MANUALE PRATICO
DI VISION CARE LA NUTRACEUTICA OCULARE
La nutraceutica oculare Manuale pratico di Vision Care
Coordinatore scientifico
Luigi Mele Autori
Mario Bifani Medico Chirurgo - Oculista Dipartimento di Oftalmologia, U.O.C. Trapianti di Cornea Seconda Università di Napoli
Barbara Kusa Medico Chirurgo - Oculista C.M.A - Monza
Decio Capobianco Medico Chirurgo - Oculista Ospedale Melorio – S. Maria Capua Vetere
Luigi Mele Medico Chirurgo - Oculista Dipartimento di Oftalmologia, U.O.C. Trapianti di Cornea Seconda Università di Napoli
Ciro Caruso Medico Chirurgo - Oculista Ospedale dei Pellegrini - Napoli
Gianfranco Perillo Medico Chirurgo - Oculista Ospedale Melorio – S. Maria Capua Vetere
Marco Iorio Medico Chirurgo Dipartimento di Specialità Medico Chirurgiche e Odontoiatriche Seconda Università di Napoli
Salvatore Troisi Medico Chirurgo - Oculista Ospedale Ruggi - Salerno
FGE Srl Fabiano Gruppo Editoriale Regione Rivelle 7/F - Moasca AT Stampa: Litografia Valli Via Pavia 100 Induno Olona (VA)
Finito di stampare: Febbraio 2017 ISBN: 978-88-97929-61-1 Copyright 2017 Gli Autori e l’Editore declinano ogni responsabilità per eventuali errori contenuti nel testo. Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione totale o parziale.
La nutraceutica oculare
Prefazione Gentile Dottore, con questa nuova iniziativa, focalizzata sul tema molto attuale della Nutraceutica Oculare, prosegue l’attività editoriale del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò, che conferma così il proprio costante impegno nella collaborazione tra il mondo dell’Oftalmologia e dell’Ottica e nell’informazione rivolta alla classe medica, attraverso l’individuazione di argomenti di approfondimento di grande interesse per l’Oculista, utili per lo svolgimento della sua attività quotidiana e dunque per il soddisfacimento delle necessità dei suoi pazienti. Il Manuale Pratico di Vision Care, unico nel suo genere, si prefigge di portare a conoscenza dell’Oculista le informazioni più aggiornate nel campo della Nutraceutica, un termine di recente introduzione che deriva da una fusione dei termini “nutrizionale” e “farmaceutico” e individua una nuova opportunità di cura per il paziente che, pur non essendo alternativa all’utilizzo dei farmaci, è ad esso complementare. Redatta con il contributo di autorevoli Medici Oftalmologi di fama nazionale e internazionale, con il coordinamento scientifico del Dott. Luigi Mele, la pubblicazione prende in esame le problematiche legate al film lacrimale e alla secchezza oculare, oggi particolarmente avvertite dalla popolazione che trascorre molte ore al giorno davanti a un terminale o si trova ad operare in ambienti polverosi e inquinati. Prosegue poi con una disamina dei sostituti lacrimali e la loro interazione con la superficie oculare per poi focalizzare l’attenzione sugli estratti naturali e gli antiossidanti che possono essere di valido ausilio nel trattamento di alcune problematiche visive, nonché nella prevenzione o nel rallentamento dello sviluppo di talune patologie oculari. Obiettivo del Manuale è, pertanto, far apprendere le nozioni scientifiche più all’avanguardia sulla Nutraceutica e far conoscere le soluzioni più efficaci in tale settore, contribuendo a preservare la salute degli occhi dei pazienti. L’Advisory Board del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò
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Indice 1. 2.
3.
4.
La superficie oculare La sindrome dell’occhio secco 2.1 Definizione 2.2 Classificazione 2.3 Occhio secco da deficit secretivo 2.3.1 Occhio secco associato a sindrome di Sjogren 2.3.2 Occhio secco non associato a Sindrome di Sjogren - Deficit primario della ghiandola lacrimale - Deficit secondari della ghiandola lacrimale - Ostruzione duttale della ghiandola lacrimale - Blocco del riflesso sensoriale - Blocco del riflesso motorio 2.4 Occhio secco evaporativo 2.4.1 Cause intrinseche - Disfunzione della Ghiandola di Meibomio - Disordini della apertura palpebrale - Ridotto ammiccamento 2.4.2 Cause estrinseche - Disordini della superficie oculare - Uso di lenti a contatto
Pag. 7 Pag. 15 Pag. 15 Pag. 17 Pag. 20
L’Occhio rosso e irritato 3.1 Il primo inquadramento del paziente 3.2 Occhio rosso non dolente: principali quadri clinici e principi di trattamento 3.3 Occhio rosso dolente: quadri clinici di allarme 3.4 Conclusioni
Pag. 37 Pag. 38 Pag. 40
Computer e secchezza oculare 4.1 Computer Vision Syndrome - Astenopia - Secchezza oculare - Disturbi muscolo scheletrici
Pag. 61 Pag. 61
Pag. 27
Pag. 51 Pag. 58
5.
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I sostituti lacrimali e l’interazione con la superficie oculare 5.1 Acido ialuronico - Le applicazioni in farmacologia - Le applicazioni in oftalmologia - Le fonti biologiche dell’acido ialuronico - Nuove formulazioni a base di acido ialuronico 5.2 Ipromellosa 5.3 Conclusioni
Pag. 65
La nutraceutica oculare 6.1 Gli estratti naturali e l’interazione con la superficie oculare 6.2 Gli antiossidanti naturali
Pag. 75 Pag. 77 Pag. 85
Pag. 65
Pag. 71 Pag. 71
La nutraceutica oculare
1. La superficie oculare Luigi Mele, Marco Iorio
La superficie oculare, o meglio definito “Sistema della Superficie Oculare” costituisce l’insieme delle strutture presenti sulla superficie dell’occhio in continuità tra loro sia dal punto di vista anatomico che soprattutto da quello funzionale. Costituiscono parte di questo sistema: il film lacrimale, l’epitelio corneale, l’epitelio congiuntivale, le ghiandole lacrimali, le ghiandole di Meibomio, con le funzioni nel complesso di fornire qualità ottica e mantenere
quella refrattiva, allo scopo di assicurare una visione distinta, proteggere la struttura oculare dall’attacco di agenti esterni e interfacciarsi con l’ambiente esterno e interno. Per garantire tale molteplice funzione la superficie oculare e i suoi singoli componenti sono in un costante stato di attività dinamica, che caratterizza la loro straordinaria capacità di adattamento, pronti a reagire simultaneamente nei confronti degli stimoli attraverso accelerazione o rallentamento dei
Figura 1.1. Il sistema della superficie oculare
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1. La superficie oculare
movimenti cellulari ed alla continua attività secretoria da parte di tutte le cellule che lo compongono, conferendo a tutto il sistema una eccezionale capacità di adattamento anche in condizioni ambientali difficili. Il sincronismo tra i costituenti della superficie è ottenuto grazie all’integrazione con gli altri sistemi di regolazione dell’omeostasi corporea, quali il nervoso, l’endocrino, il cardiocircolatorio e soprattutto l’immunitario. Quest’ultimo, infatti, composto da flora batterica residente, barriere anatomiche, secrezione ghiandolare, nonché anticorpi e linfociti, regola la massima parte dell’integrità del tessuto, essendo l’attivazione di una di queste difese il primum movens per la successiva attivazione delle altre con conseguente risposta difensiva efficace. Dunque se gli eventi patogenetici, siano essi estrinseci od intrinseci, che eventualmente non possono essere controbilanciati da appropriate reazioni del sistema superficie oculare, ne alterano l’omeostasi, la disfunzione anche di uno solo di questi elementi conduce all’insorgenza di una vera e propria malattia della superficie oculare con conseguenti segni e sintomi. Epitelio e film lacrimale Il film lacrimale, come detto, è una delle componenti del sistema della superficie oculare. Esso rappresenta per gli epiteli della cornea ciò che il sangue rappresenta per tutti gli altri tessuti, regolandone maturazio8
Figura 1.2. Film lacrimale
ne, mobilità e le normali attività epiteliali attraverso molteplici fattori di crescita e di regolazione. Per meglio comprendere la natura della principale patologia che coinvolge la superficie oculare, rappresentata dall’occhio secco, è necessario conoscere le componenti delle lacrime e le loro funzioni in condizioni fisiologiche. Le lacrime normali, oltre alla componente acquosa, contengono una miscela di proteine, mucine, elettroliti e vitamine. Dal punto di vista strutturale il film lacrimale è composto da tre strati che dalla profondità alla su perficie sono: lo strato mucoso, lo strato acquoso e lo strato lipidico. Il primo, prodotto dagli epiteli della superficie oculare, in massima parte dalle cellule caliciformi secernenti MUC-5AC, è a diretto contatto con l’epitelio congiuntivale e corneale, con le
La nutraceutica oculare
principali funzioni di mantenere la superficie oculare bagnabile, proteggere l’epitelio dalla frizione palpebrale, formare una barriera contro l’aggressione microbica, attraverso le IgA secretorie, neutralizzare piccole particelle che vengono a contatto con la superficie oculare. Il muco presente nelle lacrime è prodotto principalmente dalle goblet cells della congiuntiva, cellule epiteliali della congiuntiva e della cornea e dalle cellule tubulari delle ghiandole lacrimali. Le mucine che lo compongono sono di tre tipologie: - legate alle membrane cellulari (MUC 1, MUC 4, MUC 16), prodotte dalle cellule dell’epitelio di superficie; - formanti gel (MUC 5AC) prodotte dalle goblet cells congiuntivali; - monomeri solubili (MUC 7) prodotte dalle ghiandole lacrimali. Ad eccezione delle piccole quantità strettamente connesse all’epitelio, la maggior parte del muco è in soluzione e agisce come fattore protettivo e di scivolamento. Infatti le glicoproteine solubili garantiscono la viscosità delle lacrime, riducendo la tensione superficiale all’interfaccia strato acqua/ lipidi, permettendone l’uniforme diffusione sulla superficie lacrimale. Talora il muco in soluzione può apparire visibile come componente del film lacrimale principalmente nei menischi ai fornici, apparendo in forma di granuli o di piccoli filamenti liberi o aderenti
all’epitelio. Tale condizione può verificarsi per diversi motivi, tra cui i diversi stadi di degradazione delle mucine, la perdita di idratazione e la contaminazione o la denaturazione proteica determinata da altri componenti del film lacrimale o più frequentemente da inquinanti esterni. In condizioni normali dunque non è l’eccessiva evaporazione lacrimale a determinare l’occhio secco, nonostante possano essere presenti sintomi temporanei di questa sindrome in condizioni quali il forte vento o l’esposizione prolungata all’aria condizionata, ma se le ghiandole lacrimali non riescono a controbilanciare l’evaporazione, l’osmolarità lacrimale aumenta con un danno diretto alle cellule epiteliali e l’inizio della cascata infiammatoria. Nell’occhio secco il liquido lacrimale presenta un incremento degli elettroliti (iperosmolarità) ed una riduzione di molte proteine, principalmente antimicrobiche e fattori di crescita, con uno squilibrio a favore delle citochine pro-infiammatorie e una riduzione delle mucine solubili (MUC 5AC) con conseguente diminuzione della viscosità. Nelle forme non particolarmente gravi le lesioni epiteliali sono localizzate nell’area nasale inferiore della congiuntiva bulbare dove il liquido lacrimale è più concentrato e permane più a lungo a causa della riduzione della clearance, suggerendo che la lacrima in questi pazienti possa esser diventata tossica per la superficie oculare. 9
1. La superficie oculare
Figura 1.3. Iperosmolarità lacrimale
Figura 1.4. Struttura dell’epitelio corneale
L’epitelio corneale è un epitelio stratificato non cheratinizzato, dello spessore di 50 μm, che appoggia sulla membrana di Bowman. Esso è formato da 5-7 strati di cellule di tre tipi: basali, alate e superficiali. Solo le cellule basali possiedono attività mitotica. Le cellule corneali sono unite tra loro da differenti complessi giunzionali, variabili a seconda del tipo cellulare, che costituiscono una barriera meccanica e funzionale. Tale epitelio mantiene l’omeostasi dei fluidi oculari e contribuisce al film lacrimale attraverso una secrezione attiva di acqua, garantita attraverso la presenza di acquaporine (AQP) e di regolatori transmembrana della conduttanza della fibrosi cistica (CFTR). In condizioni fisiologiche la struttura dell’epitelio corneale rimane invariata nel tempo. Ciò è stato spiegato con l’ipotesi “X, Y, Z”. In questa ipotesi con X viene indicata la proliferazione delle cellule basali, con Y il
movimento centripeto delle cellule periferiche del limbus e con Z la perdita di cellule epiteliali dalla superficie corneale. Secondo questa ipotesi il mantenimento dell’epitelio corneale può essere pertanto definito dall’equazione X+Y = Z, che più semplicemente indica che fisiologicamente la perdita cellulare deve essere controbilanciata dalla proliferazione e dalla movimentazione periferica. Con questa ipotesi è possibile distinguere le malattie corneali e i relativi trattamenti in funzione della componente colpita. La proliferazione cellulare è identica nel limbus e nel centro della cornea e possiede un ritmo circadiano; la progressione centripeta ha una velocità quotidiana di 17 μm. L’omeostasi corneale è assicurata da cellule staminali localizzate in sede basale in prossimità del limbus sclero-corneale. Queste ultime hanno sia la capacità di auto-rinnovarsi, sia di dar origine a cellule progenitrici in
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La nutraceutica oculare
rapida proliferazione denominate “Transient Amplifying Cells” (TAC). Le staminali limbari sono caratterizzate dalla presenza di alcuni markers che le differeziano dalle altre cellule basali. Il mantenimento dell’omeostasi corneale necessita di comunicazione tra le cellule corneali, i cheratociti e le cellule nervose. Le citochine principalmente coinvolte nei processi di interazione cellula-cellula sono l’Epidermal Growth Factor (EGF), il Keratocyte Growth Factor (KGF), l’Hepatocyte Growth Factor (HGF) e la sostanza P. Quando l’epitelio corneale va incontro a una perdita della sua integrità, inizia una serie di processi riparativi a “cascata”, che in realtà avvengono simultaneamente. Nel processo di guarigione dell’epitelio corneale interagiscono principalmente tre fattori: - il film lacrimale, - i fattori di crescita epiteliale - il difetto epiteliale. L’insulto corneale determina apoptosi e necrosi dei cheratociti. Studi in vitro hanno evidenziato che il processo di guarigione inizia dopo 4 ore, inizialmente procede a una velocità di 30 μm/ora e successivamente a 60 μm/ora, concludendosi in 32 ore con la riepitelizzazione dell’erosione che si realizza grazie alla migrazione in ampie lamine delle cellule basali e delle cellule alate, con coinvolgimento di numerose citochine, quali IL1, IL-6, IL-8, IL-10, TNF. Altrettanto importanti per la buona riuscita del processo sono
le interazioni epitelio-stroma sistema immunitario, la liberazione di fattori neurotrofici e la presenza di alcuni peptidi lacrimali. La cornea possiede la più ricca innervazione sensitiva di tutto il corpo, con una densità nervosa 40 volte maggiore di quella della polpa dentale e 600 volte superiore di quella cutanea. Oltre alle fibre sensitive, la cornea riceve, in misura minore, fibre nervose autonomiche, appartenenti al sistema simpatico, provenienti dal ganglio cervicale superiore e dal ganglio ciliare. Gli assoni sensitivi appartengono al trigemino e provengono dal ganglio di Gasser (1-5% dei neuroni). Le fibre nervose entrano nella cornea dalla periferia, radialmente, con direzione parallela alla superficie oculare, sono localizzate nella profondità dello stroma anteriore e perdono la loro guaina mielinica a 1 mm dal limbus. Nello stroma queste fibre si dividono e ruotano di 90° diventando perpendicolari alla superficie oculare e penetrano la lamina di Bowman. Successivamente, ruotano nuovamente di 90º diventando parallele alla superficie corneale tra la lamina di Bowman e lo strato epiteliale basale, dividendosi ulteriormente e formando un plesso sub-basale da cui raggiungono gli strati più superficiali dell’epitelio corneale. Le singole fibre sub-basali seguono traiettorie dritte o curvilinee e convergono in un centro immaginario (vortex) localizzato approssimativamente a 2,5 mm dall’apice corneale, in posizione infero-nasale. 11
1. La superficie oculare
Figura 1.5. Innervazione corneale
I nervi sensitivi della cornea umana contengono neuropeptidi e, in particolare, la sostanza P (20%) e il Calcitonin Gene Related Peptide (CGRP) (60%). Questi neuropeptidi esercitano influenze sull’epitelio corneale. La presenza di neuroni trigeminali in cellule epiteliali stimola la loro attività mitotica, in particolare la sostanza P è responsabile del picco proliferativo iniziale, mentre il CGRP della differenziazione. A livello dell’epitelio corneale la sostanza P aumenta l’Epidermal Growth Factor (EGF) e agisce in modo sinergico con l’Insulin-like Growth Factor-1 (IGF-1) nel stimolare la migrazione e l’adesione cellulare. Il criterio più valido per classificare funzionalmente i neuroni sensoriali oculari è quello di valutare lo stimolo di attivazione dei nocicettori: 12
quest’ultimi per il 15% sono meccanonocicettori (fibre A-delta), per il 70% sono polimodali (fibre C), attivati cioè da stimoli meccanici, chimici e dal calore, e per il 15% freddo- nocicettori (fibre A-delta e C). La stimolazione meccanica attiva principalmente i meccano-nocicettori e debolmente i polimodali, ma quando lo stimolo persiste, e soprattutto se arreca danni tessutali, la scarica dei nocicettori polimodali diventa sempre più pronunciata. Una delle caratteristiche più importanti dei nocicettori polimodali è la loro sensibilizzazione cioè, la loro soglia di attivazione si abbassa e la frequenza di scarica aumenta. Le citochine, le prostaglandine e i fattori di crescita che si liberano in corso dei processi infiammatori producono sensibilizzazione.
La nutraceutica oculare
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La nutraceutica oculare
2. La sindrome dell’occhio secco Luigi Mele, Marco Iorio
La definizione e la classificazione dell’occhio secco hanno subito nel tempo numerose rivalutazioni, volte ad inquadrare in un quadro nosologico sempre più dettagliato una patologia le cui caratteristiche epidemiologiche, cliniche e prognostiche si presentano di fatto estremamente variegate. Il presente capitolo si pone l’obiettivo di delineare ulteriormente l’occhio secco, strutturando definizione e classificazione fondendo la più recente letteratura scientifica alla quotidiana corrente clinica, forte delle ultime conoscenze dei fattori che ne caratterizzano lo sviluppo. 2.1. Definizione Numerose definizioni si sono susseguite ad indicare l’occhio secco. Quella universalmente accreditata, proposta nel 1995 dalla Industry Dry Eye Workshop, identifica l’occhio secco come un disturbo del film lacrimale determinato da carente secrezione o da eccessiva evaporazione, che determina danni alla superficie oculare interpalpebrale, e si associa a sintomi acuti e cronici di disconfort oculare. Nel tempo, alla luce delle nuove conoscenze
circa il ruolo dell’iperosmolarità lacrimale e dell’infiammazione della superficie oculare nella sindrome dell’occhio secco e gli effetti della secchezza oculare sulla funzione visiva, si è convenuto che la definizione potrebbe essere soggetta a miglioramenti. Inizialmente sono state sviluppate due definizioni chesovrapponibili per certi aspetti, sono state combinate nella seguente: L’occhio secco è una malattia multifattoriale delle lacrime e della superficie oculare che si traduce in sintomi di disagio, disturbi visivi ed instabilità del film lacrimale, con potenziale danno alla superficie oculare. Esso è accompagnato da un aumento dell’osmolarità del film lacrimale e da infiammazione della superficie oculare. L’occhio secco è riconosciuto come un disturbo dell’Unità Funzionale Lacrimale (LFU), un sistema integrato che comprende le ghiandole lacrimali, la superficie oculare (cornea, congiuntiva e delle ghiandole di Meibomio), le palpebre e le terminazioni nervose sensoriali, motorie ed autonomiche. Questa unità funzionale controlla in modo regolato le principali componenti del film la15
2. La sindrome dell’occhio secco
Figura 2.1. Unità Funzionale Lacrimale (LFU)
crimale e risponde a stimoli ambientali, endocrinie ad influenze corticali. Il suo corretto funzionamento garantisce l’integrità del film lacrimale, la trasparenza della cornea e la qualità dell’immagine proiettata sulla retina. Recentemente è stato evidenziato che gli epiteli corneali e congiuntivali sono in continuità, attraverso le cellule duttali, con le cellule acinali delleghiandole lacrimali principali ed accessorie nonché con le ghiandole di Meibomio, epiteli che, d’altronde, hanno la stessa derivazione embrionale. Questo complesso sistema di interconnessioni è stato definito il “sistema della superficie oculare”. Un aspetto importante di tale unità funzionale è il ruolo svolto dagli impulsi sensoriali derivanti dalla superficie oculare nel mantenimento del flusso lacrimale basale. Attualmente, si ritiene che la secrezione lacrimale basale sia una risposta riflessa ad impulsi 16
afferenti derivanti in principale misura, ma non esclusivamente, dalla superficie oculare, con l’ulteriore contributo degli stimoli derivanti dalla mucosa nasale. Qualsiasi tipo di danno o patologia ad una delle componenti del LFU (nervi afferenti sensoriali,autonomi e motori, ghiandole lacrimali) può destabilizzare il film lacrimale e portare ad un quadro patologico della superficie oculare che trova la massima espressione nell’occhio secco. La stabilità del film lacrimale, segno distintivo di occhio sano, è minacciata quando le interazioni tra le costituenti stabilizzatrici del film lacrimale sono compromesse dalla diminuzione della secrezione lacrimale, dalla clearance ritardata, o da alterata composizione della lacrima; conseguenza di tutto ciò sarà l’infiammazione oculare. Il riflesso di secrezione lacrimale in risposta all’irritazione oculare è visto come il principale meccanismo di compensazione ma, con il tempo, l’infiammazione si accompagna a disfunzione secretiva cronica e ad una conseguente diminuzione della sensibilità corneale capace di comprometterne la risposta riflessa, traducendosi in una maggiore instabilità del film. Per tale ragione si ritiene che l’instabilità del LFU abbia ruolo importante nell’evoluzione di diverse forme di occhio secco. Proprio in virtù di tali nuove conoscenze la classica distinzione dell’occhio secco in deficit secretivo ed evaporativo è stata rimossa dalla definizione generale, continuando però
La nutraceutica oculare
a rappresentare un cardine importante nella smi fisiopatologici, gli effetti sulla visione, nonché l’utilità di una valutazione di gravità classificazione eziopatogenetica. della malattia. Per tali ragioni recentemente sono stati pubblicati due nuovi schemi di 2.2 Classificazione Qualunque autore, nella stesura di criteri di classificazione. Rispettivamente la classificlassificazione armonizzati per una singola cazione Triple e la quella di Delfi. patologia, si trova ad osservare che suddetti La Classificazione Triple, presentata al 14° criteri non sono sempre esclusivamente ap- Congresso della Società Europea di Oftalpropriati per porre una diagnosi, potendo mologia e successivamente aggiornata nel spesso portare ad errori di classificazione di 2005, si fonda sullo studio a tre schemi seuna determinata malattia, soprattutto nelle parati, basati rispettivamente sulla eziopasue fasi iniziali. Per il paziente uno schema togenesi, sulle ghiandole e tessuti bersaglio classificativo può rappresentare una guida, e sulla gravità della malattia. ma per il medico esperto, l’applicazione di La classificazione di Delfi è frutto di una recriteri diagnostici appropriati costituisce il vue della classificazione dell’occhio secco, cardine necessario per porre una diagnosi proponendo in primis di variare la denominazione della malattia da occhio secco a certa. Parlando di occhio secco, la classificazione “sindrome da disfunzione lacrimale” (DTS), NEI ha rappresentato uno schema utile per denominazione che riflette con maggior preoltre un decennio, ma attualmente non ri- cisione gli eventi fisiopatologici coinvolti flette più le recenti conoscenze sui meccani- nell’occhio secco. In tale classificazione si
Figura 2.2. Classificazione Delphi
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2. La sindrome dell’occhio secco
era anche introdotta la presenza o assenza di malattie palpebrali concomitanti, successivamente eliminata per l’artificiosa valutazione del contributo relativo della patologia palpebrale nel determinismo dell’occhio secco. Ciò che invece è stato mantenuto è la classificazione di gravità, riconoscendola come un punto cruciale per il successivo provvedimento terapeutico. Il termine occhio secco è correlato sintomatologicamente con il termine cheratocongiuntivite sicca (KCS). Per esporre al meglio le caratteristiche classificative, illustriamo schematicamente di seguito (Figura 2.3). Il box di sinistra illustra l’influenza dell’ambiente sul rischio di sviluppare occhio secco. Il concetto di ambiente è usato ampiamente
Figura 2.3. Principali cause eziologiche dell’occhio secco.
