Cinema mon amour

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Cinema Mon Amour



CREDITS

Edizioni De Lux srl Agenzia - Equos Advertising srl Foto Moda - Priscilla Benedetti Foto Archivio - Contrasto / Corbis Umberto D’Aniello Coordinamento Generale - Marta Mastrogregori Grafica e impaginazione - Stefano Arduini Redazione - Ludovico Aleardo, Silvia Cutuli Massimo De Luca, Dick River Barbara Nevosi, Valeria Palieri Traduzione - Mondo Traduzioni Stampa - Telligraf srl Civita Castellana (VT)

Cesare Attolini S.p.A. Via Nazionale delle Puglie, 42 80013 Casalnuovo (NA) - Tel. +39 081 844 4411 www.cesareattolini.com - info@cesareattolini.com Showroom Milano - Via Visconti di Modrone, 19 - Tel. +39 02 763 16 757 Showroom New York - 610 Fifth Avenue Suite 318 - Tel. +1 212 246 0085 Shop Napoli - Via Filangieri, 15 - Tel. +39 081 1950 6066



6 Attolini e il cinema, un vizio di famiglia di Barbara Nevosi

12 L’altro cinema di Dick Diver

24 Le divine di Ludovico Aleardo

34 Paul Newman di Valeria Palieri

38 La Dolce Vita di Silvia Cutuli

102 Hollywood sul Tevere di Valeria Palieri



110 Vittorio De Sica di Ludovico Aleardo

116 Antonio De Curtis, Charlie Chaplin, Buster Keaton di Dick Diver

124 I volti della New Hollywood di Valeria Palieri

132 Il “sense of wonder” del cinema che verrà di Barbara Nevosi

142 Cerimonia di consegna dei David di Donatello di Massimo De Luca


di Barbara Nevosi / ph. Umberto D’Aniello

ATTOLINI E IL CINEMA, UN VIZIO DI FAMIGLIA Vincenzo, fondatore della casa di moda, unisce all’amore per la sartorialità artigianale una passione per il cinema. Tra i suoi clienti, negli anni Trenta, attori a artisti che animano l’atelier come un salotto culturale. Il figlio Cesare e i nipoti Massimilano e Giuseppe continuano la tradizione del capostipite, mantendo viva l’attenzione per il cinema e la sua estetica.


Cesare Attolini


Massimiliano Attolini


E’ impresso nel loro DNA, un gene trasmesso di generazione in generazione. Come in una delle più romantiche sceneggiature rosa, il legame tra la famiglia Attolini, portabandiera dell’alta sartoria napoletana nel mondo, e il cinema ha inizio negli anni Trenta con Vincenzo Attolini (1901 1971), fondatore della casa di moda. Il padre Cesare e i figli Giuseppe e Massimiliano proseguono la tradizione di famiglia e proprio a loro si lega l’internazionalizzazione del marchio, quella svolta, quel salto in alto che ha reso il nome Attolini simbolo di gusto, qualità e artigianalità, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Un marchio che non si è piegato alle leggi di mercato, ma continua caparbiamente a proporre un prodotto unico in Italia e a esportare il suo stile nei cinque continenti, forte di una filosofia che predica la teoria del vero lusso. “Non quello omologato e globalizzato delle grandi holding della moda internazionale”, spiegano Giuseppe e Massimiliano, ultima generazione della dinastia dell’alta sartoria. “Il lusso più autentico? Possedere un abito Attolini. Un capo artigianale, un’opera d’arte dal valore intrinseco, un pezzo unico, irripetibile, capace di raccontare la storia di chi l’ha creato”. Del resto la forza degli Attolini sta nella famiglia stessa. Prima il nonno Vincenzo e poi un padre, Cesare, schivo, umile, creativo, garbato e galante come un signore d'altri tempi.

It’s set in their DNA, like a gene passed through the generations. Like in one of the most romantic film settings, the bond between Attolini, the leading figure of Neapolitan high class tailoring in the world, and the cinema which began in the thirties with Vincenzo Attolini (1901 1971), the founder of the fashion house. The father Cesare and his sons Giuseppe and Massimiliano Attolini have continued the family tradition and the internationalisation of the brand is down to them. They created the turning point, that leap upwards which has made the Attolini name a symbol of taste, quality and artisanship, renowned and appreciated all over the world. It is a brand which has not bowed to the trends of the market, but instead continues to stubbornly propose a unique product in Italy and export its style to five continents, on the strength of a philosophy which preaches the theory of true luxury. “Not the uniform and globalised luxury of the big holdings of international fashion explained Giuseppe and Massimiliano, the most recent generation of the high fashion dynasty Authentic luxury? Possessing an Attolini garment. Artisan garments, works of art of intrinsic value; unique garments; unrepeatable; capable of telling the story of the person who created them”. In fact, the strength of Attolini family is in the family itself, starting with the grandfather Vincenzo and then the father, Cesare; polite, humble, creative, kind and gallant like a gentleman from another era.

DA CLARK GABLE AL DUCA DI WINDSOR. TUTTI I TESTIMONIAL DELL’ATTOLINI STYLE Totò, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, i De Filippo, Clark Gable, il Duca di Windsor e il Re Vittorio Emanuele III. Reali e divi del cinema si riconoscono nell’Attolini style, vestendo per decenni i capi creati dal sarto napoletano, che negli anni Trenta, con il suo genio creativo, inventa uno stile destinato a fare scuola e che ancora oggi è sinonimo di alta sartoria napoletana. Con il suo estro, l’incomparabile, abilità e la rinomata testardaggine, esce ben presto dai rigidi schemi del british style che all’epoca dominavano il guardaroba maschile, rompe il dogma della giacca inglese. Un vera rivoluzione. Nasce la giacca “a mappina”, senza fodera interna e quindi più leggera e pratica da indossare. “Mio nonno non ebbe subito successo”, ricorda il nipote Massimiliano. “Proprio la giacca “a mappina” (mappina in napoletano significa strofinaccio), capo iconico della nostra azienda, fu criticata perché troppo morbida e non rigida come il modello all’inglese”. Ma di primati Vincenzo ne compie altri nel corso della sua attività: primo a disegnare il taschino a barchetta, primo a proporre la manica a camicia e ad inaugurare la moda dei bottoni più ravvicinati sulle maniche delle giacche. Crea capi raffinati nella storica sartoria di Napoli, che diventa il “salotto buono” della città, un luogo d'incontro per artisti e uomini di cultura. “Qui in atelier passavano scrittori e letterati, aristocratici e pittori, intellettuali racconta il nipote Giuseppe Era diventato un luogo d’incontro e, involontariamente, una sorta di cenacolo culturale. Non era insolito, infatti, che artisti, habituèe o di passaggio, barattassero un loro quadro con una giacca Attolini. E’ capitato con Luigi Crisconio (pittore napoletano 1893 1946 n.d.r.) continua Del resto mio nonno era amante dell’arte e del cinema come del teatro e dell’opera e spesso, tra la realizzazione di una giacca o di un completo, c’era anche chi gli portava dei quadri da stimare”.

FROM CLARK GABLE TO THE DUKE OF WINDSOR. ALL THE TESTIMONIALS OF THE ATTOLINI STYLE Totò, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, De Filippo, Clark Gable, the duke of Windsor and King Victor Emmanuel III. Royalty and cinema stars think the Attolini style suits them, and for decades they have been wearing the clothes created by the Neapolitan tailor, who in the thirties used his creative genius to invent a style that was destined to lead the way, and which even today, is synonymous with Neapolitan class tailoring. With his aptitude, his incomparable ability, and his renowned stubbornness, he quickly escaped the rigid British style which dominated male wardrobes in those times, breaking the dogma of the English jacket. A real revolution. The “a mappina” jacket was created, without an internal lining and therefore lighter and more practical to wear. “My grandfather wasn’t successful recalled his nephew Massimiliano it was the “a mappina” jacket (which in Neapolitan means a cleaning cloth), the garment which was the symbol of our company, which was criticised because it was too soft and not rigid like the English model”. However, Vincenzo also created other new items during his career: he was the first to design a front pocket, the first to come out with sleeved shirts, and the first to inaugurate the fashion with buttons closer together on jacket sleeves. He created sophisticated garments in the historical tailoring business in Naples, which became a “place for gentlemen” in the city, a meeting place for artists and educated men. “In this tailoring business we saw writers, learned men, painters, aristocrats and intellectuals his nephew Giuseppe told us It became a meeting place, and involuntarily, as sort of cultural cenacle. In fact, it wasn’t unusual for artists, habitual customers and passersby to barter a painting for an Attolini jacket. It happened with Luigi Crisconio (a Neapolitan painter 1893 1946 editor’s note.) he continued In fact, my grandfather loved art and cinema, as well as theatre and opera, and often there were people who used to bring him paintings for an estimate while he was making jackets”.

CINEMA MON AMOUR. ATTOLINI E LA SETTIMA ARTE “Non c'è nessuna forma d'arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell'anima”. Per Ingmar Bergman come per la famiglia Attolini il cinema è una chiave d’accesso all’interiorità, al profondo dell’animo umano, ma è anche una realtà che fa parte del

CINEMA MON AMOUR. ATTOLINI AND THE SEVENTH ART “There is no art like cinema to affect your conscience, move you and reach a secret place in your soul”. For Ingmar Bergman like for the Attolini family, cinema was the key to access your inner self,

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quotidiano. E se ieri, sul set e nella vita privata, l’atelier napoletano vestiva i grandi nomi del cinema, oggi crea gli abiti di Al Pacino nel film “People I know” di Daniel Algrant, quelli di Toni Servillo ne “Le conseguenze dell’amore” e “Il Divo” di Paolo Sorrentino. Indossando abiti Attolini Forest Whitaker riceve sia il Golden Globe che l’Oscar per “L’ultimo re di Scozia” e sempre Attolini sponsorizza la serata di premiazione dei David di Donatello, come pure la prossima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e il Premio Vittorio De Sica. Perché la famiglia napoletana è da sempre molto vicina sia all’Associazione De Sica che alla famiglia del regista di “Ladri di biciclette”. Ieri Vittorio, oggi i figli Manuel e Christian e il nipote Brando vestono Attolini. “Il binomio moda e cinema sintetizza da sempre la nostra passione per il grande schermo e per la bellezza spiegano i fratelli Attolini, nipoti del fondatore, oggi alla guida del marchio e rinnova quella sensibilità artistica che già nostro nonno negli anni del Dopoguerra aveva scoperto. E’ poi il cinema è anche una palestra di stile concludono Guardando vecchi film studiamo l’eleganza del passato e prendiamo spunti e ispirazione ”. Prima “Il giardino dei Finzi Contini” poi “Ladri di Biciclette”, due pellicole al cui restauro Attolini ha contribuito. Con precedenti così importanti e un background di tutto rispetto non è difficile intuire perché l’azienda napoletana abbia realizzato il magazine “Cinema mon amour” in tributo alla settima arte. “Il cinema è un momento onirico, un viaggio emozionale in un’altra dimensione spiega Giuseppe Attolini E’ un’arte che non solo ha dato lustro all’Italia rendendo grande l’immagine del nostro paese nel mondo aggiunge il fratello Massimiliano ma ha fatto anche da apripista a quel “made in Italy” che oggi è tanto osannato. Il nostro tributo è doveroso e fortemente voluto”.

deep in the human soul, but also a reality which is part of everyday life. If in the past this Neapolitan tailor would dress the great names of cinema on film sets and in their private lives, he has now created the clothes for Al Pacino in the film “People I know” by Daniel Algrant, and those of Toni Servillo in “The consequences of love” and “Il Divo” by Paolo Sorrentino. Forest Whitaker received a golden Globe award wearing Attolini clothes, as well as an Oscar for “The last king of Scotland”. It was Attolini who again sponsored the awards evening for the Davids of Donatello, as well as the next Cinematographic Art exhibition in Venice and the Vittorio De Sica award. Yes, because this Neapolitan family has always been very close to the De Sica Association and the family of the director of “The bicycle thieves”. Previously Vittorio, and now his sons Manuel and Christian, and his nephew Brando all dress Attolini. “Fashion and cinema have always summarised our passion for the big screen and its beauty explained the Attolini brothers, the nephews of the founder, who now lead the brand and it renews that artistic sensitivity that our grandfather had already discovered just after the war. Cinema is also a place to experiment style they concluded by watching old films we study the elegance of the past and take ideas and inspiration from them”. Firstly “The Garden of the Finzi Continis” and then “The bicycle thieves”, two films by Vittorio De Sica which Attolini contributed to restoring. With such an important past and a very respectful background, it is not difficult to guess why the Neapolitan company has produced the magazine “Cinema mon amour” as a tribute to the seventh art. “Cinema is a dreamlike moment, an emotional trip into another dimension explained Giuseppe Attolini it’s also an art which has not only made Italy shine by making the image of our country great all over the world added his brother Massimiliano but it also opened the doors to Italian products which are so highly praised in the present day. Our tribute is a duty and it is very much our will”.

MARCELLO MASTROIANNI. QUESTIONE DI STILE “E’ qualcosa di innato, naturale, discreto. Lo stile è quell’ attitude che non riguarda solamente il modo di vestire”. Non ha mezzi termini Giuseppe Attolini in materia. “Avere stile non vuol dire apparire ma essere aggiunge Massimiliano Significa avere un’eleganza “low profile” che non conosce il significato della parola ostentazione. La classe si vede non solo dall’abito ma soprattutto da come lo si indossa”. E in virtù di questi principi sono tanti gli attori e divi di Hollywood che continuano a rappresentare lo stile della maison napoletana, a partire da Marcello Mastroianni. “Voleva che solo io gli prendessi le misure racconta Cesare Attolini, col suo fare schivo e garbato Era un uomo simpatico e umile. Un giorno gli chiesi: Gli spacchi della giacca li vuole centrali o laterali? Lui rispose: Tu come la porti la giacca? Io dissi: Senza spacchi. E lui ribatté: Allora pure io. Voglio portare le giacche come Cesare Attolini!”.

MARCELLO MASTROIANNI. A QUESTION OF STYLE “It’s something innate, natural, discrete. Style is the attitude that isn’t just about a way of dressing”. Giuseppe Attolini does not mince words on this subject. “To have style does not mean appearing but being added Massimiliano it means having a “low profile” elegance which does not know the meaning of the word ostentation. Class can be seen not only in one’s clothes but above all how they are worn”. In virtue of this principle there are many actors and stars of Hollywood who continue to represent the style of the Neapolitan maison, starting with Marcello Mastroianni. “He wanted me alone to take his measurements Cesare Attolini told us in his reserved and polite manner he was a simple and humble man. One day I asked him: Do you want central or side slits for the jacket? He replied: how do you wear your jackets? I said: without slits. And he replied: Then me too. I want to wear jackets like Cesare Attolini!”.

