ripresa successivamente, illustriamo il calcolo per determinare, una volta stabilita l’Add. necessaria, il valore di degressione da richiedere perché la lente permetta una visione ottimale nell’intervallo previsto. Fissata la massima distanza d’uso (D.u.) che si desidera raggiungere, si determina con semplicità il valore di degressione che la lente deve avere per far sì che si arrivi a vedere nitidamente a quella distanza con la seguente relazione:

D.u. = 1 / (Add. – Pdeg.) (1)

Dove:

Add. = valore diottrico dell’addizione necessaria al compito visivo del presbite, Pdeg. = valore diottrico di degressione della lente che viene ordinata.

Avremo per Pdeg. l’espressione:

Pdeg. = (D.u. . Add. – 1) / D.u. più semplicemente:

Pdeg. = Add. – 1 / D.u. (2)

Nella Tabella 2.1 vengono riportate le distanze di utilizzo per alcune lenti vicino-intermedio in commercio; ci si è volutamente fermati a valori massimi di 2.50 dt, in quanto valori maggiori, se pur presenti in commercio, dovrebbero suggerire altre soluzioni ottiche.

3b
77
- Lenti per la compensazione del vicino intermedio

APPROFONDIMENTO 1

La determinazione dell’Add. quando deve essere approntato un occhiale con L.P. o con lenti per vicino-intermedio assume particolare importanza e deve essere la più piccola in relazione alle esigenze visive per la distanza prossima. Per le L.P. a porto abituale ridurre l’Add. permette di avere, ferma rimanendo la tipologia di lente, zone funzionali più grandi e soprattutto minori aberrazioni nelle zone non funzionali. Nelle tipologie di lenti per vicino-intermedio D.u. maggiori, a parità di Pdeg, o stesse distanze di utilizzo con Pdeg. minori, portano a zone funzionali più ampie. Vediamo con un esempio di chiarire quanto detto. Si abbia un soggetto che, alla distanza di 33 cm, abbia una addizione di 2.25 dt (quindi un residuo accomodativo di ~ 0.75 dt) e che desideri una lente per vicino intermedio che gli permetta di avere una visione nitida fino a 2 metri di distanza. Dalla relazione (2) o, più semplicemente dalla tabella 3b.1, dovremo utilizzare una lente con Pdeg. di 1.75 dt; se volessimo verificare l’esattezza di tale valore dalla relazione (1) si avrebbe infatti:

D.u. = 1 / (Add. – Pdeg.) = 1 / (2.25 – 1.75) = 1 / 0.50 = 2 metri

L’intervallo di visione nitida (*) di questo soggetto sarà pertanto da 33 cm a 2 metri. Se dall’anamnesi si riscontrasse che le necessita visive del soggetto in questione non sono per 33 cm. ma per una distanza di 38/40 cm, è logico aspettarsi che per tali necessità l’Add. risulterà non superiore a 2.00 dt; avremo in tal caso, sempre con la lente con Pdeg. di 1.75 dt, una distanza di utilizzo di 4 metri. (D.u. = 1 / (2.00 – 1.75) = 1 / 0.25 =

3b - Lenti per la compensazione del vicino intermedio 78 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
4 Add./Pdeg. 0.75 1.00 1.25 1.50 1.75 2.00 2.25 2.50 2.75 0.75 ∞ 1.00 4 ∞ 1.25 2 4 ∞ 1.50 1,33 2 4 ∞ 1.75 1 1,33 2 4 ∞ 2.00 0,8 1 1,33 2 4 ∞ 2.25 0,67 0,8 1 1,33 2 4 ∞ 2.50 0,57 0,67 0,80 1 1,33 2 4 ∞ 2.75 0,57 0,67 0,80 1 1,33 2 4 ∞ 3.00 0,57 0,67 0,80 1 1,33 2 4 3.25 0,57 0,67 0,80 1 1,33 2 3.50 0,57 0,67 0,80 1 1,33 3.50 0,57 0,67 0,80
Tabella 3b.1 - Distanze massime di uso al variare dell’addizione e del potere di degressione

metri) e, quindi, un intervallo di visione nitida da 40 cm a 4 metri o, per le necessità massime di 2 metri, la possibilità di utilizzare un a lente con Pdeg. di 1.50 dt. (D.u. = 1 / ( 2.00 – 1.50) = 2 metri). Questa lente, in particolare per alcune tipologie, risulterà con zone funzionali più grandi e con minori aberrazioni nelle altre zone rispetto alla precedente. Come vedremo in approfondimento 2 determinare l’Add. a 40 cm. permetterà di avere una distanza di uso anche maggiore grazie alla profondità di campo dipendente dal diametro pupillare e una distanza minima ancor più ravvicinata.

APPROFONDIMENTO 2

La distanza massima di utilizzo (D.u.) è la distanza di visione che la lente per vicino-intermedio scelta permette; questa non deve essere confusa con la REALE profondità di visione nell’uso della lente che viene a dipendere anche dal diametro pupillare. La relazione che lega il diametro pupillare (g) e la profondità di campo (E) è data dalla Formula di Campbell:

E(dt) = ± [(0.75 / g) + 0.08]

dove: g = Ø pupilla in mm.

La profondità di campo lineare (EL) dipende dalla dimensione della pupilla ma anche dalla distanza di osservazione. Se l’oggetto fissato si trova molto lontano, può essere spostato molti metri prima che si apprezzi uno sfuocamento dell’immagine, mentre a distanze molto prossime, basta uno spostamento di pochi centimetri perché si abbia un sensibile peggioramento nella focalizzazione.

Vediamo di chiarire con degli esempi questi concetti.

Esempio 1 Oggetto a distanza di 2 metri, diametro pupillare 4 mm

Abbiamo:

E = 0,75 / 4 + 0.08 = ± 0.2675 dt

Essendo la vergenza di 2 metri 0.50 dt, avremo:

• 0.50 – 0.2675 = 0.2325 => (1 / 0.2325) = 4,3 metri

• 0.50+ 0.2675 = 0.7675 => (1 / 0.7675) = 1,3 metri

Intervallo di profondità di campo lineare da 1,3 metri a 4,3 metri

Esempio 2 Oggetto a distanza 33 cm

Vergenza di 33 cm = > 3.00 dt, quindi:

• 3.00 – 0.2675 = 2.7325 dt => (1 / 2.7325) = 36,5 cm

• 3.00 + 0.2675 = 3.2675 dt => (1 / 3.2675) = 31 cm

Intervallo di profondità di campo lineare da 31 cm. a 36,5 cm

Generalmente per i calcoli pratici viene considerato un E di ± 0.25 dt

Per semplificare le valutazioni dell’effettiva D.U., nella tabella 2.1, far riferimento al Pdeg. successivo rispetto a quello della lente scelta.