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per includere variazioni fisiologiche tra gli individui (ambiente interno), così come le condizioni ambientali in cui spendono la loro vita (ambiente esterno). L’ambiente interno è costituito dalle particolari componenti fisiologiche di ciascun individuo capaci di influenzareil rischio di occhio secco. Ad esempio un soggetto può avere una naturale rarità dell’ammiccamento ovvero una maggior frequenza, spesso correlate a fattori psicologici o caratteriali. Parimenti, l’ampiezza della rima palpebrale in posizione primaria può variare da individuo a individuo nonché tra gruppi etnici differenti. Considerando inoltre che la rima è più ampia nello sguardo verso l’alto rispetto a quello verso il basso, la perdita evaporati-
La nutraceutica oculare
va aumenta con l’aumentare dell’attitudine allo sguardo verso l’alto (upgaze). Numerose evidenze supportano il ruolo degli ormoni sessuali nella eziologia dell’occhio secco con la generalizzazione che bassi livelli di androgeni e alti livelli di estrogeni siano fattori di rischio per l’occhio secco. Biologicamente, gli androgeni promuovono la funzione delle ghiandole lacrimali e di Meibomio. Pertanto la carenza di androgeni è associata a secchezza oculare e può essere prevenuta con una terapia topica o sistemica a base di androgeni. L’occhio secco si verifica in pazienti esposti a antiandrogeni nel trattamento del cancro della prostata e le donne con sindrome da insensibilità agli androgeni mostrano un aumento di segni e sintomi di secchezza oculare, associata ad evidenza di disfunzione Meibomiana e delle cellule del glicocalice. È stato messo in evidenza un notevolmente impoverimento di androgeni nell’occhio secco “non-autoimmune” associato a disfunzione Meibomiana (MGD). Inoltre è risaputo che il sesso femminile e la terapia estrogenica in postmenopausa sono importanti fattori di rischio per l’occhio secco, nonché le donne con insufficienza ovarica prematura soffrano di sintomi e segni di occhio secco anche senza coinvolgimento della secrezione lacrimale. La secrezione lacrimale è ridotta di un notevole numero di farmaci sistemici, condizione considerata come disturbo dell’ambiente interno.
L’invecchiamento è associato ai cambiamenti fisiologici che possono predisporre alla secchezza oculare, rea una diminuzione del volume lacrimale, uno scarso flusso, una maggiore osmolarità, una diminuzione della stabilità del filme alterazioni nella composizione lipidica. L’ambiente esterno è rappresentato dall’insieme degli ambienti di vita e lavoro che possono rappresentare fattori di rischio per lo sviluppo di occhio secco. La perdita di acqua per evaporazione aumenta in condizioni di bassa umidità relativa, che si verificano, oltre che in particolari condizioni geografiche, in circostanze particolari create da aria condizionata o altri ambienti artificiali. Analogamente, l’evaporazione lacrimale è aumentata dall’esposizione a vento ad elevata velocità, meccanismo utilizzato anche in numerosi modelli sperimentali. I fattori occupazionali possono causare una velocità di ammiccamento ridotta, rappresentando un fattore di rischio per occhio secco per coloro che lavorano ai videoterminali. Le principali tipologie di occhio secco sono ancora l’occhio secco da ridotta secrezione acquosa (Aqueous Deficient Dry Eye ADDE) e l’occhio secco evaporativo (Evaporative Dry eye EDE). La categoria ADDE si riferisce principalmente alla mancanza della secrezione lacrimale, anche se va riconosciuto che la scarsa secrezione acquosa dalla congiuntiva può anch’essa contribuire alla carenza acquosa lacrimale. La categoria EDE è stata 19
2. La sindrome dell’occhio secco
suddivisa per distinguere quelle cause che dipendono dalle condizioni intrinseche di palpebre e superficie oculare e quelle derivanti da influenze estrinseche. L’occhio secco può essere dunque introdotto in una di queste categorie, che però non si escludono a vicenda. Infatti una malattia inserita in un sottogruppo può coesistere con altri o addirittura portare ad eventi che causano l’occhio secco con meccanismo completamente diverso. Questo fa parte di un circolo vizioso di interazioni che possono amplificare la gravità del quadro clinico. Un esempio potrebbe essere che tutte le forme di occhio secco causano la perdita di cellule del glicocalice, condizione che, a sua volta, contribuirà alla perdita di stabilità del film lacrimale, alla insorgenza di danni alla superficie e la perdita di acqua per evaporazione, con sintomi derivanti da una perdita di lubrificazione e di eventi infiammatori superficiali. 2.3 Occhio secco da deficit secretivo (ADDE) L’occhio secco da deficit lacrimale implica un danno a carico dei fenomeni secretivi. In ogni forma di occhio secco da deficit o disfunzione lacrimale, la ridotta secrezione determina iperosmolarità della lacrima, perché, anche se l’acqua evapora normalmente dalla superficie oculare, è associata a ridotta riserva lacrimale. L’iperosmolarità delle lacrime provoca iperosmolarità delle cellule 20
epiteliali della superficie oculare e stimola una cascata di eventi infiammatori che coinvolgono MAP chinasi e vie di segnalazione NFkB, nonché la generazione di citochine infiammatorie (interleuchina IL-1α; -1β; fattore di necrosi tumorale TNF-α) e metalloproteinasi della matrice (MMP-9). Nel momento in cui la disfunzione lacrimale è determinata da infiltrazione ed infiammazione della ghiandola lacrimale, i mediatori infiammatori generati nella ghiandola trovano la loro strada di espulsione proprio nelle lacrime, venendo in ultimo trasportate alla superficie oculare. Tuttavia, quando vengono rilevati tali mediatori nelle lacrime, non è sempre possibile stabilire se derivino dalla ghiandola lacrimale o dalla superficie oculare. Non è chiaro dunque se l’evaporazione è ridotta o aumentata nel ADDE. È possibile che ciò sia determinato dallo stadio della malattia. Alcuni studi suggeriscono che il film lipidico sia maggiore e più spesso in un occhio secco non Sjogren (NSSDE), ma studi dinamici hanno dimostrato una diffusione ritardata nell’ammiccamento. Inoltre, in caso di ADDE grave, la diffusione può essere non rilevabile all’interferometria, suggerendo un grave difetto nello strato di film lipidico lacrimale, portando ad un aumento dell’evaporazione di acqua dall’occhio. ADDE ha due sottoclassi principali, occhio secco associato a Sindrome di Sjogren (SSDE) e non associato a Sindrome di Sjogren.
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Figura 2.4. Meccanismi alla base dell’iperosmolarità lacrimale
2.3.1 Occhio secco associato a Sindrome di Sjogren La sindrome di Sjogren è un’esocrinopatia in cui le ghiandole lacrimali e salivari sono danneggiate da un processo autoimmune, con coinvolgimento anche di altri organi. Le ghiandole lacrimali e salivari sono infiltrate da cellule T attivate, che causano la morte delle cellule acinose e duttularicon iposecrezione di lacrime e saliva. L’attivazione infiammatoria all’interno delle ghiandole conduce all’espressione di autoantigeni sulla superficie delle cellule epiteliali (principalmente anticorpi anti-Ro e La) ed il richiamo di cellule T CD4 e CD8. L’iposecrezione vie-
ne amplificata da un blocco neurosecretorio potenzialmente reversibile, a causa degli effetti di citochine infiammatorie rilasciate localmente o per la presenza di anticorpi circolanti (es, anticorpi anti-M3) diretti contro recettori muscarinici all’interno delle ghiandole. Ci sono due forme di SS, con criteri classificativi recentemente armonizzati. La SS primaria consiste nella presenza di ADDE in combinazione con sintomi di secchezza orale, in presenza di autoanticorpi, con evidenza di ridotta secrezione salivare e positività alla biopsia delle ghiandole salivari minori. La SS secondaria consiste delle caratteristiche 21
2. La sindrome dell’occhio secco
Figura 2.5. Sindrome di Sjogren
di SS primaria in associazione alle caratteristiche di una malattia connettivo-autoimmune conclamata, come l’artrite reumatoide, la più comune, il lupus eritematoso sistemico, la poliartrite nodosa, la granulomatosi di Wegener, la sclerosi sistemica, la sclerosi biliare primitiva, o altra connettivite indifferenziata. I precisi meccanismi che portano ai danni acinarisu base autoimmune non sono del tutto noti, ma i fattori di rischio includono il profilo genetico, lo stato degli androgeni e l’esposizione a particolari agenti ambientali, come le infezioni virali. È stata inoltre riportata nei pazienti con SS una carenza nutrizionale di acidi grassi insaturi omega-3 e vitamina C. È generalmente accettato che i fattori ambientali che portano ad un aumen22
to della perdita di acqua per evaporazione dall’occhio (per esempio, l’umidità bassa, velocità del vento forte, e una maggiore esposizione della superficie oculare) possono agire come un trigger invocando eventi infiammatori alla superficie oculare attraverso un meccanismo iperosmolare. La secchezza oculare nel SSDE è dovuta sia ad iposecrezione lacrimale che alle concomitanti alterazioni infiammatorie caratteristiche della ghiandola lacrimale, unitamente alla presenza di mediatori infiammatori nelle lacrime e nella congiuntiva. Non è noto se i cambiamenti congiuntivali siano dovuti ad un targeting autoimmune di questo tessuto o se siano dovute all’effetto di mediatori infiammatori rilasciati dalle ghiandole nelle lacrime.
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La frequenza di MGD è maggiore nei pazienti con SS che nella popolazione normale; in tal misura, un difettoso strato lipidico del film può contribuire ad occhio secco da eccesso di evaporazione. 2.3.2 Occhio secco non associato a Sindrome di Sjogren La sindrome dell’occhio secco non-Sjogren è una forma di ADDE determinata da una disfunzione lacrimale in cui non sono presenti le caratteristiche autoimmuni del SSDE. La forma più comune è l’occhio secco correlato all’età, per cui in passato veniva impiegato il termine Cheratocongiuntivite sicca (KCS), termine che, come osservato in precedenza, è ora utilizzato per descrivere qualsiasi forma di occhio secco. Deficit primario della ghiandola lacrimale Occhio secco correlato all’età (ARDE): Vi è incertezza sul fatto che le dinamiche lacrimali siano influenzate dall’età nella popolazione normale, con valutazioni scientifiche discordanti circa la correlazionetra invecchiamento ed evaporazione lacrimale, volume, flusso e osmolarità, portando alla finale identificazione della ARDE come malattia primaria. Con l’aumentare dell’età nella popolazione umana normale, vi è un aumento in patologia duttale che potrebbe indurre disfunzione alla ghiandola lacrimale. Tali alterazioni sono rappresentate dalla fibrosi periduttale,
Figura 2.6. Fenomeni dell’occhio secco in soggetto anziano
fibrosi interacinare, perdita dei vasi sanguigni paraduttali e atrofia delle cellule acinari. In alcuni lavori scientifici si segnala la presenza di infiltrati ghiandolari linfocitari nelle ghiandole lacrimali studiate, considerando tale fenomeno alla base della fibrosi. I quadri istologici sono stati messi a confronto con gradi meno gravi di sindrome di Sjogren, valutando una sequenza di fibrosi periduttale, fibrosi interacinare ed infine atrofia acinare. È stato suggerito che la dacrioadenite di basso grado potrebbe essere causata da infezione sistemica o congiuntivite o, in alternativa, che quadri di congiuntivite subclinica potrebbero essere responsabilidella stenosi dei condotti escretori. Alacrimia congenita: è una rara causa di secchezza oculare in giovani. Può essere parte di alcune sindromi, tra cui la sindrome della tripla A (sindrome di Allgrove), autosomica recessiva, in cui alacrimia congenita è associata ad acalasia del cardias, malattia di Addison, neurodegenerazione centrale e disfunzione autonomica. È causata da mu23
2. La sindrome dell’occhio secco
Figura 2.7. Sindrome della tripla A
tazioni nel gene che codifica per la proteina ALADIN, che svolge un ruolo di scambio di RNA e proteine tra il nucleo e il citoplasma. Disautonomia familiare: la disfunzione lacrimale è una caratteristica importante del disordine autosomico recessivo, disautonomia familiare (Sindrome di Riley Day), in cui si associano, all’interno di una malattia multisistemica, una insensibilità generale al dolore e marcato deficit lacrimale. C’è una anomalia neuronale evolutiva e progressiva delle innervazioni cervicali simpatiche e parasimpatiche della ghiandola lacrimale e un deficit di innervazione sensoriale della superficie oculare, che colpisce sia le piccole fibre mieliniche (Aδ) e amieliniche (C), nonché i neuroni del trigemino. La muta24
zione colpisce il gene che codifica per una protein-chinasi associata IκB. Deficit secondari della ghiandola lacrimale Infiltrazione della ghiandola lacrimale: la secrezione lacrimale può ridursi a causa di infiltrazione infiammatoria della ghiandola a seguito di patologie quali sarcoidosi,con infiltrazione della ghiandola lacrimale da granulomi sarcoidei, linfoma, con infiltrazione della ghiandola lacrimale da parte delle cellule linfomatose, l’AIDS, in cui l’occhio secco può essere causato da infiltrazione della ghiandola lacrimale da cellule T, contrariamente alla SSDE, in cui vi è una predominanza di cellule CD8. Malattia da trapianto contro l’ospite
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sono innervate in modo simile alle principali e palpebrali e si presume che siano sotto il controllo del riflesso simile.
Figura 2.8. Quadro oftalmoscopico in un paziente con sindrome di Riley Day
(GVHD): l’occhio secco è una complicanza comune della malattia GVHD, che si verifica in genere circa 6 mesi dopo il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Essa è causata in parte da fibrosi della ghiandola lacrimale a causa di localizzazione periduttale di linfociti T (CD4 e CD8) e fibroblasti presentanti l’antigene. Ablazione della ghiandola lacrimale: I condotti della ghiandola lacrimale principale decorrono attraverso la palpebra, dunque l’asportazione della componente palpebrale avrà lo stesso effetto dell’asportazione della ghiandola principale. L’occhio secco può essere causato da ablazione parziale o completa della ghiandola lacrimale a qualsiasi età, ma non è una conseguenza obbligatoria, poiché la ghiandola accessoria e la secrezione congiuntivale possono compensare in alcuni casi. Denervazione della ghiandola lacrimale: la denervazione del parasimpatico della ghiandola lacrimale può causare secchezza oculare, avviando alterazioni infiammatorie nella ghiandola. Le ghiandole accessorie
Ostruzione duttale della ghiandola lacrimale L’ostruzione dei dotti delle ghiandole lacrimali principali ed accessorie porta ad occhio secco secretivo e può essere causato da forme di congiuntivite cicatrizzante. In questi disturbi non è raro se cicatrici congiuntivalipossano provocare un MGD ostruttiva cicatriziale. Inoltre è da tener presente che le varie forme di deformità palpebrali influenzano la diffusione del film lacrimale. Di seguito le condizioni specifiche. Tracoma: il tracoma è una delle principali cause di cecità su scala globale, in cui l’opacità corneale e la conseguente cecità sono causati da una combinazione di cicatrici tarsali e congiuntivali, trichiasi ed ostruzione cicatrizzante della ghiandola di Meibomio. L’occhio secco è una parte del quadro complessivo, risultante da ostruzione del dotto lacrimale, malposizione palpebrale e carenza del di film lipidico lacrimale. Pemfigoide cicatriziale e pemfigoide mucoso: malattia con disturbi mucocutanei caratterizzati da vesciche della pelle e delle mucose, con conseguente grave e progressiva cicatrizzazione congiuntivale. L’occhio secco può essere causato da un’ostruzione lacrimale, MGD cicatriziale, e / o scarsa apposizione palpebrale. Eritema multiforme: si tratta di un acuto 25
2. La sindrome dell’occhio secco
Figura 2.9. Tracoma
disturbo mucocutaneo, autolimitato, solitamente precipitato da farmaci, infezioni o neoplasie. Le cicatrici congiuntivali possono portare a occhio secco nel modo descritto sopra. Blocco del riflesso sensoriale La secrezione lacrimale nello stato di veglia è determinata in massima parte da un input sensoriale del trigemino. Quando gli occhi sono aperti, vi è un maggior riflesso sensoriale dalla superficie oculare esposta. Una riduzione delle unità sensoriali dalla superficie oculare favorisce l’insorgenza dell’occhio secco in due modi, ovvero diminuendo la secrezione lacrimale indotta e riducendo la velocità di ammiccamento e, dunque, aumentando la perdita evaporativa. La perdita sensoriale bilaterale riduce sia la secrezione lacrimale che la velocità di ammiccamento. I meccanismi che possono portare una riduzione di tale riflesso sono: Uso di lenti a contatto: una riduzione della sensibilità corneale si verifica in portatori di lenti rigide e per periodi prolungati (CLS). In alcuni studi l’aumento dell’osmolarità lacri26
male è stato registrato in associazione con l’uso di lenti a contatto. In un modello sperimentale, si è osservato un aumento della denervazione trigeminale che provoca cambiamenti morfologici caratteristici dell’occhio secco. Argomentazioni simili sono correlate al concetto di occhio secco e LASIK, per cuialcuni pazienti sintomatici dopo la chirurgia LASIK hanno un deficit neurotrofico. Diabete: Il diabete mellito è stato identificato come un fattore di rischio per l’occhio secco in diversi studi. Alcuni di questi hanno anche rilevato un’associazione tra scarso controllo glicemico (come indicato dalla HbA1C sierica) e frequenza di utilizzo di colliri, evidenziando anche una riduzione della lacrimazione riflessa (test di Schirmer) nei pazienti diabetici insulino-dipendenti, senza tuttavia alcuna differenza nel tempo di rottura del film lacrimale o del flusso lacrimale basale con fluorofotometria. È stato suggerito che l’associazione possa essere dovuta alla neuropatia sensoriale o autonomica diabetica, o al verificarsi di cambiamenti microvascolari nella ghiandola lacrimale. Cheratite neurotrofica: vasta denervazione sensoriale del segmento anteriore che coinvolge la cornea e la congiuntiva bulbare e palpebrale, come componente di herpes zoster oftalmico o indotta da sezione, iniezione o compressione del nervo trigemino, portando a cheratite neurotrofica. Questa condizione presenta tutte le caratteristiche dell’occhio secco, come instabilità lacri-
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lacrimale come meccanismo probabile. Gli agenti responsabili sono antistaminici, beta-bloccanti, antispastici, e diuretici, nonché, antidepressivi triciclici, inibitori della ricaptazione della serotonina.
Figura 2.10. Cheratite neurotrofica
male, diffusa cheratite puntata, perdita di cellule caliciformi e soprattutto il verificarsi di una cheratite indolente o ulcerativa, che può portare alla perforazione. La perdita di sensibilità risulta in una riduzione della secrezione lacrimale e una riduzione della velocità di ammiccamento, nonché la perdita di supporto trofico alla superficie oculare dopo denervazione sensoriale, imputabile ad una carenza di sostanza P. Blocco del riflesso motorio I danni centrali al VII nervo cranico, con coinvolgimento del nervo intermedio, portano ad occhio secco a causa della perdita della funzione secretomotoria lacrimale. Il nervo intermedio trasporta fibre nervose parasimpatiche postgangliari (di origine dal ganglio pterigopalatino) alla ghiandola lacrimale. L’occhio secco pertanto sarà dovutosia ad iposecrezione lacrimale che ad incompleta chiusura palpebrale (lagoftalmo). L’associazione tra l’uso di farmaci sistemici e secchezza oculare è stata osservata in diversi studi, con diminuzione della secrezione
2.4 Occhio secco evaporativo (EDE) L’occhio secco evaporativo è dovuto alla perdita eccessiva di acqua dalla superficie oculare esposta in presenza di una normale funzione secretoria lacrimale. Le cause sono differenziate in intrinseche, in cui alla base ci sono patologie intrinseche delle palpebre, e estrinseche, in cui la malattia della superficie oculare si verifica a causa di esposizione a fattori esterni. Il confine tra queste due categorie è sottile. 2.4.1 Cause intrinseche Disfunzione delle ghiandole di Meibomio La disfunzione Meibomiana, o blefarite posteriore, è una condizione di ostruzione della ghiandola di Meibomio e costituisce la più comune causa dell’occhio secco evaporativo. Le cause comprendono vari tipi di dermatosi, come l’acne rosacea, dermatite seborroica, e dermatite atopica, mentre associazioni meno comuni ma importanti includono il trattamento di acne vulgaris con isotretinoina, che porta ad un’atrofia delle ghiandole Meibomioreversibile, perdita di densità acinare alla meibografia e volume ridotto e maggiore viscosità delle secrezioni. 27
2. La sindrome dell’occhio secco
Figura 2.11. Disposizione delle ghiandole di Meibomio nelle varie MGD
La MGD può essere primaria o secondaria, semplice o cicatriziale. Nella semplice MGD, gli orifizi delle ghiandole rimangono nelle palpebre, anteriormente alla giunzione mucocutanea. Nella MGD cicatriziale, gli orifizi del condotto sono dislocati posteriormente sulla palpebra nella mucosa del tarso e, quindi, non sono in grado di fornire lipidi sulla superficie del film lacrimale. La diagnosi si basa sulle caratteristiche morfologiche degli acini della ghiandola e gli orifizi del condotto, presenza di orifizio tamponamento ed addensamento o completa assenza di secrezioni. Esistono metodi per graduare la MGD, misurare il grado di dropout ghiandolare (meibografia), e la quantità di lipidi nel serbatoio al margine palpebrale (meibometria). Diversi studi suggeriscono che una MGD di estensione e grado sufficiente è 28
associata ad uno strato sufficiente di film lacrimale lipidico, un aumento di evaporazione lacrimale, con il verificarsi di un occhio secco evaporativo. È importante riconoscere l’effetto di microrganismi commensali della superficie palpebrale sulla composizione lipidica meibomiana ed il suo effetto potenziale sulla stabilità dello strato lipidico del film lacrimale. Esistono differenze costituzionali nella composizione lipidica Meibomiana nei diversi individui. Alcuni soggetti presentano bassi livelli di esteri di colesterolo e esteri di acidi grassi insaturi, altri presentano alti livelli di queste frazioni. In questi ultimi, esterasi e lipasi prodotte da normali commensali (stafilococchi coagulasinegativi, Propionobacterium acnes e S. aureus) possono rilasciare acidi grassi e mono-digliceridi nel film lacrima-
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Figura 2.12. Proiezioni dello sguardo nel nuotatore (upgaze relativo)
le, fonte di irritazione o di saponificazione, responsabile per la produzione di “schiuma meibomiana”. Va inoltre notato che la crescita di S. aureus può essere stimolata dalla presenza di colesterolo. Fattori come questi possono influenzare la carica microbica e lo sviluppo della blefarite.
esposizione della superficie oculare si verifica anche in particolari posizioni di sguardo, come l’upgaze, ed in tutte le attività che inducono l’upgaze, come il nuoto, in cui la testa è inclinata verso il basso e gli occhi sono in condizioni di estremo orientamento verso l’alto (upgaze relativo). L’essiccamento della superficie oculare a causa della scarsa apposizione palpebrale o loro deformazione, con conseguente esposizione o la scarsa ridistribuzione del film lacrimale, sono considerate cause di essiccamento della superficie oculare. Inoltre la chirurgia plastica delle palpebre può costituire un ulteriore causa di occhio secco per i medesimi meccanismi.