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Giuseppe Attolini



di Dick Diver

L’ALTRO CINEMA. I REGISTI EUROPEI E L’ARTE DI RACCONTARE IL VECCHIO MONDO

Wim Wenders Luc Besson Alejandro Amenabar Nikita Michalkov Giuseppe Tornatore


band e le sue canzoni. Speriamo che un giorno quel Wenders si dedichi finalmente a un progetto che sembra stargli a cuore: un documentario su Fabrizio de Andrè, musicista che, come ha spesso dichiarato, ritiene tra i più grandi del novecento.

i sono artisti che sembrano fare e rifare sempre la stessa opera. I quadri di Modigliani non sembrano forse tutti quanti il ritratto della medesima donna, creatura di eterea bellezza, triste principessa dal collo di cigno? Così come ascoltando Satie, si cade sempre in un’atmosfera immutabile, come si trattasse di un'unica lunghissima e struggente composizione. Leggere i libri di Camilleri, maestro di leggerezza, è come rientrare ogni volta a casa, tra pareti e divani un po' consunti che ci accolgono con la familiare ospitalità di un parente. La loro forza sta nella capacità di mantenere potenza, e capacità di stupire mettendo in gioco soltanto minime variazioni sul tema. All'opposto sono artisti come Wim Wenders: mimetici, curiosi, attratti ogni volta da forme e sentimenti diversi. Scorrere l'elenco dei suoi film è impressionante. Nella sua carriera ha sperimentato tutto quanto è possibile, con rara curiosità e una passione sempre accesa. Nato a Dusseldorf nel 1945, frequenta la facoltà di Medicina che abbandona per iscriversi a Filosofia per poi dedicarsi agli studi di pittura. Ed è solo l'inizio. A vent'anni si trasferisce a Parigi dove lavora come incisore nello studio di un artista americano. Ma nel tempo libero, va a lezione alla scuola di Cinematografia e vede tutto il cinema possibile nelle

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There are artists who seem to constantly produce the same work. Don’t Modigliani’s paintings all seem to be the portrait of the same woman, a lady of ethereal beauty, a sad princess with the neck of swan? Like listening to Satie, the atmosphere always becomes immutable, a long and poignant composition. Each time you read the books of Camilleri, a master of light reading, it’s like returning home, with walls and sofas that are a bit worn welcoming us with the familiar hospitality of a relation. Their strength lies in the capability of always being powerful, as well as being able to astonish people by making only minimal variations to a particular theme. Artists like Wim Wenders are the opposite to this: mimetic and inquisitive, attracted each time by different formats and sentiments. It is impressive to list his films. In his career he has experimented as much as it is possible to do so, with rare curiosity and always with fierce passion. Born in Dusseldorf in 1945, he studied medicine and then abandoned it in favour of philosophy, to then dedicate himself to studying art. Yet this was only the beginning. At twenty years of age he moved to Paris where he worked as an engraver in the professional practice of an American artist. However, in his free time he took lessons at the Cinematography school and watched as many films as possible in the famous halls Penso che ogni immagine cominci ad esistere solo quando qualcuno of Paris art houses. He moved back to sta guardando. Chiunque guardi un film lo vedrà in modo diverso, Germany and started making short films and writing cinematographic reviews for a daily i film sono aperti affinchè ciascuno di noi newspaper and a magazine. He was still possa scoprirvi dentro quello che vi vuol vedere. under thirty years of age when his career took off, alongside that of Werner Harzog and Rainer Werner Fassbinder; they were three young and brilliant experimenters who revolutionised German cinema. He produced celeberrime salette d'essai della capitale francese. Tornato in such good films in such quantities that Wenders has admirers from Germania, inizia a girare cortometraggi e scrivere recensioni different genres, depending on the film or phase of his production cinematografiche per un quotidiano e per una rivista. Non ha they most love. There are those who prefer Wenders in black and ancora trent'anni quando la sua carriera decolla, accanto a quella di white as in the "Wings of desire", a fable of the city and humanity Werner Herzog e Rainer Werner Fassbinder, tre giovani e brillanti inspired by the poems of Rilke and the essays on Walter Benjamin, sperimentatori, che rivoluzioneranno il cinema tedesco. E' tale e magnificently written by Peter Handke. It was a film which marked tanta la sua produzione cinematografica, che Wenders ha ammiratori an era, not just because of its powerful symbolism (just think of the divisi in correnti, a seconda del film o della fase della sua produzione shot of the angels in trench Damien and Cassell, staring at the city che amano di più. C'è chi predilige il Wenders in bianco e nero de while they sit above the statue of victory…) but for the different "Il cielo sopra Berlino", apologo sulla città e l'essere umano ispirato way it was recounted. Instead there are those who find his first alle poesie di Rilke e ai saggi di Walter Benjamin, magnificamente works unbeatable, the Wenders of the so called trilogy of the scritto da Peter Handke. Un film che ha segnato un'epoca non solo street, whose masterpiece is "Alice in the cities", which quickly per la potenza iconica (pensate all'immagine degli angeli in trench became a cult film. Then there’s the sensual and melancholy Damien e Cassell, che osservano la città seduti sopra la statua della Wenders of "Paris Texas", which was written by Sam Shepard, Vittoria...) ma per la novità nel raccontare. C'è chi invece trova with the unforgettable Nastassja Kinski wrapped in a pink angora insuperabile il primissimo Wenders, quello della cosiddetta trilogia sweater. Lastly, we have the Wenders of the great music della strada, il cui capolavoro è "Alice nella città", divenuto documentaries, the most famous of which is the "Buena Vista rapidamente un cult. C'è poi il Wenders sensuale e malinconico Social Club", which was filmed in Cuba. Its resounding success di "Paris, Texas", scritto da Sam Shepard, con l'indimenticabile re launched the mythical band and its songs all over the world. Nastassja Kinski avvolta nel maglioncino di angora rosa. E infine il Let’s hope that one day Wenders will finally take on a project he Wenders dei grandi documentari sulla musica, il più famoso dei seems to care very much for; a documentary on Fabrizio de Andrè, quali è "Buena Vista Social Club", girato a Cuba. Che ebbe un a musician that Wenders has often declared to be one of the successo strepitoso tanto da rilanciare in tutto il mondo la mitica greatest of the twentieth century.

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instructor which he was meant to become if he had followed the career of his parents. With them, since he was a child, he travelled the world and explored all its seas. However, an accident changed his destiny. Because he was forced to abandon the sea, the young Besson moved to America to study cinema. However, as soon as he had enough money and fame he dedicated a film to those sea bottoms and the silence of the depths. Le Grand Bleu; inspired by the life of Jacques Mayol and Enzo Maiorca, the two scuba diving champions who have always been active lifetime rivals, it is a spectacular film which was miraculously successful with the public. Maiorca, however, was not happy about the way in which he was portrayed by the film director and a long legal battle blocked the distribution of the film in Italy for almost fourteen years. This is not the only dispute that Besson has had to face in his career. He had a violent argument with Kathryn Bigelow, the first woman film director to win an Oscar for "The Hurt Locker", after a project for a film on the life of Joan of Arc fell apart. It seems that the American film director wouldn’t accept the imposition of Milla Jovovich, the model and actress, as well as fiancé of the film director, for the lead role. Besson therefore decided to go ahead with the project on his own, spending millions to free himself of the contract. The film won’t be a masterpiece, or even a great success. Even Anne Parillaud was sentimentally tied to the film director when, in 1990, she acted the part of Nikita in the film which made Luc Besson famous. Nikita is a young straggler who is condemned to life

a un'aria sempre stropicciata Luc Besson. Più che a un regista cinematografico, somiglia al chitarrista di un gruppo rock. O meglio ancora all'istruttore di nuoto subacqueo che sarebbe dovuto diventare, se avesse seguito la carriera dei genitori. Con loro, fin da bambino, ha girato il mondo e esplorato tutti i mari. Ma un incidente ha cambiato il suo destino. Costretto ad abbandonare il mare, il giovane Besson si trasferisce in America, a studiare cinema. Ma appena ha i soldi e la notorietà sufficiente, è proprio a quei fondali e al silenzio delle profondità che dedica un film. “Le Grand Bleu”, ispirato alla vita di Jacques Mayol e Enzo Maiorca, i due campioni di apnea opposti per tutta la vita da una vitale rivalità, è un film spettacolare che ottiene miracolosamente anche un gran successo di pubblico. Ma Maiorca non gradì il modo in cui fu ritratto dal regista e una lunga battaglia legale ha impedito per quasi quattordici anni la distribuzione del film in Italia. Non è l'unica controversia che Besson si sia trovato ad affrontare nella sua carriera. Con Kathryn Bigelow, prima donna regista a ottenere il premio Oscar per "The Hurt Locker", si è scontrato violentemente dopo che il progetto di fare una film insieme sulla vita di Giovanna d'Arco era naufragato. Sembra che la regista americana non avesse gradito l'imposizione di Milla Jovovich, modella attrice nonchè fidanzata del regista, per il ruolo della protagonista. Besson decide quindi di andare avanti da solo, sborsando un bel po' di milioni per liberarsi dal contratto. Il film non sarà un capolavoro, e neanche un grande successo. Anche Anne Parillaud era legata sentimentalmente al regista quando, nel 1990, interpreta Nikita nel film omonimo che rese famoso Luc Besson. Nikita è una giovane sbandata, condannata all'ergastolo per l'omicidio di un poliziotto e dichiarata suicida in cella. Sparita al mondo, viene condotta invece in un luogo segreto dove subisce un addestramento speciale, alle armi e le arti marziali, per diventare un killer al servizio del governo. Tra le insegnanti, spicca la superba Jeanne Moreau, ancora affascinante. Lo stile veloce, l'azione e l'immagine semplice e potente, che Besson ha imparato dagli studi americani e che già si intravedevano nello stralunato "Subway", suo film di esordio con Cristopher Lambert, arrivano alla perfezione in "Leon". Film del 1994, con Jean Reno e Natalie Portmann, allora dodicenne, nel ruolo di Mathilda. La ragazzina, la cui famiglia viene massacrata per questioni legate al commercio della droga, chiede al sicario Leon, suo vicino di casa, di aiutarla a trovare i colpevoli per vendicarsi. Di nuovo una giovane ragazza con la pistola e di nuovo atmosfere noir. Che diventano fantascientifiche ne "Il quinto elemento", forse il capolavoro del regista francese, ispirato ai fumetti di Moebius. Nel quale una splendida Milla Jovovich allora compagna del regista... è Leeloo, l'essere perfetto mandato sulla terra a salvare il mondo. Produttore, autore di spot e video clip, Besson negli ultimi anni è diventato anche scrittore. Ha pubblicato quattro libri di fiabe il cui protagonista è Arthur, un bambino di dieci anni. Dalle sue storie, ha tratto due film di animazione e persino un video gioco.

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Avevi già sparato? Mai ad un pezzo di cartone. imprisonment for the murder of a policeman, and who it is claimed commits suicide in her prison cell. Having disappeared, she is instead led to a secret place where she receives special training in the use of weapons and in martial arts, to become a killer at the service of the Government. One of her teachers is the superb Jeanne Moreau, who is still an attractive woman. The fast style, the action and the simple and powerful imagery which Besson learned from American studios, and which we caught a glimpse of in the strange “Subway”, the film which was his debut and starred Cristopher Lambert, became absolute perfection in “Leon”. A 1994 film with Jean Reno and Natalie Portmann, who was twelve years old at the time, in the role of Mathilda. The little girl, whose family is massacred for reasons tied to the drug trade, asks the killer Leon, her neighbour, to help her find the guilty persons to take revenge. Once again a young girl with a gun and a film noir atmosphere, which becomes science fiction in “The fifth element”, which is perhaps the French film director’s masterpiece, inspired by the Moebius comics. In this film the splendid Milla Jovovich (who at that time was the film director’s partner...) is Leeloo, the perfect being sent to the Earth to save the world. A producer, author of advertising spots and video clips, in recent years Besson has also become a writer. He has published four books, which are fairy tales with a ten year old boy called Arthur as the protagonist. Two cartoon films have been produced based on his stories, and even a video game.

Luc Besson always looks scruffy. He looks more like a guitarist in a rock group than a film director. Or even better the scuba diving

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vince la coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia. Emozionante e convincente seppure costretto a un trucco che lo invecchia e senza poter contare sulla sua potente fisicità. Meno interessante, anche se carico di buone intenzioni, l'ultimo film di Amenabar, "Agorà", che racconta la vita di Ipazia, scienziata e filosofa, uccisa dai fanatici cristiani nel IV secolo dopo Cristo.

lejandro Amenabar è nato a Santiago del Cile ma ha solo un anno quando, subito dopo il colpo di Stato di Pinochet (1973) i suoi genitori si rifugiano in Spagna. Cresce quindi a Madrid e si considera spagnolo di cultura. Anche se a guardare la sua filmografia può venire il dubbio che si tratti invece di un regista americano con un cognome latino. E non solo perchè il suo film più famoso si intitola "The others" e ha per protagonista Nicole Kidman quando, prima del massacro chirurgico, il suo volto poteva ancora dar luce a qualsiasi personaggio. Compreso quello di una morta. Ma di questo sarebbe meglio non parlare, per non rovinare la sorpresa a chi non avesse visto questo bel giallo psicologico, ambientato sull'isola di Jersey, nella Manica, subito dopo la seconda guerra mondiale. Amenabar potrebbe essere americano anche perchè quasi mai un film diretto da un regista europeo ha un successo di pubblico simile a quello ottenuto da "The others". Che esce nel 2001, un anno magico per il regista il quale, nello stesso periodo, firma anche la sceneggiatura di “Vanilla Sky”, interpretato da Tom Cruise e Penelope Cruz. Quest'ultima, che sul set si fidanzerà con lo scapolo d'oro di

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Alejandro Amenabar was born in Santiago in Chile, but he was only one year of age when, just after the coup by Pinochet (1973) his parents fled to Spain. He therefore grew up in Madrid and considers himself to be Spanish in terms of culture, even though considering his filmography you could be excused for thinking he’s an American with an Latin surname. This is not just because his most famous film is called “The Others”, with Nicole Kidman in the starring role, when her face could still take on any personality, that is before the surgeons started working on it. Including that of a dead person. However, it would be better not to talk about this, so as not to ruin the surprise for anyone who still hasn’t seen this good psychological thriller set on the island of Jersey in the English Channel, straight after the Second World War. Amenabar could also be American because a film directed by a European film director has rarely been as successful as “The Others”. It was released in 2001, a magic year for this film director, who in the same period was also responsible for the set of “Vanilla Sky”, starring Tom Cruise and Penelope Cruz. The latter, who becomes the golden bachelor’s partner on the set, also starred in “Open your eyes”, the film by Amenabar of which “Vanilla Sky” is an American remake. In Spain this film was more financially successful than “Titanic”. A complicated story of love and death which, just like “The Others”, has an ending which turns the meaning of the film upside down. Reality and fiction, life and death, here and there it’s opposites which obsess this Spanish film director. The story of a world in which everything you see may not be what it seems, and life is nothing but an illusion on which we agree. In an eternal game of mirrors. These reflections on life and death, and vice versa, are also themes in the most intense and less spectacular film of Amenabar’s career. “The Sea Inside” is about the true story of a man, Ramon Sampedro, who becomes permanently confined to a wheelchair because of an accident which has left him quadriplegic but with his mental faculties fully intact. Imprisoned for 28 years by his own body, one day he decides that it is time to die and he begins a legal battle for his right to euthanasia. A difficult theme which is apparently not very cinematographic became an opportunity for an intense and moving reflection on a passion for life, and an unforgettable film thanks to the perfect acting of Javier Bardem, who won the Volpi Cup at the Venice film festival for this film. Emotional and convincing, even though he is forced to do something which ages him without being able to count on his powerful physique. Less interesting, although it is full of good intentions, is Amenabar’s latest film “Agorà”, which tells the story of Ipazia, a scientist and philosopher who was killed by fanatical Christians in the 4th century AD.

Una libertà che elimina la vita non è una libertà. Ma una vita che elimina la libertà non è vita.