3b
79
- Lenti per la compensazione del vicino intermedio

Tipologie di lenti per vicino-intermedio

Non vi è un criterio universale per classificare queste tipologie di lenti, i vari costruttori le propongono come: L.P. vicino-intermedio, lenti a poteri raccordati, lenti a profondità di campo, lenti a profondità di fuoco, ecc; poiché non si fa riferimento sempre alle stesse caratteristiche fisiche, si propone, per evitare confusione e applicazioni scorrette, di classificarle in tre categorie in funzione delle loro caratteristiche di progetto e di applicazione, avremo quindi:

a. lenti a poteri raccordati

b. lenti progressive vicino intermedio

c. lenti a profondità di campo

Lenti a poteri raccordati Presentano due zone d’uso separate da una zona di raccordo dei due poteri, di lunghezza di circa 8/10 mm, scarsamente utilizzabile a causa delle aberrazioni. La continuità di visione può avvenire solo sfruttando il residuo di accomodazione, se questo ancora presente (Figura 3b.7). Questa tipologia di lente è riconducibile, come funzionamento, ad un bifocale in cui la parte alta della lente presenta un potere necessario per la visione alla distanza intermedia dipendente dal compito visivo da svolgere. Queste lenti (in commercio si trovano con riduzione di potere della parte alta rispetto alla parte bassa da ~ 0.75 a 2.25 dt). Presentano due zone funzionali molto ampie e sono particolarmente indicate quando si hanno specifiche esigenze visive a due distanze definite. A nostro parere, questa tipologia di lente, può presentare dei limiti per quei soggetti che richiedono Add. medio alte; lo scarso potere accomodativo residuo può infatti lasciare prive di compensazione le distanze intermedie, che sono proprio quelle che hanno portato alla scelta di quel potere di degressione.

80 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
3b - Lenti per la compensazione del vicino intermedio
Visione intermedia Visione per vicino Figura 3b.7 Rappresentazione di una lente a poteri raccordati

3b - Lenti per la compensazione del vicino intermedio

Non si dimentichi comunque che è possibile, mediante le considerazioni viste in “approfondimento 2”, valutare le effettive zone che possono rimanere non coperte come intervallo di visione nitida.

– Lenti progressive “vicino-intermedio” Sono nella sostanza, L.P. private della zona per lontano; ciò porta ad una differenza di potere minore, tra la zona alta e quella bassa della lente, con conseguente vantaggio dell’ampiezza della zona intermedia e di quella per vicino, oltre alla riduzione degli astigmatismi di superficie(*) delle zone laterali non funzionali. Tali vantaggi diventano ancora più significativi per il fatto che i canali di progressione di queste lenti presentano lunghezze che variano da ~ 20 a 28 mm. a seconda dell’azienda, rispetto ai ~ 14-18 mm. delle lenti progressive tradizionali, Figura 3b.8.

– Lenti a profondità di campo Sono lenti in cui si privilegia la visione per vicino unita alla possibilità di avere visione nitida oltre la distanza che ha portato alla determinazione dell’Add. I poteri di degressione in commercio (dichiarati dalle aziende) arrivano fino a 2.25 dt e permetterebbero di avere, anche per soggetti con Add. alte, distanze di utilizzo fino a 2 metri [D.u. = 1 / (2.75 – 2.25) =2 metri]. Per la loro costruzione (Figura 3b.9) sono un’ottima soluzione anche per sostituire il semplice occhiale per vicino, per queste distanze presentono infatti zone utili molto ampie e paragonabili a quelle di un occhiale per vicino. In caso di Add. alte tali lenti, a nostro parere, dovrebbero essere utilizzate se non si ha

di

a profondità di campo (si presentano come delle progressive “capovolte” con zone funzionali, nel vicino e primo intermedio, decisamente più ampie)

81
Figura 3b.8 Zone funzionali di una L.P. vicinointermedio Figura 3b.9 Zone funzionali una lente

3b - Lenti per la compensazione del vicino intermedio

necessità di distanze d’uso molto ravvicinate; in questo caso sarebbero richiesti Pdeg. alti con conseguenti zone funzionali con aberrazioni sempre più invadenti all’aumentare della distanza d’uso. Avendo un restringimento verso l’alto sono meno indicate per un uso dinamico.

Nelle tabelle 3b.2 e 3b.3 sono riassunti i vantaggi ed elencati i portatori ideali di queste tipologie di lenti.

Tabella 3b.2 - Vantaggi lenti per vicino-intermedio: in tutte le tipologie

• Buona acuità visiva per vicino

• Buona acuità visiva per la visione intermedia

• Massimo comfort in visione statica e dinamica

• Adattamento rapido, immediato se già portatore di L.P. a porto abituale

• Corretto posizionamento delle zone funzionali

Tabella 3b.3 - Portatori ideali di lenti per vicino-intermedio

• Presbiti medio-elevati

• Chi è già portatore di lenti bifocali o progressive a porto abituale

• Tutti coloro che lavorano al computer: giornalisti, cassieri, impiegati, operatori ai video terminali, ecc.

• Chi svolge attività nel vicino-intermedio: parrucchieri, dentisti, architetti, orefici e orologiai, meccanici, musicisti, pittori, giocatori di biliardo, chi fa del bricolage, ecc.

APPROFONDIMENTO 3

Si ricordi che l’ampiezza delle zone funzionali e l’entità delle aberrazioni nelle zone non funzionali aumentano all’aumentare dell’Add. ed al ridursi della lunghezza del C.P., ferma rimanendo la tipologia di lente scelta.

Le L.P. vicino-intermedio presentano una continuità di potere e sono consigliate dove l’esigenza prevalente è la visione a distanza intermedia (ad esempio, per un’attività di ufficio).

I poteri di degressione in commercio valori da 0.75 a 3.50 dt (valori di degressione superiori a 2.25 / 2.50 dt sono a nostro avviso non giustificabili e dovrebbero indirizzarci ad altre soluzioni ottiche) permettono un ampio uso, anche se è opportuno ricordare che, se si vuole garantire una adeguata ampiezza in orizzontale, si deve sacrificare parte della profondità, nel rispetto delle distanze di visione necessarie, come fatto rilevare in precedenza.

Nella gamma di produzione di queste di lenti le aziende forniscono generalmente alcuni valori (ad esempio 1.00 e 1.50 dt o 0.75, 1.25, 1.75, 2.25 dt). Alcune aziende per

82 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

non presentare tipologie standardizzate, operano in modo diverso: partendo dalla prescrizione del potere per lontano e dell’Add, come avviene per le L.P. a poto abituale non personalizzate, richiedono se si desideri avere una distanza D.u. di 2 metri o di 4 metri. In relazione a tali richieste forniranno una L.P. con un potere per lontano con aggiunta positiva di circa 0.50 dt se la richiesta di D.u. è 2 metri o di circa 0.25 dt se la richiesta è 4 metri.