Disordini dell’apertura palpebrale Un aumento della superficie esposta dell’occhio avviene in craniostenosi, endocrinopatie e altre forme di proptosi, nonché nella miopia elevata. L’esoftalmo endocrino e, in particolare, una maggiore larghezza della rima palpebrale, è associato ad asciugatura della superficie oculare e iperosmolarità lacrimale. L’aumento dell’ampiezza della rima palpebrale è correlato ad una maggiore Ridotto ammiccamento evaporazione del film lacrimale. Maggiore L’essiccamento della superficie oculare può 29
2. La sindrome dell’occhio secco
essere causato da una frequenza di ammiccamento ridotta, che prolunga il periodo durante il quale la superficie oculare è esposta alla perdita di acqua prima del prossimo ammiccamento. Sono stati sviluppati numerosi metodi per registrare la velocità di ammiccamento e metterlo in relazione allo sviluppo di occhio secco.Ciò può verificarsi come fenomeno fisiologico durante lo svolgimento di alcuni compiti di concentrazione, ad esempio, lavorando a terminali video o microscopi, o può essere una caratteristica di un disturbo extrapiramidale, come la malattia di Parkinson (PD), dove la rarità di ammiccamento è dovuta ad una diminuzione del pool dei neuroni dopaminergici della substantia nigra ed è proporzionale alla gravità della malattia. I diversi meccanismi con cui PD può indurre occhio secco sono rappresentati da velocità di ammiccamento ridotta e conseguente alterato film lacrimale con aumentata perdita per evaporazione, con compromissione della clearance di mucina e dei lipidi. Sperimentalmente è stato osservato che gli androgeni sono necessari per il normale funzionamento sia delle ghiandole di Meibomio, e non vi è evidenza clinica che i sintomi di secchezza oculare siano promossi dal blocco dei recettori degli androgeni, ma i livelli di tali ormoni circolanti sono bassi in una grande percentuale di pazienti con MP, e si suggerisce che questo possa contribuire a disfunzione lacrimale e del Meibomio. Inoltre, una 30
diminuzione del riflesso lacrimale nel PD è stata attribuita ad una disfunzione autonomica, che riflette la presenza di corpi di Lewy nella substantia nigra, nonché nei gangli parasimpaticosimpatico. 2.4.2 Cause estrinseche Disordini della superficie oculare Le patologie della superficie oculare esposta possono portare alla non perfetta umidificazione della superficie, un’anticipazione della rottura del film lacrimale, iperosmolarità lacrimale e secchezza oculare. Le cause includono carenza di vitamina A, gli effetti dei farmaci topici cronicamente applicati ed i loro conservanti. Carenza di vitamina A: tale è una carenza può provocare secchezza oculare (xeroftalmia) attraverso due meccanismi distinti. La vitamina A è essenziale per lo sviluppo delle cellule caliciformi nelle membrane mucose e l’espressione di mucine del glicocalice. Queste componenti sono carenti nella xeroftalmia, che porta ad un film lacrimale instabile caratterizzato da precoce rottura del film. La carenza di vitamina A può causare danni acinari, e, di conseguenza, alcuni pazienti con xeroftalmia possono avere un occhio secco da carenza lacrimale. Farmaci topici e conservanti: Molti componenti di formulazioni in collirio possono indurre una risposta tossica della superficie oculare. Di questi, i più comuni sono i conservanti, come il cloruro di benzalconio
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(BAC), che causa danni alle cellule della superficie epiteliale fino ad una cheratiteepiteliale puntata, che interferisce con la detersione della superficie. L’uso di colliri con conservanti è una causa importante di occhio secco che costituisce uno dei sintomi cardine nei pazienti affetti da glaucoma, ed è generalmente reversibile nel passaggio alle preparazioni senza conservati. Pertanto andrebbero evitate applicazioni farmaceutiche e di sostituiti lacrimali con conservati. L’anestesia topica provoca l’essiccazione principalmente in due modi. Si riduce la secrezione lacrimale riducendo l’unità sensoriale della ghiandola lacrimale nonché la velocità dell’ammiccamento. È stato anche suggerito che l’anestesia delle terminazioni nervose lacrimali secretorie vicino alla superficie del fornice superiore (che innervano le porzioni palpebrali e accessorie della ghiandola lacrimale) può essere indotta anche da anestetici topici. L’uso cronico di anestetici topici può causare una cheratite neurotrofica che può conduce fino alla perforazione della cornea. Uso di lenti a contatto L’uso di lenti a contatto è una pratica sempre più frequente nel mondo sviluppato, pertanto le cause dei sintomi di intolleranza alle lenti, rappresentati in primis da secchezza e sensazione soggettiva di disagio,rivestono una rilevante importanza sia dal punto di vista personale che generale.
Figura 2.13. Cheratite in portatore di lenti a contatto
Negli ultimi anni, sono stati sviluppati una serie di questionari per identificare i sintomi di occhio secco in portatori di lenti a contatto, indicando che circa il 50% dei portatori di lenti segnala sintomi di secchezza oculare, con una probabilità 12 volte superiore degli emmetropi e cinque volte superiore dei portatori di occhiali. In un ampio studio trasversale sui portatori di lentia contatto (91% idrogel - 9% lenti gaspermeabili), condotti utilizzando il Contact Lens Dry Eye Questionnaire (CLDEQ), sono stati identificati i principali fattori associati ad occhio secco. Si è osservato che spessore dello strato lipidico era minore nei soggetti con secchezza oculare ed era correlato al tempo di rottura del film lacrimale. Questo, unitamente alla scarsa idratazione della lente, potrebbe essere una base per una maggior perdita per evaporazione durante l’uso di lentiassociato ai cambiamenti nella composizione del film lipidicolacrimale, piuttosto che ad una perdita di funzione della ghiandola di Meibo31
2. La sindrome dell’occhio secco
Figura 2.14. Contact Lens Dry Eye Questionnaire (CLDEQ)
mio. I pazienti che portano gli lenti idrogel ad elevato contenuto d’acqua, presentano più facilmente occhio secco. Questo è un settore controverso in letteratura, in quanto si è va32
lutato che tutti i materiali morbidi esaminati aumentato il tasso di evaporazione e diminuiscono il tempo rottura lacrimale, nonché i pazienti che indossano lenti a bassa carica
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idrica erano completamente liberi da sintomi. Tuttavia, altri studi non hanno riportato alcuna correlazione tra l’idratazione delle lenti a contatto e sintomi di secchezza oculare nonché relazioni con il tempo rottura del film e sintomi di secchezza oculare o la perdita di acqua per evaporazione. Occhio secco è stato associato con una osmolarità lacrimale più elevata, ma in un range relativamente più basso. Gli autori hanno osservato che questo valore più basso può essere causato da lacrimazione riflessa al momento del campionamento. Le donne tendono a riferire secchezza oculare più frequentemente degli uomini, con il 40% degli uomini e il 62% delle donne classificate come soggette ad occhio secco. Le ragioni non sono chiare, ma sono stati considerati potenziali fattori le fluttuazioni ormonali durante il ciclo mestruale o dopo la menopausa e l’uso di contraccettivi orali o terapia ormonale sostitutiva. È stato anche osservato che il sinto-
mo segnalato dalle donne, in generale, tende ad essere superiore a quello degli uomini. La maggior intolleranza è stata associata ad un aumento dei prodotti lipidici degradati, fosfolipasi A2, e lipocalina in campioni lacrimali. Questi studi suggeriscono che tali condizioni possono predisporre un individuo ad intolleranza alle lenti a contatto e conseguente occhio secco. Le variazioni nella prestazione visiva con lenti a contatto morbide possono essere dovute alla dispersione della luce prodotta dalle variazioni dei livelli di idratazione della lente per la variazione del film lacrimale sulla lente. La sensibilità al contrasto in portatori di lenti morbide è significativamente ridotta nelle frequenze medio-alte quando i film precorneale si asciuga causando la rottura. Questo potrebbe spiegare la visione offuscata intermittente in alcuni portatori di lenti a contatto e può fornire uno stimolo ad ammiccare.
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35
La nutraceutica oculare
3. L’occhio rosso e irritato Salvatore Troisi, Mario Bifani
L’arrossamento della congiuntiva è una manifestazione estremamente frequente, il più delle volte espressione di una affezione benigna e senza conseguenze per la funzione visiva, ma può essere indicativa di patologie più serie, di differente origine. Rappresenta spesso un motivo di preoccupazione per il paziente, che il più delle volte consulta il medico o afferisce al pronto soccorso oculistico, soprattutto in caso di forme acute accompagnate da altri disturbi; in altri casi situazioni potenzialmente gravi vengono trascurate o trattate per periodi più o meno prolungati con prodotti da banco, nella convinzione che si tratti di un disturbo passeggero, con conseguenze a volte gravi ed irreversibili. È fondamentale pertanto riconoscere quei sintomi e segni clinici che devono indurre a consultare rapidamente lo specialista oftalmologo. I dati anamnestici e la presenza di altri sintomi possono fornire infatti un valido orientamento sull’urgenza o meno del quadro clinico e sulla necessità di un approccio specialistico; una accurata valutazione del paziente, anche da parte del medico non
oftalmologo, permette di individuare i segni di patologie che possono dare luogo a quadri più gravi, fino a compromettere la funzione visiva, se non trattate tempestivamente ed adeguatamente. È possibile pertanto effettuare una prima valutazione del paziente anche senza uno specifico strumentario in uno studio di medicina generale, dove un esame comparativo bilaterale sistematico e rigoroso ed una valutazione ragionata dei dati anamnestici costituisce la base di una buona gestione. La raccolta di alcuni elementi fondamentali permette infatti di gestire l’occhio rosso in modo semplice, chiaro ed efficace, in modo da poter rassicurare il paziente nelle condizioni più banali ed intraprendere, se necessario, un primo trattamento oppure indirizzarlo ad una visita specialistica oftalmologica laddove permane il dubbio di situazioni patologiche di maggiore rilievo. In ogni caso è opportuno astenersi dall’utilizzare colliri corticosteroidi in situazioni acute di dubbia interpretazione in assenza di un parere specialistico, soprattutto nei casi in cui l’arrossamento dell’occhio si associa a dolore. 37
3. L’occhio rosso e irritato
3.1 Il primo inquadramento del paziente Bisogna innanzitutto escludere che il paziente sia stato esposto a traumatismi o a liquidi potenzialmente dannosi, quali acidi o, soprattutto, sostanze alcaline. Il contatto con sostanze irritanti o corrosive richiede un immediato lavaggio con soluzione fisiologica sterile o, in mancanza, con acqua corrente, per rimuovere il più possibile la sostanza nociva e l’immediato trasporto al pronto soccorso oculistico. I traumi oculari possono determinare effetti che richiedono un pronto intervento dell’Oculista, quali lesioni della tunica fibrosa dell’occhio, costituita da cornea e sclera, ritenzione di corpi estranei o lesioni da contusione delle strutture endoculari; il solo sospetto di tali evenienze deve indurre ad una valutazione urgente oftalmologica, per verificare il quadro clinico ed improntare il trattamento più appropriato. È utile ricordare, al riguardo, che alcune categorie di lavoratori particolarmente esposti a schegge (saldatori, giardinieri, operai edili, appassionati di bricolage), vanno valutati sempre con estrema attenzione, in quanto possono essere portatori inconsapevoli di corpi estranei ritenuti: non sempre la sintomatologia al momento della visita viene ricollegata a circostanze traumatiche pregresse, per cui va sempre tenuta presente in tali pazienti la possibile presenza di corpi estranei endo o epi-bulbari. 38
Nei casi non legati ad esposizione ad agenti esterni e traumatici, bisogna innanzitutto valutare distribuzione e caratteristiche dell’iperemia. Una disposizione ad anello intorno alla cornea (reazione pericheratica) è indicativa di patologie più serie, quali cheratiti, uveiti o crisi di glaucoma acuto, mentre una forma più diffusa alla congiuntiva tarsale e dei fornici, con possibile interessamento del bordo palpebrale, orienta verso un più comune quadro di congiuntivite o di blefaro-congiuntivite. In caso di blefarite la reazione iperemica appare più evidente nel terzo inferiore della congiuntiva bulbare. Una iperemia diffusa a tutta l’area esposta è frequente nelle infiammazioni da occhio secco. Un arrossamento con conformazione nodulare sulla congiuntiva bulbare, in genere nel settore temporale, è tipica invece di una episclerite. La presenza di vene dilatate e tortuose deve indurre ad un approfondimento clinico, in quanto può essere indice di una patologia dell’orbita (fistola carotido-cavernosa, tumori), di una neoplasia endobulbare o addirittura di malattie sistemiche, quali forme leucemiche. Un altro dato obiettivo fondamentale da considerare è l’esame della pupilla, soprattutto in presenza di iperemia pericheratica: una anisocoria o una reazione torpida o assente allo stimolo luminoso diretto costituiscono segni clinici di allarme. Altro elemento basilare per la valutazione è l’interessamento monolaterale o bilaterale
La nutraceutica oculare
Emorragia subcongiuntivale
Congiuntivite acuta
Visus
Dolore
Iperemia
Pupilla
Tono oculare
Cornea
Normale
Assente
Chiazza emorragica
Normale
Normale
Normale
Normale o
Sensazione di corpo estraneo
Diffusa
Normale
Normale
Normale
Pericheratica
Normale
Normale
Midriatica
Elevato
Edema
Normale o
Normale o
ridotto
precipitati
lievemente diminuito
Diminuito
Presente
(++ forme centrali)
+ senso di c.estr.
Glaucoma acuto
Diminuito
Intenso
Irite acuta
Diminuito
Cheratite acuta
Abrasione o ulcera corneale
Diminuito
Diffusa ++ pericheratica
Lieve o Intenso
Lieve o intenso
Pericheratica
Miotica
Diffusa
Normale
Normale
Ulcera o infiltrato
Lesione localizzata
Figura 3.1. Criteri diagnostici per le più comuni cause di occhio rosso
della patologia: le congiuntiviti allergiche e infettive tendono ad interessare entrambi gli occhi, a volte con intensità o tempi diversi; le forme unilaterali, che si prestano meglio ad un esame comparativo dei due occhi, sono spesso indicative di patologie di maggiore rilievo. L’anamnesi è sempre di grande aiuto in presenza di un occhio rosso e deve concentrarsi sulla durata e le modalità di comparsa dei disturbi (improvvisa o lenta e progressiva), sul loro andamento nel tempo e, soprattutto, su eventuali sintomi associati (Figura 3.1). Innanzitutto bisogna indagare se è presente o meno dolore e se sono associati disturbi visivi, per individuare condizioni patologiche più rilevanti. Dal punto di vista eziologico, la presenza di altri sintomi (prurito, bruciore,
Figura 3.2. Congiuntivite batterica
sensazione di corpo estraneo, lacrimazione, fotofobia, secrezioni) fornisce preziose indicazioni: ad esempio un intenso prurito ed una storia di problematiche allergiche orienta decisamente la diagnosi in tal senso, mentre la comparsa di secrezioni giallastre, con occhi appiccicati soprattutto al mattino depone per una forma infettiva batterica (Figura 3.2); le infezioni virali si associano più 39
3. L’occhio rosso e irritato
spesso a lacrimazione profusa, bruciore e, in caso di interessamento corneale, a senso di corpo estraneo e fotofobia. Un discorso a parte merita l’occhio rosso nei portatori di lenti a contatto; soprattutto nei casi monolaterali e in cui la rimozione delle lenti non migliora decisamente il quadro, è necessario valutare la possibilità di una cheratite, che può iniziare in maniera subdola ed assumere in questi pazienti quadri di particolare gravità per la più rapida evoluzione. La necessità di un esame specialistico diventa ancora più urgente se il soggetto riferisce un repentino peggioramento della vista. 3.2 Occhio rosso non dolente: principali quadri clinici e principi di trattamento La condizione più banale di occhio rosso è la presenza di un’emorragia sottocongiuntivale spontanea. Si osserva in questi casi una macchia rossa abbastanza uniforme che spicca sul bianco della sclera; generalmente è una condizione monolaterale ed assolutamente asintomatica, tuttavia costituisce spesso motivo di allarme per il paziente e per le persone che gli stanno vicino. È dovuta alla rottura spontanea di un capillare e compare improvvisamente in seguito ad un aumento della pressione del distretto cefalico, ad esempio in seguito ad un colpo di tosse, ad un conato di vomito o al sollevamento dal suolo di un peso gravoso; in altri casi è riconducibile a turbe della coagulazione o a 40
terapie con antiaggreganti piastrinici o anticoagulanti, soprattutto in soggetti diabetici ed ipertesi, che presentano una maggiore fragilità capillare. Va sempre considerata anamnesticamente la possibilità di un evento traumatico che abbia potuto determinare una microlacerazione della congiuntiva e di un corpo estraneo celato al di sotto della raccolta ematica; l’esame specialistico alla lampada a fessura dopo colorazione con verde di lissamina o con colorante a base di riboflavina e filtro giallo consente di rilevare lesioni della congiuntiva anche minime, misconosciute. L’emorragia subcongiuntivale si risolve in genere spontaneamente nel giro di 7-15 giorni; talvolta vengono prescritti colliri a base di eparina per facilitare il riassorbimento della raccolta ematica. Prima di procedere alla descrizione dei principali quadri clinici di “occhio rosso e irritato” è necessario chiarire un concetto di base, che si è andato affermando negli ultimi anni: la suddivisione delle patologie degli annessi oculari e della cornea in categorie settoriali, quali congiuntiviti, blefariti, cheratiti, dacrioadeniti e così via, è del tutto artificiosa, in quanto è apparso sempre più chiaro che le congiuntiva, le palpebre, la cornea, le ghiandole produttrici del fluido lacrimale, le vie lacrimali di deflusso costituiscono una vera e propria unità anatomica e funzionale, denominata superficie oculare, sotto il controllo di stimoli nervosi e mediatori biochimici ed endocrini, laddove il film lacrimale
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esercita un ruolo assolutamente fondamentale e una funzione di collegamento molto simile a quella esercitata dal sangue per i vari tessuti ed organi. La conseguenza pratica è che attualmente non si ritiene concepibile ad esempio che una infiammazione della congiuntiva non provochi effetti sulle palpebre, sulla cornea e sul film lacrimale e viceversa: in ogni processo patologico della superficie oculare esiste un coinvolgimento che si estende progressivamente alle varie strutture ed il processo di guarigione richiede il trattamento di tutte le alterazioni patologiche presenti e la ricostituzione degli equilibri che sono andati modificandosi in seguito agli eventi lesivi iniziali. Pertanto le descrizioni riportate in questa trattazione, anche se tengono conto, per motivi pratici, di alcune classificazioni ormai storiche, sulla base dei tessuti prevalentemente o primitivamente coinvolti, devono intendersi comunque come processi infiammatori che interessano complessivamente l’intera unità “superficie oculare”. L’approccio terapeutico deve essere quindi rivolto globalmente alla malattia della superficie oculare (Ocular Surface Disease), sia pure con le specifiche connotazioni che essa assume in ogni singolo paziente. È possibile inoltre che entrino in gioco contemporaneamente più meccanismi patologici che si potenziano a vicenda e spesso innescano circoli viziosi con conseguente cronicizzazione dei processi. Inoltre a volte il
quadro clinico è complicato da altri fattori, quali l’ambiente di vita e di lavoro, l’uso di cosmetici o degli stessi colliri instillati per un primo trattamento empirico dell’occhio rosso. Per quanto riguarda l’uso di cosmetici bisogna ricordare che lo scambio di prodotti, frequente soprattutto tra le teenagers, costituisce una importante fonte di contagio, in quanto possono essere facilmente trasferiti agenti infettivi alle varie utilizzatrici; l’uso di eye liner sul bordo palpebrale in corrispondenza degli orifizi di sbocco delle ghiandole di Meibomio favorisce inoltre quadri di blefarite, di orzaiolo o lo sviluppo di un calazio. Una corretta igiene palpebrale ed impacchi caldo umidi con compresse, garze o apposite salviette costituisce un presupposto fondamentale per il trattamento di queste forme. L’approccio terapeutico alle patologie della superficie oculare deve in definitiva tenere conto sia dei meccanismi che le hanno determinate e che sostengono il processo infiammatorio, sia del coinvolgimento delle varie strutture oculari, in modo da consentire il ripristino dei fisiologici meccanismi di omeostasi che risultano alterati o addirittura compromessi. Le infiammazioni che colpiscono prevalentemente la congiuntiva non determinano in genere dolore, ma possono causare una serie di sintomi irritativi, quali bruciore, prurito, sensazione di corpo estraneo, lacrimazione, secrezione mucosa o mucopurulenta; nelle 41
3. L’occhio rosso e irritato
Prurito
Bruciore
Senso di corpo estraneo
Lacrimazione
Fotofobia
Iperemia
Essudazione
Adenopatia preauricolare
Citologico (elementi caratteristici)
Batterica
minimo
moderato
moderato
moderata
lieve o moderata
intensa
purulenta o mucopurulenta
rara
granulociti neutrofili ++
Da Clamidia
minimo
moderato
moderato
moderata
lieve o moderata
moderata
purulenta
comune
Inclusi intracellulari
Virale
moderato
moderato
lieve o moderato
profusa
moderata
moderata
acquosa
comune
Linfociti ++
Allergica
intenso
moderato
lieve
moderata
intensa
da moderata a severa
bianca, schiumosa
assente
Eosinofili, mastociti
Disfunzione lacrimale
lieve
da moderato a intenso
intenso
ridotta, a tratti aument. riflessa
minima
minima
Ostruzione vie lacrimali
minimo
lieve
lieve
aumentata con epifora
minima
moderata
EZIOLOGIA
mucopurulenta
assente
Sofferenza epitelio, < caliciformi
rara (dacriocistite)
Linfociti, neutrofili
Figura 3.3. Valutazione eziologica dell’occhio rosso non dolente: segni clinici e sintomi