Hollywood, era stata protagonista anche di "Apri gli occhi", il film di Amenabar del quale “Vanilla Sky” e il remake americano. E che in Spagna aveva incassato più di “Titanic”. Una complicata storia di amore e morte, che, proprio come "The Others", prevede una rivelazione finale che ribalta tutto il significato del film. Realtà e finzione, vita e morte, qui e altrove sono le coppie di opposti che ossessionano il regista spagnolo. Il racconto di un mondo nel quale tutto quello che vedi potrebbe essere falso, e la vita non è altro che un’illusione sulla quale ci accordiamo. In un eterno gioco di specchi. Di questo riflettersi della vita nella morte e viceversa, parla anche il film più intenso e meno spettacolare della carriera di Amenabar. "Mare dentro" è la storia vera di un uomo, Ramón Sampedro, costretto all'immobilità totale per colpa di un incidente che lo ha lasciato tetrapelgico ma perfettamente integro nelle capacità cerebrali. Prigioniero per 28 anni nella galera del suo corpo, un giorno decide che è arrivato il momento di morire e intraprende una battaglia legale perchè gli venga riconosciuto il diritto all'eutanasia. Un tema ostico e apparentemente poco cinematografico, diventa l'occasione per una intensa e commovente riflessione sulla passione per la vita, resa indimenticabile dall'interpretazione perfetta di Javier Bardem, che per questo film

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iene da una vera famiglia di artisti, Nikita name, Andrej Konchalovskij, is a film director who been living in the Michalkov. Il padre è un poeta (sono sue le United States for a long time. Families like this expect a lot from parole dell'inno nazionale russo) e la madre, you. You can decide to hide yourself, but if you decide to throw poeta a sua volta, è figlia e nipote di due pittori yourself into the fray, then you have to do better than the others, molto famosi, mentre il fratello maggiore, and if possible better than anyone else. So this is what Michalkov conosciuto col nome d'arte di Andrej did. He started by studying to be an actor in the best acting school Konchalovskij, è un regista che vive da tempo in the world, the Moscow Art Theatre School, which was founded by negli Stati Uniti. Famiglie così non lasciano Stanislavski, and much loved by Anton Cecov, who wrote his plays scampo. Puoi scegliere di nasconderti, ma se for his pupils. In fact, the genius of the Russian writer accompanied invece ti butti nell'agone, allora devi fare Michalkov throughout his career. One of his first films, which has meglio degli altri, e se possibile meglio di tutti. E così ha fatto the fascinating title "An Unfinished Piece for Player Piano", is in Michalkov. Ha iniziato studiando da attore nella migliore scuola del fact an adaptation of Platonov by Cecov. By more or less the middle mondo, la scuola del teatro d'Arte di Mosca, fondata da Stanislavski, of the sixties Michalkov had already perfected his own style, which e amata da Anton Cecov, che per gli allievi scrisse le sue commedie. was to become unmistakable: the great philosophical themes E il genio dello scrittore russo, accompagna come una luce tutta la handled with the melancholy indolence of a Russian soul; the carriera di Michalkov. Uno dei suoi primi film, dal fascinoso titolo boundless landscapes of the countryside, men and women beset by di "Partitura incompiuta per pianola meccanica", è infatti un nostalgia, but still capable of madness and sudden wisdom. The adattamento del Platonov di Cecov. Siamo più o meno a metà degli world of old Russia, represented as if everything was just one big anni settanta e Michalkov ha già messo a punto quel suo stile che theatre, besieged by the advent of the Soviet Union and the diventerà inconfondibile: i grandi temi filosofici affrontati con la communist regime. It was inevitable that an artist such as this would malinconica indolenza dell'animo russo, gli sconfinati paesaggi di end up meeting the actor who more than anyone has embodied campagna, donne e uomini assediati dalla nostalgia ma capaci ancora indolence, and both desire and the difficulties of existence, the most di follia e improvvisa saggezza. Il mondo della vecchia Russia, messo in scena come se tutto fosse sempre un immenso teatro, assediato dall'avvento dell'unione sovietica e il regime comunista. Era inevitabile che un artista di questo genere finisse per incontrare l'attore Il mio cinema è come una musica, come una partitura dove le che più di tutti ha incarnato l'indolenza e immagini devono precedere di un attimo le variazioni insieme il desiderio e la struggente malattia dell'esistere, l'attore più cecoviano nella storia del ritmo per catturare e mantenere gli impulsi emotivi dello spettatore. del cinema: Marcello Mastroianni. E accanto a lui, indimenticabile Silvana Mangano alla sua ultima comparsa sullo schermo. "Oci Ciornie", questo è il titolo del film, consegnò a Mastroianni il premio per la miglior interpretazione maschile al Festival di Cannes e valse al regista la Cecov like actor in the history of cinema: Marcello Mastroianni. By prima candidatura all'Oscar. Oscar che vince invece nel 1994 con "Il his side, the unforgettable Silvana Mangano in her very last film. sole ingannatore", ambientato nella russia stalinista e raccontato dal "Oci Ciornie”; this was the title of the film, and it won Mastroianni punto di vista di un generale dell'Armata Rossa, un eroe della the prize of best male actor at the Cannes Film Festival, as well as rivoluzione bolscevica in pensione, da lui stesso interpretato. Un film giving the film director his first Oscar nomination. Instead, an dedicato a tutti coloro che sono stati bruciati dal sole della rivoluzione, Oscar is what he won in 1994 with "Burnt by the Sun", set in come dice la didascalia. Ma a detta di molti, il suo film più bello Stalinist Russia and recounted from the point of view of a Red rimane il rude "Urga", di qualche anno precedente. Ambientato in Army general, a retired hero of the Bolshevik revolution, a role Mongolia, racconta la sbilenca amicizia tra un contadino delle steppe interpreted by Michalkov himself. It was a film dedicated to all e un operaio russo che sta costruendo una strada nel suo territorio. those who had been burnt by the revolutionary sun, as the title Leone d'oro al Festival del Cinema di Venezia. Lontano ormai dal reads. However, according to many, his best film remains the crude successo degli anni novanta, Michalkov ha girato qualche anno fa un “Urga”, which was made a few years earlier. The film is set in curioso, e forse non necessario, riadattamento dell'indimenticabile Mongolia, and it tells the story of the lopsided friendship between "La parola ai giurati" di Sidney Lumet, dal titolo "Dodici". All'ultimo a peasant from the Steppes and a Russian worker who is building Festival di Cannes ha presentato il sequel de "Il sole Ingannatore" a road on his land, and it won a Golden Lion at the Venice film festival. Now a long way away from his successful period in the che ha ottenuto l'unanimità delle critiche negative. nineties, a few years ago Michalkov filmed a curious, and perhaps Nikita Michalkov belongs to a true family of artists. His father was a unnecessary re adaptation of the unforgettable “12 Angry Men” by poet (he wrote the words of the Russian national anthem), and his Sidney Lumet, called "Twelve". At the last Cannes film Festival he mother, who was also a poet, is the daughter and niece of two very presented the sequel to "Burnt by the Sun", which unanimously famous painters. His older brother, who is known by his artistic received negative reviews from film critics.

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di storia d'Italia raccontati attraverso le vicende di Peppino e Mannina, interpretati da Francesco Scianna e Margareth Madè, appartengono al filone dei kolossal. Mentre veloce ed efficace è “ La Sconosciuta”, del 2006, storia efferata e misteriosa di una donna ucraina emigrata in Italia.

l film col quale Giuseppe Tornatore vince l'Oscar nel 1988, “Nuovo Cinema Paradiso” ha un destino emblematico. Il regista, nato a Bagheria nel 1956, aveva esordito un paio di anni prima con "Il Camorrista", tratto da un libro di Giuseppe Marrazzo. Un film ambizioso, ispirato alla violenza del cinema d'azione americano e insieme alla sanguigna teatralità della sceneggiata napoletana. Il camorrista del titolo sarebbe, sotto mentite spoglie, quel Raffaele Cutulo del quale si racconta l'ascesa in carcere fino alla fondazione della Nuova Camorra Organizzata. Del film, era stata prevista anche una versione di cinque ore per la televisione che non fu mai realizzata. Ma di quel gigantismo resta traccia nella prima versione di "Nuovo Cinema Paradiso", presentata nelle sale e subito ritirata grazie anche all'intelligenza del produttore. Franco Cristaldi capì infatti che dentro quelle quasi tre ore di immagini fascinose ma ridondanti c'era un grande film che andava aiutato a nascere. Così, insieme al regista, si mise all'opera e quando il film fu ripresentato, alleggerito di quasi mezz'ora, fu un trionfo in tutto il mondo. Salvatore Cascio detto Totò, il bambino con gli occhialoni da miope che assiste il proiezionista interpretato da Philippe Noiret, diventa un'icona, la sua faccetta sorridente e antica è una struggente dedica al cinema. Da allora,

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Nikita Michalkov belongs to a true family of artists. His father was a poet (he wrote the words of the Russian national anthem), and his mother, who was also a poet, is the daughter and niece of two very famous painters. His older brother, who is known by his artistic name, Andrej Konchalovskij, is a film director who been living in the United States for a long time. Families like this expect a lot from you. You can decide to hide yourself, but if you decide to throw yourself into the fray, then you have to do better than the others, and if possible better than anyone else. So this is what Michalkov did. He started by studying to be an actor in the best acting school in the world, the Moscow Art Theatre School, which was founded by Stanislavski, and much loved by Anton Cecov, who wrote his plays for his pupils. In fact, the genius of the Russian writer accompanied Michalkov throughout his career. One of his first films, which has the fascinating title "An Unfinished Piece for Player Piano", is in fact an adaptation of Platonov by Cecov. By more or less the middle of the sixties Michalkov had already perfected his own style, which was to become unmistakable: Quando “Nuovo Cinema Paradiso” uscì nelle sale italiane the great philosophical themes handled with the melancholy indolence of a Russian soul; non andò a vederlo nessuno. Gli incassi furono disastrosi, tranne the boundless landscapes of the countryside, a Messina, dove il film andò benissimo e non capivamo il perchè. men and women beset by nostalgia, but still capable of madness and sudden wisdom. Il gestore del cinema “Aurora” si ostinò The world of old Russia, represented as if tenerlo in cartellone, invitò la gente a entrare gratis e se il fim fosse everything was just one big theatre, besieged by the advent of the Soviet Union and the piaciuto alla fine avrebbero pagato. communist regime. It was inevitable that an Fu un trionfo che si espanse in tutta Italia. artist such as this would end up meeting the actor who more than anyone has embodied indolence, and both desire and Tornatore ha sempre oscillato tra kolossal scintillanti e un po' the difficulties of existence, the most Cecov like actor in the sbrindellati e sceneggiature precise a calibrate come congegni history of cinema: Marcello Mastroianni. By his side, the elettronici, come se davvero dentro di lui vivessero due anime unforgettable Silvana Mangano in her very last film. "Oci d'artista. Al secondo filone appartiene "Stanno tutti bene", Ciornie”; this was the title of the film, and it won Mastroianni the interpretato da Marcello Mastroianni in una delle sue ultime prize of best male actor at the Cannes Film Festival, as well as apparizioni. Film che viene addirittura ricomprato dagli americani giving the film director his first Oscar nomination. Instead, an per farne un remake. In "Everybody's fine", sarà Robert de Niro Oscar is what he won in 1994 with "Burnt by the Sun", set in il padre anziano che sentendosi prossimo alla fine decide di Stalinist Russia and recounted from the point of view of a Red andare a trovare i propri figli sparsi per il mondo. Perfetta e Army general, a retired hero of the Bolshevik revolution, a role sorprendente è anche la storia del film successivo, "Una pura interpreted by Michalkov himself. It was a film dedicated to all formalità", thriller dai risvolti metafisici, nel quale si affrontanto those who had been burnt by the revolutionary sun, as the title Roman Polanski e Gerard Depardieu in una gara di bravura della reads. However, according to many, his best film remains the quale è impossibile stabilire il vincitore. Sempre in bilico crude “Urga”, which was made a few years earlier. The film is set tra l'Italia e gli Stati Uniti, tra la Sicilia e la terra promessa, in Mongolia, and it tells the story of the lopsided friendship Giuseppe Tornatore non poteva che innamorarsi della storia di between a peasant from the Steppes and a Russian worker who is Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, nato e cresciuto sul building a road on his land, and it won a Golden Lion at the transatlantico che fa la spola sull'oceano, protagonista di un Venice film festival. Now a long way away from his successful romanzo di Alessandro Baricco. Che riadatta per lo schermo col period in the nineties, a few years ago Michalkov filmed a curious, titolo di "La leggenda del pianista sull'Oceano" scegliendo come and perhaps unnecessary re adaptation of the unforgettable “12 interprete un magico Tim Roth. "Malèna", con Monica Bellucci Angry Men” by Sidney Lumet, called "Twelve". At the last Cannes nella parte di una irresistibile siciliana che fa impazzire un paese film Festival he presented the sequel to "Burnt by the Sun", which intero, e "Baarìa", affresco della sua città di origine, cinquant'anni unanimously received negative reviews from film critics.

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di Ludovico Aleardo

LE DIVINE Le splendide protagoniste delle pellicole che ci hanno fatto sognare. Belle, brave, spregiudicate: sono le nostre eroine, interpreti di vite favolose e destini spesso tragici. Sono le donne ad aver incarnato con maggiore precisione quella chimera che si chiama successo.


Norma Jeanne Baker divenne Marylin Monroe a vent'anni. Quando la 20th Century Fox le propose il primo contratto cinematografico della durata di sei mesi, per un compenso di 75 dollari. Era stata scovata mentre lavorava in una fabbrica come impacchettatrice di paracaduti. Per una buffa coincidenza nello stesso reparto, a pochi metri da lei, lavorava anche Robert Mitchum, che alcuni anni dopo recitò al suo fianco ne "La magnifica preda". Norma Jeanne era cresciuta tra orfanotrofi e famiglie adottive. Senza un padre, e con una madre fragile che entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici. Si sposò a sedici anni con un vicino di casa per uscire dall'inferno. Poi, grazie alle foto scattate all'operaia della fabbrica, e finite magicamente sul tavolo di Howard Hughes, divenne Marylin Monroe. Ma anche per Marylin i primi anni furono complicati. Quando nel 1949 posò nuda per un servizio fotografico, lo stesso che anni dopo divenne leggendario e conteso a colpi di milioni, ottenne cinquanta dollari di paga. Tenne duro, e nel 1952 ebbe la sua prima copertina di Life. Era nata una stella. Ma con il successo non arrivò la sicurezza che cercava. Mentre tutto il mondo parlava di lei, Marylin ruppe il contratto con la Fox e sparì. Andò a New York a studiare all'Actor's Studio. Ma qualunque cosa facesse, nessuno l'avrebbe mai presa sul serio come artista e come attrice. Rimase sempre per tutti "una bellissima bambina" come scrisse in un commovente racconto l'amico Truman Capote. Una bambina di cui tutti, disperatamente, si innamoravano. Anche se la leggenda dice che l'unico che l'abbia mai amata davvero sia stato Joe di Maggio, il mitico campione di baseball. Che la sposò nel 1954 al termine di due anni di corteggiamento. Ma che cedette alla gelosia, lasciandola nelle mani del commediografo Arthur Miller. Quando però nel 1961 Marylin, distrutta da droghe alcool farmaci e depressione entrò in una clinica, fu lui, Joe, ad assisterla. E fu sempre lui che, ricevuta la notizia della morte di lei, il 5 agosto 1962, si occupò dei funerali. E ancora lui che per vent'anni fece recapitare sulla sua tomba, tre volte a settimana una dozzina di rose rosse. Marylin è il cinema. Lo splendore della sua pelle, il colore dei suoi capelli e quello dei suoi rossetti, la sua voce infantile, la camminata sui tacchi, persino quella leggera miopia che le arrotondava lo sguardo sono il cinema. Probabilmente non fu mai l'attrice straordinaria che tentò in tutti i modi di diventare. Del resto, come disse Wharol, che ne santificò l'immagine facendola diventare la regina della pop art, << non ho mai voluto essere un pittore. Volevo essere un ballerino di tip tap >>. Norma Jeanne Baker became Marylin Monroe when she was twenty years old, when 20th Century Fox proposed the first cinematographic contract to her for the duration of six months, for a pay of 75 dollars. She had been discovered while working in a factory as a parachute packer. There was a funny coincidence in the same department; a few yards from where she worked was Robert Mitchum, who a few years later acted alongside her in "The River of No Return." Norma Jeanne was raised in orphanages and foster homes. Without a father and a frail mother coming and going from psychiatric hospitals. She married at sixteen years of age to a neighbour to get out of her predicament. Then, thanks to photos taken of this factory worker, which magically ended up on the desk of Howard Hughes, she became Marilyn Monroe. However, even for Marilyn the initial years were complicated. When in 1949 she posed nude for a photo shoot, the same which years later would become legendary and worth millions, she was paid fifty U.S. dollars. She held firm and in 1952 was on the cover of Life magazine for the first time. A star was born. However, success did not give her the security she was looking for. While the whole world was talking about her, Marilyn terminated her contract with Fox and disappeared. She went to New York to study at the Actor's Studio. However, whatever she did, nobody would ever take her seriously as an artist and actress. She remained a "beautiful girl" to everyone, as told by her friend Truman Capote in a touching story. A girl that everyone desperately fell in love with, although legend says that the only one who never really loved her was Joe Di Maggio, the legendary baseball player. He married her in 1954 after two years of courtship, but gave in to jealousy, leaving her in the hands of the playwright Arthur Miller. When, however, Marilyn went into a clinical depression in 1961, destroyed by drugs, alcohol and pharmaceuticals, it was he, Joe, who went to help her. It was he who received the news of her death on 5 August 1962, and who arranged her funeral. And he had delivered a dozen red roses times a week to her crypt for 20 years. Marylin is cinema. The splendour of her skin, the colour of her hair and lipstick, her childish voice, the way she walked on her high heels, even that slight short sightedness that would round off her stare are cinema. She probably never was the extraordinary actress that she tried everything possible to become. Moreover, as Warhol said, who sanctified her image and made her become the queen of pop art, I never wanted to be a painter. I wanted to be a tap dancer.