Tale aumento del potere per lontano, accompagnato da un allungamento del C.P. comportano ampi aumenti delle zone funzionali nelle distanze di utilizzo.

A nostro avviso la scelta di una D.u. di 4 metri, ottenibile con la lente, è eccessiva in quanto questa viene aumentata dalla profondità di campo lineare che, su una distanza di 4 metri, può, in relazione a diametri pupillari piccoli, portare a distanze reali di utilizzo da far pensare all’utilizzatore di portare la lente anche per altri usi. In ogni caso sarebbe preferibile che l’ottico optometrista scegliesse i parametri delle lenti in base alle sue valutazioni tenendo conto delle esigenze personali di ogni soggetto.

Ordinazione di una lente per vicino intermedio

Anche per l’ordinazione non esistono regole comuni, consultando le schede tecniche dei prodotti si hanno le seguenti indicazioni:

– potere di degressione della lente (tipo di lente) e potere per vicino;

– potere per lontano e addizione;

– potere per vicino.

Anche nelle modalità d’ordine delle lenti, a nostro parere, si possono avere problemi. Essendo consci di non poter soddisfare le esigenze di tutti i soggetti con le tipologie proposte da una sola azienda, per la risoluzione delle “infinite” situazioni lavorative che possono presentarsi, occorre procedere facendosi guidare da alcune semplici considerazioni.

Dall’anamnesi si dovrà determinare quale attività prevalente svolge il presbite e quale è la D.u. che tale attività richiede (si ricordi che se si vuole aumentare la profondità di utilizzo si deve aumentare il Pdeg. e questo comporta la riduzione dell’ampiezza in orizzontale delle zone funzionali di lente – per contro limitare la profondità eccessivamente crea una sensazione di limitatezza spaziale a cui non sempre il soggetto si adatta), si dovrà successivamente effettuare la refrazione che fornirà al professionista il potere per lontano e l’addizione necessaria per la visione da vicino.

Grazie a queste informazioni l’ottico disporrà di tutti gli elementi per ordinare la lente o seguendo le indicazioni dell’azienda o, meglio ancora, avendo valutato le esigenze

3b
83
- Lenti per la compensazione del vicino intermedio

specifiche e le condizioni d’uso, ordinando la lente alla ditta con i seguenti parametri:

– potere per vicino;

– tipologia di lente che si ritiene opportuno utilizzare;

– valore di degressione (se la tipologia di lente scelta offre più possibilità).

Si ritiene infatti che la lente che si fornirà al cliente debba assolutamente avere il potere necessario per le distanze determinate per le necessità visive per vicino e che, con la relazione per la D.u. precedentemente data, la lente scelta permetta di coprire le distanze desiderate con la massima ampiezza possibile.

Si ricordi che anche per queste lenti la profondità di campo apportata dal diametro pupillare permette di ampliare nel vicino e ancor più nell’intermedio la D.u. propria della lente.

È evidente che se la tipologia di lente scelta presenta un solo Pdeg. l’ordinazione si baserà solo sulla richiesta del potere per vicino.

Montaggio di lenti per vicino-intermedio

Non esiste una regola che accomuni la centratura delle varie tipologie di lenti (alcune, tra l’altro, sono realizzate simmetriche ed altre asimmetriche); è quindi opportuno che l’ottico sia a conoscenza delle indicazioni dell’azienda, anche se non sempre queste indicazioni sono condivisibili e a volte possono creare confusione a chi deve approntarle.

La centratura della lente richiede dei rilevamenti in orizzontale e dei rilevamenti in verticale.

In orizzontale, consultando le indicazioni tecniche del costruttore, si possono avere le seguenti indicazioni:

– rilevamento distanza assi visuali per lontano;

– rilevamenti monoculari distanze assi visuali per lontano;

– rilevamento distanza assi visuali per vicino.

Queste differenziazioni non sono criticabili in quanto legate alla tipologia costruttiva della lente e devono assolutamente essere rispettate.

In verticale si hanno decisamente più differenziazioni, sempre consultando le varie note tecniche possiamo avere:

– rilevare l’altezza seguendo le indicazioni utili per la centratura delle lenti asferiche;

– rilevare l’altezza rispettando parametri quali: DAL e angolo pantoscopico; per altre, oltre a questi parametri, è possibile ordinarle fornendo anche le indicazioni della DAV;

– coincidenza dei riferimenti indicati sulla lente con il centro dima;

– riferimenti incisi sulla lente coincidenti con la rima palpebrale inferiore.

84 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
3b - Lenti per la compensazione del vicino intermedio

Sebbene talora si possa avere “fortuna”, è di fatto aleatoria la centratura che utilizza i riferimenti legati alla montatura anziché quelli riconducibili all’occhio del portatore (riferimenti pupillari o posizione rima palpebrale inferiore).

In questi casi è quindi opportuno verificare la calzabilità dell’occhiale e contestualmente il posizionamento delle zone funzionali della lente utilizzata, sempre che si conosca in modo appropriato il prodotto e/o si sia in grado di controllare la lente, Figura 3b.10.

Figura 3b.10 Si evidenzia come in relazione al posizionamento dei centri pupillari, eseguire il montaggio della lente al centro dima in verticale, possa portare a rotazioni oculari non naturali

Conclusioni

È emerso che le lenti vicino-intermedio, che potrebbero permettere un comfort visivo a tutti quei soggetti che hanno specifiche esigenze durante la propria attività lavorativa, richiedono che il professionista segua gli sviluppi tecnologici che il settore sta vivendo e acquisti conoscenze su una varietà di prodotti vasta e non omogenea,

3b
85
- Lenti per la compensazione del vicino intermedio

soprattutto per quanto riguarda l’ordinazione e l’approntamento in funzione del rilevamento dei parametri in orizzontale e verticale. A ciò si aggiunge le difficoltà di reperire montature adatte allo scopo.

Sarebbe pertanto opportuno che le aziende che producono queste tipologie di lenti che, ad oggi, non hanno ancora un mercato significativo, fornissero più informazioni su questi prodotti, sulle modalità d’ordine e sul montaggio corretto. Una informazione tecnica dettagliata porterebbe, a nostro avviso, ad un forte incremento e scoraggerebbe coloro che non sono attenti all’evolversi della tecnologia.