infezioni virali compare spesso fotofobia e infiammazione delle linfoghiandole preauricolari. Dal punto di vista eziologico, si riconoscono forme infettive, allergiche, da disfunzione del film lacrimale, da occlusione delle vie lacrimali di deflusso, da contatto con agenti irritanti chimici e fisici (raggi X ed UV). I sintomi e le caratteristiche cliniche che aiutano a individuare le cause della flogosi in assenza di dolore sono schematizzate nella Figura 3.3. In alcuni casi, soprattutto nei pazienti già sottoposti a varie terapie e nelle forme con decorso subacuto o cronico, la diagnosi eziologica può risultare difficoltosa, per cui è necessario effettuare, oltre ad una accurata valutazione di base, alcuni esami di secondo e di terzo livello al fine di pervenire ad un corretto inquadramento diagnostico. La citologia congiuntivale è un esame dia42
gnostico particolarmente utile nel fornire un valido orientamento clinico (Figura 3.4); i quadri citologici possono essere addirittura patognomonici per alcune patologie, come nel caso di riscontro nell’infiltrato congiuntivale di eosinofili e mastociti, che intervengono specificamente nelle forme allergiche. Il prelievo può essere effettuato mediante spatoline metalliche di Kimura o di Ayre (scraping), con un tampone alginato (brushing) o mediante microcapillare o micropipette (aspirazione), nelle sedi di maggiore intensità dell’infiammazione. Il preparato, deposto su un vetrino, viene osservato al microscopio dopo fissazione e colorazione specifica. La presenza di un infiltrato infiammatorio e le caratteristiche dello stesso forniscono preziose informazioni per un corretto inquadramento eziologico. La valutazione delle cellule infiammatorie viene effettuata generalmente dopo essiccazione all’aria e colorazione con
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Figura 3.4. Infiltrato infiammatorio e quadri clinici
May-Grumwald Giemsa. Possono essere utilizzate anche altre metodiche di colorazione citologica, come quella di Papanicolau. È possibile anche eseguire, ove necessario, un esame batterioscopico a fresco, utilizzando preferibilmente la tecnica di prelievo per scraping e colorazioni microbiologiche, come quella di Gram, in modo da differenziare le specie microbiche presenti nel focolaio infiammatorio. Le congiuntiviti infettive sono più frequentemente causate da batteri, sia gram positivi (stafilococchi, streptococchi, pneumococco) sia gram negativi (Haemophilus influenzae, enterobatteri, bacillo di Pfeiffer) o da agenti virali (adenovirus, virus erpetici, paramixovirus, enterovirus). Lo studio delle infiammazioni congiuntivali da alterata secrezione lacrimale e tossiche risulta più efficace mediante tecnica ad impressione. Viene in questo caso posizionata
Figura 3.5. Esame citologico ad impressione: cellule epitelia-
li e mucipare caliciformi
una striscia di carta bibula sulla congiuntiva e viene esercitata una pressione che permette allo strato di cellule superficiali di aderire a tale supporto. La metodica consente di valutare efficacemente eventuali alterazioni delle cellule epiteliali ed i rapporti intercellulari, nonchè la concentrazione di cellule caliciformi, che producono la componente mucinosa delle lacrime (Figura 3.5). La metodica fornisce invece minori informazioni sull’infiltra43
3. L’occhio rosso e irritato
to infiammatorio, che risulta invece più rappresentato negli strati epiteliali più profondi e, quindi, più accessibile con lo scraping. Laddove si sospetti un’infezione è opportuno effettuare esami colturali, in modo non solo da identificare più precisamente l’agente causale, ma anche l’antibiotico specifico, per una terapia mirata e realmente efficace. La tecnica di base prevede il prelievo di materiale dai fornici mediante un tampone e la successiva inseminazione su piastre per la ricerca di batteri aerobi ed anaerobi e successiva esecuzione dell’antibiogramma; viene inoltre effettuata deposizione su terreni di coltura per i miceti, con relativo antimicogramma. Il prelievo deve essere eseguito prima di intraprendere terapie antibiotiche o dopo sospensione dei colliri antimicrobici (wash out) per almeno 4 giorni. Nelle forme croniche va effettuata anche la ricerca della Chlamydia con tecniche immunoistochimiche (immunofluorescenza diretta) o mediante identificazione del DNA con metodica PCR. Questa ultima tecnica si presta anche alla ricerca di agenti virali (famiglia Herpesvirus, Adenovirus). Ultimamente sono stati inoltre immessi in commercio kit per l’identificazione rapida di alcuni microrganismi, che possono essere utilizzati come screening per confermare il sospetto diagnostico. Queste metodiche sono finalizzate essenzialmente alla scelta dell’ antimicrobico più efficace, nei casi in cui il quadro clinico risulta di una certa rilevanza e di origine incerta o 44
dopo che siano state già effettuate terapie antibatteriche senza ottenere la risoluzione del processo infiammatorio. Gli antibiotici maggiormente utilizzati per uso locale sono gli Aminoglucosidi (Tobramicina, Netilmicina, Neomicina, Bekanamicina), i Fluorochinolonici (Ofloxacina, Levofloxacina, Moxifloxacina, Ciprofloxacina), il Cloramfenicolo, le Tetracicline, i Macrolidi (Azitromicina), i Sulfamidici e l’Acido Fusidico. Gli antibiotici sono indicati nelle forme accertate o fortemente suggestive di infezione batterica e richiedono somministrazioni frequenti, anche in età pediatrica, onde evitare la comparsa di ceppi resistenti. Nei casi di maggiore rilevanza clinica possono essere utilizzate associazioni, ma bisogna evitare l’uso contemporaneo di prodotti battericidi (Aminoglucosidi, Fluorochinolonici) e batteriostatici, in quanto si verificherebbe una riduzione del loro effetto: infatti i battericidi agiscono principalmente sui germi in attiva replicazione, mentre i batteriostatici inibiscono la proliferazione dei microrganismi. Le forme croniche possono complicarsi con una infiammazione del bordo palpebrale (blefarite) e con ulcere corneali marginali, che richiedono un trattamento rivolto anche a queste condizioni. Esistono inoltre due principali forme di blefarocongiuntivite da habitus costituzionale, quella associata a seborrea cutanea, con iperfunzione delle ghiandole di Meibomio, e quella associata ad acne rosacea, frequente soprattutto nel
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Figura 3.6. Congiuntivite follicolare
sesso femminile, la cui evoluzione dipende anche dall’andamento delle manifestazioni extraoculari. Le infezioni da chlamydia, molto frequenti nel tratto genito-urinario, possono dare luogo alla cosiddetta congiuntivite da inclusi, tipicamente ad esordio acuto, monolaterale, con reazione follicolare della congiuntiva tarsale, bruciore, lacrimazione e linfoadenopatia preauricolare. Queste forme vengono contratte il più delle volte in piscina e decorrono in maniera subdola, con secrezione muco-purulenta variabile e tendenza a cronicizzare (Figura 3.6); trattandosi di un parassita endocellulare obbligato, è richiesta una terapia prolungata (cicli di 15-20 giorni) con tetracicline, antibiotici di prima scelta, o, in alternativa, con macrolidi o fluorochinolonici (seconda scelta), in genere da somministrare anche per via sistemica. Particolarmente grave è l’infezione da Chlamydia trachomatis, in genere contratta in Paesi in via di sviluppo, ove è ancora endemica; lo stadio conclamato si presenta con intensa iperemia, senso di corpo estraneo, fotofobia,
blefarospasmo e ptosi, associati a marcata reazione follicolare e possibile formazione di noduli; nella successiva evoluzione, provoca gravi lesioni corneali, con formazione di un panno vascolarizzato, e cicatrici che determinano aderenze palpebrali e congiuntivali. La congiuntivite del neonato può essere dovuta a contaminazione attraverso il canale del parto da parte di diversi possibili agenti: Stafilococco aureo, Streptococco viridans, Enterobacter, Piocianeo, Listeria; tra quelle più specificamente legate ad infezioni genitali materne, ricordiamo l’infezione da Chlamydia, che compare circa due settimane dopo il parto, e da Gonococco, con esordio più precoce, bilaterale e che si manifesta con marcato gonfiore delle palpebre e secrezione verdastra. Queste infezioni sono diventate più rare grazie alla profilassi neonatale con colliri antibiotici; la maggior parte dei casi di congiuntivite nella prima infanzia sono dovuti ad un’ostruzione congenita della via lacrimale di deflusso, che provoca ristagno con fuoriuscita delle lacrime (dacriocongiuntivite con epifora); la stenosi si risolve il più delle volte con antibioticoterapia specifica e frequenti massaggi quotidiani nella regione del sacco lacrimale; nei casi resistenti, va effettuato un sondaggio delle vie lacrimali in anestesia generale entro i 12 mesi di vita. L’approccio alle forme da funghi (Candida, Aspergillus, Fusarium) è più complesso; questi microrganismi tendono ad attaccare la cornea e a dare luogo ad infezioni persisten45
3. L’occhio rosso e irritato
ti, con decorso ingravescente; non si dispone in Italia di farmaci specifici in collirio, ma è possibile reperire dall’estero prodotti contenenti antifungini. In alternativa bisogna ricorrere a prodotti galenici, ottenuti dalle formulazioni per somministrazione endovenosa (Fluconazolo, Voriconazolo, Amfotericina B). Per quanto concerne le forme virali, è possibile intervenire in maniera specifica mediante farmaci topici (Aciclovir, Ganciclovir) e sistemici solo nei casi di infezione da Herpesvirus, che in genere presentano nella fase acuta un importante interessamento epiteliale corneale,. Una forma epidemica particolarmente fastidiosa è dovuta ad infezione da adenovirus; nella forma tipica, determina nelle prime fasi una sofferenza epiteliale corneale puntata superficiale per dare poi luogo alla formazione di infiltrati sub-epiteliali, spesso persistenti, che provocano disturbi del visus e sintomi irritativi. Spesso vengono interessati entrambi gli occhi, anche se in tempi diversi, ed altri membri della famiglia. Si associa in genere nella fase acuta a tumefazione dolente dei linfonodi preauricolari e a flogosi delle prime vie respiratorie. Non esiste una terapia specifica, per cui il trattamento ha un significato solo di supporto (sostituti lacrimali, antiinfiammatori) e rivolto alla prevenzione delle sovrainfezioni batteriche (antibiotici). Alcune forme infettive, in particolare quelle epiteliali attive da Herpes, quelle da miceti 46
e da Chlamydie, possono peggiorare dopo somministrazione di steroidi per via locale; pertanto bisogna usare molta cautela nel prescrivere questi farmaci, spesso contenuti in confezioni di associazioni di uso comune, ove esista il sospetto di un’infezione determinata da tali agenti microbiologici. Le congiuntiviti allergiche sono estremamente frequenti: ne risulta affetta fino al 40% della popolazione dei Paesi occidentali, con quadri di intensità variabile; sono in genere bilaterali, anche se spesso l’espressione clinica è asimmetrica, e possono essere distinte in quattro tipi. Al primo gruppo, quello più frequente, afferiscono le rinocongiuntiviti IgE mediate. Gli allergeni si legano agli anticorpi IgE specifici presenti sulla superficie dei mastociti localizzati nella congiuntiva, determinandone l’attivazione ed il rilascio di peptidi vasoattivi, responsabili delle manifestazioni cliniche. Presentano acuzie stagionali, se dovute a pollini o ad arbusti; le forme definite perenni sono legate a sensibilizzazione agli acari della polvere o a peli di animali (cane, gatto, cavallo) con cui esiste un contatto quasi continuo. Si manifestano con intenso prurito, bruciore, lacrimazione, fastidio per la luce, reazione follicolare o micropapillare della congiuntiva tarsale, spesso gonfiore delle palpebre e della congiuntiva (chemosi) (Figura 3.7). Non determinano di regola interessamento corneale e rispondono alla terapia locale con antistaminici (Ketotifene,
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Figura 3.7. Congiuntivite allergica stagionale (I tipo)
Azelastina) e stabilizzatori di membrana (disodio cromoglicato, sodio nedocromile, acido spaglumico). L’utilizzo di sostituti lacrimali può essere utile per alleviare i sintomi e diluire gli allergeni con cui si è venuti a contatto; la preferenza va a prodotti meno concentrati, con maggiore effetto “lavante”. Il ricorso a colliri contenenti vasocostrittori, in genere con azione adrenergica, deve essere considerato con molta cautela; frequentemente vengono proposti come sintomatici da banco, determinano un rapida riduzione della reazione iperemica della congiuntiva, ma presentano in varia misura un effetto di rimbalzo, per cui si verifica dopo un certo lasso di tempo un’iperemia reattiva che induce ad ulteriori somministrazioni del prodotto; a lungo andare le arteriole riducono la loro risposta agli stimoli fisiologici e tendono a permanere costantemente dilatate, con un quadro di iperemia persistente. Nelle fasi di acuzie della patologia può rendersi necessario l’uso di cortisonici, che vanno utilizzati per periodi limitati e sotto il controllo dello specialista oftalmologo. Gli
steroidi possono determinare per uso locale un rialzo della pressione endoculare in soggetti predisposti (steroido responders), lo sviluppo di cataratta e una maggiore suscettibilità ad alcune infezioni. L’opportunità di un loro utilizzo deve essere inoltre attentamente valutata nei soggetti con una storia precedente di herpes simplex oculare, in quanto gli steroidi possono causare una riaccensione dell’infezione virale. Ove possibile è opportuna una prevenzione mediante strategie ambientali, che mirano a ridurre al minimo il contatto con gli allergeni identificati con test ematici (Rast, CLA) o con le prove cutanee (prick test) o con l’utilizzo di vaccini, prescritti dallo specialista allergologo. In alcuni casi selezionati, trova applicazione l’immunoterapia specifica locale, mediante instillazione di dosi minime di allergene specifico, la cui concentrazione viene stabilita caso per caso mediante test di provocazione congiuntivale. Gli altri tre gruppi di forme allergiche (cheratocongiuntivite primaverile, cheratocongiuntivite atopica e congiuntivite gigantopapillare da lenti a contatto) presentano eziopatogenesi mista, con coinvolgimento di meccanismi di IV tipo cellulo-mediati e frequente interessamento patologico della cornea, legato in parte all’effetto tossico della proteina basica maggiore prodotta dagli eosinofili. La forma primaverile colpisce soggetti in età prepuberale, più frequentemente di sesso 47
3. L’occhio rosso e irritato
Figura 3.8. Congiuntivite primaverile: papille alla congiuntiva tarsale superiore
maschile, a partire dai tre anni di età, e tende a migliorare dopo la pubertà. Si distingue una forma palpebrale, con marcata reazione papillare della congiuntiva tarsale, che assume spesso un aspetto ad acciottolato romano (Figura 3.8), ed una forma corneale limbare, con edema ed ispessimento della zona di confine tra la cornea e la congiuntiva e formazione di caratteristiche chiazzette rilevate, denominate noduli di Trantas. Le manifestazioni limbari e palpebrali possono coesistere e presentano massima espressione stagionale nel periodo primavera-estate. Sono frequenti le complicazioni corneali, da microerosioni epiteliali puntate, fino alla formazione di ulcere a scudo, con conseguenti fenomeni di cicatrizzazione e formazione di opacità dello stroma. La cheratocongiuntivite atopica si presenta in soggetti adulti con storia familiare di eczema (95%) o di asma (87%); ha maggiore espressione nella fascia di età tra i 30 e i 50 anni e si associa in genere a dermatite atopica; sono presenti quasi costantemente alterazioni palpebrali e lesioni corneali. La 48
sintomatologia perdura tutto l’anno, con periodi di esacerbazione dei sintomi, che consistono in prurito, bruciore, fotofobia, lacrimazione. La forma gigantopapillare è determinata dal contatto prolungato con protesi oculari, suture o lenti a contatto. In genere la rimozione della causa determina una progressiva risoluzione del quadro patologico. In queste ultime tre forme cliniche, in cui predominano reazioni cellulo-mediate, la terapia con antistaminici e stabilizzatori di membrana si rivela generalmente insufficiente, soprattutto nelle fasi di acutizzazione della malattia; si rende necessario pertanto in questi casi il ricorso a terapia cortisonica. Nei quadri clinici più impegnativi una utile risorsa è rappresentata dagli immunomodulatori per uso topico (Ciclosporina, Tacrolimus), che non danno luogo ad effetti sul tono oculare e sul processo di catarattogenesi, ma devono essere instillati per periodi prolungati, in quanto agiscono prevalentemente sui linfociti, la cui emivita è di circa 90 giorni; sono terapie che vanno comunque costantemente monitorate dall’oftalmologo, soprattutto in caso di prescrizione ai pazienti in età pediatrica affetti da cheratocongiuntivite primaverile. I dati clinici essenziali per l’approccio diagnostico e terapeutico delle diverse forme di allergia oculare sono riportati in sintesi nelle Figure 3.9 e 3.10. Una flogosi congiuntivale può essere anche
La nutraceutica oculare Fig. n. 9: Congiuntiviti allergiche
FORMA CLINICA
EZIOLOGIA
TRATTAMENTO
PROGNOSI
Congiuntivite allergica stagionale o perenne
IgE mediata (pollini/acari o animali)
Antistaminici Stabilizzatori di membrana
buona
Cheratocongiuntivite primaverile (vernal)
Sconosciuta (HLA A19)
Cortisonici Immunomodulanti
Guarigione dopo la pubertà Possibili esiti
Cheratocongiuntivite atopica
Sconosciuta (Th2?) Corpi estranei Lenti a contatto, Suture (Th2)
Cortisonici Immunomodulanti
V decade di vita Possibili esiti (cataratta)
Rimozione delle cause Cortisonici
Buona dopo allontanamento delle cause
Congiuntivite gigantopapillare
Figura 3.9. Congiuntiviti allergiche: approccio diagnostico-terapeutico
Figura 3.10. Algoritmo diagnostico delle congiuntiviti allergiche (Troisi S.: Immunity, Allergy,
Asthma e COPD Forum - Paestum (SA) 25-26/11/2016)
Fig. n. 10: Algoritmo diagnostico delle congiuntiviti allergiche (Troisi S.: Immunity, Allergy, Asthma e COPD Forum - Paestum (SA) 25-26/11/2016)
determinata da un’alterazione persistente del film lacrimale precorneale (Figure 3.11). Le lacrime presentano una complessa composizione che ne favorisce la stratificazione sulla superficie oculare e ne impedisce una rapida evaporazione ed eliminazione in base alla legge di gravità; in particolare si
distingue uno strato mucinico profondo, prodotto dalle cellule mucipare caliciformi, che si aggancia alle glicoproteine di membrana presenti sulle microvillosità della superficie delle cellule epiteliali, una fase intermedia acquosa, secreta dalle ghiandole principali, in cui sono disciolte una miriade di sostanze 49
3. L’occhio rosso e irritato
Figura 3.11. Paziente affetto da dry eye
con significato protettivo, nutritivo e di comunicazione intercellulare (mediatori biochimici), e uno strato lipidico superficiale, prodotto dalle ghiandole palpebrali di Meibomio, che contrasta il processo di evaporazione. Le disfunzioni lacrimali possono originare da una ridotta produzione della ghiandola principale, come in molte malattie autoimmuni, quali l’artrite reumatoide, la dermatomiosite, la sclerodermia e, più caratteristicamente, nella sindrome di Sjogren, in cui si verifica una lesione delle strutture ghiandolari lacrimali e salivari associata ad infiltrati infiammatori; più frequentemente sono legate ad aumento dell’evaporazione, come nelle infiammazioni delle ghiandole di Meibomio, nei portatori di lenti a contatto o semplicemente per esposizione ad ambienti eccessivamente ventilati o per una ridotta frequenza di ammiccamento, come negli operatori ai videoterminali. Le cause di un disturbo del film lacrimale sono molteplici, 50
endogene ed esogene; i disturbi sono più frequenti nel sesso femminile e in menopausa, nonchè in corso di alcune terapie sistemiche (antistaminici, antiipertensivi, psicofarmaci, prodotti ormonali) e locali (antistaminici, beta bloccanti ed altri farmaci antiglaucomatosi). In ogni caso l’effetto principale consiste in un aumento dell’osmolarità delle lacrime, che presenta effetti tossici con liberazione di citochine ed altre sostanze flogogene e sviluppo di fenomeni infiammatori e di lesioni delle cellule epiteliali. I primi provvedimenti da assumere in questi casi sono quelli rivolti alla rimozione delle cause della disfunzione e a ristabilire rapidamente un certo equilibrio somministrando sostituti lacrimali, a base di acido ialuronico o di altri polimeri mucoadesivi. Quando però si sono instaurati fenomeni infiammatori, queste misure non sono più sufficienti e bisogna somministrare steroidi a basso dosaggio o ciclosporina in collirio; diverse evidenze cliniche mostrano che anche l’assunzione orale di elevate concentrazioni di acidi grassi polinsaturi (omega 3) contribuisce a ridurre la produzione di mediatori dell’infiammazione. La situazione diventa ancora più complessa in presenza di lesioni delle cellule epiteliali, per le quali bisogna intervenire con prodotti che favoriscono la riepitelizzazione e, a volte, con derivati ematici autologhi (autosiero, concentrati piastrinici). Vanno infine considerate le congiuntiviti da agenti irritanti; esse presentano una sinto-
La nutraceutica oculare
matologia proporzionale al tipo e all’entità dell’esposizione all’agente lesivo. Le cause più frequenti di infiammazione da agenti fisici sono l’esposizione eccessiva ai raggi X ed UV (cheratocongiuntiviti attiniche); la terapia si avvale soprattutto di sostituti lacrimali ed antiinfiammatori. Allorquando è presente un interessamento della cornea, questo tipo di infiammazione da luogo ad una sintomatologia intensamente dolorosa, che, nel caso delle forme attiniche, si acuisce caratteristicamente nelle ore notturne. Tra le sostanze chimiche, bisogna considerare quelle inorganiche (zolfo, cloro, ammoniaca, fluoro, sostanze lacrimogene), quelle di origine organica (succhi di alcune piante, peli delle processionarie, polveri di legno, grano, tabacco) e le forme iatrogene (colliri per il glaucoma, FANS, vasocostrittori). Le causticazioni più frequenti sono provocate da prodotti di uso casalingo (candeggina, ammoniaca, acido muriatico e vari detergenti) o professionale (calce). In generale il contatto con sostanze alcaline è più grave rispetto agli acidi, in quanto le lesioni tessutali sono più profonde e proseguono anche dopo aver rimosso la sostanza tossica. Il primo provvedimento consiste in una irrigazione dell’occhio con acqua sterile o soluzione salina per almeno trenta minuti. Nelle forme più lievi può essere sufficiente la prescrizione di cicloplegici e pomate antibiotiche; le forme con marcata chemosi ed edema corneale richiedono ricovero ospedaliero.