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Molte attrici italiane sono state chiamate da Hollywood. Alcune non sono mai andate perchè avevano paura dell'aereo, altre ci hanno provato ma una volta in America gli mancavano i maccheroni. C'è chi ha fatto un film ed è stato un flop e chi ha fatto i figli ed è tornata a casa. L'unica attrice italiana che è diventata una diva anche in America è Sophia Loren. Chissà, forse un pò del merito va a quell'acca messa in mezzo al nome per renderlo meno napoletano, e che trasforma la bellissima figlia illegittima dell'insegnante di pianoforte Romilda Villani e Riccardo Scicolone, ingegnere mancato e affarista immobiliare, nella Miss Eleganza del concorso di Miss Italia del 1950. Sofia Villani Scicolone è di una bellezza esagerata. E' alta, prosperosa, ha occhi bocca naso grandi e perfetti, il suo volto sembra disegnato per stare sotto un riflettore e giocare con le ombre. Non poteva passare inosservata. Fu Carlo Ponti, l'amore di tutta la sua vita, a fare di lei una stella. La prima copertina di Life la conquista a poco più di vent'anni. E da allora non sbaglia più niente. Una carriera perfetta, giocata tra l'Italia e l'America, fino alla conquista dell'Oscar nel 1962 come migliore attrice protagonista de "La ciociara" di Vittorio de Sica, un ruolo che era stato rifiutato da Anna Magnani. Con De Sica l'attrice gira otto film, molti dei quali accanto a Marcello Mastroianni. La coppia Loren Mastroianni diventa una delle più affiatate e fortunate del cinema non solo italiano. Da "Matrimonio all'italiana" a "Una giornata particolare", da "I Girasoli" a "La moglie del prete" i due attraversano insieme il meglio del cinema degli anni sessanta e settanta. Diventano il simbolo del desiderio e della passione tanto che alcuni anni dopo, Robert Altman nel film "Prêt à porter" chiederà loro di rifare la celeberrima scena dello spogliarello di "Ieri oggi domani", diventata un cult. La Loren è stata diretta dai più famosi registi americani, ha fatto "La contessa di Hong Kong" con Charlie Chaplin un delizioso western di George Cukor intitolato "Il diavolo in calzoncini rosa", ha recitato accanto a Cary Grant e Frank Sinatra, con Paul Newman David Niven e Philippe Noiret ha interpretato un film dal titolo "Lady L", con la regia di Peter Ustinov tratto da un romanzo del geniale Romain Gary. Ha girato centinaia di film è stata moglie e madre. Ha avuto una carriera lunghissima, è considerata tra le donne più belle del mondo ma non si è mai voluta affrancare del tutto dalle sue radici popolari. Forse anche per questo è stata così amata. Sophia Loren è l'Italia, con la sua bellezza e la forza del passato. E quando, elegante sul palcoscenico, ha aperto la busta che conteneva il nome del vincitore dell'Oscar come miglior film straniero nel 1999 e ha gridato Roberto! tutti ci siamo commossi. Lei e Benigni abbracciati sul palco rappresentavano l'Italia che vorremmo sempre essere, intelligente, talentuosa ma insieme leggera. Many Italian actresses have been called by Hollywood. Some never got there because they were afraid of flying, while others tried but once in America they lacked the drive. Some acted in films which were flops, some have borne children and then returned home. The only Italian actress who also became a star in America was Sophia Loren. Maybe a bit of the credit can be given to the “h” put in the middle of her name to make it less Neapolitan, and which transformed the beautiful illegitimate daughter of the piano teacher Romilda Villani and Riccardo Scicolone, who almost became an engineer and did deals in real estate, into Miss elegance in the Miss Italy contest in 1950. Sofia Villani Scicolone is an exaggerated beauty. She is tall, prosperous, has big and perfect eyes, nose and mouth, and her face seems designed to fit under the spotlights and still stay in the shadows. She could not pass unnoticed. Carlo Ponti, the love of her life, made her a star. The first front cover on Life magazine won her fame when she was little more than twenty years of age. From that point onwards she got everything right. A perfect career, split between Italy and America, until in 1962 she won an Oscar as best leading actress in "Two Women" by Vittorio de Sica,, a role turned down by Anna Magnani. She acted in eight films with De Sica, many of them alongside Marcello Mastroianni. The Loren Mastroianni duo became one of the most cohesive and successful duos in cinema, and not only Italian cinema. From "Marriage Italian Style" to "A Special Day", from "Sunflowers" to "The Priest's Wife" the two of them together covered the best in cinema in the sixties and seventies. They became such a symbol of desire and passion that some years later, in Robert Altman's film "Pret a porter", he asked them to redo the scene of the famous strip in "Yesterday, Today and Tomorrow", which had became a cult film. Sophia Loren was directed by famous American film directors, and she acted in "A Countess from Hong Kong" with Charlie Chaplin, a delicious Western by George Cukor called "Heller in Pink Tights," and she starred with Cary Grant and Frank Sinatra, with Paul Newman David Niven and Philippe Noiret in a film called "Lady L", which was directed by Peter Ustinov, and was based on a novel by the brilliant Romain Gary. She has acted in hundreds of films, in which has interpreted the roles of wife and mother. She has had a very long career, is considered among the most beautiful women in the world, but has never wanted to distance herself entirely from her basic roots. Perhaps this is why she is so loved. Sophia Loren is Italy, with its beauty and the strength of its past. When, looking elegant on stage, she opened the envelope containing the name of the Oscar winner for best foreign film in 1999 she shouted Roberto! All of us were moved. Benigni and Sophia Loren hugging themselves on the stage represented the Italy we would always like to be: intelligent, talentful, but at the same time light hearted.

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Ostinatamente brava, tanto da diventare bella. Ma non bastava, Quanto bella avrebbe dovuto diventare per contrastare la meravigliosa Ingrid Bergmann, che venne in Italia per rubarle Roberto Rosselini? Anna Magnani non si tolse mai più dal volto il dolore di qull'abbandono. Oppure era nata così, con quell'espressione tragica che si apre di colpo in risate colossali, così tipica della gente di Roma. Anna è stata il volto di Roma. Non è un caso che Fellini la volle a tutti i costi, anche se solo per pochi minuti, nel suo film dedicato alla città. Anna Magnani di notte, che parla col regista, ride ed entra in un portone che si chiude alle spalle. Quella fu la sua ultima apparizione cinematografica. L'anno dopo, nel 1973, morì. Eppure, anche se a Roma era nata, la Magnani tornò a viverci solo da grande. L'infanzia l'aveva trascorsa ad Alessandria d'Egitto con la madre e il suo nuovo marito. Tornò per studiare musica e poi teatro, all'Accademia d'arte drammatica. I suoi primi lavori furono nella rivista, insieme ai fratelli De Rege, e nell'avanspettacolo di Totò. Dal 1941 recitò accanto al comico napoletano in una serie di fortunatissimi spettacoli. Poi arrivò il cinema. Le affidarono a lungo parti di secondo piano, cameriere, popolane, caratteriste. Un corpo e un volto come il suo, aspettavano un regista coraggioso, un innovatore, qualcuno che avesse in mente un cinema diverso. Quell'uomo era Roberto Rossellini, il maestro del neorealismo italiano. Che nel 1945 le diede il ruolo da protagonista in uno dei film più belli della storia del cinema: "Roma città aperta". Facendo di lei, in un attimo, l'icona di un cinema impegnato, politico, di grande rilevanza internazionale. Quando la loro relazione sentimentale finì in maniera tempestosa, la Magnani girò un film con la regia di Luchino Visconti, altro uomo da lei molto amato. "Bellissima" è la storia di una donna che vuole a tutti i costi che la figlia venga scelta dal regista Alessandro Blasetti come protagonista del suo film. E per questo si indebita, litiga col marito, finisce in un inferno di gente spaventosa. Un apologo terribile sul mondo del cinema e la sua volgarità. E' impossibile fare l'elenco di tutti i premi vinti da Anna Magnani: ha vinto tutto, compreso l'Oscar come migliore attrice protagonista per un film mediocre, “la Rosa Tatuata”, accanto a Burt Lancaster. E' stata Lady Torrance accanto a Marlon Brando in “Pelle di serpente”, tratto da una commedia di Tennessee Williams, e “Mamma Roma” per Pasolini. Persino Bette Davis disse che l'unica attrice al cui talento si inchinava era Anna Magnani. Lasciò il cinema per dedicarsi al figlio Luca, avuto dall'attore Massimo Serato, colpito dalla poliomelite. Anna Magnani è sepolta nel cimitero del Circeo, vicino alla casa che amava tanto. Obstinately good, so much so as to become beautiful. However, it wasn't enough. How beautiful would she have to become to compete with the marvellous Ingrid Bergmann, who came to Italy to take Roberto Rosselini away from her? Anna Magnani’s face has always expressed the pain of that abandonment. Or perhaps she was born that way, with that tragic expression which suddenly opens out into roaring laughter, which is so typical of Romans. Anna was the face of Rome. It is not a coincidence that Fellini wanted her at all costs, even if only for a few minutes in his film dedicated to the city. Anna Magnani at night time, speaking to the director, who laughs and enters a door that she closes behind her. That was her last film. A year later, in 1973, she died. Yet, even if she was born in Rome, Anna Magnani returned to live there only as an adult. She spent her childhood in Alexandria in Egypt with her mother and her new husband. She returned to study music, then theatre, at the Academy of Dramatic Arts. Her early works were in a magazine, together with the De Rege brothers, and in the variety show of Totò. From 1941 she acted alongside the Neapolitan comic in a series of successful performances. Then came her time in cinema. They gave her long but secondary parts, as a waitress, plebeian, and characteristic roles. A body and a face like hers needed a courageous director, an innovator, someone who had something new in mind. That man was Roberto Rossellini, the master of Italian neo realism, who in 1945 gave her the lead role in one of the best movies in film history: "Rome, Open City". It made her an instant symbol of a cinema scene that showed commitment, that was political, and which was important at an international level. When their romance ended badly, Magnani acted in a film directed by Luchino Visconti, another man she loved very much. "Bellissima" is the story of a woman who wants her daughter to be chosen by director Alessandro Blasetti as the star of his film at all costs. For this reason she gets into debt, argues with her husband and ends up in an inferno of frightening people. A terrifying fable on the world of cinema and its vulgarity. It’s impossible to list all the awards won by Anna Magnani: she won everything, including an Oscar for best actress in the mediocre film “The Rose Tattoo”, alongside Burt Lancaster. She was Lady Torrance next to Marlon Brando in “The Fugitive Kind”, adapted from a play by Tennessee Williams, and she was in “Mamma Roma” by Pasolini. Even Bette Davis said that the only actress whose talent she was in awe of was Anna Magnani. She left the cinema to devote herself to her son Luke, who she had with the actor Massimo Serato, who was stricken by polio. Actress Anna Magnani was buried in the Circeo, near the home she loved so much.

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Brigitte Bardot è francese, francesissima. E' la quintessenza della francesità. Adesso sembra un'affermazione ovvia, ma allora fu uno scandalo, una rivoluzione copernicana. A metà degli anni cinquanta, quando Roger Vadim decise di lanciare quella che allora era anche sua moglie nel firmamento delle star, cucendole addosso un film che la affrancava dai ruoli di stupida biondina, "Et “Dieu... créa la femme”, le dive erano tutte americane. Floride signore dalle acconciature impeccabili, le spalle larghe e l'aspetto adulto. O minacciose e affilate compagne di avventure, con gli occhi bistratti e la sigaretta in bocca. Persino lei, la divina per eccellenza, Greta Garbo, cancellò in fretta le origini svedesi per diventare un'americana eccentrica. Bibì no, Bibì rimase sempre ostinatamente una monella della Cote d'Azur. Con il suo accento sensuale e quell'aria da ragazzaccia che faceva impazzire gli uomini. "visto di spalle", scrisse di lei Simone de Beauvoir, "il suo corpo di ballerina, minuto, muscoloso, è pressoché androgino; la femminilità balza esuberante dal suo busto incantevole; sulle sue spalle scende la lunga e voluttuosa chioma di Melisenda, acconciata però con una negligenza da selvaggia; le sue labbra accennano un broncio puerile e nello stesso tempo invitano a baciare; cammina a piedi nudi, se ne infischia di come è vestita, non porta gioielli, non ricorre a busti, non si profuma, non fa uso di nessun artificio, purtuttavia le sue movenze sono lascive, e un santo si dannerebbe soltanto a vederla danzare". Sembrava, la Bardot, una di quelle ragazzine che non porteresti mai con te a una cena, per paura che infilino le mani nella torta o spengano la sigaretta nel cocktail della signora antipatica. Aveva solo quindici anni quando apparve sulla copertina di Elle. A diciotto anni debutta nel cinema. Ma un film veramente bello non l'ha mai fatto. Forse "Il disprezzo" di Godard tratto dal romanzo di Moravia, dove interpreta una irresistibile fanciulla con un destino fatale, o magari “Viva Maria” di Louis Malle, commedia scombinata e libertaria. Ma davvero niente di indimenticabile. Come è riuscita una ragazzina dalla bellezza non eclatante, dal talento labile, e persino un pò scostante a diventare la regina dei nostri sogni? C'è qualcosa nel suo modo di essere che fa sentire il pericolo, questo è il suo segreto. Incarna il peccato, l'ostinazione a stare fuori da qualsiasi familiarietà, percorrendo in equilibrio il filo dell'indecenza. L'impossible sogno dell'uomo sposato, la chiamava Marguerite Duras. Per lei Serge Gainsbourg scrisse la più erotica delle canzoni, “Je t'aime... moi non plus”, ma quando i due si lasciarono, lui la fece cantare alla sua nuova fiamma, Jane Birkin. Divenne un successo strepitoso. Pochi anni dopo la Bardot scompare. Si chiude nella sua casa di campagna con gli amati cani e adieu, rien ne va plus. Brigitte Bardot is French, very French. She is the quintessence of Frenchness. It now seems an obvious statement to make but at the time it was a scandal, a Copernican revolution. In the middle of the fifties, when Roger Vadim decided to launch the woman who at the time was also his wife as a star, by making her act in a role which marked her as a dumb blonde: “Et Dieu... crea la femmme”, the female stars were all American. Blooming ladies with impeccable hairdos, wide shoulders and an adult look, or threatening and tough adventure companions, with downtrodden eyes and a cigarette hanging out of their mouths. Even Greta Garbo, a star by definition, quickly shed her Swedish origins to become an American eccentric. Bibì didn’t, Bibì always remained obstinately a Cote d’Azur tomboy. With her sensual accent and that tomboy look which made men crazy for her. “Seen from behind” wrote Simone de Beauvior of her “her ballerina body, minute, muscular, and almost androgynous; her femininity exuberantly and enchantingly stands out from the waist up. From her shoulders the long and voluptuous hair of Melisenda, with a wild and negligent look, however. Her lips have a childish pout which at the same time seemed to invite you to kiss them. She walks barefoot, she doesn’t care how she dresses, she doesn’t wear jewellery, she doesn’t use bras, she doesn’t wear perfume, and she doesn’t make use of any artifices. However, her movements are lascivious, and even a Saint would gladly sin to see her dance”. Bridgette Bardot seemed one of those young girls you would never take to dinner, for fear that she would stick a finger in a cake or put out her cigarette in the cocktail of a lady who is being nasty. She was only fifteen years old when she appeared on the cover of Elle magazine. At eighteen years of age she made her debut in cinema. However, she was never in a really good film. Perhaps “Contempt” by Godard, taken from the novel by Moravia, where she plays the role of an irresistible young girl with a fatal destiny, or rather “Viva Maria” by Louis Malle, a disconcerting and libertarian comedy, were good films. However, she didn’t do anything unforgettable. How did a young girl who wasn’t a striking beauty, had flimsy talent, and was even a bit unfriendly, become an object of desire? There was something in the way she was which made you sense danger, this was her secret. She embodied sin, the obstinacy of keeping away from any sense of familiarity, balanced on a fine line between decency and indecency. The impossible dream of married men, so called her Marguerite Duras. Serge Gainsbourg composed a very erotic song about her; “Je t'aime... moi non plus”, but when they separated he got his new flame, Jane Birkin, to sing it. It became a tremendous success. A few years later Brigitte Bardot disappeared. She closed herself inside her house in the country and adieu, rien ne va plus.