3b - Lenti per la
86 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
compensazione del vicino intermedio

3c Rilevamento parametri per un corretto montaggio

Introduzione

I sistemi di individuazione delle caratteristiche delle montature sono sostanzialmente due: il sistema Boxing ed il sistema Datum. Generalmente in Italia viene utilizzato il sistema Boxing (Figura 3c.1). Racchiuso il frontale della montatura in un un rettangolo e delimitati gli anelli del frontale anche nella parte nasale, gli elementi fondamentali sono: la linea base che divide orizzontalmente il frontale in due parti uguali; lo scartamento che rappresenta la distanza tra i centri geometrici degli anelli e che corrisponde alla dimensione A dell’anello più l’ampiezza del ponte; la distanza minima tra le lenti (DBL) e il diametro effettivo dell’anello (DE) che rappresenta il doppio della distanza tra il cento geometrico dell’anello e il suo punto più distante.

Partendo da tali conoscenze si dice che è stata effettuata una corretta centratura delle lenti se queste, una volta montate, non introducono effetti prismatici indesiderati quando si utilizzano in direzione primaria di sguardo. In altre parole la centratura delle lenti si ottiene montando le stesse in modo tale da rispettare la condizione precedentemente detta.

Una corretta centratura condiziona pertanto la scelta del diametro utile della lente, per la realizzazione della prescrizione voluta.

Centrare una lente su di una montatura significa, per le lenti sferiche, posizionare i centri ottici in modo tale da non introdurre effetti prismatici indesiderati quando l’occhiale è utilizzato in direzione primaria di sguardo per lontano. Per le lenti astigmatiche il punto di riferimento è quel punto dove ruotano le linee focali; per le lenti progressive è la croce di centratura.

Si definisce asse visuale (AV) la linea che unisce il punto di fissazione alla fovea passando per il punto nodale dell’occhio e distanza assi visuali (DAV) la distanza che intercorre tra i due assi visuali quando il soggetto, in posizione primaria di sguardo con postura naturale, guarda all’infinito.

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dimensione A

dimensione B

altezza del segmento

distanza tra linea base e linea di separazione bifocale scartamento (distanza tra centri geometrici)

Centrare una lente significa quindi posizionare i punti di riferimento della lente coincidenti, se non sono da prescrivere effetti prismatici, con la DAV del soggetto rilevata sui filtri di prova predisposti sull’occhiale, più precisamente e in particolare per le L.P. sulle semi DAV monoculari.

Ricordiamo l’errore che si può introdurrre centrando le lenti, anziché sulla DAV, sulla distanza pupillare (dp) che è la distanza tra le linee perpendicolari alla cornea e passanti per il centro della pupilla. Tra asse visuale e asse pupillare esiste un angolo, di entità variabile, detto angolo K; questo angolo K risulta positivo se il riflesso sulla cornea di una mira luminosa fissata è spostato nasalmente rispetto al centro pupillare, negativo se rimane temporalmente a quest’ultimo. Negli occhi emmetropi solitamente è un angolo positivo (fino a 5°); nel caso di miopie elevate il valore può risultare negativo.

Rilevamento dei parametri necessari per il corretto montaggio delle varie tipologie di lenti progressive I parametri da rilevare per effettuare la corretta scelta di una L.P. standard o la costruzione di una L.P. personalizzata, sono riportati in Tabella 3c.1. Questi stessi parametri serviranno per il successivo montaggio corretto dell’occhiale.

Per il rilevamento di questi parametri, tranne ovviamente l’ultimo, che si dovrà dedurre dall’anamnesi effettuata al futuro portatore delle L.P., può essere utilizzata strumentazione manuale oppure computerizzata, come i fotocentratori.

88 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati
3c - Rilevamento parametri per un corretto montaggio
DE linea base DBL
Figura 3c.1 Rappresentazione sistema Boxing

Tabella 3c.1 - Parametri di una lente progressiva

Valori per l.p. standard Valori per l.p. personalizzate

1. Distanza assi visuali 63±1 mm tutte

2. Altezza centri pupillari

3. Distanza apice corneale/lente 8-15 mm tutte

4. Angolo pantoscopico 7-14° tutte

5. Angolo di avvolgimento del frontale 3-5° tutte

6. Distanza di lavoro per vicino 35-40 cm tutte

Distanza Assi Visuali (DAV)

La distanza assi visuali (DAV) (Figura 3c.2) può essere rilevata: manualmente o con l’interpupillometro.

Rilevamento manuale della D.A.V.

– L’operatore si posiziona perfettamente davanti al soggetto, con gli occhi alla stessa altezza ed allineati frontalmente, in modo da evitare errori di parallasse.

– Il soggetto deve fissare una penna luminosa (Figura 3c.3), posizionata all’altezza di un occhio dell’operatore, la quale formerà un riflesso sull’occhio controlaterale del soggetto; a questo punto l’operatore segnerà con un pennarello, sul filtro di presentazione dell’occhiale calzato, il punto corrispondente al riflesso.

– La precedente operazione si ripete anche per l’altro occhio.

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3c - Rilevamento parametri per un corretto montaggio Figura 3c.2 Semi distanze assi visuali

Si deve poi procedere, “con un righello millimetrato”, alla misurazione delle distanze tra la metà del ponte ed i punti individuati sui filtri di presentazione dell’anello destro e sinistro (semi DAV).

Rilevamento della D.A.V. con interpupillometro a riflessi corneali

L’interpupillometro misura la D.A.V. sia monoculare che binoculare per distanze che variano da 25 cm all’infinito, Figura 3c.4.

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3c
- Rilevamento parametri per un corretto montaggio Figura 3c.3 Rilevamento della DAV con penna luminosa (S) Figura 3c.4 Interpupillometro

Per effettuare correttamente la misura, preferibilmente su un occhio alla volta, con l’interpupillometro si invita il soggetto a fissare la mira luminosa all’interno dello strumento dopodiché con un cursore si sposta un riferimento mobile in corrispondenza del riflesso luminoso che si forma sulla cornea dell’occhio esaminato, si ripete l’operazione sull’altro occhio. Si deve porre attenzione ad appoggiare correttamente lo strumento sul naso del soggetto esaminato, per evitare errori nella misura delle semi DAV, in presenza di setti nasali deviati, è consigliabile rilevarle manualmente sull’occhiale definitivo con la procedura vista sopra (Figura 3c.5).

Altezza centri pupillari dal bordo inferiore della montatura

Il posizionamento in verticale (monoculare) dei centri pupillari si determina automaticamente quando il rilevamento delle semi DAV è fatto manualmente sull’occhiale; si individua così la linea base da cui misurare la distanza dal bordo inferiore della montatura (Figura 3c.6). Una volta prese le semi DAV, manualmente o con l’interpu-

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3c - Rilevamento parametri per un corretto montaggio
Figura 3c.5 Visualizzazione all’interno dell’interpupillometro per l’occhio destro Figura 3c.6 Rilevamento altezza centri pupillari

3c - Rilevamento parametri per un corretto montaggio

pillometro, sui filtri di presentazione dell’occhiale si segnano due linee verticali, si individuano poi le altezze tracciando due linee orizzontali. Il centro delle croci così tracciate corrisponderà al punto dove dovrà essere posizionato il centro ottico della lente oftalmica o la croce di centratura della L.P. che deve essere montata (Figura 3c.7).