3.3 Occhio rosso dolente: quadri clinici di allarme L’occhio rosso e dolente è dovuto in genere a patologie di maggiore impegno diagnostico e terapeutico, quali il glaucoma acuto, l’iridociclite acuta, infezioni o corpi estranei corneali, scleriti ed episcleriti. Mentre la congiuntiva presenta una scarsa innervazione sensitiva, questa è molto rappresentata a livello della cornea e della tunica vascolare dell’occhio (uvea) e ciò spiega la comparsa della sintomatologia dolorosa, che può essere anche molto intensa. Il glaucoma acuto è una patologia grave, se non viene tempestivamente ed efficacemente trattata, che compare in soggetti predisposti. Insorge acutamente in persone che non avevano mai presentato sintomi riferibili ad un rialzo della pressione endoculare o come acuzie di un glaucoma cronico congestizio; si manifesta caratteristicamente con violento dolore in sede orbitaria, in genere monolaterale, associato a lacrimazione, fotofobia, riduzione del visus e visione di aloni colorati intorno alle sorgenti luminose; a volte si associa una sintomatologia generale, che può essere fuorviante, dominata da nausea, vomito, bradicardia, brividi. All’esame alla lampada a fessura si evidenzia iperemia più marcata in sede pericheratica, edema della cornea, riduzione della profondità della camera anteriore, midriasi poco o per nulla reagente allo stimolo luminoso diretto, consistenza lignea del bulbo oculare, per la 51
3. L’occhio rosso e irritato
presenza di marcato ipertono (in genere oltre 40 mmHg); all’esame gonioscopico, l’angolo della camera anteriore è chiuso per tutta la sua estensione. In genere anche l’occhio controlaterale presenta una camera anteriore di profondità ridotta ed un angolo stretto, che costituiscono una condizione predisponente allo sviluppo della patologia. L’ipertono deve essere trattato nel più breve tempo possibile, onde evitare un danno ischemico, irreversibile da schiacciamento del nervo ottico. Vengono utilizzati inibitori dell’anidrasi carbonica per via orale e Mannitolo al 18% in flebo rapida endovena per ottenere una rapida riduzione del tono oculare per diuresi osmotica. Possono essere somministrati localmente betabloccanti, inibitori dell’anidrasi carbonica, antiinfiammatori e parasimpaticomimetici (Pilocarpina 2% coll o Glamidolo coll). Alla risoluzione del quadro acuto si effettua una iridotomia periferica con YAG-laser o un intervento chirurgico, per prevenire una nuova crisi; analoghe valutazioni devono essere fatte sull’altro occhio, per un eventuale trattamento a scopo preventivo. L’uveite anteriore acuta si manifesta in genere soggettivamente con dolore e fotofobia, con una riduzione del visus, proporzionale al grado di essudazione in camera anteriore (fenomeno di Tyndall); dal punto di vista obiettivo, si può osservare iniezione pericheratica, associata a costrizione della pupilla e scarsa reattività allo stimolo lu52
minoso, presenza di aderenze irido-capsulari (sinechie posteriori) e di depositi sulla faccia posteriore della cornea. La pressione endoculare in genere si riduce, anche se in alcuni casi può aumentare per un blocco infiammatorio del trabecolato o per un blocco pupillare causato dalle sinechie. Le cause sono più spesso sistemiche, riconducibili a reazioni autoimmunitarie o a foci infettivi, in genere a partenza da organi contigui, quali denti, orecchio, prime vie respiratorie; più raramente sono in gioco fattori locali, peraltro più agevolmente identificabili, quali traumi, distacco di retina o cheratiti; nella maggior parte dei casi, però, non si riescono a identificare i meccanismi causali, per cui si parla di forme idiopatiche. La terapia locale è aspecifica e comprende midriatici e clicloplegici, da associare ai colliri steroidei, che rappresentano la principale risorsa terapeutica; nei casi di flogosi più intensa, i cortisonici possono essere somministrati anche per via iniettiva sottotenoniana e sistemica. I dosaggi vengono modulati in base all’entità del processo infiammatorio e alla risposta terapeutica. Laddove viene identificata la causa si agisce specificamente su di essa, onde ridurre il rischio di recidive, pur sempre presente. Le erosioni recidivanti della cornea sono abrasioni corneali minime, che si presentano generalmente al risveglio, in pieno benessere, con senso di corpo estraneo o di puntura, dolore, bruciore, lacrimazione e
La nutraceutica oculare
fotofobia. All’esame alla lampada a fessura e con l’impiego di coloranti vitali è possibile evidenziare più agevolmente le lesioni corneali. In genere si verificano in soggetti che hanno avuto una pregressa lesione corneale, anche apparentemente banale, ma con un andamento netto lineare, come un colpo d’unghia, da pettine o dal margine di un foglio. In questi casi la riparazione dello strato epiteliale avviene spesso senza che venga ripristinata la normale coesione con il sottostante strato di Bowman, per cui l’apertura dell’occhio al risveglio, dopo prolungato contatto dello strato epiteliale della cornea con la superficie interna della palpebra, determina uno sfaldamento dell’area epiteliale non ben consolidata; la sintomatologia migliora nel corso della giornata per l’intervento dei fisiologici processi riparativi, che però non sono in grado di assicurare una normale e stabile adesione agli strati sottostanti. Analoghe lesioni possono determinarsi in pazienti affetti da distrofie corneali epiteliali o stromali; in questi casi sono evidenti le alterazioni di base della cornea da cui hanno origine gli episodi di erosione. Il quadro acuto si risolve rapidamente con bendaggio ed uso di pomate antibiotiche o con l’applicazione di una lente corneale terapeutica e l’uso di colliri; nei casi di origine traumatica, la definitiva risoluzione del quadro clinico può richiedere anche diversi mesi, per permettere la corretta formazione di emidesmosomi tra lo strato profondo dell’e-
pitelio e la membrana di Bowman. Spesso è sufficiente l’utilizzo prolungato di sostituti lacrimali durante il giorno e di un gel o una pomata prima di coricarsi; nei casi resistenti sono state proposte varie procedure chirurgiche o parachirurgiche, tra cui la completa asportazione dell’epitelio, per stimolare una uniforme ricrescita dello strato basale. Le cheratiti rappresentano un gruppo di affezioni potenzialmente gravi, perchè nella loro progressione possono determinare una perforazione dell’occhio o la formazione di cicatrici che determinano una riduzione della capacità visiva. Le forme infettive rappresentano per questi motivi delle emergenze oftalmologiche. Come già riportato a proposito delle congiuntiviti, le infezioni corneali possono essere dovute a batteri, miceti, virus; devono essere inoltre menzionate le infezioni da protozoi, in particolare quelle da Acanthamoeba, di più rara evenienza, ma con evoluzione ingravescente e possibili esiti irreversibili. La penetrazione dei germi all’interno della cornea avviene generalmente in seguito ad una lesione di origine traumatica; le cause più frequenti sono abrasioni infette, corpi estranei, lesioni da ciglia in trichiasi o da uso scorretto delle lenti a contatto. In particolare l’uso continuativo di queste lenti (giorno e notte) aumenta di oltre 10 volte il rischio di infezione corneale. Normalmente le palpebre, l’epitelio corneale, il film lacrimale e la flora batterica saprofita svolgono infatti un complesso gioco di squadra che previene 53
3. L’occhio rosso e irritato
l’insorgenza e lo sviluppo delle infezioni, ma il sopraggiungere di una azione lesiva che mina questo sistema difensivo determina lo sviluppo del processo infettivo, la cui successiva evoluzione è condizionata dall’equilibrio tra la virulenza del germe e l’efficienza dei meccanismi di difesa dell’ospite. Certamente alcune patologie sistemiche, come il diabete mellito, le malattie del collageno e le condizioni di ridotte difese immunitarie, l’uso di farmaci immunosoppressivi e molte situazioni locali, che comportano minore sensibilità o ridotta efficienza della barriera epiteliale, favoriscono l’azione lesiva di microrganismi dotati di una certa virulenza. I batteri più frequentemente isolati sono i cocchi gram positivi ed i bacilli gram positivi e negativi. In realtà oltre l’80% delle infezioni è causato da specie batteriche appartenenti a quattro gruppi: Stafilococchi e micrococchi, Streptococchi, Pseudomonas ed Enterobacteriaceae. I gram positivi determinano un danno corneale per effetto delle esotossine ed degli enzimi prodotti, i gram negativi a causa delle esotossine e delle endotossine, contenute nella parete batterica. Le ulcere da batteri gram positivi si presentano più localizzate, a margini definiti, con modesto edema perilesionale, mentre quelle da gram negativi mostrano in genere segni di suppurazione più marcata, essudati aderenti ai margini e al fondo dell’ulcera, infiltrati di maggiori dimensioni e progressione più rapida, con necrosi stromale. 54
Esistono comunque quattro specie patogene, che sono in grado di penetrare attraverso l’epitelio intatto della cornea, in assenza di precedenti lesioni traumatiche: Gonococco, Corynebacterium diphteriae, Haemophilus Aegypthius e Listeria Monocytogenes. La contaminazione da parte di questi microrganismi espone pertanto a rischi elevati. Le cheratiti fungine vanno incontro abitualmente a suppurazione e a formazione di ulcere a margini sfumati e bordi rilevati; in molti casi è possibile osservare una pigmentazione marrone e la presenza di lesioni satelliti; in altri casi si rileva un infiltrato dello stroma corneale profondo senza ulcerazione dell’epitelio sovrastante; le infezioni micotiche tendono a sviluppare nella loro evoluzione essudazione in camera anteriore, con formazione di cherato-ipopion. In base al solo criterio clinico non è facile sospettare una forma micotica, piuttosto che una di origine batterica; pertanto, nei casi in cui non sia stata fatta una diagnosi microbiologica e che non rispondono ad una terapia antibiotica ad ampio spettro dovrebbe essere sempre tenuta presente la possibilità di un agente fungino. Le lesioni corneali, data l’ampia innervazione, sono caratterizzate da dolore e fotofobia: la presenza di un’ulcerazione infatti mette a nudo le terminazioni nervose, che vengono fortemente stimolate; si associa in genere iniezione pericheratica, congestione iridea e riduzione del visus, in particolare nelle forme
La nutraceutica oculare
Lieve
Moderata
Dimensione del difetto
< 2 mm
Da 2 a 5 mm
> 5 mm
Profondità dell’ulcera
< 20 %
Dal 20 al 50 %
> 50 %
Superficiale
Denso
Denso
Normale
Normale
A volte interessata
Infiltrato Sclera
Severa
Figura 3.12. Criteri di valutazione dell’ulcera corneale (Kaufman, 1988, modificato) Fig, n. 12: Criteri di valutazione dell'ulcera corneale (Kaufman, 1988, modificato)
centrali. In base all’estensione in profondità del danno tessutale, le cheratiti possono essere distinte in superficiali ed interstiziali. La gravità dell’infezione è determinata dalla localizzazione, dalla dimensione e dalla conformazione del difetto epiteliale, dalla presenza di suppurazione o di edema, dal grado di reazione in camera anteriore e da un eventuale coinvolgimento sclerale (Figura 3.12). Le forme superficiali interessano essenzialmente lo strato epiteliale e sono facilmente evidenziabili alla osservazione alla lampada a fessura con filtro blu cobalto dopo instillazione di colorante vitale fluorescente (fluoresceina o soluzione a base di riboflavina). Nelle forme interstiziali, le lesioni si approfondiscono nello stroma corneale sotto forma di focolai bianco-grigiastri; la progressione della patologia comporta intorbidamento dell’umore acqueo, essudazione nella porzione inferiore della camera anteriore (cherato-ipopion) ed estensione in
profondità del processo ulcerativo, sino alla perforazione. Questa evenienza è assolutamente drammatica: il paziente avverte la fuoriuscita di un liquido caldo dall’occhio con riduzione della sintomatologia dolorosa; la camera anteriore è abolita, con possibile impegno dell’iride o del cristallino in corrispondenza della breccia corneale. In base alla loro localizzazione le ulcere si distinguono in centrali e marginali (localizzate o circonferenziali). Le prime hanno origine traumatica o infettiva; le forme marginali, situate in prossimità dei vasi pericheratici, possono derivare anche da patologie sistemiche, su base autoimmune, infettiva o anche neoplastica. I criteri per distinguere un’ulcerazione settica da una forma sterile sono specificati nella Figura 3.13. L’approccio terapeutico presuppone innanzitutto la rimozione di eventuali cause, quali corpi estranei o ciglia in trichiasi. Bisogna assicurarsi che le vie lacrimali siano pervie, 55
3. L’occhio rosso e irritato
Sterile
Infettiva
Localizzazione
Generalmente periferica
Centrale
Dimensione
Piccola (0.1 - 1.5 mm)
Grande (> 2.0 mm)
Difetto epiteliale
Usualmente staining modesto o assente
Staining presente
Iniezione Congiuntivale
Localizzata
Diffusa
Reazione in CA
Assente o lieve
Da lieve a severa
Secrezione
Assente o sierosa
Mucopurulenta
Dolore
Assente o lieve
Da moderato a severo
Fotofobia
Lieve o assente
Presente
Esami culturali
Negativi, se non da contaminazione
Positivi, se non per un falso negativo
Figura 3.13. Criteri per la distinzione tra ulcera sterile e settica (Swoka, 1977, modificato)
in modo da evitare un eccessivo ristagno di liquido lacrimale e di germi. Nelle forme superficiali può essere sufficiente somministrare una pomata antibiotica ad ampio spettro, associata a cicloplegici, per ridurre la reazione infiammatoria e la sintomatologia dolorosa; in quelle più profonde è assolutamente consigliabile eseguire esami microbiologici, effettuando il prelievo ai margini dell’ulcera. Nelle forme più aggressive il paziente deve essere quotidianamente monitorato e può essere necessario ricorrere a colliri rinforzati specifici, da somministrare anche ogni ora per arrestare la progressione dell’infezione. Inutile sottolineare quanto sia importante in queste forme l’identificazione dell’agente causale. Il prelievo, eseguito con tampone 56
sterile, deve essere immediatamente coltivato nei terreni di coltura: Agar sangue, Agar Cioccolato, Brodo Tioglicato, Sabouraud. La formazione di colonie permette di identificare agevolmente il germe o i germi responsabili del processo e di eseguire un antibiogramma, per selezionare i farmaci più attivi (terapia mirata). Tra le forme virali, quella da herpes simplex è la più frequente. Alla formazione di microvescicole epiteliali segue rapidamente una perdita di sostanza con configurazione arborescente (ulcera dendritica) o a carta geografica (Figura 3.14), con bordi policiclici e sottominati, per la presenza di edema epiteliale. La sintomatologia è caratteristicamente monolaterale, con iperemia, dolore,
La nutraceutica oculare
Figura 3.14. Ulcera erpetica a carta geografica
fotofobia, lacrimazione, spesso associata ad eruzione vescicolare sulla cute palpebrale. Le manifestazioni cliniche sono dovute ad una riattivazione del virus, che rimane latente nei gangli nervosi, per una condizione di stress o riduzione delle difese immunitarie. La terapia si avvale dell’uso di antivirali (Aciclovir o derivati) somministrati localmente e, nelle forme più aggressive, per via sistemica. Un collirio cicloplegico può essere associato per ridurre la reazione infiammatoria ed un antibiotico ad ampio spettro nel sospetto di una sovrainfezione batterica; sono invece assolutamente controindicati i cortisonici. La terapia locale antivirale andrà ridotta e poi sospesa in base alla risposta terapeutica, in quanto presenta nel tempo tossicità epiteliale; quella sistemica, nei casi che vanno incontro a frequenti recidive, viene prolungata per mesi o anche per anni a scopo profilattico con il minimo dosaggio sufficiente ad evitare riaccensioni della patologia. La cheratite da Herpes Zoster è dovuta a riattivazione del virus della varicella a livello della prima branca del trigemino. In genere è
facilmente riconoscibile per la presenza di vescicole cutanee lungo il decorso del nervo. Le lesioni corneali sono in genere più estese ma meno profonde. Il trattamento è analogo alle forme da herpes simplex, ma in alcuni casi il paziente deve essere ricoverato in ospedale per la gestione sistemica della malattia e il trattamento della nevralgia che spesso si associa o segue la fase acuta e che può rimanere persistente per diversi mesi. La cheratite da Acanthamoeba è un’evenienza grave che deve essere sempre sospettata in portatori di lenti a contatto, soprattutto allorquando non eseguono una adeguata manutenzione; in particolare il parassita, essendo praticamente ubiquitario e largamente diffuso nell’acqua corrente, può contaminare le lenti che vengono a contatto con l’acqua del rubinetto o della piscina; alcuni casi possono verificarsi semplicemente perchè non vengono asciugate le mani prima di maneggiarle. Per lo sviluppo della cheratite è necessaria la presenza di una lesione di continuo dell’epitelio corneale, evenienza non rara proprio nei portatori di lenti a contatto, che sono pertanto maggiormente esposti al rischio di sviluppare la patologia. Inizialmente il paziente riferisce rossore e dolore; il quadro iniziale si presenta con lesioni epiteliali o sottoepiteliali minime che non sembrano commisurate alla sintomatologia dolorosa spesso intensa riferita dal paziente. Con il progredire del processo infettivo si verificano infiltrati anulari o ramificati (secondo l’andamento delle terminazio57
3. L’occhio rosso e irritato
ni nervose sub-epiteliali) e reazione infiammatoria in camera anteriore. L’andamento è progressivamente ingravescente fino a compromissione della cornea e perforazione, con necessità di trapianto corneale d’urgenza. La terapia è impegnativa e prolungata, in quanto è necessario eradicare completamente anche le forme cistiche, estremamente resistenti. I farmaci più efficaci sono la Propamidina Isetionato 0.1%, Poliesametilene Biguanide 0.02% e la Clorexidina 0.02-0.06%, tutti prodotti non facilmente reperibili e provvisti di tossicità per l’epitelio corneale. Le episcleriti sono affezioni benigne recidivanti, usualmente bilaterali, tipiche dell’età adulta. Si manifestano con improvviso ed intenso arrossamento dell’occhio, generalmente a settore, aumento della lacrimazione; la sintomatologia dolorosa è molto variabile, da lieve a molto intensa, in genere limitata all’occhio senza irradiazione alla fronte; non è presente secrezione. A seconda della configurazione dell’area infiammata sono definite semplici o nodulari. La maggior parte dei casi si risolve spontaneamente nell’arco di 10-20 giorni; è utile nelle forme nodulari la somministrazione di cortisonici topici. Le scleriti sono affezioni gravi, determinate il più delle volte da patologie reumatiche e più in generale autoimmunitarie, come l’artrite reumatoide e il LES: si manifestano con riduzione del visus e dolore. Si dividono in forme nodulari, diffuse e necrotizzanti. Le manifestazioni cliniche sono lacrimazione, fotofo58
bia, intensa iperemia congiuntivale, saltuaria chemosi e dolore, talvolta irradiato alle tempie ed alla mascella. Richiedono trattamento con corticosteroidi per via topica e sistemica e FANS, oltre che un preciso inquadramento diagnostico e terapeutico per quanto concerne la patologia sistemica di base. 3.4 Conclusioni L’occhio rosso può essere espressione di disturbi di scarsa rilevanza ed autolimitanti, ma anche di patologie gravi in grado di determinare rapidamente una grave compromissione della funzione visiva. È fondamentale pertanto saper riconoscere alcuni sintomi, quali il dolore e la riduzione del visus, ed alcuni segni, quali una reazione infiammatoria pericheratica ed alterazioni della pupilla, che sono indizi di condizioni più urgenti, che richiedono un rapido consulto oftalmologico (Figura 3.7). Anche alcune patologie più comuni, quali la maggior parte delle congiuntiviti, richiedono una diagnosi eziologica, per un approccio terapeutico specifico e mirato, onde evitare il rischio di cronicizzazione o di estensione del danno alle altre strutture della superficie oculare, con alterazione dei fisiologici equilibri e necessità di porre in atto in seguito terapie più complesse ed articolate. Una diagnosi precisa consente peraltro di evitare la somministrazione di farmaci inutili e potenzialmente dannosi, che talvolta innescano dei circoli viziosi che sono causa essi stessi della cronicizzazione dei processi.
La nutraceutica oculare
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La nutraceutica oculare
4. Computer e secchezza oculare Luigi Mele, Marco Iorio
caratterizzata dalla presenza di disturbi oculo visivi e posturali che, sebbene interessi tutti i videoterminalisti, si manifesta più precocemente, ed in maniera più evidente, nei soggetti che presentano problematiche visive. I sintomi principali sono: – Astenopia (cefalea; visione sfuocata da vicino, visione sfuocata da lontano, ritardo di messa a fuoco nel passaggio dalla visione per vicino a quella per lontano) – Secchezza oculare; – Disturbi muscolo-scheletrici (dolenzia al rachide cervicale, dorsale, ed al cingolo scapolare) I sintomi si presentano quando la richiesta accomodativa eccede le abilità visive dell’individuo: come nel caso di soggetti affetti da vizi refrattivi di lieve entità i quali potrebbero non inficiare le normali attività quotidiane, ma che diventano “inabilitanti” durante l’uso prolungato del videoterminale. Non sono da sottovalutare, inoltre, le caratteristiche del display, del videoterminale e delle condizioni ambientali (l’illuminazione, i rifles4.1 Computer Vision Syndrome si, la scarsa qualità del monitor, la disposizione La Computer Vision Syndrome (CVS) è una con- della postazione di lavoro, ecc.) che possono dizione clinica, scientificamente riconosciuta, causare un ulteriore incremento della domanda Tutti coloro che utilizzano il personal computer, per motivi personali e di lavoro spesso lamentano occhi stanchi, visione sfuocata e bruciore oculare. I primi studi sugli effetti del videoterminale furono condotti a fine anni ’80, quando il computer iniziò a diffondersi in modo significativo. Fu negli anni ’90, però, che a fronte del vero boom dell’uso del computer iniziava a essere chiaro il fatto che il suo uso prolungato e continuo potesse arrecare disturbi alla salute in quanto iniziarono a presentarsi frequenti sintomi che l’American Optometric Association (AOA) riunì sotto il nome di Computer Vision Syndrome (CVS). Ad oggi si stima che la prevalenza dei sintomi oculari tra coloro che utilizzano il videoterminale per più di 4 ore al giorno, abbia un range compreso tra il 25% ed 93%. Le cause sono associate alle elevate richieste di lavoro visivo, all’ergonomia posturale e visiva, ed alla presenza di eventuali ametropie non corrette o disordini accomodativi e/o binoculari.
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4. Computer e secchezza oculare
visiva, aggravando il corredo sintomatologico. Un alto tasso di successo nella risoluzione dei sintomi (Sheedy e Parsons, 1990) si può ottenere solo trattando le condizioni visive che causano la CVS e, nel contempo, indagando e risolvendo le problematiche ergonomiche della postazione di lavoro. Nonostante molti studi abbiano dimostrato che i problemi più frequenti, che interessano i videoterminalisti, siano quelli legati all’apparato visivo, il 22% di essi presenta disturbi muscoloscheletrici associati e che l’intensità dei predetti sintomi sia direttamente proporzionale al numero di ore ed all’intensità lavorativa; non a caso tutti gli studi sono concordi sul ritenere come elemento diagnostico differenziale il fatto che tale corredo sintomatologico si affievolisce, ed in alcuni casi scompare, durante il Week-end. Astenopia Si usa il termine di astenopia per indicare quella condizione di affaticamento visivo così come venne definita da Duke-Elder nel 1949 secondo il qualè è “quella sensazione che si avverte quando si prende coscienza del lavoro dell’apparato oculare per rendere chiara una visione per mezzo d’aggiustamenti talora inefficaci dell’accomodazione”. È la condizione clinica più frequente nei videoterminalisti ed è caratterizzata da diversi sintomi, più o meno associati, quali: cefalea, visione sfuocata da vicino, visione sfuocata da lontano, ritardo di messa a fuoco nel passaggio dalla 62
Figura 4.1. Posizione scorretta
visione per vicino a quella per lontano, visione doppia, irritazione oculare e lacrimazione. Può riconoscere tanto una etiologia prettamente oculare nella quale tutti i vizi di refrazione e le patologie oculari possono causare astenopia, quanto cause extraoculari quali una alterata illuminazione ambientale o il cattivo posizionamento del videoterminale. In questi casi è fondamentale correggere, perfettamente, i vizi refrattivi presenti, curare le diverse patologie oculari ed ottimizzare l’illuminazione e la postazione di lavoro. In alcuni lavoratori però, soprattutto giovani e senza evidenti difetti refrattivi, la visione prolungata a una distanza ravvicinata, quale quella del videoterminale, provoca comunque un cambiamento del livello di accomodazione tonica, il c.d. spasmo accomodativo,responsabile della comparsa di una miopia temporanea, cd. pseudomiopia, con conseguente sfuocamento degli oggetti posti a grandi distanze dopo il lavoro da vicino.
La nutraceutica oculare
I risultati mostrano come vi sia un significativo aumento della percentuale di ammiccamenti incompleti e una maggiore instabilità del film lacrimale durante l’utilizzo del PC rispetto alla carta stampata. In tutti questi casi è fondamentale che il vidoterminalista instilli colliri a base di sostituti lacrimali per ridurre l’osmolarità del film lacrimale e idratare la superficie oculare. Figura 4.2. Posizione corretta
In questi casi è inutile l’utilizzo di correzioni ottiche mentre risulta fondamentale eseguire delle pause lavorative, ogni tot. Ore, al fine di consentire il ripristino della normale tonicità accomodativa. Secchezza oculare Coloro che lavorano al videoterminale sono più esposti all’insorgenza di una sindrome da occhio secco. La causa di ciò risiede nella riduzione della frequenza degli ammiccamenti, secondaria all’impegno cognitivo ed alla attenzione richiesti durante le ore lavorative, che determina una riduzione del ricambio lacrimale ed un aumento della sua evaporazione. Specifici studi, inoltre, hanno confrontato alcuni stimoli visivi (dimensione e contrasto uguale, stessa distanza di lettura e stesso testo), somministrati nelle medesime condizioni ambientali (illuminazione ed ergonomia), valutandoli su carta stampata e computer.
Disturbi muscolo scheletrici Molti pazienti che mantengono la stessa posizione per lunghi periodi di tempo presentano dolenzia al collo, alle spalle o alla schiena. I sintomi sono dovuti allo stress tonico della muscolatura, causato dall’assunzione di una postura non ottimale per lunghi periodi di tempo. Una spiegazione del problema deriva dalla celebre sentenza “gli occhi comandano il corpo”: quando svolgiamo un compito che richiede un elevato impegno visivo, il nostro cervello colloca gli occhi in una posizione adeguata affinché essi possano lavorare efficacemente; spesso, però, la posizione preferenziale degli occhi va a discapito della postura generale del corpo. La posizione scorretta causa uno stress muscolare che, dopo qualche tempo, diventa sintomatica. Questi sintomi, inoltre, possono essere causati anche da una postazione di lavoro non adeguata all’utente: per esempio, se il monitor è posto troppo in alto si può avere male al collo o alla schiena o entrambi; se la tastiera è troppo alta invece si avrà male alle spalle (Figure 4.1-4.2).
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4. Computer e secchezza oculare
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La nutraceutica oculare
5. I sostituti lacrimali e l’interazione con la superficie oculare Ciro Caruso, Barbara Kusa
Il sostituto lacrimale ideale non esiste in quanto, allo stato delle conoscenze attuali, risulta scientificamente impossibile riprodurre un collirio che contenga tutte le sostanze presdenti nel film lacrimale. Si intende, quindi, per sostituto lacrimale quel prodotto contenete quelle sostanze che possono integrare uno o più costituenti film lacrimale normale. Tra le sostanze con riconosciuto effetto integrativo nei confronti del film lacrimale ritroviamo l’acido ialuronico e l’ipromellosa. 5.1 Acido Ialuronico L’acido ialuronico è uno dei componenti fondamentali dei tessuti connettivi dell’uomo e degli altri mammiferi. Conferisce alla pelle quelle sue particolari proprietà di resistenza e mantenimento della forma. Una sua mancanza determina un indebolimento della pelle promuovendo la formazione di rughe e inestetismi. La sua concentrazione nei tessuti del corpo tende a diminuire con l’avanzare dell’età.