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di Valeria Palieri

QUAGGIÙ QUALCUNO TI AMA Dal leggendario Rocky Graziano, all'indimenticabile protagonista de “Il colore dei soldi”. Un doveroso omaggio a “lo spaccone” del grande schermo, Paul Newman, the hollywood legend.


“Recita la sua parte con il fervore emotivo di un autista di autobus che annuncia le fermate locali”. Era il 1954 quando il “The New Yorker” stroncava, con poca lungimiranza, l'esordio cinematografico del giovane attore americano Paul Newman, al suo primo contratto con la Warner Bros, nel kolossal epico religioso “Il calice d'argento” del regista Victor Saville. Nato e cresciuto nell'Ohio, a Shaker Heights, un elegante sobborgo nei pressi di Cleveland, ma di origini europee, il futuro divo di Hollywood intraprende la carriera di attore dopo aver accantonato, per problemi alla vista, il sogno di diventare pilota. L’incertezza degli esordi diventa un ricordo, seppur spiacevole, fugacemente allontanato con l’interpretazione, nel 1956, del pugile statunitense di origini italiane, Rocky Graziano, The Rock, nella pellicola “Lassù qualcuno mi ama” che lo impone all’attenzione del pubblico americano e della stampa di settore. I suoi proverbiali occhi azzurri, il sorriso aperto che ostenta con audacia, e quella filantropica umanità lasciata trasparire senza timore gli aprono di diritto le porte dell’Olimpo hollywoodiano, trasformandolo non solo in un idolo del pubblico femminile ma in un esempio per quella generazione cresciuta più tra i vizi che tra le virtù delle star del grande schermo. Dopo le seconde nozze con l’attrice Joanne Woodward (Oscar come migliore attrice per “La donna dai tre volti), alla quale rimarrà legato per tutta la vita, recita al suo fianco in “La lunga estate calda”, “Paris Blues”, Un uomo oggi”, Mr. e Mrs.Bridge”. Ma sono gli anni ’60 a consacrarlo indelebilmente come “The Hollywood Legend” dei cult movie “La gatta sul tetto che scotta” (1958), al fianco di Elizabeth Taylor, “ Lo spaccone” (1961), “Hud il selvaggio” (1962), “Intrigo a Stoccolma” (1963), “Il sipario strappato” di Alfred Hitchcock (1966), “Nick mano fredda” (1967) e “Butch Cassidy” (1969) nel ruolo del famoso criminale statunitense. Nel 1973 una delle sue pellicole più famose, “La stangata”, colleziona ben 7 premi Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura originale, montaggio, scenografia, costumi, miglior colonna sonora), ma per Paul Newman l’ambita statuetta arriva soltanto nel 1986 con l’Oscar alla carriera, a cui segue, l’anno seguente, quello come miglior attore protagonista nella pellicola “Il colore dei soldi” diretto dal regista Martin Scorsese. Nel 1978 la tragica scomparsa di suo figlio Scott lo spinge verso altri ambiziosi progetti, come la regia del drammatico “Harry & Son” (1984). Il suo debutto dietro la macchina era avvenuto nel 1961 con il cortometraggio “On the Harmfulness of Tobacco” mentre l’ultima sua regia sarà “Lo zoo di vetro”, presentato in concorso al 40° Festival di Cannes. “He acts his part with the emotional fervour of a bus driver announcing local stops”. It was in 1954 when “The New Yorker” slammed, at that time with little foresight, the cinematographic debut of the young American actor Paul Newman, on his first contract with Warner Bros, in the blockbuster religious epic film “The Silver Chalice” by film director Victor Saville. Born and bred in Ohio, in Shaker Heights, an elegant area in the suburbs of Cleveland, but of European origin, the future star of Hollywood started his career as an actor after having given up, because of his eyesight, his dream of becoming a pilot. The uncertainty of his first films became a memory, even though it was a disagreeable one, which was fleetingly dismissed in 1956 with his interpretation of an American boxer of Italian origin, Rocky Graziano, The Rock, in the film “Somebody up there likes me” which brought him to the attention of the American public and the specialised press. His proverbial blue eyes, his open smile, which he would so boldly flaunt, and that philanthropic humanity which betrayed no fear, gave him the right to reach the Olympian heights of Hollywood, transforming him not only into a sex symbol but an example for a generation which had grown up more with the vices than the virtues of the stars of the silver screen. After his second marriage with actress Joanne Woodward (who won an Oscar as best actress in “The Three Faces of Eve”), to whom he remained tied all his life, he would act with her in films, including among others, “The Long, Hot Summer”, “Paris Blues”, “WUSA”, “Mr. & Mrs. Bridge”. However, it was in the 60s that he indelibly became “The Hollywood Legend” with the cult movies “Cat on a hot tin roof” (1958), starring alongside Elizabeth Taylor, “The Hustler” (1961), “Hud” (1962), “The Prize” (1963), “Torn Curtain” by Alfred Hitchcock (1966), “Cool Hand Luke” (1967) and “Butch Cassidy” (1969) as the famous American criminal of the Wild Bunch. In 1973 he acted in one of his most famous films, “The Sting”, which was awarded 7 Oscars (best film, film director, original screenplay, editing, set, costumes, and soundtrack), but Paul Newman had to wait until 1986 to get his hands on the much sought after statuette, with an Oscar for his career. A year later he was to win an Oscar for best actor in a leading role in “The Color of Money” by the film director Martin Scorsese. In 1978 the tragic death of his son Scott pushed him towards other, more ambitious projects, such as directing the dramatic film “Harry & Son” (1984), with a debut behind the camera he tried to emulate for the last time in 1987 with “The Glass Menagerie”, presented as one of the competing films at the 40th Cannes Film Festival.

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di Silvia Cutuli

LA DOLCE VITA Com’era dolce vivere a Roma cinquant’anni fa. Seduti ai tavolini dei caffè di via Veneto, Federico Fellini ed Ennio Flaiano Walter Chiari ed Ava Gardner, illuminati dai flash dei paparazzi inventavano il mito di una Roma impudica e creativa. Una città dalla quale passava tutto il jet-set internazionale ma capace anche di produrre capolavori indimenticabili.


How sweet it was to live in Rome fifty years ago. Star dust in the air, the dust of the stars who had found their Hollywood on the Tiber: Audrey Hepburn, Ursula Andress, Lauren Bacall, Humprey Bogart, Ava Gardner, just to name a few. Stars of the big American productions who were animating the studios of Cinecittà as well as the streets of beautiful Rome, inaugurating a period that of Roman film making capable of giving life to some of the most passionate pages of the history of Italian custom . A “hippy" and special decade in which the film director Federico Fellini was one of the first to capture its intimate and secret soul, immortalized in the cult film" La dolce vita " which was booed at its fist showing in Rome but also rewarded at the 13th Cannes Film Festival with a Golden Palm a frenetic and "splendid" Rome, in the wake of post war optimism, the housing boom and the economic miracle. Thus the music of Nino Rota caressed such a shameless and brazen city as if it was Los Angeles, New York, London or Paris; a city of passion, stolen kisses and ephemeral pleasures, lost at night under the moon in Via Veneto. An elite place to be seen and to see Fellini and Ennio Flaiano sitting at a table at the Café de Paris, where they would normally meet, along with the stars and starlets of the international jet set having a chat, interrupted only by the "click" of indiscrete cameras, which would later give us unforgettable pictures of a Rome for gossip magazines. They were taken by the mythical which is the appropriate way of describing them "paparazzi", perched behind hedges and bushes, and ready to launch themselves in pursuit of movie stars (which perhaps at the time had not yet been labelled as VIPs), riding a Vespa or a Piaggio, or driving a Fiat 500. Historical Figures which Fellini renamed in 'La Dolce Vita". In fact, Paparazzo was just the faithful

om’era dolce vivere a Roma cinquant’anni fa. Nell’aria polvere di quelle stelle che sul Tevere avevano trovato la loro Hollywood: Audrey Hepburn, Ursula Andress, Lauren Bacall, Humprey Bogart, Ava Gardner, solo per citarne alcune. Stars delle grandi produzioni americane che avevano preso ad animare gli studios di Cinecittà e insieme le strade di Roma, inaugurando un periodo quello del cinema made in Rome capace di dare vita ad alcune delle più appassionate pagine della storia del costume d’Italia. Un decennio “friccicarello” e speciale di cui il regista Federico Fellini tra i primi, colse l’anima più intima e segreta, immortalando nella pellicola culto “La dolce vita” fischiata alla prima romana ma anche premiata al 13° Festival di Cannes con la Palma d’Oro una Roma frenetica e “piaciona” sulla scia dell’ottimismo del dopoguerra, del boom edilizio e del miracolo economico. Le note di Nino Rota accarezzano così una città impudica e sfacciata al pari di Los Angeles, New York, Londra e Parigi, fatta di passioni amorose, baci rubati e piaceri effimeri, di notti perdute sotto la luna in via Veneto. Luogo eletto per essere visti e per vedere seduti ad un tavolo del Café de Paris, dove erano soliti incontrarsi Federico Fellini ed Ennio Flaiano, insieme a divi e divine del jet set internazionale. Immersi in un chiacchiericcio lento, interrotto soltanto dai “click” di obiettivi indiscreti, che restituiranno poi immagini indimenticabili di una Roma da rotocalco. A firmarle, i mitici è proprio il caso di dirlo “paparazzi”: appollaiati dietro siepi e cespugli e pronti a lanciarsi all’inseguimento del divo (allora forse non ancora identificato come vip) in sella a Vespe Piaggio o Fiat 500. Storiche figure che

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photographer accompanying Marcello, a disillusioned journalist and aspiring writer played by the great Marcello Mastroianni who was swept off his feet by the Roman nights, exuberant like the dip (cinematographic) in the Trevi Fountain by the fascinating Anita Ekberg. She, Anita and the others: Audrey, Kim, Ava, Ingrid, Liz, actresses and interpreters of the American dream, capable of winning over the Romans and in turn fascinated by such a secret and precious Rome, with its artisan shops and ateliers. Like in Via Toscana, where the doors to the kingdom of Fernanda Gattinoni would open. She was a leader of fashion who gave her name to one of the longest surviving tailors from just after the war to the present day. This was where Audrey Hepburn would usually come, sipping a glass of freshly squeezed orange juice on an hourly basis, in between trying on dresses, yielding to the delights of rustling silk and chiffon. The actress and the tailor from Varese an adopted Roman liked each other immediately. She was born at the time of the blockbuster film "War and Peace" which earned the Gattinoni Maison an Oscar nomination for best costume design. The power of the film stars and the jet set, who in this way started frequenting the studios, and also Roman tailors, together, becoming the best testimonials to Italian high fashion in other countries. A magic moment for Italian products, which were on the front pages of the papers as much as the stars. Together with Tyrone Power’s wife Linda Christian, the white dress made for her by the Fontana Sisters was seen all over the world, bringing international attention to the studio in Via San Sebastianello, along with Zoe, Giovanna and Micol, who affectionately remember their clients, the actresses of the Roman Dolce Vita, in the following way: "When they undressed in the ateliers, they took off not only their clothes but the masks the entertainment world wanted them to wear. They talked about love, lovers and betrayal and that I couldn’t avoid transferring all this to the clothes I was creating for them".

proprio Fellini così ribattezzò ne “La Dolce Vita”. Paparazzo infatti altro non era che il fedele fotoreporter al seguito di Marcello, disincantato giornalista e aspirante scrittore interpretato dal grande Marcello Mastroianni rapito dalle notti romane, esuberanti al pari del bagno (cinematografico) nella Fontana di Trevi dell’affascinante Anita Ekberg. Lei, Anita e le altre: Audrey, Kim, Ava, Ingrid, Liz: attrici ed interpreti dell’american dream, il sogno americano, capaci di conquistare i romani e a sua volta ammaliate da quella Roma segreta e preziosa, fatta di botteghe artigiane e di atelier. Come in via Toscana dove si aprivano le porte del regno di Fernanda Gattinoni, signora della moda che diede il nome ad una delle sartorie più longeve dal dopoguerra ad oggi. Qui Audrey Hepburn era solita intrattenersi sorseggiando una spremuta d’arancia all’ora, tra una prova d’abito e l’altra, cedendo ai piaceri di sete e chiffon fruscianti. Un colpo di fulmine quello tra l’attrice britannica e la sarta varesina romana d’adozione nato ai tempi del Kolossal cinematografico “Guerra e Pace” che valse alla maison Gattinoni la nomination all’Oscar per i costumi. Potere delle divine del cinema e del jet set, che presero così a frequentare insieme agli studios anche le sartorie romane, diventando migliori ambasciatrici dell’alta moda italiana all’estero. Un momento magico per il made in Italy, che conquistò le pagine dei giornali al pari di un divo. Insieme a Linda Christian sposa di Tyron Power, fu l’abito bianco confezionato per lei dalle Sorelle Fontana a fare il giro del mondo, portando alla ribalta internazionale l’atelier di via San Sebastianello, insieme a Zoe, Giovanna e Micol, che così ricordano con affetto le clienti attrici della dolce vita romana: “Quando si svestivano in atelier, si toglievano insieme agli abiti la maschera che il mondo dello spettacolo voleva che indossassero. Parlavano di amori, amanti e tradimenti ed io non potevo che trasferire tutto questo nelle creazioni che per loro realizzavo”.

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FALL / WINTER 2010/11


LA DOLCE VITA
























































di Valeria Palieri

INSEGUENDO IL MITO DELLA HOLLYWOOD SUL TEVERE Porta il nome di un periodo memorabile della storia della cinematografia made in Rome. “Hollywood sul Tevere”, presentato in anteprima alla 66° Mostra del Cinema di Venezia, è il documentario di Marco Spagnoli che racconta per immagini due decadi che hanno cambiato la storia del cinema (e non solo) italiano e internazionale.