Rilevamento della distanza apice corneale-lente (DAL)

La distanza apice corneale (Figura 3c.8) lente è la distanza che intercorre tra l’apice esterno della cornea e la faccia posteriore della lente oftalmica e può essere misurata con:

1. righelli con prismi

2. righelli millimetrati

3. interpupillometro

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DAL
Linea orizzontale (altezza centro pupillare) Linea verticale (semi-DAV) Figura 3c.7 Semi-DAV ed altezze centri pupillari riportate sui filtri di presentazione dell’occhiale Figura 3c.8 Distanza apice-corneale lente (DAL)

Righelli con prismi

Il righello con prismi (Figura 3c.9) è composto:

– nella metà superiore prismi con base a sinistra;

– nella metà inferiore prismi con base a destra. Tale accoppiamento di prismi fa si che l’iride si scomponga in due parti uguali, una superiore ed una inferiore, che si allontaneranno in relazione alla distanza a cui è posizionato il righello rispetto all’apice corneale. Particolare attenzione andrà posta nel posizionare la linea di separazione tra i prismi in modo da dividere l’iride in due parti uguali.

Per effettuare la misura è necessario posizionarsi frontalmente al soggetto appoggiando il righello sul frontale della montatura, possibilmente senza filtro inserito, al fine di evitare i riflessi che si verrebbero a creare rendendo difficoltosa la visualizzazione (Figura 3c.10).

3c
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- Rilevamento parametri per un corretto montaggio
Figura 3c.9 Righello prismatico Figura 3c.10 Visualizzazione DAL attraverso il righello prismatico

Il valore si legge in millimetri tra i bordi destri delle due semi iridi superiore ed inferiore iniziando a contare dallo 0 della scala inferiore. Il decentramento dello 0 di circa 3 mm dall’inizio dell’iride superiore è dovuto al fatto che visualizzando l’occhio frontalmente l’operatore non fa riferimento all’apice della cornea ma all’iride e quindi quello spostamento rappresenta la profondità della camera anteriore.

Rilevamento DAL tramite righelli millimetrati

Per la misura della distanza apice corneale-lente con un righello millimetrato l’operatore si deve posizionare lateralmente al soggetto in modo da poter individuare, in trasparenza, l’apice della cornea.

Una difficoltà per questa misura si ha con montature con asta alta, che non permettono all’operatore di individuare l’apice corneale perché l’occhio può essere coperto dall’asta (Figura 3c.11).

Rilevamento DAL con interpupillometro

Per la misura della distanza apice corneale-lente con l’interpupillometro l’operatore, come nel caso precedente, si deve posizionare lateralmente al soggetto in modo da poter individuare, in trasparenza, l’apice della cornea.

La visualizzazione si effettua attraverso una sola finestra dello strumento posizionando la barra verticale mobile sull’apice corneale, si legge il valore di partenza quindi

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3c - Rilevamento parametri per un corretto montaggio
Figura 3c.11 Rilevamento DAL con righello millimetrato

si sposta la barra fino a renderla tangente alla montatura. Si andrà quindi a leggere sulla scala il valore di spostamento ottenuto. Questo valore rappresenta la DAL (Figura 3c.12).

Rilevamento dell’angolo pantoscopico

L’angolo pantoscopico (inteso ad occhiale calzato sul volto) è l’angolo che si forma tra il frontale della montatura, quando la parte bassa di quest’ultima è inclinata verso il viso del cliente, e un piano perpendicolare al pavimento. Nel caso in cui la parte bassa del frontale sia inclinata verso l’esterno si parla di angolo retroscopico. L’angolo si definisce nullo quando il frontale è perpendicolare al pavimento (Figura 3c.13).

Questa misura può essere effettuata tramite:

1. “pendolini”, Figura 3c.14

2. righelli millimetrati

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3c
- Rilevamento parametri per un corretto montaggio Figura 3c.12 Visualizzazione della DAL tramite intrpupillometro angolo pantoscopico angolo nullo angolo retroscopico Figura 3c.13 Angoli che si possono formare ad occhiale calzato

3c - Rilevamento parametri per un corretto montaggio

Rilevamento dell’angolo pantoscopico in gradi con l’ausilio di pendolini

Per effettuare la misura con i pendolini (Figura 3c.15) devono essere tolti i filtri di presentazione e si deve invitare il soggetto a mantenere una postura naturale e a fissare all’infinito. Si posiziona lo strumento sul frontale della montatura e l’operatore visualizza sulla scala il valore in gradi dell’angolo. I filtri di presentazione devono essere tolti perché hanno una certa curvatura che non permette di appoggiare in modo stabile e corretto lo strumento sull’anello della montatura. Se l’occhiale è un nylor o un glasant non potendo togliere i filtri si consiglia di appoggiare lo strumento nel punto più curvo del filtro di presentazione.

Rilevamento angolo pantoscopico in millimetri con righello millimetrato

Come si vede dalla figura (Figura 3c.16) si fa ruotare la testa del soggetto fino ad annullare l’angolo pantoscopico e si segna un punto sui filtri di presentazione dell’occhiale in corrispondenza del centro pupillare in visione primaria di sguardo; si segna successivamente un secondo punto con la testa in posizione normale.

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Figura 3c.14 Pendolino Figura 3c.15 Utilizzo del pendolino

Dalla distanza in millimetri tra questi due punti si può ricavare il valore in gradi dell’angolo pantoscopico con la seguente relazione:

Ang. pantoscopico in gradi =

dove:

d = distanza in mm tra i due punti segnati sui filtri, DAL = distanza in mm apice corneale-lente, 13 mm = distanza media cornea-centro di rotazione oculare.

Angolo di avvolgimento del frontale

Anche per quanto riguarda la misura dell’angolo di avvolgimento possono essere utilizzati dei regoli (Figura 3c.17) che vengono messi a disposizione dalle aziende costruttrici di lenti oftalmiche.

3c
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- Rilevamento parametri per un corretto montaggio
Figura 3c.16 Tecnica di rilevamento angolo pantoscopico in mm

Utilizzo del regolo:

1. si appoggia la parte superiore della montatura sul regolo,

2. si posiziona l’anello destro parallelo alla linea di centraggio,

3. si pone il bordo nasale dell’anello sinistro sopra il centro di rotazione del regolo,

4. si valuta la linea parallela all’anello sinistro della montatura,

5. la lettura dell’angolo si effettua sulla scala graduata.