L’acido ialuronico (HA) è un polisaccaride lineare formato da unità di disaccaridi contenenti N-acetyl-d-glucossamine e acido glucuronico (Figura 5.1). Possiede una massa molecolare nell’ordine dei milioni di Dalton ed è dotato di interessanti proprietà viscoelastiche e reologiche, e reologiche, che sono l’espressione delle sue caratteristiche polimeriche e di polielettrolita. L’HA è presente in numerosi fluidi e tessuti biologici, nei quali gioca un ruolo fondamentale. In clinica medica è utilizzato come marker diagnostico per varie patologie tra cui il cancro, l’artrite reumatoide e alcune malattie epatiche. È utilizzato anche come principio attivo, ad esempio per sopperire alle insufficienze di liquido sinoviale nei pazienti artrosici mediante iniezioni intra-articolari. Inoltre viene utilizzato nella chirurgia oftalmica, nel-
Figura 5.1. Posizione corretta
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5. I sostituti lacrimali e l’interazione con la superficie oculare
la chirurgia otorinica e nella chirurgia estetica per rigenerare e ricostruire i tessuti molli. Chimicamente è definibile come un glicosamminoglicano non solforato e privo di core proteico, dalla catena polisaccaridica non ramificata prodotta dalla condensazione di migliaia di unità disaccaridiche formate a loro volta da residui di acido glucuronico e N-acetilglucosammina, legati tra di loro, alternativamente, da legami glicosidici β1→4 e β1→3, nonché da legami a idrogeno intramolecolari, che ne stabilizzano le conformazioni. A pH fisiologico i gruppi carbossilici delle unità glucuroniche sono ionizzati, conferendo alla molecola di ialuronato elevata polarità, e di conseguenza una elevata solubilità in acqua. Grazie a questa sua proprietà lo ialuronato è in grado di complessarsi con moltissime molecole di acqua raggiungendo un elevato grado di idratazione. Data la sua scarsissima solubilità nei tessuti idrofobici, in commercio per uso cosmetico, viene utilizzato come sodio ialuronato, cioè viene convertito in forma salina regolando il valore del pH per renderlo maggiormente idrosolubile. Gli ialuronati solubili sono macromolecole di massa superiore a 1.000 kDa che danno luogo a soluzioni chiare seppur dotate di elevata viscosità. L’acido ialuronico è capace di mantenerne il grado di idratazione, turgidità, plasticità e viscosità, poiché si dispone nello spazio in una conformazione aggregata incamerando così un notevole numero di molecole d’acqua. È anche in grado di agire come sostanza cemen66
tante e come molecola antiurto nonché come efficiente lubrificante (es. nel liquido sinoviale) prevenendo il danneggiamento delle cellule del tessuto da stress fisici. Le applicazioni in farmacologia Le aree di applicazione clinica dell’HA e dei suoi derivati sono state classificate da Balazs nel 20041 nel seguente modo, in relazione alle loro finalità: 1. Protezione di tessuti delicati e fornitura di spazio durante interventi chirurgici 2. Aumento della viscosità, riempimento e aumento di volume di un tessuto (come la pelle), di un muscolo sfintere o di un tessuto della faringe 3. Separazione di tessuti connettivi con superfici traumatizzate a causa di procedure chirurgiche o di traumi, prevenzione di adesioni o di eccessive formazioni cicatriziali 4. Rimpiazzo o implementazione di fluidi tissutali (ad esempio rimpiazzo del fluido sinoviale nei soggetti affetti da artrite per alleviarne la sintomatologia) 5. Protezione di tessuti sani, feriti o offesi da secchezza o da agenti nocivi ambientali, promozione della guarigione di determinate superfici In farmacologia i gruppi carbossilati di HA sono utilizzati per produrre idrogel cross-linked in grado di intrappolare e poi liberare molecole bioattive. L’HA viene anche usato per preparare microcapsule che migliorano
La nutraceutica oculare
la somministrazione di alcuni farmaci2 e per migliorare la biocompatibilità delle microsfere di chitosan usate come vettori di farmaci3. Microsfere di HA sono inoltre utilizzate per trasportare plasmidi di DNA e anticorpi monoclonali nel trasferimento genico e verso specifici siti bersaglio4. Le applicazioni in oftalmologia Sono ampie le possibili applicazioni dell’HA in Ortopedia, Reumatologia, Otorinolaringoiatria, Dermatologia e Chirurgia Plastica. Nella terapia delle ferite, l’elevato peso molecolare dei preparati a base di HA (applicati a livello topico) promuove e favorisce la guarigione delle ferite a livello cutaneo, la guarigione delle ulcere venose (specie a livello delle gambe) e la terapia delle lesioni croniche5. L’HA, grazie alle sue proprietà antiossidanti, è utile anche come componente antinfiammatorio nelle ferite profonde con perdita di materiale. L’HA è il maggior componente del corpo vitreo ed è una macromolecola assai importante anche in oftalmologia. Grazie alle sue proprietà viscoelastiche è utilizzato in numerosi interventi chirurgici in campo oftalmologico,sia per proteggere i tessuti oculari più delicati che per procurare spazi durante la manipolazione chirurgica. Il suo maggior utilizzo consiste però nella sostituzione o nell’integrazione del corpo vitreo perso durante varie manovre chirurgiche, la più frequente delle quali è l’impianto di IOL. Le soluzioni a base di HA sono
anche utilizzate come protettori viscoelastici dell’endotelio corneale durante gli interventi di trapianto corneale. Attualmente in oftalmologia sono disponibili numerosi preparati caratterizzati dalla presenza di catene di HA (di diverse dimensioni molecolari)6. L’HA è una delle molecole più igroscopiche presenti in natura e, idratato, può contenere una quantità di acqua mille volte superiore al proprio peso7. In contattologia, questa eccezionale capacità di ritenzione idrica viene sfruttata per migliorare l’idratazione dell’area precorneale8; l’HA è infatti uno dei principi attivi più impiegati nei numerosi sostituti lacrimali in commercio e nel trattamento delle varie forme di occhio secco (da quelle più gravi a quelle marginali)9,10. L’HA, grazie alla sua alta viscosità e alla sua elevata capacità di legare acqua11, viene impiegato come principio attivo in numerosi colliri in quanto protegge e lubrifica la superficie oculare e migliora la sintomatologia correlata alle sindromi da occhio secco12,13. Viene spesso anche inserito nelle formulazioni delle soluzioni per la manutenzione delle lenti a contatto, in quanto provvede a migliorare e prolungare il comfort dei portatori aumentando la bagnabilità della lente e inducendo così una riduzione della frequenza degli ammiccamenti14,15. L’HA può anche fungere da eccipiente quando viene utilizzato insieme ai farmaci, aumentando il loro tempo di permanenza nell’area precorneale e quindi migliorando la biodisponibilità dei farmaci 67
5. I sostituti lacrimali e l’interazione con la superficie oculare
stessi16,17. È stato dimostrato che l’applicazione topica di HA (0.1% W/V) riduce la sintomatologia soggettiva e i segni clinici nei soggetti con sindrome da occhio secco18,19. Altre ricerche hanno dimostrato che l’HA può efficacemente proteggere l’epitelio corneale20 e migliorare la stabilità del film precorneale21. L’utilizzo di HA è in grado di ripristinare la secrezione di lattoferrina e difensine B, grazie alla sua elevata mucoadesività e alla sua capacità di ritenzione idrica nell’area precorneale; ciò velocizza e favorisce il ripristino della condizione fisiologica ottimale, agevolando i meccanismi di riepitelizzazione corneo-congiuntivali. È stato dimostrato che, quando instillato nell’area precorneale, l’HA promuove e favorisce la guarigione fisiologica, stimolando la migrazione e la proliferazione dei cheratociti22,23. Le soluzioni a base di HA hanno un comportamento non newtoniano: sono soluzioni ad alta viscosità quando sono sottoposte a forze di taglio poco intense (occhio aperto), sono a bassa viscosità quando sono sottoposte a forze di taglio più intense (ammiccamento); tale comportamento permette un’adeguata distribuzione e un’ottimale lubrificazione della superficie oculare24,25. Un’altra rilevante caratteristica dell’HA è la mucoadesività, che gli permette di formare un rivestimento duraturo e di fornire una stabile protezione alla superficie corneale26,27. Le caratteristiche biologiche dell’acido ialu68
ronico determinano una modificazione della popolazione microbica aerobica ed anaerobica presente nel segmento anteriore dell’occhio, ripristinando i batteri saprofiti della superficie oculare. Utilizzandolo, si osserva infatti una riduzione dello Pseudomonas e dello Staphylococcus aureus a favore dello Stafilococco epidermidis; ciò avviene probabilmente grazie al ripristino della secrezione di lattoferrina e di difensine B prodotte dalle cellule epiteliali congiuntivali, che sono debilitate nei soggetti con occhio secco marginale. L’HA può infatti evitare una situazione infiammatoria cheratocongiuntivale da iposecrezione, può risolvere l’iposecrezione relativa ed inoltre può diminuire l’incidenza delle mucine-balls, talvolta associate all’uso prolungato di lenti a contatto in silicone idrogel28. L’HA presente nell’area pre-corneale funge infine da tampone osmotico, aiutando a mantenere l’idratazione del tessuto. Nel complesso, in sua presenza si riscontra una maggior funzionalità dell’attività di barriera dell’epitelio corneale 29,30 Le fonti biologiche dell’acido ialuronico L’indotto economico legato all’HA è enorme e si stima sia superiore al bilione di dollari31,32 ciò perché l’HA ricopre un ruolo essenziale dal punto di vista funzionale per numerosi tessuti dei vertebrati. Vari tessuti animali (come la cresta del gallo, la pelle del-
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lo squalo e il globo oculare del bovino) ne contengono elevate quantità e rappresentano preziose fonti di approvvigionamento di HA ma, poiché l’HA nei tessuti biologici è generalmente legato anche ad altri biopolimeri, debbono essere adottate specifiche procedure per renderlo puro. In funzione della sempre migliore efficienza del processo di “purificazione”, è oggi possibile ottenere preparati di HA di dimensioni comprese tra alcune centinaia di migliaia di Dalton fino a circa 2.5 MDa così che, attualmente, la domanda di HA per applicazioni mediche è ampiamente soddisfatta dall’HA ad alta massa molare ricavato dalla cresta di gallo. In passato l’HA è sempre stato ricavato da tessuti animali (specialmente dalla cresta di gallo) e l’FDA approva tale fonte di approvvigionamento per l’uso medico (come, per esempio, accade con l’Healon in chirurgia oftalmica). Negli ultimi tempi, diverse compagnie hanno però iniziato a proporre HA prodotto per fermentazione, che viene secreto da microorganismi come lo Streptococcus zooepidemicus e lo Streptococcus equiutilizzando diversi ceppi attenuati di streptococchi (s- HA)33,34. Lo s-HA risponde ai requisiti di massa molare, raggiungendo diversi milioni di Dalton35. Se l’HA di origine animale ha l’indubbio vantaggio di poter raggiungere pesi molecolari anche superiori ai 5 MDa, ha però lo svantaggio di poter contenere varie proteine e di poter causare reazioni allergiche. L’acido ialuronico prodotto per fermentazione non provoca invece
reazioni allergiche e può raggiungere pesi molecolari compresi tra 0.5 e 2.5 MDa; può però contenere endotossine. Recentemente, per produrre su scala industriale HA (b-HA) è stato proposto un nuovo processo di fermentazione basato sul Bacillus subtilis; questo nuovo tipo di HA non contiene endotossine, ma non esistono ancora studi clinici riguardanti il suo utilizzo in forma iniettabile36. Le prime due tecniche descritte portano alla produzione di HA ad alto peso molecolare (>1 MDa), mentre la produzione basata sul Bacillus subtilis fornisce HA di peso molecolare compreso tra 0.6 e 1 MDa. Le soluzioni preparate con HA ad alto peso molecolare sono viscose alle concentrazioni utilizzate nei colliri (0.1-0.3% W/V)60; è importante che siano dotate di una certa viscosità, affinché non vengano immediatamente drenate dalla superficie oculare e possano così garantire un lungo tempo di permanenza nel segmento anteriore dell’occhio; ciò permetterà loro di essere efficaci. Non devono peraltro essere eccessivamente viscose in quanto causerebbero visione sfuocata o fluttuante. Ogni anno sono prodotte e vendute varie tonnellate di HA prodotto per fermentazione. È presente il rischio che il ceppo batterico subisca mutazioni e associ la produzione di HA con quella di tossine, pirogeni o immunogeni; ciò ostacola, nelle applicazioni cliniche, un’ampia diffusione dell’HA prodotto per fermentazione. Per questo motivo i campioni di HA derivati dalla cresta di gallo sono 69
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tutt’oggi i preferiti per i trattamenti medici, specialmente nei casi in cui il prodotto è destinato ad essere iniettato, nonostante che anche questo tipo di HA non sia esente da difetti: è infatti controindicato nei soggetti che presentano allergie ai prodotti aviari ed è proprio per questo motivo che le aziende del settore continuano a ricercare e testare nuove fonti possibili di HA37,38. Nuove formulazioni a base di acido ialuronico Un limite dell’acido ialuronico lineare contenuto nei colliri normalmente in commercio è che perde abbastanza rapidamente la viscosità (i test della stabilità alla temperatura effettuato a 40°C per 30 giorni: perdita di viscosità compresa tra il 60% - 80% stabilità accelerata corrispondente a 3 mesi a 25 °C). Questo fenomeno è legato alla sensibilità delle catene di acido ialuronico a vari insulti chimico fisici. Questo ha portato a valutare l’utilizzo in oftalmologia dell’acido ialuronico crosslinkato (reticolato) e di una nuova chemical entity definita acido ialuronico coniugato. In questa tipologia di processo la crosslinkatura dell’acido ialuronico viene ottenuta utilizzando la carbodiimide idrocloride (EDC). L’acido ialuronico lineare in polvere di partenza è di derivazione da streptococco zooepidermicus di PM circa 1 MDa. La scelta della Carbodiimide (EDC) come reattivo, utilizzato per la fabbricazione della materia prima risul70
ta perfettamente in linea con quanto la ricerca scientifica ha dimostrato in ambito endo-oculare negli ultimi anni ed è in parte legata alla caratteristica di questo agente di crosslinking, che alla fine della reazione non integra parte di se stesso nel legame chimico tra le catene dell’acido ialuronico e rilascia esclusivamente residui solubili, non tossici, rendendo quindi l’EDC più adatto agli usi oftalmici previsti 39. La formulazione a base di acido ialuronico cross-linkato sviluppata, ha mostrato una perdita di viscosità, dopo 90 giorni di stabilità accelerata a 40°C, del 10% -12%. Anche gli altri valori, osmolarità e pH sono rimasti stabili. Il coniugato di recente invenzione a differenza degli altri prodotti noti subirà la reticolazione nella sede dove viene utilizzato ed in maniera naturale. Il coniugato presenta inoltre le seguenti importanti proprietà: 1. assorbire gli UVA e gli UVB impedendone il danno del loro ormai noto insulto sulle fibre di collagene; 2. produrre una reticolazione (crosslinking) naturale sia a) formando un reticolato di fibre di collagene rafforzando e rassodando il tessuto di collagene sia b) riducendo e neutralizzando in maniera selettiva la produzione di radicali liberi responsabili dell’invecchiamento e del deterioramento dei tessuti interessati e c) stimolando la neosintesi di collagene con conseguente maggiore durata.40
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5.2 Ipromellosa L’ipromellosa, abbreviazione di idrossipropil metilcellulosa (HPMC), è un polimero semisintetico viscoelastico utilizzato come eccipiente e componente di vari colliri in una varietà di prodotti commerciali.1,2,3 È una sostanza solida, ed è leggermente biancastra a polvere nell’aspetto e può essere formata in granuli. Il composto si forma in colloidi quando disciolto in acqua. Questo ingrediente non tossico è combustibile e può reagire con agenti ossidanti.4 L’ipromellosa in soluzione acquosa, a differenza della metilcellulosa, presenta una proprietà di gelificazione termica. Cioè, quando la soluzione si riscalda ad una temperatura critica, la soluzione rapprende in una massa non-fluida ma semiflessibile. Le soluzioni di ipromellosa sono state brevettate come sostituto semisintetico per sostituti lacrimali. La sua struttura molecolare si basa su un composto di celluloide base che è altamente solubile in acqua. Quando viene applicata, la soluzione d’ ipromellosa agisce assorbendo acqua e gonfiandosi ed amplia in tal modo lo spessore del film lacrimale. L’ipromellosa si traduce quindi in una presenza prolungata come lubrificante sulla cornea, che si traduce in una diminuita irritazione agli occhi, soprattutto nei climi secchi, a casa, o ambienti di lavoro.5 A livello molecolare, questo polimero contiene unità di
D-glucosio beta-linked che rimangono metabolicamente intatte per giorni o settimane. L’ipromellosa come soluzione al 2% è stato documentata per essere utilizzata nella protezione corneale. 5.3 Conclusioni Le soluzioni oftalmiche ad uso topico contenenti HA sono sempre più conosciute ed apprezzate grazie alle caratteristiche di questo interessante polimero naturale, che spesso è utilizzato come agente umettante ed integratore lacrimale. I recenti sviluppi nel campo delle biotecnologie consentono oggi di optare per l’HA con il peso molecolare più adeguato all’uso, scegliendo tra un ampio ventaglio; vengono proposti HA ad alto (>1 MDa) e medio peso molecolare (0.6-1.0 MDa) mentre le soluzioni oftalmiche che fanno uso di HA presentano generalmente concentrazioni di HA comprese tra 0.1 e 0.3% W/V. Numerosi studi stanno analizzando come e quanto il peso molecolare che caratterizza l’HA possa influenzare la sua capacità di legare molecole d’acqua, il suo profilo reologico, il tempo di permanenza nell’area pre-corneale e la tollerabilità della soluzione oftalmica. Tali studi potranno chiarire se esiste un HA con un peso molecolare ottimale, da preferire quindi a tutti gli altri, oppure se è necessario variare il suo peso molecolare in relazione alle diverse problematiche.
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5. I sostituti lacrimali e l’interazione con la superficie oculare
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5. I sostituti lacrimali e l’interazione con la superficie oculare
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La nutraceutica oculare
6. La nutraceutica oculare Decio Capobianco, Gianfranco Perillo
La parola “NUTRACEUTICO” deriva da una fusione dei termini “nutrizionale” e “farmaceutico” e fu utilizzata per la prima volta nel 1989 da Stephen De Felice, Presidente della Foundation for Innovation in Medicine (Cranford, NJ, USA). Al giorno d’oggi sono stati identificati circa 30.000 fitocomponenti nei vegetali. Circa 5.000-10.000 sono presenti negli alimenti vegetali di comune consumo: assumendo 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, si garantisce l’assunzione di circa 1.5 g/die di fitocomponenti nutraceutici. Il ruolo protettivo non è generalmente ascrivibile ad un singolo componente presente nel singolo vegetale, ma piuttosto ad un complesso insieme di sostanze in grado di interagire sinergicamente tra loro. Questi componenti naturali vengono prodotti simultaneamente dalle piante e forniscono una strategia difensiva multipotente sia alla pianta sia al consumatore. È infatti l’interazione tra i vari componenti fitochimici a garantire un effetto protettivo per la salute dell’uomo. Un nutraceutico è, nella sua definizione originale, un alimento, o parte di un alimento con
comprovati effetti benefici e protettivi sulla salute sia fisica che psicologica dell’individuo. Esistono diverse categorie di nutraceutici, che includono: a) supplementi della dieta compresi i prodotti botanici (botanicals) (es. vitamine, minerali, coenzima Q, carnitina, Gingko Biloba); b) alimenti funzionali, cioè quegli alimenti che, in aggiunta al loro valore nutrizionale, contengono sostanze (generalmente non nutrienti) che interagiscono con una o più funzioni fisiologiche dell’organismo esercitando effetti benefici sulla salute o di prevenzione in grado di esercitare un effetto benefico; c) nutraceutici veri e propri, ovvero i principi attivi che presentano attività terapeutica o di prevenzione che derivano da alimenti, piante o fonti microbiche, utilizzati ad esempio per la prevenzione o la cura di patologie o per rallentare il processo di invecchiamento. Possono essere assunti o introducendo nella dieta gli alimenti funzionali che li contengono o sotto forma di integratori alimentari (formulazioni liqui75
6. La nutraceutica oculare
de, compresse, capsule). A differenza dei farmaci, i nutraceutici vengono talora utilizzati in terapia anche in assenza di validi studi clinici che ne possano comprovare l’efficacia, e spesso le proprietà salutistiche vengono dedotte da studi di piccola entità o non controllati. La derivazione naturale di un nutraceutico non rappresenta una caratteristica di innocuità, oltre che di efficacia terapeutica, a cui si aggiunge anche l’assenza di monitoraggio post-marketing che non permette di valutare l’insorgenza di effetti avversi correlati all’utilizzo di questi prodotti. Per ovviare a queste problematiche, nel 2002 è stata istituita l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Agency, EFSA), con lo scopo di migliorare la sicurezza alimentare nell’Unione Europea: è incaricato della valutazione del rischio, dell’elaborazione di pareri scientifici e consulenza specialistica basata sui dati più aggiornati, per fornire una solida base all’attività legislativa europea nel campo della sicurezza alimentare e per assicurare un alto grado di protezione dei consumatori. Un argomento a parte però è rappresentato dai cosiddetti botanicals, ovvero sostanze e preparati vegetali che includono non solo piante, ma anche alghe, funghi, licheni e comprendono sia la pianta in toto o sue parti in forma non trattata (generalmente essiccati), sia preparati vegetali ottenuti sottoponendo l’ingrediente vegetale a vari tipi di trattamento, quali estrazione, distillazione, 76
purificazione, fermentazione (Linee guida sulla documentazione a supporto dell’impiego di sostanze e preparati vegetali negli integratori alimentari di cui al DM 9 luglio 2012, Revisione maggio 2013). Si tratta di sostanze non nutritive ma con possibili valenze salutistiche che spesso vengono utilizzate in forma di integratori; attualmente non esiste una lista di estratti vegetali armonizzata a livello europeo, mentre esistono liste di estratti vegetali ammessi e non ammessi nei singoli Stati Membri. Rimane ad oggi in sospeso l’inquadramento delle indicazioni salutistiche per i botanicals da parte della Commissione Europea, che ha chiesto agli Stati Membri di pronunciarsi in merito al mantenimento del Regolamento (UE) 1924/2006, con creazione di un registro delle indicazioni ammesse per gli integratori a base vegetale sulla base del criterio dell’evidenza scientifica (come per il settore farmaceutico), oppure alla revisione di tale regolamento con riconoscimento della tradizione d’uso delle componenti vegetali contenute negli integratori. Questa situazione implica che i cosiddetti medicinali vegetali tradizionali, che hanno chiaramente attività farmacologica e che sono in commercio da molti anni (non meno di 30, di cui almeno 15 all’interno dell’UE) possono continuare a riportare le indicazioni salutistiche basate sulla lunga tradizione d’uso, secondo la Direttiva 2004/24/CE, che indicava una procedura semplificata per la loro registrazione e autorizzazione entro il 30
La nutraceutica oculare
aprile 2011; oltre tale data, non è stato più possibile registrare e immettere nel mercato UE medicinali vegetali, e i nuovi botanicals, se soddisfano la legislazione alimentare applicabile, possono essere classificati come integratori alimentari e rientrano nel Regolamento (UE) N. 1924/2006. 6.3 Gli estratti naturali e l’interazione con la superficie oculare Numerosi sono gli estratti naturali utilizzati sia dall’aziende farmaceutiche che cosmetiche per le loro varie proprietà al fine di migliorare lo stato della cute palpebrale, delle ghiandole del Meibomio, del film lacrimale, ecc. Spesso si tratta di prodotti già usati dalle nonne e tramandate nei decenni con diverse elaborazioni come delle vere e proprie ricette di famiglia. Elencarle tutte è impossibile, mi limiterò a riportare quelle più utilizzate. Fiordaliso (Centaurea Cyanus) della famiglia delle Asteraceae (Compositae) , cresce spontanea nei campi di tutto il mediterraneo, in genere fiorisce tra Maggio e Settembre, con bellissimi fiori azzurri. Pianta dallo stelo sottile, che raggiunge anche il mezzo metro di altezza. Ha fiori composti, di colore azzurro intenso, e foglie molto sottili ricoperte di una lieve lanugine. Deve il nome al centauro Chirone che, secondo la leggenda, era esperto di medicina. Cyanus deriva dal greco e vuole dire “azzurro”. Il nome fiordaliso invece deriva dal francese
“fleur de lys” (fiore del giglio): il giglio era il fiore dei regnanti di Francia, i Borbone, mentre il vero fiordaliso era il fiore degli imperatori tedeschi Hohenzollern. Risulta essere un rimedio naturale per eccellenza per occhi stanchi, affaticati, gonfi e dolenti: fiori e foglie contengono sostanze naturali (flavonoidi, antociani, pectine) con proprietà antinfiammatorie, astringenti e decongestionanti che ne fanno il rimedio naturale, privo di qualsiasi additivo chimico, indicato anche per i più sensibili e allergici per vari problemi oculari: congiuntiviti, orzaioli, edemi palpebrale, allergie. Ha anche proprietà tossifughe. L’acqua distillata di fiordaliso risulta un valido rimedio da applicare nella zona del contorno occhi, dopo una giornata passata davanti al computer oppure al mare per risolvere occhi stanchi, arrossati e gonfi: immergete dei batuffoli di cotone o delle garze in acqua di fiordaliso, applicatele sulle palpebre chiuse per 10-15 min e ripetete 2-3 volte al giorno. L’acqua di Fiordaliso si può acquistare già pronto nei negozi specializzati o prepararlo in casa immergendo una manciata di fiori di fiordaliso 77
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(500g-1Kg di fiori freschi) in un litro di acqua distillata portata ad ebollizione, per 15-30 minuti, successivamente filtrare e conservare per max 30 giorni in flacone scuro e al fresco, meglio se in frigorifero. L’acqua di Fiordaliso può essere utilizzata anche come: - tonico per pelli delicate - aggiunto all’olio di mandorle dolci come struccante supernaturale - acqua dopobagno, spruzzata sul corpo - leggero riflessante (azzurro) per capelli bianchi (dopo lo shampoo) - lozione antiforfora (sempre dopo lo shampoo) Camomilla: (Chamomilla matricaria L.) della famiglia delle Asteraceae, pianta erbacea annuale, alta fino a 40 centimetri, a fusto eretto e ramificato con foglie bipennatosette e fiori raccolti a formare capolini dal lungo peduncolo. Alla periferia del capolino ci sono
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i fiori femminili bianchi e ligulati, mentre al centro si trovano quelli tubulosi di colore giallo. Cresce spontanea in tutto il continente europeo, si trova comunemente nei luoghi erbosi, lungo le strade campestri e le siepi e fiorisce da Maggio a Settembre. Il nome deriva dal greco chamàimēlon parola formata da chamài “del terreno” e mēlon, “mela” per l’odore che somiglia a quello della mela nana; questa derivazione è conservata nel nome spagnolo “manzanilla”, da manzana, che significa “mela”. Il nome del genere, Matricaria, proviene dal latino matrix, che significa “utero”, con riferimento al potere calmante nei dolori mestruali. I capolini della camomilla contengono un olio essenziale (0,5-1,5%) costituito principalmente da camazulene e alfa-bisabololo; derivati flavonici quali apigenina-7-glucoside (0,5% circa), cumarine (erniarina e umbelliferone), acidi fenolici e polisaccaridi (fino al 10%). I composti responsabili dell’attività farmacologica della Camomilla sono concentrati nel capolino, comunemente definito fiore della camomilla. In realtà questo è una infiorescenza che raccoglie i due fiori veri della Camomilla: i fiori tubulari gialli che formano il ricettacolo dalla caratteristica forma conica e i fiori bianchi ligulati (ligule) che sono posizionati verso l’esterno dell’infiorescenza e costituiscono i cosidetti petali. Nel capolino le sostanze attive hanno una particolare distribuzione. L’olio essenziale ricco in α-bisabololo, sesquiterpeni ciclici eterei, oltre a cumarine,
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esteri e azulene che si forma dalla decomposizione della matricina durante il processo di estrazione (distillazione in corrente di vapore) e che dona all’olio una colorazione blu è contenuto nell’intero capolino e in modo particolare nei fiori tubulari gialli, mentre le ligule sono la porzione del capolino più ricca in flavonoidi (apigenina, luteolina). Separando le ligule dal resto del capolino si possono ottenere quindi estratti particolarmente ricchi in flavonoidi e caratterizzati da un elevato profilo di sicurezza. La camomilla ha attività antinfiammatoria, antispasmodica, antimicrobica, antiulcerogenica, cicatrizzante e blandamente sedativa. Come la malva, è dotata di buone proprietà antinfiammatorie naturali, grazie all’azione protettiva sulle mucose esercitata dalle mucillagini e dai componenti del suo olio essenziale (azulene e alfa-bisabololo). Per questa ragione è utilizzata come rimedio lenitivo, decongestionante, addolcente e calmante, in tutti tipi d’irritazioni dei tessuti esterni e interni: dermatiti, ferite, ulcere, gastrite, congiuntivite, riniti, irritazioni del cavo orale, gengiviti e infiammazioni urogenitali. Gli impacchi di camomilla sono uno dei più noti rimedi a cui ricorrere in caso di congiuntivite e occhi arrossati. Dopo aver preparato la camomilla, conservate le bustine, lasciatele raffreddare e strizzatele prima di applicarle sugli occhi. Oppure imbevete di infuso di camomilla dei fazzoletti di cotone puliti e utilizzateli per degli impacchi sugli occhi da lasciare agire per qualche minuto.