Erano gli anni di “Vacanze romane”, “Ben Hur” e “Cleopatra”, quando un’ eterea Audrey Hepburn si aggirava leggiadra tra le vie della città eterna, al guinzaglio l’amico di sempre, uno yorkshire terrier vezzosamente chiamato Mr. Famous. Gli anni di Ursula Andress, Lauren Bacall, Humphrey Bogart e Joan Fontaine, Clarke Gable e Gregory Peck. All’ombra del Colosseo Louis Armstrong, in compagnia della moglie, sorrideva agli obiettivi dei fotografi, mentre la bellezza “notturna e dolente” di Ava Gardner si concedeva agli sguardi del pubblico, accalcato sugli spalti, dopo il match calcistico Lazio Napoli, datato 19 dicembre 1957. Non di rado era possibile avvistare Alfred Hitchcock, imperturbabile e solenne, nel traffico, ancora domabile, della stazione Termini. Anni patinati e in bianco e nero resi ancora più glam e indimenticabili dalle fastose produzioni

107 Chasing the legend of Hollywood on the Tiber. These were the years of “Roman Holiday”, “Ben Hur” and “Cleopatra”, when an ethereal Audrey Hepburn gracefully skipped around the streets of the eternal city, accompanied by her lifelong friend, the charmingly named Yorkshire terrier, Mr. Famous. The years of Ursula Andress, Lauren Bacall, Humphrey Bogart and Joan Fontaine, Clarke Gable and Gregory Peck. In the shade of the Colosseum, while in the company of his wife, Louis Armstrong, smiled for the cameras, as the “nocturnal and pained” beauty of Ava Gardner revealed itself to the eyes of the spectators crowded into the stands after the Lazio Napoli football match of the 19th December 1957. It wasn’t rare to see Alfred Hitchcock, solemn and unflappable, in the traffic which was less severe back then of Termini station. Sleek years in black and white which were made even more


cinematografiche, feste e mondanità. La moda era il cinema e il grande schermo si rivestiva di moda: Gattinoni e le Sorelle Fontana ospitavano nei propri atelier le più acclamate star d’oltreoceano. Erano gli anni di “Hollywood sul Tevere”, due decadi indimenticabili e indimenticate che Cinecittà Luce omaggia nel primo film di montaggio del regista, giornalista e critico cinematografico Marco Spagnoli. “Un viaggio visivo di matrice postmoderna all’interno di due decadi che hanno cambiato per sempre la storia del cinema italiano ed internazionale”, spiega il regista che ha diretto un lungometraggio frutto di uno scrupoloso lavoro di ricerca, supportato dal montaggio di Patrizia Penzo e dalle musiche di Pivio e Aldo De Scalzi. Un progetto diventato realtà grazie all’archivio dell’Istituto Luce, una sorta di ‘scrigno delle meraviglie’ dal valore

108 glamorous and unforgettable by the sumptuous cinema productions, parties and social scene. Fashion was cinema and the silver screen clothed itself in fashion: Gattinoni and the Fontana Sisters received the biggest international stars in their atelier. These were the years of Hollywood on the Tiber, two unforgettable and unforgotten decades which Cinecittà Luce pays homage to in the first montage film by the director, journalist and cinema critic Marco Spagnoli. “A visual journey with a postmodern matrix within two decades which changed the history of Italian and international cinema forever”, explains the director who has directed a feature film which is the result of a meticulous research, supported by the editing of Patrizia Penzo and the music of Pivio and Aldo De Scalzi. A project which came to fruition tank to the archives of Istituto Luce, a sort of priceless ‘treasure chest of wonders’ full of memories, stolen moments




inestimabile colmo di ricordi, attimi rubati e cartoline di un’Italia raggiante. “Come Zio Paperone che fa il bagno tra le monete del suo deposito, mi sono tuffato in un mare magnum fatto di Cinegiornali e di fotografie spiega il regista Marco Spagnoli al punto di arrivare quasi a commuovermi per il loro fascino e la loro bellezza. “Hollywood sul Tevere” continua vuole essere soprattutto l’emblema di questa grande qualità di immagini, rilette, rimontate secondo una sensibilità moderna per mostrarne, il fascino, la forza e la grandissima sensualità e bellezza.” Un documentario dunque, in onda a novembre sul canale satellitare Studio Universal e in home video prima di Natale.

111 and postcards from a radiant Italy. “Just like Scrooge McDuck bathing amongst the coins in his deposits, I dived into a sea of newsreels and photographs explains the director Marco Spagnoli and was almost overwhelmed by their charm and beauty. “Hollywood sul Tevere” he continues is intended above all to be an emblem for this great quality of images which have been revisited and re edited in accordance with a modern sensitivity to show their charm, strength and great sensuality and beauty.” The documentary will be aired in November on the satellite channel Studio Universal and will be available on home video before Christmas.


di Ludovico Aleardo

VITTORIO DE SICA Attore, regista, cantante. Diceva di se stesso: il cinema è un’arte che si scrive sull’acqua. L’inventore del Neorealismo, un artista capace di film commoventi e importanti e insieme di leggerezza e ironia.




aVittorio de Sica era bello, bravo pieno di talento. E aveva un dono: qualunque cosa facesse, anche la più difficile, non solo la faceva bene, ma riusciva a farla in modo che avesse successo. Inarrivabile nel mettere insieme il basso e l'alto, l'arte con l'intrattenimento, il coraggio con la popolarità. Tutto quello che toccava lo trasformava in oro. Era nato in Ciociaria, da una famiglia borghese, ma visse a Napoli, poi a Firenze e infine da ragazzo si trasferì a Roma. Iniziò giovane a lavorare a teatro e a trent'anni fondò la sua compagnia con Sergio Tofano e Giuditta Rissone, sua prima moglie. In quegli anni inizia anche a lavorare nel cinema, in commedie garbate. Era il cosiddetto cinema dei telefoni bianchi, con dive e divi eleganti e trame esplicitamente attinte dalla commedia americana del genere Frank Capra. Mario Camerini e Alessandro Blasetti erano i registi, De Sica, Alida Valli, Isa Miranda, Paolo Stoppa, Massimo Girotti alcuni degli acclamati interpreti. L'Italia degli anni trenta che sognava appartamenti eleganti, mondanità, amori appassionati. Nel 1939 De Sica debutta come regista, in una commedia in tono col gusto dell'epoca dal titolo "Rose Scarlatte". Per molto tempo, le sue regie non si discostarono molto da quel genere. Nel 1942 gira "Un garibaldino al convento" e si innamora della sua protagonista, l'attrice catalana Maria Mercader (sorella di Ramon Mercader, l'assassino di Trotsky) con la quale, dopo la fine del primo matrimonio, ebbe i due figli Manuel e Christian. L'anno dopo inizia la sua collaborazione con Cesare Zavattini. Con lui, in pochi anni scrive la storia del cinema italiano. "Sciuscià", "Ladri di biciclette" (entrambi premio Oscar come miglior film straniero) "Miracolo a Milano" e "Umberto D.": era nato il Neorealismo. Attori presi dalla strada, storie di gente che si arrabatta per campare.

Vittorio de Sica was handsome, a good person and very talented. He had a gift: whatever he did, even the most difficult thing, he not only did it well, but he would do it in such a way as to make it a success. He was unbeatable at putting highs and lows together; art with entertainment, courage with popularity. Everything he touched turned to gold. He was born in Ciociaria from a middle class family, but lived in Naples, in Florence and then moved to Rome as a boy. He began working in theatre at a young age and when he was thirty he founded his company with Sergio Tofano and Judith Rissone, his first wife. In those years he also began working in film, in polite comedies. It was the so called cinema of white telephones, with elegant stars and starlets and plots explicitly drawn from Frank Capra type American comedy. Mario Camerini and Alessandro Blasetti were the directors, and De Sica Alida Valli Isa Miranda Paolo Stoppa and Massimo Girotti some of the acclaimed performers. In the thirties Italians dreamed of elegant apartments, worldliness, and passionate love. 1939 saw De Sica's debut as a film director, in an intone comedy called "Scarlet Rose" which followed the trends of those times. For a long time his filming didn’t move away from this genre. In 1942 he filmed "A Garibaldian in the Convent” and fell in love with the film’s star, the actress Maria Mercader Catalan (the sister of Ramon Mercader, Trotsky’s assassin) with whom, after the first marriage ended, he had two children Manuel and Christian. The following year he began working with Cesare Zavattini. With Ceasre he wrote the history of Italian cinema in a few years. "Shoeshine", "Bicycle Thieves" (both won the Oscars for Best Foreign film), "Miracle in Milan" and "Umberto D": neo realism was born. Actors taken from the



I poveri fanno il loro ingresso nel cinema, le città rivelano panorami insospettati. Ma Vittorio de Sica è malato di gioco. Nei Casinò di tutto il mondo butta tutto quello che guadagna e spesso è costretto ad accettare di fare l'attore in film mediocri pur di ripianare i debiti. E' impressionante quanto ha lavorato nella sua carriera. Cinema teatro televisione, senza mai farsi spaventare dal suo passato e dal rischio di sbagliare. Dopo il periodo neorealista, De Sica osa ancora e punta in alto: gira "L'oro di Napoli" e, nel 1960, "la Ciociara", tratto da un racconto di Moravia. Protagonista una Sophia Loren ispiratissima, che grazie alla sua interpretazione di Cesira vince tutto, compreso un Oscar. E poi ancora "Ieri oggi e domani" "Matrimonio all'italiana" "Il giardino dei Finzi Contini" dal romanzo di Bassani, col quale vince l'Orso d'Oro al Festival di Berlino. Nel 1974 gira il suo ultimo film, "Il viaggio", sempre con Sophia Loren. Muore tra le braccia del figlio Christian, il 13 novembre 1974 all'ospedale di Neuilly sur Seine, vicino a Parigi. Christian, nel suo libro di memorie intitolato "Figlio di papà" racconta così: "Io recitavo in teatro a Milano. Mia madre mi ha chiamato. Ho preso il primo aereo. Sono arrivato all'ospedale, ho visto papà. Il vestito attaccato alla stampella. Quello blu. Gessato. Elegante. Non aveva più voce. Mi disse: "Christian, molla tutto e vieni via con me, mi faccio un ultimo ciclo della cura, poi torniamo a Montecarlo. Stai vicino a mamma, Christian, e soprattutto guarda che bel culo che c'ha quell'infermiera".

L'indignazione morale è in molti casi al 2 per cento morale, al 48 per cento indignazione, e al 50 per cento invidia.

street, stories of people who strive for a living. The poor came into cinema, cities revealed unexpected sights. However, Vittorio de Sica had a gambling habit. In Casinos all over the world he would spend everything he earned, and he was often forced to act in mediocre films just to settle the debts. It’s amazing how hard he worked during his career. Film, theatre and television, without ever worrying about his past or making mistakes. After the neorealist period, De Sica dared once again to aim high: he filmed "The Gold of Naples" and in 1960 "Two Women," taken from a story by Moravia. A highly inspired Sophia Loren was the star, who thanks to her interpretation of Cesira won everything, including an Oscar. Then he filmed "Yesterday, Today and Tomorrow", "Marriage Italian Style", "The Garden of the Finzi Continis" from a novel by Bassani, with which he won a Golden Bear award at the Berlin Film Festival. In 1974 he directed his last film, "The Journey", again with Sophia Loren. He died in the arms of his son Christian on 13 November 1974 in a hospital in Neuilly sur Seine, near Paris. This is what he wrote in a book of his memoirs called "Son of a wealthy family:" I was acting in a theatre in Milan. My mother called me. I took the first flight. I arrived at the hospital, and saw Dad. His suit was hanging on his crutch. The blue one. Pinstriped. Elegant. He had no voice. He told me: "Christian, drop everything and come with me, I’ll do another treatment cycle and then we’ll go to Monte Carlo. Stay close to Mom, Christian, and above all look at what a nice backside that nurse has got".

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ANTONIO D CURTISCHA CHAPLINBU KEATON


di Dick Diver

DE ARLIE USTER Tre maschere indimenticabili. La comicità espressa attraverso il corpo la gestualità l’eloquente silenzio e la parola irriverente degli inventori della moderna epica del sorriso.


Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera


Il padre naturale di Antonio de Curtis detto Totò era un principe. Che però lo riconobbe soltanto molti anni dopo la sua nascita, quando era già un attore molto famoso. Nel frattempo, perchè disperatamente voleva un padre, Totò si era fatto adottare dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, in cambio di un piccolo stipendio. Dal marchese, oltre alla parentela, ricavò una sfilza di titoli nobiliari dei quali andò sempre fiero. Totò era nato a Napoli, al rione Sanità, e a scuola non ci volle andare. Al collegio dove passò qualche anno, ricevette un cazzottone in faccia dal suo maestro di boxe. Il naso deviato, si andò ad aggiungere alla strana mascella e agli occhi sgranati perfezionando quella buffa maschera tragica che è il suo volto. Con quel volto e il corpo dinoccolato da marionetta si cuce addosso il personaggio col quale debutta con grande successo nel teatro di varietà. Non era bello Totò, ma le donne lo adoravano. Doveva essere galante, e di modi squisiti. Lasciò Napoli per Roma, in cerca di fortuna e subito la trovò. Quando tornò nella sua città, preceduto dalla fama, ricco e generoso, le femmine gli cadeva ai piedi. Una sera, mentre recitava al Teatro Nuovo, vide in sala una donna bellissima. Si chiamava Liliana Castagnola, ed era una delle più celebri chanteuse del caffè concerto. Una femme fatale, nel cui passato c'erano storie appassionate e persino una sparatoria con un amante. Che la ferì al volto, lasciandole sulla guancia una cicatrice che lei copriva con un elegante caschetto di capelli neri alla Valentina. Totò le mandò un mazzo di rose e i due divennero amanti. Ma lei, il cui fascino aveva travolto schiere di uomini, stavolta si innamorò follemente del principe napoletano, il "bambino centenario, l'angelo pazzo" come lo chiamava Fellini. E quando lui, per sfuggire alla morsa della gelosia e del possesso che lei gli aveva chiuso intorno, lasciò Napoli per una nuova tournée, lei, sola nella sua stanza d'albergo, mandò giù una scatola di barbiturici. «Grazie per il sorriso che hai saputo dare alla mia vita disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l'avevo promesso e mantengo», lasciò scritto. Totò non potè mai perdonarsi quella morte. Volle che fosse sepolta nella sua tomba di famiglia, e quando nacque la sua prima bambina, figlia di Diana Bandini Lucchesini Rogliani, la chiamò Liliana in suo onore. Dopo il teatro venne il cinema. All'inizio Totò scelse film bizzari, sperimentali. Lavorò con Anton Giulio Bragaglia, mise in scena testi di Achille Campanile e Nino Martoglio. Negli anni quaranta tornò al teatro, con la grande rivista. In questo periodo conobbe Anna Magnani e la loro coppia, sulla scena, ebbe un grandissimo successo. Quando la Magnani fece "Roma città aperta" di Rossellini ed esplose come attrice anche in campo internazionale, i due si divisero e Totò tornò al cinema. Ma stavolta con esiti trionfali. Siamo agli inizi degli anni cinquanta e film come "I due orfanelli" o "Totò a colori", "L'imperatore di Capri" o "Totò le mokò" lo trasformano in un fenomeno di massa. La formula è sempre la stessa: parodie di film celebri, sceneggiature quasi inesistenti sulle quali lui improvvisava, costruiva, tagliava. In questo periodo Totò si separa dalla moglie e conosce Franca Faldini, che gli rimase accanto fino alla morte. Per tutta la vita Totò cercò di farsi accreditare dalla critica ufficiale, di uscire dallo stereotipo della macchietta napoletana. Ma furono in pochi a riconoscere il suo genio. Tra questi, Pier Paolo Pasolini, che lo volle protagonista di "Uccellacci e Uccellini", insieme a Ninetto Davoli. Totò, già colpito dalla malattia agli occhi che lo rese quasi cieco, interpreta un uomo semplice, che vuole evangelizzare falchi e passeri, e si aggira nelle periferie di Roma, orfano dell'ideologia marxista. Per questo ruolo, ottenne una menzione speciale al Festival di Cannes. L'emozionante e poetico "Che cosa sono le nuvole?", sempre di Pasolini, è il suo testamento artistico. Totò ci dice addio attraverso la marionetta di Jago distrutta dal pubblico e mandata al macero in una discarica, dove, prima di morire, si accorge di quella grande bellezza del creato che sono le nuvole.