Rilevamento Computerizzato

Gli strumenti per la videocentratura hanno avuto in questi anni una notevole diffusione e la validità dei dati forniti è andata sempre più perfezionandosi. Le varie aziende produttrici hanno di volta in volta sempre più sofisticato questi ausili che riescono, oggi, non solo a fornire i dati oggettivi misurati manualmente, ma anche ad operare altre funzioni che sono caratteristiche proprie delle varie dell’aziende. In commercio esistono versioni a colonna in cui il soggetto viene invitato a posizionarsi, ad una certa distanza, con l’occhiale scelto e correttamente sistemato; con semplici procedure si arriva a rilevare i dati richiesti necessari per la costruzione di una lente personalizzata e/o per la corretta centratura. Esistono anche versioni “tablet” che, nella sostanza riproducono i dati rilevati dalle colonnine. È comunque a nostro avviso importante avere sempre padronanza con il rilevamento manuale al fine di saper giudicare l’attendibilità dei dati rilevati con la fotocentratura e di effettuare le dovute verifiche di parametri che, se non corretti, vanno ad incidere sia sulla costruzione della L.P. che sulla successiva centratura.

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- Rilevamento parametri per un corretto montaggio
Figura 3c.17 Questa figura serve per far vedere come deve posizionarsi l’occhiale sul regolo per la misura dell’angolo di avvolgimento

Montaggio e controllo di L.P.

Per il corretto montaggio è necessario posizionare la croce di centratura della lente in corrispondenza dei riferimenti rilevati sui filtri di presentazione per quanto riguarda la D.A.V. ed i centri pupillari in altezza, Figura 3c.18.

In relazione a dove inizia la progressione di potere (generalmente appena sotto la croce di centratura) nella pratica non sempre è conveniente posizionare la croce di centratura sui centri pupillari in verticale, infatti le basi dei prismi che si vengono a creare sulla croce di centratura e nel vicino, variano a seconda del segno e del valore del potere della lente. Si dovrà pertanto rispettare l’allineamento per lenti positive di potere elevato (prismi base bassa sulla croce di centratura e base alta nella por-

3c
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- Rilevamento parametri per un corretto montaggio
A D C E E
Figura 3c.18 Posizionamento della croce di centratura per effettuare il corretto montaggio di L.P. standard e personalizzate

3c - Rilevamento parametri per un corretto montaggio

zione per vicino); si dovrà invece abbassarlo progressivamente di 1 o 2 millimetri al diminuire del potere. Per lenti negative di alto potere (prismi base alta sulla croce di centratura e base bassa nella porzione per vicino) può essere favorevole abbassare ulteriormente la croce di centratura rispetto al centro pupillare.

Al momento della consegna si ricorda, sia in caso di approntamento di L.P. standard che personalizzate, di ricontrollare i parametri quali DAL, angolo pantoscopico ed angolo di avvolgimento per fare sfruttare al massimo le performance delle lenti approntate.

Nel caso di L.P. standard si ricontrollano i parametri per renderli approssimativamente uguali a quelli consigliati dalle aziende costruttrici. In caso di L.P. personalizzate si ricontrolleranno i parametri per renderli uguali a quelli richiesti dall’ottico all’azienda al momento dell’ordinazione.

Se alla consegna dell’occhiale i parametri differiscono da quelli previsti dovrà essere l’ottico stesso ad aggiustare la montatura per ripristinare quelli originali.

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Dizionario Essenziale

Aberrazione L’aberrazione di un sistema ottico è una delle cause per cui si verifica una delle seguenti condizioni: l’immagine di un punto non è un punto; l’immagine di un piano non è un piano; l’immagine di un oggetto non è simile ad esso. Si distinguono in cromatiche e monocromatiche (o geometriche). Si dicono geometriche quelle che si verificano anche se la radiazione è monocromatica e si dividono in: aberrazione sferica, astigmatismo da fasci obliqui, curvatura di campo, distorsione, coma. Si dicono cromatiche quelle che sono dipendenti esclusivamente dalla dispersione dei mezzi ottici che costituiscono le parti del sistema ottico e sono: aberrazione cromatica assiale e aberrazione cromatica extrassiale. Le aberrazioni possono essere classificate anche in assiali ed extrassiali, a seconda che si presentino per sorgenti puntiformi poste sull’asse di simmetria del sistema o per sorgenti puntiformi poste fuori dell’asse o sorgenti estese. Sono assiali: l’aberrazione sferica, l’aberrazione cromatica assiale. Sono extrassiali: l’astigmatismo da fasci obliqui, la curvatura di campo, il coma, la distorsione, l’aberrazione cromatica extrassiale.

Accomodazione È la variazione delle caratteristiche ottiche dell’occhio quando si passa dalla fissazione di un punto posto ad una certa distanza dall’occhio alla fissazione di un’altro punto situato ad una distanza diversa. Consiste in pratica in una variazione di potenza del sistema oculare, che permette di mettere a fuoco, sulla retina, l’immagine del nuovo punto di fissazione; aumenta quando ci si avvicina e diminuisce quando ci si allontana. La sua misura, in diottrie, non è altro che l’inverso della distanza (espressa in metri) dal punto osservato. Il punto più vicino, la cui immagine è messa a fuoco sulla retina in virtù dell’accomodazione è detto punto prossimo. L’accomodazione si realizza grazie alle variazioni dello stato di contrazione del muscolo ciliare, che provocano una variazione di tensione del legamento sospensore del cristallino e la conseguente variazione della forma

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del cristallino. L’aumento di contrazione del muscolo ciliare è accompagnata da una contrazione della pupilla (miosi) e da una convergenza binoculare. L’ampiezza di accomodazione diminuisce con l’età, a causa del progressivo indurimento del cristallino (presbiopia).

Addizione Rappresenta il valore positivo in diottrie che deve essere sommato alla potenza della lente compensatrice per lontano, per ottenere il potere necessario per una corretta visione per vicino, nei soggetti presbiti. Tale valore dipende dal potere di accomodazione che il soggetto conserva e dalla distanza per la quale si richiede la compensazione. Se ci si riferisce alla normale distanza di lettura (30-35 centimetri), l’addizione varia da un minimo di circa 0.50 diottrie, ad un massimo di 3.00-3.50 diottrie, per persone prive di accomodazione.

Affaticamento

Vedi “Astenopia”

Ampiezza accomodativa Massima accomodazione possibile che l’occhio può mettere in atto.

Anisometropia Condizione refrattiva diversa tra i due occhi, solitamente disturbante se superiore a 1.50-2.00 dt; questo comporta la formazione di immagini percepite di nitidezza e dimensioni diverse a cui può associarsi una sintomatologia con senso di pesantezza, stati irritativi ecc, fino a difficoltà di fusione delle immagini percepite da ciascun occhio e all’impossibilità di visione binoculare. Se corretta con lenti oftalmiche, può portare ad aniseiconia e/o anisoforia ottica e differente sforzo accomodativo tra i due occhi.