La pianta è utilizzata con successo anche come antidolorifico in caso di mal di denti, sciatica, mal di testa, mal di schiena e cervicale per effetto degli acidi organici (acido salicilico, acido oleico, acido stearico) e ai lattoni, che gli conferiscono virtù antiflogistiche simili a quelle del cortisone. Recenti studi hanno dimostrato anche gli effetti ipoglicemizzanti, utili per abbassare il livello di zuccheri dal sangue, in quanto inibisce la trasformazione del glucosio in sorbitolo, responsabile, quando in eccesso, dei danni agli occhi, reni e cellule nervoso, che si riscontrano nelle persone che soffrono di diabete. Mirtillo: (Vaccinium myrtillus L) della famiglia delle Ericaceae dal portamento arbustivo (piccolo arbusto fino a 0,8 m), con foglie ovali o ellittiche, fiori penduli a forma di campana bianco-rosato, e frutti dall’aspetto di bacche blu-porpora. È originario delle regioni fredde temperate del emisfero Nord. Comune in Euro-
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pa, ma anche in Asia e nord America. Sotto il nome di mirtillo si possono trovare diverse specie. Quella più ricca di principi attivi è il Vaccinium myrtillus che in Italia è diffuso nelle zone collinari e di montagna (12002000 metri). Tra gli altri ricordiamo: V. corymbosum (mirtillo americano) con frutti molto più grandi e con polpa di colore chiaro, edibile, ma con contenuto inferiore di principi attivi. Del mirtillo è possibile utilizzarne più parti, non solo i frutti, ma che le foglie o le parti meristematiche, tutte ricche di fitocomplessi, utilizzabili in diversi ambiti. Le bacche del mirtillo nero, in particolare, contengono molti acidi organici, zuccheri, tannini, pectina, le vitamine A, C e, in quantità minore, la vitamina B. In particolare contengono le antocianine (esprimibili come delfinidina cloruro) sono capaci di inibire l’attività di alcuni enzimi che distruggono il collagene e i tessuti elastici dei capillari e dei vasi del sistema circolatorio. Inoltre, favoriscono e aumentano la velocità di rigenerazione della porpora retinica (la rodopsina) degli occhi, che è il pigmento della retina, essenziale per la visione in condizioni di scarsa luminosità, acuendo la vista specialmente la sera, quando c’è poca luce. I mirtilli sembrano essere efficaci nel prevenire la degenerazione maculare, l’ipermetropia, la cataratta o la miopia. In sintesi ha proprietà: vasoprotettive, antiedemigene, antiossidanti, antinfiammatorie, 80
astringenti e viene impiegato come trattamento coadiuvante nei disturbi venosi (gambe pesanti, vene varicose), coadiuvante nel trattamento della diarrea, come antiossidante; benessere della vista. Attenzione ad assumere dosi molto elevate ad esempio sotto forma di tisane o compresse perché possono interferire con farmaci anticoagulanti o antiaggreganti. Rosa canina: (Rosa canina L.) è la specie di rosa spontanea più comune in Italia, dal fusto legnoso che presenta delle spine rosse simili ad uncini; il fiore presenta petali grandi, bilobati, tendenti al rosa e non molto profumati e le foglie sono ovali ed ellittiche con i margini dentati. Si trova ai margini dei boschi (in particolare pini e querce) ed anche presso le siepi; i fiori spuntano a maggio e perdurano fino a luglio; i frutti sono di colore giallo tendente al rosso e maturano all’inizio dell’autunno. La sua azione antinfiammatoria (molto ricca di vitamina C) è conosciuta fin dai tempi del Medioevo con effetti positivi sull’apparato respiratorio, in particolare per: tosse, raffreddore, asma, allergie dovute ai pollini, sinusiti e riniti. Si usa anche per curare le congiuntiviti ed i dolori articolari, da artrosi ed artriti. Riferita un’azione immunomodulante ovvero di equilibrare il sistema immunitario, facendolo attivare in caso di aggressioni da parte di virus e batteri esterni. È efficace anche contro l’anemia, poiché au-
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menta l’assorbimento del ferro e per le carenze di calcio poiché svolge la medesima azione. È inoltre utile contro i problemi di stomaco e per abbassare il colesterolo ed infine contribuisce alla produzione di emoglobina ed attiva il funzionamento della vitamina B9 ovvero l’acido folico. Gli estratti di rosa canina sono inoltre un ottimo tonico ed hanno un effetto diuretico, depurativo ed astringente: è ottima in caso di periodi stressanti, da assumere in caso di depurazione, anche per la circolazione sanguigna ed in caso di dissenteria. È ottima per combattere la ritenzione idrica. Da alcuni studi è emerso che gli estratti di rosa canina aiuterebbero a contrastare le infezioni del tratto urinario, quindi l’assunzione della tisana potrebbe essere utile in caso di cistiti. Si suppone che possa attenuare i disturbi della gotta e proprietà antitumorali che tuttavia non sono state ancora definitivamente accertate. Con i frutti della rosa canina (bacche) si può preparare il decotto, (pulire con attenzione i frutti freschi e farli bollire per dieci minuti in abbondante acqua calda, filtrare, dolcificare e bere secondo le dosi indicate dallo specialista) o la tisana (si fanno essiccare le bacche
di rosa canina e si conservano in barattoli di vetro da cui si prende la quantità da schiacciare in un mortaio e si mette in infuso in un bricco d’acqua bollente per qualche minuto). Il decotto può essere anche versato nella vasca da bagno per ritemprarsi e tonificarsi. Con i frutti si ricavano anche gelatine e marmellate che sono ottimi ricostituenti: farli cuocere per mezz’ora in abbondante acqua, quindi frullarli ed aggiungere zucchero e limone, mescolare bene e porre in vasi di vetro. Va sconsigliato l’uso in gravidanza ed allattamento e nei bambini; non sono stati riscontrati particolari effetti collaterali, tuttavia si consiglia di non eccedere per non incorrere in nausea, mal di testa, crampi, insonnia, mal di stomaco e stanchezza. Si sconsiglia di assumere la rosa canina contemporaneamente ad alcuni farmaci: antiacidi che contengono alluminio, in quanto la vitamina C ne favorisce l’assorbimento, ed il litio il cui effetto verrebbe ostacolato proprio dalla vitamina C. Da evitare l’assunzione anche in caso di terapie con gli estrogeni. Il dosaggio dei rimedi a base di rosa canina deve essere sempre sottoposto al medico e all’erborista, qualsiasi sia il disturbo. 81
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Aloe è una pianta grassa perenne appartenente alla famiglia delle Liliaceae ed è xerofita, cioè in grado di conservare l’acqua al proprio interno, in modo da sopravvivere anche a lunghi periodi di siccità. Originaria dell’Africa oggi è utilizzata ed apprezzata in vari Paesi del mondo per le diverse proprietà mediche che da secoli le vengono riconosciute. La pianta può raggiungere un’altezza compresa tra 60 cm e 1 m, presenta lunghe foglie verdi carnose, lanceolate, incurvate verso il basso, che crescono direttamente dal terreno o da un fusto tozzo e che sono contornate da spine, simili a denti sporgenti. Le foglie sono rivestite da una triplice membrana protettrice, all’interno della quale si trova un gel incolore che possiede le note virtù medicinali. Dal centro della pianta, in autunno o in primavera, spuntano alti steli sui quali appaiono fiori dal colore cangiante che va dal bianco-verde al rosso, dal giallo all’arancio. I tipi di Aloe più utilizzati sui 300 conosciuti sono l’Aloe vera (o Aloe barbadensis) e l’Aloe arborescens (quest’ultima con probabili proprietà antitumorali). All’inizio la proprietà curativa dell’Aloe era legata al trattamento delle scottature e delle ustioni non gravi, ma in seguito furono scoperte e apprezzate molte altre proprietà fitoterapiche. Gli effetti curativi dell’Aloe dipendono dalla presenza di alcuni zuccheri complessi, che si trovano nella foglia di aloe e nella buc82
cia della foglia. Il gel contenuto nella foglia di Aloe vera contiene tantissime vitamine, sali minerali, aminoacidi, fosfolipidi, enzimi. Nell’Aloe Vera ritroviamo: Vitamine: A,B1, B2, B3, B6, B12, C, E, Acido Folico, Niacina, Colina. Minerali: Calcio, Fosforo, Magnesio, Sodio, Rame, Ferro, Manganese, Zinco, Potassio, Cromo, Silicio, Boro, Germanio organico. Mono e Polissacaridi: Cellulosa, Glucosio, Mannosio, Galattosio, Arabinosio, Aldonentosio, L-ramnosio, Acidi urico, Xilosio, Acido glucuronico, Pentosi, Esosi, Saccarosio, Lattosio, Maltosio, Glicogeno, Amido, Acemannano. Aminoacidi Essenziali: Isoleucina, Lisina, Treonina, Valina, Metionina, Leucina, Feilalanina, Triptofano. Enzimi: Fosfatasi, Amilasi, Bradichinasi, Catalasi, Ossidasi, Cellulasi, Creatinfosfochinasi, Lipasi, Alienasi, Transaminasi GOT, Transaminasi GPT, Nucleotidasi, Fosfatasi alcalina, Enzimi proteolitici, Per ossidasi, Acidi grassi insaturi (tra cui l’acido caprilico). Lignina, Saponine, Antrachinoni: Isobarba-
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loina, Antracene, Emodina, Emodina di Aloe, Acidi cinnamico, Estere di acido cinnamico, Barbaloina, Antraonolo, Acido aleatico, Olio essenziale, Resitanolo, Acido crisofanico. Ne deriva ovviamente che molte sono le proprietà dell’ALOE lenitive ed idratanti, analgesiche, antinfiammatorie, cicatrizzanti, riepitelizzanti, rigeneranti, gastro-protettive, emmenagoghe, antiossidanti, lassative, antisettiche, antibiotiche, antimicotiche, antivirali, emostatiche, disintossicanti, stimolanti le difese dell’organismo. Nello specifico le sue funzioni principali sono: – Rigenerante: stimola la crescita dell’epitelio sulle ferite; – Proteolitica e cicatrizzante: dissolve e assorbe enzimaticamente le cellule morte danneggiate, stimolando il processo rigenerativo; – Anti-infiammatoria: accompagna e aiuta a superare il processo infiammatorio; – Antipiretico: dà sollievo al bruciore da scottature, infiammazione e febbre; – Umettante: è idratante, favorendo la ritenzione di acqua nei tessuti della pelle; – Analgesica: dà sollievo al dolore, anche in profondità; – Fungicida: ostacola la crescita dei funghi; – Virostatica: ostacola la crescita dei virus; – Batteriostatica: ostacola la crescita dei batteri; – Emostatica: riduce la fuoriuscita di sangue nelle lesioni; – Antiprurito: dà sollievo nel prurito;
– Disintossicante: aiuta la disintossicazione del corpo dalle impurità delle tossine. L’Aloe vera contiene al suo interno degli zuccheri complessi, ovvero i polisaccaridi che apportano all’organismo degli ottimi benefici. I polisaccaridi tendono a proteggere le pareti dello stomaco e dell’intestino, quindi possono essere considerati dei gastro protettori. Oltre a questa caratteristica, questi zuccheri, tendono a rendere la pelle sempre umida in quanto trattengono l’acqua nei tessuti epiteliali. Per questa ragione il gel di Aloe possiede proprietà idratanti. I polisaccaridi hanno inoltre una grandissima influenza sulle difese immunitarie. Queste tendono ad aumentare e a fortificarsi notevolmente grazie alla presenza di questi zuccheri complessi. Molti studi e test, hanno portato ad affermare che l’aloe gel ha ottime capacità di prevenire l’invecchiamento della pelle. La nostra epidermide infatti possiede i cosiddetti fibroblasti che altro non sono che cellule che producono collagene.Il collagene ha un ruolo fondamentale sulla formazione delle rughe. La sua presenza diminuisce e rallenta l’effetto delle rughe. I polisaccaridi contenuti nel gel di Aloe vera, stimolano la produzione di fibroblasti e di collagene, per cui il gel di Aloe vera trova vasto impiego in prodotti cosmetici anti-age, idratanti e riparatori. L’aloina contenuta nel rivestimento delle foglie è un glucoside antrachinonico che ha azione lassativa ed emmenagoga (regola cioè le mestruazioni rare o scarse ed eventuali di83
6. La nutraceutica oculare
ne dei radicali liberi; è utile nei casi di dolori di ogni tipo poiché analgesico; è ottimo per curare tutte le infiammazioni poiché antinfiammatorio; è un ottimo cicatrizzante e rigenerante, antibiotico, antimicotico, antivirale, emostatico, disintossicante, oltre che essere utile nella prevenzione e cura delle malattie poiché stimola le difese immunitarie. Altea: appartiene alla famiglia delle Malvacee, è ricca di mucillaggini, dal potente effetto emolliente; è indicata in caso di disidratazione, secchezza dell’occhio sia interna che esterna, con arrossamenti e pruriti, per cui rappresenta un collirio naturale ad azione emolliente rinfrescante ed idratante. L’applicazione del decotto di Altea va usato come umettante dell’occhio che formerà un leggero film protettivo che può essere rimosso con l’Acqua di Fiordaliso: in sinergia si avranno occhi dall’aspetto ben idratato e decongestionato.
sturbi connessi). Tali proprietà, già note fin dall’antichità, oggi sono ampiamente riconosciute dal mondo scientifico, tant’è che l’Aloe è contenuta in molti prodotti in commercio. Il gel, o la polpa delle foglie fresche, ricco di antiossidanti e vitamina E, può essere usato puro per applicazioni locali nei casi di problemi cutanei e di pelle poco luminosa, di capelli spenti e deboli e/o con forfora e/o grassi; di cicatrici, anche quelle dovute all’acne o di piccole ferite, tanto vecchie che recenti, perché ne facilita la cicatrizzazione, di scottature, oltre che per un’azione anti-age. Non è mai nocivo, in qualunque caso venga usato, a meno che non si è allergici alla pianta. Diluito in acqua è ottimo per sgonfiare gli occhi e ridurre le occhiaie con lavaggi oculari e del volto. Assunto per via interna migliora la digestione e, se consumato prima dei pasti, migliora l’appetito; tonifica e protegge l’apparato digerente; Eufrasia: questa pianta è conosciuta come è un ottimo disintossicante ed antiossidante “l’erba degli occhi” per le sue proprietà leniper l’organismo poiché contrasta la formazio- tive e antinfiammatorie: i flavonoidi e tannini 84
La nutraceutica oculare
di cui sono ricchi i fiori e le foglioline apicali svolgono una mirata azione decongestionante delle zone oculari, come in caso di congiuntiviti infettive o orzaiolo (i tannini disinfettano e astringono i tessuti), oltre ad esposizione al sole o ad intense fonti di calore. Possiede anche effetti antiallergici: utile quindi nei casi di gonfiori e arrossamenti oculari su base allergica. 6.4 Gli Antiossidanti naturali Gli antiossidanti sono delle molecole che apportano grandi benefici alla nostra salute, poiché proteggono le cellule sane dai danni che possono essere causati dai radicali liberi, molecole pericolose che colpiscono le strutture cellulari, alterando il funzionamento di alcune molecole molto importanti a livello biologico, come i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici. A lungo andare i radicali liberi possono causare malattie degenerative (tra cui il Parkinson e l’Alzheimer), aumentare il rischio di contrarre il cancro, accelerare il processo di invecchiamento e molti altri problemi di salute. Fra gli antiossidanti endogeni troviamo: la
superossidodismutasi, la catalasi e la glutatione perossidasi. Fra gli antiossidanti naturali esogeni troviamo: le vitamine A, C ed E, i carotenoidi, i polifenoli, i flavonoidi, le antocianidine, l’acido lipoico, gli omega-3, gli oligoelementi (come il selenio, lo zinco, il rame), alcuni minerali amminoacidi (come la cisteina) ed alcuni enzimi come il SOD. Gli alimenti che contengono gli antiossidanti sono soprattutto la frutta, gli ortaggi freschi, i cereali, i legumi, il cacao, il tè e il caffè. Per quanto riguarda la frutta, dobbiamo ricordare soprattutto i frutti rossi e i mirtilli che con le fragole e le ciliegie, sono ricchi di vitamina C. I mirtilli rossi, con le antocianine, agiscono da antibiotico naturale, ma hanno anche la funzione di contrastare la perdita di memoria e la degenerazione delle abilità motorie. I kiwi sono ricchi di polifenoli, che proteggono dall’insorgenza delle malattie degenerative. L’avocado contiene vitamina E e vitamina A ed è ricco di potassio, che esercita un’azione di prevenzione contro la ritenzione idrica e l’ipertensione. Il melograno è molto ricco di antissodanti, soprattutto flavonoidi, che proteggono il cuore e le arterie; in particolare l’acido ellagico che è in grado di diminuire efficacemente la concentrazione di radicali liberi e di protegge le membrane cellulari dai processi di ossidazione. Fra gli ortaggi vanno ricordati in maniera spe85
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cifica i broccoli e i cavolfiori, che contengono vitamina C e carotenoidi, in grado di proteggere la vista e di ridurre il rischio di tumori. Anche l’olio extravergine di oliva ha un’azione antiossidante molto salutare, perché è ricco di vitamina E e di acidi grassi monoinsaturi, che proteggono l’intero sistema cardiovascolare. L’aglio è ottimo per fluidificare il sangue e prevenire le infiammazioni. Le cipolle abbondano di flavonoidi ma che si possono perdere con la cottura. I pomodori contengono licopene che agisce nella prevenzione dell’ictus e delle malattie cardiovascolari e riesce a far abbassare il livello del colesterolo e la pressione alta. Per quantificare il potere antiossidante degli alimenti, il Dipartimento di agricoltura americano ha elaborato la scala ORAC (Oxigen Radical Absorbance Capacity), assegnando un punteggio ai cibi in base al loro contenuto di queste sostanze. Tuttavia ad un elevato valore ORAC non corrisponde necessariamente un’elevata biodisponibilità degli antiossidanti contenuti in quel determinato alimento e su tale questione non abbiamo ancora dati certi. Gli occhi e la vista come tutti gli altri organi, traggono beneficio anche dalle vitamine e dagli antiossidanti contenuti negli alimenti, essendo utili per le infezioni, per disturbi oculari come la cataratta, e per numerose altre patologie tra cui l’occhio secco (DED). Per questo motivo, è importante sapere quali sono e quali proprietà hanno. 86
Il limonene si trova nella scorza degli agrumi ed è in grado di ridurre il rischio di infarto, ipertensione, cataratte, alcune malattie degenerative e diversi tipi di cancro. Le catechine appartengono alla stessa famiglia dei polifenoli, un tipo di antiossidanti che sono in grado di attivare gli enzimi del fegato, responsabili di eliminare le tossine presenti nell’organismo, così come prevenire malattie come l’artrite; si trovano soprattutto nel tè verde. Il sulforafano è il componente principale dei cavoletti di Bruxelles, del ravanello, del crescione, del cavolfiore e dei broccoli, ed aiuta a disintossicare l’organismo, eliminando gli agenti cancerogeni che possono provocare alcuni tipi di tumore. Il resveratrolo è una fitoalessina, ossia un enzima prodotto dalle piante come difesa contro gli attacchi di batteri e funghi agendo direttamente sulle sirtuine, enzimi incaricati di regolare l’azione di determinati geni; si trova soprattutto nelle ostriche, nei mirtilli, nei lamponi, nelle more, nelle noci, nelle arachidi e nella buccia dell’uva e nei prodotti derivati come il vino e il mosto. Attualmente è oggetto di numerosi studi poiché ha dimostrato di possedere svariate proprietà: anticangerogene, anti-invecchiamento e antinfiammatorie. In particolare le sue proprietà antiossidanti hanno pensare che potesse essere la cura contro l’invecchiamento cellulare. In
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condriale, respirazione mitocondriale tutto il mondo si sono prodotte capsule e e gluconeogenesi, ossia ha proprietà creme che lo contengono e che non sono neuroprotettrici. considerati medicinali, ma integratori alimentari preparati mediante l’essiccazione Si sta studiando se il Resveratrolo: 1. Protegga da malattie cardiovascolari, naturale della pelle degli acini di uva rosdato che il vino, in particolare il vino sa e delle radici di altre piante. rosso, sembra avere effetti benefici Nello specifico è stato provato che il Reper il cuore. sveratrolo: 2. Abbia effetti protettori contro i danni 1. È un antiossidante. ossidativi nelle strutture cerebrali e 2. Attiva determinati geni regolatori, contro i disturbi metabolici come il presenti in diversi organismi, che prodiabete. teggono da numerose malattie. 3. Sia utile per migliorare l’equilibrio 3. Può agire da antiestrogeno, ossia die la mobilità nelle persone anziane: sattivare geni regolati per gli estrogesembra che limiti i danni prodotti dai ni aiutando a contrastare determinati radicali liberi, causati dalla degeneratipi di cancro. zione della dopamina, aumentando la 4. Può avere effetti antinfiammatori. possibilità di sopravvivenza cellulare. 5. Nelle sperimentazioni con cavie da 4. Influisca positivamente sulle capacità laboratorio sono stati rilevati effetti fisiche degli esseri umani. anticancerogeni, anti invecchiamento, antinfiammatori, antifibrotici, ipoco- La Vitamina C è l’antiossidante per eccellenza: rafforza il sistema immunitario, lesterolemizzanti e altri benefici caraiuta contro le infezioni, contro lo stress, diovascolari. combatte i tumori, protegge cuore ed ar6. In vetro agisce su obiettivi molecolari ticolazioni. La si trova negli agrumi, nei multipli ed ha effetti positivi sulle celbroccoli, nei peperoni e anche in ortiche, lule del seno e della pelle, sull’apparavanelli, spinaci, bietole, cavolini di Brurato digerente e sulla prostata. xelles, asparagi, il pomodoro, le fragole, i 7. In dosi elevate abbassa significativapeperoni verdi, il ribes nero, le fave e la mente il livello di zucchero nel sanpapaia. gue. 8. Ha migliorato le capacità fisiche degli Il Licopene è l’elemento che conferisce il tipico colore rosso ai pomodori e al animali utilizzati negli esperimenti. cocomero, così come al peperone rosso, 9. Provoca un aumento dell’ossidazione ravanello e pompelmo rosso. È considedegli acidi grassi, biogenesi mito87
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rato uno dei più importanti antiossidanti, poiché aiuta a prevenire il cancro e migliora la circolazione del sangue, evitando problemi cardiovascolari, prevenendo i depositi di colesterolo ed proteggendo la pelle dai danni dei raggi UV. Il Beta Carotene, appartiene ugualmente ai carotenoidi e nel nostro corpo sovente viene mutato in vitamina A; è indispensabile nel meccanismo della visione crepuscolare e diurna e la sua carenza comporta un deficit nella visione notturna e secchezza oculare, cecità causata dall’opacizzazione della cornea, predisposizione alle infezioni, ulcerazioni. Come vitamina A si trova in carote, zucca, latte, uova, fegato. Aiuta a contrastare i tumori, le malattie cardiache, il colesterolo alto, aiuta la vista, ripara le mucose e rinforza il sistema immunitario. Come Beta carotene si trova in carote, patate dolci, zucche, zucca, mango, melograno e prezzemolo. La Quercetina è un pigmento naturale che ha la grande capacità di essere un protettore epatico, di prevenire l’asma, di essere un potente vasodilatatore, di ridurre in modo notevole i livelli di zucchero nel sangue e di prevenire le malattie cardiovascolari. In generale è uno dei più importanti e potenti antiossidanti naturali e lo possiamo trovare nel tè verde, nel mosto dell’uva e nella cipolla. La Luteina, principalmente aiuta la vista e si trova nei seguenti cibi: spinaci, cavoli, 88
prezzemolo, broccoli e cicorie. I Bioflavonoidi, molto utili per rafforzare il sistema immunitario, contro allergie ed infezioni, malattie infiammatorie e patologie a carico dell’apparato respiratorio. Si trovano nei seguenti cibi: mele, cipolle, agrumi, melograno, tè verde, mirtilli e uva e nel cioccolato fondente (non inferiore al 70% di cacao). Il Selenio, eccellente antinfiammatorio ed ottimo depurante dell’organismo ed aiuta il pancreas. Attenzione però: un abuso può rivelarsi tossico. Si trova in questi cibi: patate e noci del Brasile ma non bisogna superare la quantità di due al giorno. Vitamina B2: la sua carenza può provocare bruciore, sensibilità alla luce, prurito, lacrimazione, fino alla paralisi dei muscoli oculari. Si trova nel fegato, nei cereali, nel lievito e nelle uova. Vitamina C: (o acido ascorbico) protegge l’organismo dall’attacco dei radicali liberi. E’ utile nel trattamento del glaucoma, nella prevenzione delle ulcere corneali e nell’eliminazione delle infezioni. Si trova in particolare nel limone e negli agrumi in generale, nei vegetali a foglia larga, nelle fragole, nei peperoni, nei pomodori e nei cavolfiori. La Vitamina E o tocoferolo, ha potenzialità antiossidanti ed è utile per la prevenzione di disturbi oculari come cataratta e AMD (degenerazione maculare dell’età adulta),
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e ha portato risultati positivi anche nel rafforzamento dei muscoli oculari e nella prevenzione della vista annebbiata. La vitamina E si trova in alimenti come cereali, mandorle, noci, avocado e soprattutto oli vegetali crudi. Lo Zinco è anche implicato nel funzionamento della vista, del tatto, dell’olfatto e della memoria, una sua carenza provoca disfunzioni sensoriali e intellettive; una carenza di zinco negli uomini può provocare una diminuzione nel numero degli spermatozoi nel seme ed in generale perdita di capelli, eruzioni cutanee, diarrea, disturbi mentali e infezioni frequenti dovute a un mal funzionamento del sistema immunitario. Si trova in diverse fonti alimentari: nel pesce, nella carne rossa, nei cereali, nei legumi, nella frutta secca e semi di girasole e di zucca. Alte percentuali di zinco sono contenute nelle ostriche, nel lievito, nel latte, nei funghi, nel cacao, nelle noci, nel tuorlo d’uovo. Frutta, verdura e i cereali contengono fitati e fibre che ne riducono l’assorbimento. Lo zinco per le sue proprietà è un elemento fondamentale per un’equilibrata crescita corporea e per il controllo del metabolismo e quindi del peso. L’Acido alfa lipoico, è molto importante perché aiuta il corpo a disintossicarsi ed a produrre energia. Si trova nei seguenti cibi: broccoli, lievito di birra, spinaci e patate.