desperately wanted to have a father, Totò got himself adopted by the French Marquis Maria Gagliardi Focas, in exchange for a small salary. Apart from the kinship, he received a host of noble titles from the Marquis, which he was very proud of. Totò was born in Naples, in the Sanita area, and he didn’t like going to school. He received a punch in the face from his boxing teacher at the college he attended for a few years. Along with his bent nose he had a strange jaw and shelled eyes, which perfected that funny and tragic mask which was his face. With that face and a body that was lanky like that of a puppet, he created a personality with which he debuted with great success in vaudeville theatre. Totò was not good looking, but women adored him, He was gallant, and very gentle. He left Naples and moved to Rome in search of fortune, and he soon found it. When he moved back to his city, because of his fame, and being rich and generous, women fell at his feet. One evening, while he was acting in the Teatro Nuovo, he saw a beautiful woman in the hall. Her name was Liliana Castagnola, and she was one of the most beautiful singers of the caffè concerto circuit. A femme fatale, who had many passionate relationships in her past, and even a shoot out with a lover; it marked her on her face, leaving a scar on her cheek which she would cover with her elegant Valentina style black hair. Totò sent her a bouquet of roses and they became lovers. Even though swarms of men had fallen for her charms, she fell deeply in love with the Neapolitan Prince, the “hundred year old child, the mad angel” as Fellini called him. When he left Naples on a new tour, to get away from the jealousy and possessiveness with which she had surrounded him, she swallowed a whole jar of barbiturates alone in her hotel room. She left a written note which read: “Thank you for the joy you were able to bring into my unfortunate life. I’ll never look at anyone else again. I promised

“ ANTONIO DE CURTIS ”

The natural father of Antonio de Curtis, nicknamed Totò, was a Prince. However he only recognised Totò as his son many years after his birth, when he was already a famous actor. In the meantime, because he

this to you and I’ll maintain my promise”. Totò never forgave himself for her death. He wanted her to be buried in the family tomb, and when his first child was born, the daughter of Diana Bandini Lucchesini Rogliani, he called her Liliana in her honour. After the theatre came cinema. At the beginning Totò chose bizarre, experimental films. He worked with Anton Giulio Bragaglia, and acted with the scripts of Achille Campanile and Nino Martoglio. In the forties he returned to the theatre, with a great magazine. In this period he met Anna Magnani, and their duet on stage was an enormous success. When Anna Magnani acted in “Open city” by Rossellini and became extremely famous as an actress on the international scene as well, they split up and Totò returned to cinema. This time he was triumphant. In the early fifties films like “The Two Orphans", "Totò a colori" (Totò in colour), "The Emperor of Capri" and "Totò le mokò" transformed him into a phenomena for the masses. The formula was always the same: parodies of famous films, almost inexistent film sets, on which he would improvise, create, cut himself short. In this period Totò separated from his wife and met Franca Faldini, who remained by his side to his death. For all his life Totò tried to gain credit with the official critics, to escape the stereotype of a little Neapolitan. However, few critics would recognise his genius. Among these was Pier Paolo Pasolini, who wanted Totò to take the leading role in "The Hawks and the Sparrows", alongside Ninetto Davoli. Totò, who was struck by an eye disease which almost made him go blind, played the part of a simple man who wished to evangelize hawks and sparrows, and who walks around Rome, an orphan of Marxist ideology. He was given a special mention at the Cannes Film Festival for this role. The moving and poetic "Che cosa sono le nuvole?" (What are clouds?), again by Pasolini, was his artistic testament. Totò said goodbye to us all through the jago puppet which is destroyed by the public and sent to a rubbish tip to be disposed of, where before it dies, it becomes aware of the great beauty of something nature created, the clouds.

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C'è una storia su Charlie Chaplin talmente bella che non sembra vera: pare che abbia deciso un giorno, per gioco, di partecipare in incognito a un concorso per cercare il sosia di Charlie Chaplin. E che sia stato scartato alla prima selezione. Non è magnifica? Una metafora perfetta dell'assurdità del mondo, e della grazia e l'ironia con la quale i suoi personaggi, in questa assurdità, si muovono. Primo fra tutti Charlot. La sua forza è lo stupore, il modo in cui attraversa la vita e i suoi disastri senza arrendersi e senza giudicare. Il segreto che fa di Charlot una maschera commovente e divertente insieme, capace di conquistare uomini e donne, bambini e anziani è la semplicità. Il cappello, il bastone, la camminata. Chaplin diceva che Charlot era per lui una sorta di aristocratico londinese finito sul lastrico, un gagà decaduto che aveva conservato, del suo passato, il distacco e i modi perfetti. "Il monello", film del 1921, lo trasformò in una star. Per il ruolo del bambino, Chaplin scelse il debuttante Jackie Coogan, che si rivelò di bravura sorprendente. Ma, come molti bambini prodigio, la sua carriera non fu molto fortunata. Tutti però lo ricordiamo, anche se non è facile riconoscerlo, nel ruolo del calvo zio Fester della serie televisiva “La famiglia Addams". Charlie Chaplin era nato a Londra, da una famiglia di attori squattrinati. Il padre era morto giovane, consumato dall'alcool, la madre, che soffriva di crisi depressive, finì presto in una clinica psichiatrica. Charlie e il fratello Sidney debuttarono in teatro da bambini. Il fratello era un discreto trombettista mentre lui amava esibirsi in pantomime silenziose.

in Svizzera. Era con lui l'ultima moglie Oona O'Neil, figlia del celebre drammaturgo americano, che gli aveva dato otto figli. There is a story about Charlie Chaplin's that is so beautiful it doesn’t seem true: apparently one day he decided just for a laugh to participate in disguise in a competition to find a Charlie Chaplin look alike, and apparently he was discarded in the first selection. Isn’t that magnificent? A perfect metaphor for an absurd world, and of the grace and irony with which his characters, in this absurdity, move around. The greatest of all: Charlie Chaplin. His strength was based on astonishment; the way he took life and its disasters without giving up, and without making judgments. The secret that makes Charlie moving and funny at the same time, capable of winning over men and women, children and the elderly, was his simplicity. His hat, stick, and the way he walked. Chaplin said that for him Charlie was a kind of aristocratic from London who had ended up becoming poor, a fallen gagà who, because of his past, had kept his detachment and perfect manners. "The Kid", a 1921 film, made him a star. For the role of the child, Chaplin chose the novice Jackie Coogan, who was surprisingly good. However, like many child prodigies, he didn’t have a very lucky career. Everyone remembers him, even if it is not easy to recognize him, in the role of the bald Uncle Fester in the television series The Addams Family. Chaplin was born in London, in a penniless family of actors. His father died young, consumed by alcohol, and his mother, who suffered from depression, quickly ended up in a psychiatric clinic. Charlie and his brother Sidney debuted in the theatre as children. His brother was a decent trumpet player while he loved performing in silent pantomimes. He joined a circus, where Stan Laurel was working, and he eventually settled in America, where he began making his first short films. He did not have to wait long for success. "The Gold Rush", as well as "The Kid" were immediately hailed as masterpieces. However, the advent of sound cut him short. 1931’s "City Lights" was still a silent film, although it was accompanied by music. The last film in which Charlie appears is "Modern Times", in 1936. In 1940, on the eve of World War II, "The Great Dictator” was released, his first film entirely with sound. Seven years passed before Chaplin made his next film: "Monsieur Verdoux", which was based on a screenplay by Orson Welles, and for which he was accused of being a communist sympathiser and interrogated by Senator McCarthy. In 1951 he produced what could be considered his farewell film, and the last one made in Hollywood: "Limelight." While he was on a ship bound for Europe, Chaplin received the news that he had been convicted. Unless he could convince the authorities that he had not been making anti American propaganda, he would never be allowed to return to the United States. In 1952 Chaplin decided to move to Switzerland. He made "A King in New York" and "A Countess from Hong Kong" with Marlon Brando and Sophia Loren, but he seemed to have lost his magic touch. He wasn’t able to return to America until 1972, when he was awarded an Oscar for his career. On that occasion he was the star of the longest standing ovation in the history of the Academy Awards. Charlie Chaplin died on Christmas Eve in 1977 at his home in Switzerland. He was with his last wife Oona O'Neill, daughter of the famous American playwright, who had given him eight children.

“ CHARLIE CHAPLIN ” Entrò in un circo, dove lavorava anche Stan Laurel (che diventerà lo Stanlio della coppia Stanlio e Olio) e si stabilì infine in America, dove iniziò a fare i primi cortometraggi. Non dovette attendere a lungo il successo. "La febbre dell'oro", e il "Il monello" furono subito riconosciuti come capolavori. Ma l'avvento del sonoro lo spiazzò. "Luci della città", del 1931, era ancora un film muto ma accompagnato dalla musica. L'ultimo film in cui compare Charlot è "Tempi moderni", del 1936. Nel 1940, alla vigilia della seconda guerra mondiale, esce "Il grande dittatore", suo primo film interamente sonoro. Devono passare sette anni prima che Chaplin giri il suo film successivo, "Monsieur Verdoux", su una sceneggiatura di Orson Welles. Per il quale venne accusato di filo comunismo e interrogato dal senatore Mc Carthy. Nel 1951 gira quello che può essere considerato il suo film d'addio, e l'ultimo prodotto dalle industrie di Hollywood: "Luci della ribalta". Mentre si trova sulla nave diretta in Europa, Chaplin riceve la notizia della sua condanna definitiva. Fin quando non fosse riuscito a convincere le autorità che la sua non era propaganda anti americana, non gli sarebbe più stato permesso di rientrare negli Stati Uniti. E' il 1952 e Chaplin decide di trasferirsi in Svizzera. Gira ancora "Un re a New York" e "La contessa di Hong Kong" con Marlon Brando e Sophia Loren, ma sembra aver perso il suo tocco magico. Potè tornare in America soltanto nel 1972, quando gli fu assegnato l'Oscar alla carriera. In quell'occasione, fu protagonista della più lunga ovazione nella storia dell'Academy Awards. Charlie Chaplin morì la notte di Natale del 1977 nella sua casa

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Tutto quello che mi serve per creare una comica è un palco, un poliziotto e una bella ragazza


Perchè essere diďŹƒcili quando con un minino sforzo potete diventare impossibili?


Quando a Buster Keaton chiedevano come mai avesse sempre quell'aria seria, quasi triste pur essendo un comico, lui rispondeva così: "Io ho esordito nel varietà, dove a furia di beccare torte in faccia ho capito una cosa, che quanto più mi mostravo indifferente e quasi stupito dell'ilarità del pubblico, tanto più quello rideva. Insomma, c'è il tipo di comico che cerca di entrare in confidenza col pubblico, di far ridere il pubblico con sé. Per quel che mi riguarda, il pubblico ride di me e non ci trovo proprio niente da ridere". Il suo vero nome era Joseph Frank Keaton VI, ma divenne Buster prestissimo. Aveva solo sei mesi quando il mago Houdini, vecchio amico di famiglia (i Keaton erano una coppia di attori di vaudeville abbastanza noti) lo vide rotolare per le scale di casa. Rotolava e sbatteva ma intanto rideva e quando arrivò in fondo non si era fatto niente. Buster, lo chiamò quindi Houdini da quel giorno, che significa capitombolo. Buster cresce nei retropalchi dei teatri, e fa il suo debutto sulle scene a tre anni. Con la compagnia di famiglia gira per il mondo, compresa una lunga tournée in Inghilterra che ottiene un discreto successo. Il ragazzino diventa presto bravo e si fa notare dal pubblico. A vent'anni, lascia la compagnia e va a New York a cercare fortuna Qui conobbe la donna che divenne sua moglie, Natalie Talmadge, che lavorava come segretaria di produzione per un comico all'epoca molto famoso: Roscoe "Fatty" Arbuckle. Fatty propose al giovane Keaton di lavorare insieme a lui. Quest'ultimo, al quale era arrivata una proposta da una importante rivista di Broadway, decise che era arrivato il momento di lasciare il teatro e tentare l'avventura del cinema. I due comici insieme girarono in un anno quattordici cortometraggi, del genere chiamato “splastick comedy”: commedie senza alcuna pretesta narrativa, puri contenitori per lazzi e gag. Quando nel 1919 Keaton tornò dal servizio militare (era stato mandato in Francia) il cognato, Joseph Schenck, che aveva creato la società per la quale lavorava Arbuckle, gli propose di fondare la Buster Keaton Comedies per dargli piena libertà. Dei ventitrè corti che seguirono, Keaton sarà interprete, soggettista, sceneggiatore e anche regista. La differenza con le opere precedenti è nettissima. Keaton è uno stunt main, è un uomo non molto alto, dall'agilità prodigiosa. Il suo corpo si muove con una ritmo impressionante e riesce a fare cose mirabolanti. Vola, corre, cade, sfida la gravita, si arrampica. Senza abbandonare mai la sua maschera di imperturbabile mestizia, Keaton affronta situazioni paradossali, in architetture impossibili, attraverso spazi che cambiano di forma come avessero vita. Ma il suo periodo d'oro di creatività, viene interrotto quando la Metro Goldwin Mayer lo mette sotto contratto, imponendogli regole alle quali si sottomette malvolentieri. L'avvento del cinema sonoro poi, spezza la sua carriera con violenza. In poco tempo perde tutto: il lavoro, la moglie, la voglia di far ridere. Finisce alcolizzato e disperato, perso in un mondo e in un tempo che non riconosce più. Scrive per i fratelli Marx, fa qualche piccola parte in film di altri (ricordiamo il giocatore di bridge in "Viale del Tramonto", o il vecchio pianista di "Luci della Ribalta"). Finisce addirittura a lavorare per il circo Medrano. Nel 1959 vince l'Oscar alla carriera, ma la sua carriera è già finita da un pezzo. L'ultima sua struggente interpretazione è l'uomo protagonista del silenzioso "Film", scritto da Samuel Beckett, presentato nel 1966 alla Mostra del Cinema di Venezia. Un ometto col trench, sempre ripreso di spalle, che fugge disperatamente da uno sguardo che lo bracca. Muto, spaventato, solo.

started out in vaudeville, where by getting pies thrown into my face all the time I realised one thing; the more I seemed indifferent and almost astonished by the hilarity of the audiences, the more they laughed. In short, there are comedians who try to get acquainted with the audience, to make the audience laugh with them. For my part, the audience laughs at me, but I don’t see what there is to laugh about. His real name was Joseph Frank Keaton VI, but he soon became Buster. He was only six months old when the magician Houdini, an old family friend (the Keatons were a couple of quite renowned vaudeville actors) saw him rolling down the stairs at home. He was rolling around and banging into things but he was doing it laughing and when he reached the bottom he hadn’t hurt himself. Thus, Houdini called him Buster from that that day onwards, meaning tumble. Buster grew up in the backstages of theatres and made his debut on stage when he was only three years old. He travelled the world with the family’s company, including a long tour around England which was quite a success. The boy soon became good at vaudeville and was noted by audiences. At twenty years of age he left the company and moved to New York to seek his fortune. There he met the woman who was to become his wife, Natalie Talmadge, who worked as a production secretary for a comedian who was very famous at the time: Roscoe "Fatty" Arbuckle. Fatty asked the young Keaton if he wanted to work with him. Keaton, who had received a proposal from a major Broadway revue, decided it was time to leave the theatre and try his luck in cinema. The two comedians acted together in fourteen short films in a year, of a genre called splastick

“ BUSTER KEATON ”

When people asked Buster Keaton why he always looked so serious, almost sad despite being a comedian, this is how he would answer: "I

comedy: comedy without any pretence of dialogue, purely sets for jokes and gags. When in 1919 Keaton returned from serving his military service (he was sent to France) his brother in law, Joseph Schenck, who had formed the company for which Arbuckle worked, proposed the foundation of Buster Keaton Comedies in order to allow him complete freedom of action. Of the twenty three short films that followed, Keaton was the actor, scriptwriter, screenwriter and film director. The difference with previous works is very clear. Keaton is a stunt man, a man is not very tall, a man of prodigious agility. His body moves with an impressive pace and he is able to do amazing things. Flying, running, falling, defying gravity, and climbing. Without ever abandoning his imperturbable sad mask, Keaton faced paradoxical situations, impossible architecture, through spaces that change shape as if they were alive. However, his golden age of creativity was interrupted when Metro Goldwyn Mayer put him under contract, by imposing rules to which he submitted unwillingly. The advent of sound in films then broke his career with a vengeance. He soon lost everything: his job, his wife, the desire to make others laugh. He ended up a drunk and desperate, lost in a world and a time that he no longer recognised. He started writing for the Marx Brothers, had small parts in other people’s films (we remember the bridge player in "Sunset Boulevard", or the old pianist in "Limelight"). He even ended up working in the Medrano circus. In 1959 he won an Oscar for his career, but his career was already finished a long time before then. His last poignant role was as the man who was the protagonist of the silent "Film", written by Samuel Beckett, and presented in 1966 at the Venice Film Festival. A little man in a trench coat, always filmed from behind, desperately fleeing from a glance that is following him. Dumb, scared, and alone.