Angolo di avvolgimento in uso Angolo tra la retta frontale tangente al ponte della montatura e la retta passante dagli estremi di un suo anello.

Astenopia Insieme di sintomi causati da un affaticamento dei muscoli ciliari ed extraoculari dell’occhio. Si manifesta con affaticabilità alla lettura, cefalea frontale, arrossamento oculare, fotofobia, nausea, vertigini e contrazioni palpebrali. È presente per esempio nei soggetti ipermetropi per il continuo sforzo accomodativo (astenopia accomodativa).

Astigmatismi di superficie Tipica aberrazione che si presenta nelle L.P.; precisamente è un’aberrazione introdotta dalla variazione di potere che si realizza sulla superficie anteriore o posteriore della lente necessaria per realizzare l’incremento di potenza della zona per lontano a quella per vicino. Aumenta all’aumentare dell’Add.

Dizionario Essenziale 102 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido -
Abati
Silvano

Campo di visione Il campo di visione dell’insieme occhio-lente è l’unione dei punti più periferici che la lente permette di vedere.

Canale di progressione (C.P.) Parte di lente, di potenza variabile, che unisce la zona per la visione per lontano alla zona per la visione per vicino nelle lenti progressive. La lunghezza del canale varia a seconda delle tipologie di lenti; nelle L.P. a porto abituale è di circa 14-16 mm, anche se è possibile realizzare L.P. a canale più lungo o a canale corto, in commercio si possono trovare L.P. con un canale di lunghezza di 10 mm. Nelle L.P. per ufficio, computer, ecc. tale canale ha una lunghezza che varia da 20-28 mm. Si tenga presente che quanto più lungo è il canale di progressione, fermi rimanendo gli altri parametri, quanto piu risulta largo e quindi le zone di aberrazione vengono maggiormente confinate nelle zone periferiche della lente.

Centro geometrico o centro di riferimento prismatico Riferimento per il controllo del valore del prisma di alleggerimento (base bassa) o del prisma risultante, qualora la prescrizione sia prismatica.

Compensazione Termine tecnico più corretto di quello solitamente usato di “correzione”; la compensazione di una ametropia non è altro che l’occhiale o la lente a contatto che ripristina la visione ottimale dell’ametrope o del presbite. Per correzione si intende invece la soluzione chirurgica per eliminare il difetto rifrattivo.

Convergenza Movimento di vergenza degli occhi che ruotano in modo da aumentare l’angolo tra gli assi visivi.

Convergenza accomodativa Componente della convergenza totale che deriva dalla sinergia tra accomodazione e convergenza. Quando il sistema visivo accomoda viene esercitata automaticamente anche una certa quantità di convergenza. L’entità della convergenza accomodativa può essere dedotta considerando il rapporto AC/A.

DAL (distanza apice corneale-lente) Distanza sull’asse visuale tra l’apice corneale e la superficie posteriore di una lente oftalmica. Questa distanza varia normalmente tra 11 mm e 15 mm.

DAV Distanza tra gli assi visuali. Si misura con gli interpupillometri a riflessione. Non volendo inserire effetti prismatici, questa distanza deve coincidere con quella tra i centri ottici delle lenti oftalmiche di un occhiale per lontano (distanza centri ottici per lontano).

Dizionario Essenziale 103

Differenza di ingrandimento Variazione dell’ingrandimento delle immagini di uno stesso oggetto, che si ha nelle lenti bifocali, quando passiamo dalla zona per lontano a quella per vicino di maggior potere. Tale inconveniente non è eliminabile ed aumenta all’aumentare dell’addizione e all’aumentare della distanza apice corneale-lente.

Diottria È l’unità di misura della potenza di una lente, ossia l’inverso della distanza del fuoco dalla lente stessa (una lente di 2.00 dt ha una lunghezza focale di 50 cm). Con la stessa unità di misura si quantifica anche l’accomodazione e si indica l’entità delle ametropie dell’occhio.

Diplopia Condizione in cui un oggetto singolo è percepito come due oggetti (sinonimo di visione doppia).

Distanza massima di utilizzo (D.u.) Rappresenta la massima distanza di visione nitida che la lente per vicino-intermedio permette di raggiungere. Tale distanza si esprime in metri.

Disturbi astenopici Vedi astenopia.

Esoforia Tendenza alla rotazione degli occhi verso l’interno per cui gli assi visivi si incontrano prima del punto di fissazione. Normalmente viene compensata da uno sforzo fusionale motorio. Si evidenzia quando si interrompe la fusione. Se sintomatica si può trattare con prismi base tempiale, lenti positive sferiche e visual training.

Esotropia Squilibrio muscolare manifesto in cui un occhio, o alternativamente entrambi gli occhi, sono deviati verso l’interno.

Eteroforia È una tendenza dei due occhi a non stare perfettamente allineati sull’oggetto da osservare; tale tendenza, in condizioni normali di visione binoculare, viene compensata grazie ad uno sforzo fusionale motorio. Se la tendenza è a ruotare verso il naso si parla di esoforia, se verso le tempie di exoforia, se sul piano verticale di iperforia.

Evoluta Luogo di tutti i successivi punti che sono centri di curvatura di una curva data.

Gradiente Si parla di gradiente tutte le volte che una grandezza varia in funzione di un’altra. Nel caso specifico del C.P. di una L.P. abbiamo, ad esempio, con una Add. di 3.00dt e un C.P di 15mm (considerando una variazione di potere lineare)

Dizionario Essenziale 104 Presbiopia – Lenti progressive ed evolute Luigi Mele - Nicola Pescosolido - Silvano Abati

un gradiente di 0,2 (3.00 / 15); se la stessa Add venisse realizzata su un canale di lunghezza 20 mm si avrebbe un gradiente di 0,15, cioè minore.

Inclinazione pantoscopica o angolo pantoscopico Ad occhiale indossato è l’angolo che il frontale forma con la verticale quando il soggetto guarda in direzione primaria di sguardo. Il valore di tale angolo, che può variare anche in maniera rilevante, è importante in ottica oftalmica, in particolare nelle L.P. per le quali il valore diottrico è calcolato in posizione d’uso.

Infraversione Rotazione degli occhi verso il basso.

Inset Distanza tra le linee verticali passanti per il centro ottico per lontano e il punto di riferimento per vicino nelle L.P. L’inset, ad esclusione di quelle ad inset fisso, è variabile e dipende da numerosi parametri.

Intervallo di visione nitida Intervallo che intercorre tra la minima e la massima distanza a cui un oggetto viene visto nitido

Lateroversione Visione periferica in cui un occhio utilizza la parte tempiale e l’altro la parte nasale.