I Polifenoli sono sostanze che agiscono rallentando l’invecchiamento e l’attività dei radicali liberi che, nelle piante, ricoprono funzioni diverse: difendono dall’insorgenza di parassiti, migliorano la struttura lignea dei fusti, colorano frutti e fiori per attrarre gli insetti impollinatori e per proteggere la pianta dalle radiazioni solari. Sono degli ottimi antiossidanti, la cui assunzione attiva un’azione adattogena denominata “ormesi”: un progressivo adattamento delle cellule a resistere all’attacco di fattori dannosi, attivando delle particolari proteine, le sirtutine, che hanno la funzione di regolare il metabolismo energetico cellulare e di stimolare la produzione di mitocondri, fonti di energia e giovinezza cellulare. Altri importanti integratori erboristici sono: Picnogenolo: è un potente antiossidante derivato dalla corteccia del pino marittimo francese; riduce le perdite di sostanze nella retina riparando i capillari oculari. Silimarina: è il componente principale del cardo mariano che risulta assai importante per il supporto del fegato. Il fegato è l’organo chiave per l’occhio, poiché in esso sono immagazzinate ed attivate tutte le vitamine liposolubili ed il glutatione. Gingko biloba: è un dilatatore cerebro-vascolare selettivo e sembra aumentare la circolazione nella zona posteriore 89
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dell’occhio oltre a migliorare l’afflusso ematico nell’occhio. Coadiuvante nel trattamento della degenerazione maculare e nel glaucoma. Non può essere assunto in associazione a farmaci anti-aggreganti piastrinici. Molto importanti sono gli acidi grassi essenziali che l’organismo non è in grado di produrre da altri lipidi e che deve quindi introdurre con una dieta corretta. Sono due: l’acido alfa-linoleico da cui originano gli Omega 3 e l’acido linoleico da cui originano gli Omega 6. Questi due acidi però possono entrare in competizione perché utilizzano gli stessi enzimi per la produzione di acidi grassi e possono generare quindi sbilanciamenti in quote di Omega 6 e Omega 3. La nostra alimentazione più recentemente vede una maggiore introduzione di oli vegetali e una ridotta assunzione di pesce, come salmone, merluzzo, sgombro, sardine, con una conseguente integrazione maggiore di Omega 6 e scarsa introduzione di Omega 3. La regola è averli sempre ben bilanciati, poiché entrambi necessari al buon funzionamento dell’organismo. A tale scopo si possono assumere integratori di Omega 3 reperibili in erboristeria o in farmacia, a base di olio di lino, olio da alghe e vit E. Gli acidi grassi polinsaturi omega-3 a lunga catena includono acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA) di origine animale e acido a-linolenico (ALA) di origine vegetale. I primi due tipi (EPA e DHA) sono già pronti per essere utilizzati, 90
mentre l’ALA ha bisogno prima di essere trasformato in EPA e DHA e questo processo di conversione può essere a volte problematico; per questo motivo gli esperti consigliano di mangiare cibi con maggiore contenuto di EPA e DHA. L’Acido alfa-linolenico (ALA) può essere assicurato da fonti vegetali, come verdure a foglia verde e oli vegetali. La fonte più ricca a base di vegetali è l’olio di semi di lino, che è 57 per cento ALA. Le migliori fonti di EPA e DHA sono i pesci di acqua fredda catturati in natura come il tonno, salmone, sgombri e sardine; l’olio di pesce estratto da queste fonti consente la fabbricazione di integratori di olio di pesce in capsule. Tutti gli acidi grassi introdotti con la dieta vantano una serie di proprietà benefiche sulla salute: sono componenti delle membrane cellulari, hanno un ruolo anti-infiammatorio e sono essenziali per il normale sviluppo del feto e nei processi di invecchiamento; inoltre sono precursori di molti mediatori lipidici che svolgono ruoli importanti nella prevenzione o nel trattamento di varie malattie. Riepilogando gli acidi grassi essenziali sono risultati capaci di: • ridurre i livelli di trigliceridi, • aumentare i livelli di colesterolo HDL, quello cosiddetto buono; • favorire il buon funzionamento dell’apparato cardiovascolare; • sostenere il sistema immunitario; • conservare l’efficienza intellettiva. Per quanto riguarda gli effetti degli acidi
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grassi essenziali su occhio e funzione visiva vi riporto alcuni interessanti studi. Uno studio pubblicato sul Canadian Journal of Physiology and Pharmacology dell’Université de Sherbrooke sostiene l’utilità dei grassi vegetali e degli omega 3 nel prevenire o rallentare lo sviluppo della retinopatia. La fluidità della membrana cellulare, secondo i ricercatori, è un marker della funzione delle cellule; se si riscontra una diminuzione della fluidità vi è il rischio di un’alterazione nella diffusione di proteine e altre biomolecole all’interno della membrana che può portare alla degenerazione della retina, mentre una maggiore fluidità rende la membrana più flessibile e facilita la trasmissione della luce attraverso lo occhio. I test sulle cellule retiniche trattate hanno rivelato che gli acidi grassi contenuti negli oli vegetali vengono incorporati dalle cellule della retina e fanno aumentare la fluidità della membrana. Per cui una dieta che comprenda basse quantità di grassi insaturi trans e favorisca invece l’apporto di acidi grassi vegetali e omega 3 può ridurre il rischio di retinopatia. Infine, i ricercatori suggeriscono che l’utilizzo di derivati del petrolio nei colliri potrebbe essere sostituito dall’olio vegetale, dato che possiede importanti proprietà biologiche per l’occhio e potrebbe anche contribuire alla prevenzione delle malattie della retina. I dati pubblicati sulla rivista PLoS One dai ricercatori dell’Università della Georgia, (USA) hanno dimostrato che l’assunzione di
zeaxantina, da sola o combinata con luteina e Omega-3, potenzia la velocità di elaborazione visiva di circa il 10 % rispetto al placebo, in soggetti giovani e sani: sembrerebbe che i due carotenoidi non contribuiscano solo alla salute degli occhi, ma siano in grado di agire anche nelle aree del cervello coinvolte nella visione. L’importanza della luteina e della zeaxantina per l’uomo è dovuta al fatto che esse sono altamente concentrate nella macula, la regione dell’occhio che trasforma gli impulsi visivi in impulsi nervosi. Già nel 1994 la dottoressa Seddon e collaboratori dell’Università di Harvard, avevano trovato un legame tra l’assunzione di alimenti ricchi di carotenoidi, come verdure a foglia verde, e una significativa riduzione del rischio di degenerazione maculare legata all’età e a seguire vennero fatti numerosi studi su primati, bambini, persone di mezza età e anziani per sostenere l’importanza della luteina nella salute degli occhi e del cervello. È stato ipotizzato che questi pigmenti possano influenzare l’elaborazione dei segnali visivi post-retina. Da studi sui bambini presso il Nutrition Research Center on Aging della Tufts University di Boston è stato dimostrato che circa il 60 % dei carotenoidi totali del tessuto cerebrale pediatrico è rappresentato dalla luteina, mentre essa rappresenta soltanto il 12 % dei carotenoidi assunti con la dieta. Il nuovo studio ha incluso 64 giovani soggetti sani che sono stati divisi casualmente in tre gruppi. Per quattro mesi, un gruppo ha ricevuto 91
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il placebo, un secondo ha ricevuto una dose giornaliera di 20 mg di zeaxantina, e il terzo gruppo ha assunto una combinazione di 8 mg al giorno di luteina, 26 mg di zeaxantina e 190 mg di Omega3. I dati all’inizio dello studio hanno mostrato che le persone con più alta densità del pigmento nella macula (indicatore di livelli di luteina e zeaxantina nel cervello), avevano soglie più elevate di Critical Flicker Fusion (CFF), cioè del numero minimo di lampi di luce al secondo in cui lo stimolo intermittente appare costante all’osservatore, e della capacità di coordinare la visione e i movimenti del corpo. Dopo il trattamento, i risultati di specifi test hanno dimostrato che coloro che avevano assunto la zeaxantina in combinazione o no con luteina e Omega-3 avevano potenziato sia il CFF che il tempo di reazione visivo-motorio. Più esattamente, i supplementi contenenti zeaxantina avevano aumentato la soglia di CFF di circa il 12%, e il tempo di reazione visivo-motorio di circa il 10 %, rispetto al placebo. Gli stimoli visivi utilizzati in questi esperimenti sono stati specificamente progettati per testare l’elaborazione visiva. Pertanto, i meccanismi alla base delle risposte comportamentali probabilmente riflettono anche le proprietà funzionali del cervello e non solo le proprietà ottiche o neurali dell’occhio stesso. Il CFF, infatti, è associato a prestazioni cognitive, il che suggerisce che le relazioni con luteina e zeaxantina possono riflettere un meccanismo relativo alla velocità di elaborazione neurale. 92
L’aumento della densità del pigmento maculare attraverso i supplementi ha determinato miglioramenti significativi nella velocità di elaborazione visiva anche in individui sani che tendono ad essere al massimo dell’efficienza. Produrre cambiamenti misurabili in giovani sani è promettente data l’elevata rilevanza pratica e terapeutica di un sistema nervoso più veloce più efficiente. In un interessante studio curato dal Brigham and Women’s Hospital di Boston e pubblicato sull’America Journal of Clinical Nutrition è stato valutato il consumo di acidi grassi da parte di 32.470 donne, di età compresa tra i 45 e gli 84 anni, attraverso l’analisi di questionari sulle abitudini alimentari: il 4,7% di queste donne soffriva di sindrome dell’occhio secco. I ricercatori hanno stabilito che l’incidenza del disturbo è maggiore se l’alimentazione è caratterizzata da un elevato rapporto tra Omega-6 e Omega-3 ed il rischio di soffrire di occhio secco diminuisce consumando del tonno (ricco di Omega 3) almeno 2 volte a settimana. I risultati ottenuti in questo studio sono in linea con quelli di altre ricerche; per prevenire e per trattare i sintomi di questo disturbo è possibile: • consumare alimenti ricchi di Omega-3, come il pesce grasso e le noci; • assumere supplementi alimentari arricchiti di questi nutrienti, come gli integratori di olio di pesce. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Cornea e condotto dai ricercatori del Lee La-
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boratory for Ocular Pharmacology at Eastern Virginia Medical School guidati dal professor John Sheppard, una integrazione alimentare con olio di pesce omega-3 EPA e DHA e omega-6 GLA potrebbe contribuire alla salute dell’occhio nelle persone con cherato-congiuntivite secca con sintomatologia da grave a moderata. I ricercatori hanno arruolato per lo studio 38 donne in post menopausa e in maniera del tutto casuale le hanno invitate ad assumere per 6 mesi o un integratore di omega 3 EPA (125mg) e DHA (99mg), combinato con omega 6 acido gamma linoleico GLA (240mg) e antiossidanti o un placebo. Le donne che hanno assunto l’integratore hanno riferito, già dopo 3 mesi di integrazione, una riduzione significativa nei segni di irritazione dell’occhio caratteristici della loro problematica rispetto alle pazienti in trattamento con placebo. L’integrazione nutrizionale nelle pazienti ha bloccato la progressione dell’infiammazione, mentre nelle donne che hanno assunto il placebo l’irritazione e l’infiammazione sono nettamente peggiorate durante i 6 mesi di studio. La produzione lacrimale così come il relativo tempo per il rilascio erano uguali fra i due gruppi a dimostrazione che la supplementazione con acidi grassi essenziali induce un miglioramento della sintomatologia riducendo l’infiammazione e non mediante l’aumento della produzione lacrimale. Lo studio è stato condotto su donne in meno-
pausa, una rappresentanza della popolazione che maggiormente soffre del disturbo, ma probabilmente l’integrazione con omega-3 e omega-6 potrebbe essere di sollievo anche in altre categorie di pazienti che soffrono di occhio secco. Uno studio, pubblicato sulla rivista Molecular Vision e realizzato dai ricercatori dell’Università di Valencia (Spagna), hanno dimostrato che i supplementi a base di Omega-3 e antiossidanti alleviano i sintomi della sindrome dell’occhio secco e modificano la composizione delle lacrime nei pazienti colpiti dal disturbo, sia in forma lieve che moderata. Lo studio ha coinvolto 90 partecipanti: 35 soggetti sani (gruppo di controllo) e 55 con diagnosi di DES, di cui 22 pazienti affetti dalla forma leggera e 33 con forma moderata. Tutti i partecipanti avevano assunto tre capsule al giorno, per 3 mesi, contenenti una combinazione di antiossidanti e acidi grassi polinsaturi omega-3. Tramite un particolare metodo di spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (1H NMR S), i ricercatori hanno analizzato il profilo metabolico delle lacrime di ogni soggetto prima e dopo l’integrazione. Tale metodica contribuisce a determinare e identificare la struttura dei componenti di una sostanza nei fluidi corporei. Dalle analisi si è visto che le lacrime avevano un profilo di metaboliti diverso tra i due gruppi, e cambiavano prima e dopo l’integrazione: sono state identificate circa 50 sostanze, tra 93
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cui colesterolo, N-acetilglucosamina, glutammato, ammino-n-butirrato, glucosio e formiato prima dell’integrazione, e colina e acetilcolina dopo l’integrazione. Gli stessi pazienti hanno mostrato miglioramenti dei sintomi che caratterizzano la DES, dopo 3 mesi, specie riguardo a secchezza dell’occhio, prurito, irritazione, sensazione di corpo estraneo, fotofobia e affaticamento oculare. Inoltre il 18% dei pazienti aveva dichiarato un miglioramento della qualità di vita, e si sentivano meglio emotivamente. Secondo i ricercatori, questi dati indicano che la DES induce cambiamenti nella tipologia dei composti chimici contenuti delle lacrime, che possono essere modificati con adeguate dosi di antiossidanti e acidi grassi essenziali polinsaturi. I ricercatori dell’Institut National de la Recherche Agronomique (INRA) di Digione (Francia) hanno dimostrato attraverso esperimenti condotti sui ratti e pubblicati sulla rivista Graefe’s Archive for Clinical and Experimental Ophthalmology, che una dieta ricca degli Omega-3 EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico) aiuta a prevenire i sintomi della sindrome dell’occhio secco grazie all’azione sulle ghiandole lacrimali. L’efficacia preventiva degli Omega-3 può essere altresì aumentata aggiungendo all’alimentazione anche l’Omega-6 GLA (acido gamma-linoleico). I ricercatori francesi si sono concentrati sul ruolo di una dieta ricca di Omega-3 o di Omega-6 nella riduzione dei sintomi di questa patologia 94
utilizzando come modello dei ratti, in cui la sindrome è stata indotta con opportune tecniche sperimentali. Prima di indurre la patologia, i ricercatori hanno alimentato gli animali per 2 mesi con un mangime arricchito di GLA, EPA, DHA o di tutti e 3 gli acidi grassi. I primi effetti degli Omega-3 sono risultati visibili già 2 giorni dopo l’induzione della sindrome: nei ratti che avevano assunto EPA e DHA è stata osservata una minore riduzione della produzione della mucina contenuta nelle lacrime. 28 giorni dopo l’induzione della patologia, l’assunzione degli acidi grassi aveva ridotto anche la comparsa di infiammazioni della cornea nonché l’espressione a livello dell’occhio di molecole coinvolte nella risposta immunitaria. Analisi più dettagliate hanno permesso di scoprire che gli acidi grassi introdotti con l’alimentazione andavano a collocarsi a livello delle ghiandole lacrimali. Qui EPA e DHA andavano ad inibire la produzione delle molecole che regolano i processi infiammatori già 10 giorni dopo l’induzione della sindrome. In base a questi risultati, i ricercatori hanno concluso che EPA e DHA prevengono i sintomi dell’occhio secco agendo a livello delle ghiandole lacrimali. L’Omega-3 ALA (acido alfa-linolenico) riduce i sintomi dell’infiammazione da occhio secco; le potenzialità di questo acido grasso nella cura di questa condizione sono state suggerite da uno studio effettuato sui topi pubblicato sugli
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Archives of Ophthalmology. Nella sindrome dell’occhio secco risultano aumentate alcune cellule del sistema immunitario (le CD11b+) ed anche altri marcatori dell’infiammazione (TNF-alfa, interferone gamma, varie interleuchine). Attraverso un esperimento sui topi è stato dimostrato che l’applicazione diretta sulla cornea di un prodotto con Omega-3 ALA riduce la capacità della fluoresceina di colorare l’occhio nonché il numero di cellule CD11b+; inoltre risulta ridotto l’espressione di IL-1 alfa nella cornea e l’espressione di TNF-alfa nella cornea e nella congiuntiva. Questo effetto sembra essere un’esclusiva degli Omega-3. Infatti l’applicazione di acido linoleico (LA), un grasso appartenente al raggruppamento degli Omega-6, non permette di ottenere gli stessi risultati osservabili con l’ALA. Nemmeno l’utilizzo combinato di ALA e LA consente di ottenere gli stessi benefici dell’applicazione del prodotto contenente solo Omega-3, a conferma dell’azione antinfiammatoria degli Omega-3 sull’organismo. Per gli autori della ricerca, guidati da Reza Dana dello Schepens Eye Research Institute di Boston (Stati Uniti), i risultati ottenuti aprono la strada a una nuova terapia topica per la riduzione dei fenomeni infiammatori associati a questa problematica. Una ricerca dell’Università di Turku (Finlandia) pubblicata dal Journal of Nutrition ha dimostrato che l’olio di olivello spinoso, una pianta ricca di Omega-3, riduce i sintomi
della sindrome da occhio secco4: è sufficiente assumere 2 grammi di questo supplemento ogni giorno per tre mesi perché anche gli utilizzatori di lenti a contatto possano ridurre i sintomi del disturbo. La sindrome da occhio secco patologia è più frequente in chi utilizza le lenti a contatto, in chi passa molto tempo di fronte allo schermo del computer e in chi è molto esposto al sole o al vento. Inoltre la sua incidenza nella popolazione può arrivare a includere il 30% degli individui di età superiore ai 50 anni. I ricercatori finlandesi hanno analizzato se i sintomi di questa patologia potessero essere alleviati tramite l’assunzione di olio di olivello che risulta utile nel trattamento dell’eczema atopico e di altre malattie della pelle associate a una rigenerazione insufficiente e allevia i sintomi della pelle stressata dalle radiazioni ultraviolette, la secchezza delle fauci, le ulcere alla bocca, allo stomaco e ai genitali, le infiammazioni delle vie urinarie, le cerviciti e le sinusiti. Nello studio 86 individui di età compresa tra i 20 e i 70 anni sono stati suddivisi in due gruppi. Fra questi erano compresi sia soggetti che soffrivano di occhio secco perché producevano poche lacrime, sia persone che, invece, avevano lacrime che evaporavano troppo rapidamente. A una prima parte dei partecipanti è stato indicato di assumere 2 grammi al giorno di olio di olivello, mentre tutti gli altri individui hanno assunto un placebo. 95
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Lo studio ha avuto una durata complessiva di tre mesi, dall’autunno fino all’inverno. Al termine della ricerca è stato rilevato che anche se in tutti i partecipanti era possibile osservare un aumento dell’evaporazione dell’acqua dall’occhio, in chi aveva assunto l’olio di olivello questo aumento era significativamente ridotto. E l’effetto era ancora maggiore in quegli individui che avevano seguito meglio le istruzioni ricevute dagli autori della ricerca e avevano assunto almeno l’80% delle quantità totali del supplemento. I ricercatori hanno concluso che la riduzione dell’infiammazione è stata, probabilmen-
te, promossa dall’Omega-3 acido linolenico contenuto nell’olio di olivello spinoso che è il precursore di molecole dall’attività antinfiammatoria. Inoltre, l’olio di olivello è ricco di vitamina E, antiossidante che avrebbe protetto l’occhio dallo stress ossidativo. Secondo gli autori i risultati di questo studio suggeriscono che l’assunzione di olio di olivello spinoso potrebbe attenuare l’aumento della concentrazione delle lacrime tipico della stagione più fredda e potrebbe influenzare l’intensità massima di sintomi come il rossore e il bruciore in chi soffre di sindrome dell’occhio secco.
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