Lenti asimmetriche Le lenti simmetriche in fase costruttiva non hanno diversificazione tra lente destra e sinistra e per posizionare il C.P. vengono ruotate prima della stampigliatura, venendo così a creare aberrazioni asimmetriche. Tale asimmetria comporta inevitabilmente una notevole diversità di aberrazioni nella zone di lente utilizzate nelle lateroversioni, soprattutto nella parte intermedia inferiore, tutto ciò, oltre alle quasi inevitabili distorsioni e perdite di nitidezza dell’immagine, comporta notevole ostacolo o impossibilità di fusione delle due immagini monoculari che, nei casi peggiori, può portare a diplopia in quelle posizioni di sguardo ed, in ogni caso, sempre a un deterioramento della percezione stereoscopica e della localizzazione degli oggetti.

Lenti degressive Nel significato tecnico della parola si parla di lenti degressive riferendoci alle lenti per vicino-intermedio; la parola degressiva sta ad indicare che il riferimento è il potere per vicino e il valore di degressione non è altro che il potere che viene tolto a questo per avere il potere voluto nella parte alta di lente. Parlando di lenti per vicino-intermedio il potere di degressione sarà minore del valore dell’Add.

Lenti simmetriche Queste lenti già in fase costruttiva presentano il C.P. decentrato nasalmente ed i margini superiori delle zone non funzionali risultano pressoché

Dizionario Essenziale 105

parallele alla linea orizzontale di riferimento stampigliata; presentano cioè zone di aberrazione simmetriche. Ciò comporta di rendere il più possibile simili e simmetrici, in ogni coppia di aree corrispondenti delle due lenti, i poteri e gli assi degli astigmatismi ed il valore, la direzione e il verso dei prismi. Questo produce enormi vantaggi nell’uso pratico delle lenti, in condizioni sia statiche che dinamiche, consentendo posture più naturali, riducendo l’esigenza di ruotare molto la testa e poco i bulbi oculari per la visione laterale.

Linea ombelicale Linea che attraversa la L.P., dalla zona per lontano alla zona per vicino, lungo la quale non dovrebbero essere presenti effetti prismatici orizzontali e pertanto gli assi visivi dovrebbero, idealmente, utilizzare in pieno le zone funzionali di quella determinata lente. E’ facile intuire che questa situazione è puramente teorica: l’esistenza di una ipotetica linea ombelicale richiederebbe che gli assi visivi si muovessero perfettamente seguendo tale linea (si capisce che nella lettura gli assi visivi si spostano anche sul piano orizzontale e pertanto l’ipotetico percorso lungo l’ipotetica linea ombelicale è una considerazione puramente teorica).

Percezione stereoscopica Percezione binoculare della tridimensionalità (percezione della profondità o dello spazio tridimensionale).

Potere accomodativo Sinonimo: ampiezza accomodativa

Potere di degressione (Pdeg.) Rappresenta il valore in diottrie che intercorre tra il potere per vicino, presente nella parte bassa di una lente per vicino-intermedio, ed il potere nella parte alta della lente stessa: tale valore, che risulta minore dell’addizione del portatore, incide sulla massima distanza d’uso della lente stessa.

Punto prossimo Punto in cui si forma l’immagine reale o virtuale di un oggetto puntiforme, monocromatico, posto sull’asse ottico e idealmente sulla retina in visione fotopica ad accomodazione completamente esercitata. Per il miope non compensato e l’emmetrope rappresenta il punto più vicino all’occhio per cui si ha una visione nitida. Per l’occhio ipermetrope non corretto tale punto sarà reale fino a quando il valore del potere accomodativo è uguale all’ametropia; mentre sarà virtuale se l’ametropia supera il potere accomodativo. La distanza del punto prossimo in metri sarà uguale all’inverso della somma del potere accomodativo e dell’ametropia. Questa distanza aumenta con l’età in quanto con l’età diminuisce la capacità di accomodare.

Punto prossimo di convergenza Punto più vicino dove gli assi visivi rimangono indirizzati sul punto di fissazione quando gli occhi convergono al massimo. La

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distanza normale di questo punto è circa 8cm. Distanze maggiori sono sintomo di insufficienza di convergenza.

Salto di immagine Diversa localizzazione spaziale delle immagini di uno stesso oggetto quando l’asse visivo passa dalla zona per lontano a quella per vicino e viceversa; è dovuto alla differenza di effetti prismatici che si presentano sulla linea di separazione, introdotti dalle due diverse potenze lontano e vicino. Per effetto di queste deviazioni si viene a creare una zona cieca che sarà tanto più grande quanto più grande è il salto di immagine. Il salto di immagine dipende dalle potenze in gioco, dalla posizione della linea di separazione del bifocale e dal tipo di realizzazione del bifocale stesso.

Sezioni coniche evolutive Superfici che si ottengono dall’intersezione, secondo un dato angolo, di un piano con un cono circolare retto.

Sforzo accomodativo Sinonimo di richiesta accomodativa - Rappresenta la quantità di accomodazione necessaria per vedere nitido ad una certa distanza. La sua misura in diottrie non è altro che l’inverso della distanza in metri.

Sfuocamento Tecnica di rilassamento dell’accomodazione durante l’esame refrattivo soggettivo. Si esegue inserendo lenti positive di un valore sufficiente davanti all’occhio in modo da ottenere l’immagine prima della retina. In questa condizione, se il soggetto accomoda ottiene un peggioramento dell’immagine stessa e quindi il sistema visivo rilascerà l’accomodazione per poter ottenere un miglioramento dell’immagine.

Superfici atoriche Si parla di lenti atoriche quando la realizzazione di una correzione cilindrica viene ottenuta realizzando una superficie biasferica; tale superficie presenta cioè due asfericità diverse su due meridiani tra loro ortogonali. Queste lenti, quando la differenza diottrica tra i due meridiani è superiore a circa 2.00 dt, offrono una più fedele qualità dell’immagine su tutta la superficie della lente.

Visione binoculare Visione di un oggetto che avviene contemporaneamente con due occhi; questa è permessa grazie alla percezione simultanea e alla fusione delle immagini che si formano sulle due retine. Se tale fusione non avviene si vedono due immagini separate dello stesso oggetto, si ha cioè diplopia (sinonimo di visione doppia).

Visione emmetropica (priva di ametropie) Visione attraverso una lente compensatrice che ripristina le condizioni ottimali di focalizzazione dell’immagini.

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Zone non funzionali Zone di lente con astigmatismi di superficie superiori alle 0.50 dt. Oltre al valore proprio del cilindro assume importanza l’orientamento dell’asse del cilindro stesso e la variazione di questo negli spostamenti punto-punto di lente. Sono infatti tali variazioni che causano quello che viene detto effetto ondulatorio, che può percepire l’utilizzatore delle L.P. soprattutto durante il periodo di adattamento.

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Presbiopia
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