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di Valeria Palieri

I VOLTI DELLA NEW HOLLYWOOD Con le loro interpretazioni hanno imposto una svolta epocale alla storia del cinema. Tre uomini, intensi, drammatici e brutalmente reali, portano sul grande schermo le debolezze umane. A colpi di Oscar.



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Un vento nuovo soffia sull'industria cinematografica americana. Siamo all'inizio degli anni sessanta quando l'avvento del piccolo schermo e il successo della Nouvelle Vague, portata alla ribalta dai registi francesi Truffaut, Godard, Rivette, Chabrol e Rohmer, e in seconda battuta da Eustache, Garrel, Doillion e Tèchinè, destabilizza i botteghini hollywoodiani rivoluzionando il cinema. Pellicole più intimiste e inquiete, non necessariamente a lieto fine, ma vicine al pubblico e, in generale, alla realtà sociale dell'epoca. La Nuova Hollywood abbandona il buonismo di personaggi fortemente idealizzati, che aveva contraddistinto i film di vecchio stampo, per offrire agli spettatori, non solo uno strumento di intrattenimento, ma uno spunto di riflessione. Dal punto di vista attoriale, il cinema punta i riflettori su uomini apparentemente comuni, brutali nelle loro fragilità, in grado di rappresentare magistralmente quella solitudine ed irrequietezza figlia della drammatica emarginazione urbana delle grandi metropoli: Dustin Hoffman, Al Pacino e Robert De Niro diventano i volti di riferimento dell'epoca, entrando indelebilmente nella storia del cinema con ruoli di grande impatto emotivo. Due italoamericani, Pacino e De Niro, l'uno segnato dall’abbandono paterno e da un'adolescenza difficile, trascorsa tra la desolazione del South Bronx, l'altro cresciuto in quella Little Italy, la stessa del grande regista Martin Scorsese, dove il giovane attore coltiva la passione per il cinema. Che lo porterà dall'indimenticabile interpretazione di Vito Corleone ne “Il Padrino parte II” (1974, Oscar come migliore attore non protagonista) attraverso una straordinaria carriera scandita dai cult movie “Taxi Driver” (1976, nomination al miglior attore protagonista), “Il cacciatore” (1978, nomination al miglior attore protagonista) e “Toro scatenato” (1980, Oscar come miglior attore protagonista). Il periodo trascorso con Martin Scorsese, si trasforma ben presto in uno dei sodalizi più celebri, proficui e duraturi della storia del cinema: otto pellicole ed una collaborazione ventennale, da “Mean Streets” (1973), ambientato nelle strade di Little Italy, al capolavoro del genere gangster “Quei bravi ragazzi”, dove interpreta magistralmente il ruolo del boss Jimmy Conway (1990) sino a “Casinò” (1995), basato sul romanzo “Casino: Love and Honor in Las Vegas” di Nicholas Pileggi, al fianco di un’ affascinante Sharon Stone. Nel 1976 Robert De Niro lavora con il maestro del cinema italiano Bernardo Bertolucci nel film “Novecento” e, nel 1977 interpreta uno dei ruoli che l’hanno maggiormente connotato nell’immaginario collettivo, il boss David “Noodles” Aaronson, nel kolossal “C’era una volta in America” di Sergio Leone; lo stesso regista, colpito dalla forza interpretativa dell’attore, dichiarerà senza remore: “Non ho mai visto De Niro sul set ma sempre il mio Noodles. Sono certo di aver fatto con lui "C'era una volta il mio

A new wind was blowing through the American film industry. It was the beginning of the sixties when the advent of the small screen and the success of the Nouvelle Vague, brought to the fore by the French directors Truffaut, Godard, Rivette, Chabrol and Rohmer, and secondarily Eustache, Garrel, Doillion and Téchiné, destabilised the Hollywood box offices and revolutionised cinema. More intimate and disturbing films, not necessarily with happy endings, but close to the audiences and, in general, to the social reality of the time. The New Hollywood abandoned the good nature of strongly idealistic personalities, which had characterised old fashioned films, offering audiences not only entertainment, but food for thought. From an acting perspective, cinema turned the spotlight on men who were apparently normal, brutal in their fragility, capable of masterfully representing the solitude and disturbing offspring of the dramatic urban alienation of big cities: Dustin Hoffman, Al Pacino and Robert De Niro become the representative faces of that period, indelibly going down in the history of cinema with roles of great emotional impact. Two Italian Americans, Pacino and De Niro, one marked by paternal abandonment and a difficult adolescence, spent among the desolation of the South Bronx, the other raised in the same Little Italy as the great film director Martin Scorsese, where the young actor developed his passion for cinema. It was this passion lead him to interpreting the role of Vito Corleone in "The Godfather Part II" (1974, an Oscar for Best Supporting Actor) through an extraordinary career marked by the cult movie "Taxi Driver" (1976, nominated for best leading actor) "The Hunter" (1978, nominated for best leading actor) and “Raging Bull” (1980, Oscar for best leading actor). The time spent with Martin Scorsese quickly turned into one of the most famous, successful and enduring partnerships in the history of cinema: eight films and a twenty year collaboration, from "Mean Streets"(1973), set in the streets of Little Italy that are familiar to both of them, the gangster genre masterpiece "Goodfellas," where he masterfully performed the role of the boss Jimmy Conway(1990), to "Casino"(1995), which was based on the novel "Casino: Love and Honor in Las Vegas”by Nicholas Pileggi, alongside a fascinating Sharon Stone. In 1976, Robert De Niro worked with the master of Italian cinema Bernardo Bertolucci in the film "Novecento", and in 1977 he interpreted one the roles which have characterised him the most in the public eye, the boss David "Noodles" Aaronson in the blockbuster "Once upon a time in America" by Sergio Leone; this film director, impressed by his acting power, declared without hesitation: "I never saw De Niro on the set, it was always my Noodles. I’m sure I did, "Once upon a time there was my cinema" with him more than "Once Upon a Time in America."


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cinema", più che "C'era una volta in America". Una carriera, quella di De Niro, segnata da oltre settanta pellicole, a cui l’attore imprime una svolta nel 1993 cimentandosi dietro la macchina da presa nel film “Bronx”, nel quale interpreta anche il ruolo del personaggio principale Lorenzo Aniello; un’esperienza impegnativa e gratificante che prosegue, nel 2006, con la pellicola “The Good Shepherd”, interpretata questa volta da Matt Damon, la prima di una trilogia diretta da De Niro sulla C.I.A. La passione smodata per il cinema lo sprona nel 2002 a intraprendere un nuovo e ambizioso progetto: per risollevare l’area di Tribeca, sprofondata nella desolazione dopo gli attentati dell’11 settembre, De Niro fonda il Tribeca Film Festival, divenuto in pochi anni un evento cinematografico di spicco non solo per la città di New York. Più volte interrogato dalla stampa di settore su un suo possibile “erede” hollywoodiano, De Niro ha prontamente pronosticato l’ascesa dell’allora emergente Leonardo Di Caprio, attore prediletto anche dall’amico Martin Scorsese. Al Pacino, al fianco di De Niro ne “Il Padrino”, si impone, invece, sullo schermo con le pellicole di Sidney Lumet “Serpico” (1973), nel ruolo del poliziotto italoamericano Frank Serpico, e “Quel pomeriggio di un giorno da cani” (1975) che gli valgono entrambe due nomination come miglior attore protagonista. Le difficili condizioni di vita della giovinezza e la lunga formazione teatrale, dove predilige ruoli shakespeariani, si traducono in un’intensità inedita nell’interpretare personaggi drammatici sul grande schermo, portandolo a dichiarare più volte: “Mi sento più vivo in un teatro che in qualunque altro posto, ma quello che faccio in teatro l'ho preso dalla strada”. Negli anni ’80, dopo aver rinunciato, insieme al collega Robert De Niro, al ruolo di Rambo, che porterà alla ribalta Sylvester Stallone, consolida il suo successo impersonando Tony Montana in “Scarface” (1983) e Carlito Brigante in “Carlito's Way” (1993), entrambe le pellicole di Brian De Palma, uno dei registi più rappresentativi, insieme a Scorsese, Spielberg, Pollack e Coppola, della Nuova Hollywood. Un ulteriore riconoscimento, quello più importante, arriva nel 1993 con l'Oscar come migliore attore protagonista per la toccante interpretazione del tenente colonello Frank Slade nel film di Martin Brest “Scent of a woman”, riadattamento dell’omonimo film di Dino Risi; celebre la dichiarazione di Brest dopo l’uscita della pellicola: “Ci sono pochi attori tramite i quali Dio si esprime, Al Pacino è uno di questi”. Il suo sguardo intenso, pungente, a tratti luciferino, e l’estrema empatia con i suoi personaggi, soprattutto quelli più complessi e controversi, gli valgono, nel 1994, il Leone d’oro alla carriera, insieme al regista britannico Ken

A career, that of De Niro, marked by more than seventy films, which the actor changed in 1993 by venturing behind the camera in the movie "Bronx", in which he plays the role of the main character Lorenzo Aniello; a challenging and rewarding experience that continued in 2006 with the film "The Good Shepherd", played this time by Matt Damon, the first of a trilogy on the CIA directed by De Niro. This unrestrained passion for film spurred him on in 2002 to undertake an ambitious new project: to help the Tribeca area, plunged into despair after the attacks of 11 September. De Niro founded the Tribeca Film Festival, which in just a few years became a prominent film event not only for the city of New York. Repeatedly asked questions by the trade press about a possible Hollywood "successor", De Niro predicted the rise of the then rapidly emerging Leonardo Di Caprio, also the favourite actor of his friend Martin Scorsese. Al Pacino, alongside De Niro in "The Godfather”, instead imposed himself on the screen with Sidney Lumet's films "Serpico" (1973), in the role of Italian American cop Frank Serpico, and "Dog day afternoon"(1975), that earned him two nominations as best leading actor. The difficult living conditions of his youth and the long period of training in theatre, in which he prefers Shakespearean roles, result in an unprecedented intensity in interpreting dramatic characters on the big screen, leading him to declare several times: "I feel better in a theatre that anywhere else, but what I do on stage I learnt from the street". In the 80s, after having rejected, along with his colleague Robert De Niro, the role of Rambo, which gave Sylvester Stallone a new lease of life, he consolidated his success by interpreting Tony Montana in “Scarface” (1983) and Carlito Brigante in "Carlito's Way"(1993), both of them films by Brian De Palma, one of the most representative filmmakers, along with Scorsese, Spielberg, Pollack and Coppola, of the New Hollywood. Further acclaim, the most important of all, came in 1993 with an Oscar for best leading actor for the touching interpretation of Lieutenant Colonel Frank Slade in Martin Brest’s "Scent of a Woman", an adaptation of the film with the same name by Dino Risi; Brest’s statement after the release of the film became famous: "There are few actors through which God expresses himself; Al Pacino is one of them." His intense, pungent, and sometimes devilish stare, and the extreme empathy that transpires from his characters, above all the most complex and controversial ones, earned him a Golden Lion for Lifetime Achievement in 1994, along with the British filmmaker Ken Loach and Italian screenwriter Suso Cecchi D'Amico. For Pacino, the debut as film director took place in the 1996 docudrama "Richard III A man, a




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Loach e alla sceneggiatrice italiana Suso Cecchi D’Amico. Per Pacino il debutto alla regia avviene nel 1996 nel docu drama “Riccardo III Un uomo, un re”, reportage su un adattamento dell’omonima opera di Shakespeare, cui fa seguito nel 2000 la pellicola indipendente “Chinese Coffee”, che, nonostante il successo riscosso durante le manifestazioni di settore, tra cui una standing ovation al Tribeca Film Festival di De Niro, non uscirà nelle sale per mancanza di fondi. I due destini si intrecciano nuovamente nel 1995, quando Robert De Niro e Al Pacino, lavorano per la seconda volta insieme nella pellicola di Michael Mann “Heat”, l’uno nel ruolo del rapinatore McCauley, l’altro in quello del poliziotto Vincent Hanna; un incontro/scontro, visto il binomio poliziotto/criminale, atteso da anni dal momento che nel precedente “Il Padrino parte II” i due non avevano mai recitato nella stessa scena. L’esperienza si ripete nel 2008 con “Sfida senza regole” di Jon Avnet, dove entrambi interpretano due pluridecorati detective sulle tracce di un serial killer. Personalità indubbiamente diversa, meno fisica ma ugualmente impattante, quella del divo Dustin Hoffman, nato da una famiglia di origine ebraica a Los Angeles, dove trascorre la sua giovinezza tra i libri di medicina, ben presto accantonati per frequentare i corsi dell'Actor's Studio di New York. Il primo grande riconoscimento (Golden Globe per il miglior attore esordiente e nomination come miglior attore non protagonista) arriva con la pellicola “Il laureato” (1967) di Mike Nichols, emblema della New Hollywood, e con il successivo “Un uomo da marciapiede”(1969) di John Schlesinger, dove Hoffman interpreta con intensità l’emarginato Rizzo. Sensibile e versatile, spazia negli anni da commedie come “Tootsie” (1982) di Sidney Pollack, allo storico “Tutti gli uomini del Presidente” (1976) di Alan J. Pakula, al western di Arthur Penn “Il piccolo grande uomo” (1970) sino al drammatico “Papillon” (1973) al fianco di Steve McQueen. Due le statuette conquistate da Hoffman, la prima nel 1980 (Oscar come miglior attore protagonista) nel drammatico “Kramer contro Kramer” di Robert Benton e nel 1989 per l'intensa interpretazione dell’autistico Raymond in “Rain Man”. Nel 1996, due anni dopo Al Pacino, è la volta del Leone d’Oro alla carriera, insieme al regista Robert Altman, Vittorio Gassman e all’attrice francese Michèle Morgan. Nel 1997 il regista Barry Levinson, con il quale ha instaurato una proficua collaborazione, lo dirige nella commedia a sfondo politico “ Sesso e potere” , il duetto è con Robert De Niro. Come ha dichiarato, con lungimiranza, l’ultracentenario Jack, alias Dustin Hoffman, al giornalista William Hickey nella pellicola “Piccolo grande uomo”: “Io sono certamente l’ultimo dei vecchi della Grande Frontiera”.

king", a reportage based on an adaptation of the work of the same title by Shakespeare, followed in 2000 by the independent film "Chinese Coffee", which despite the success achieved during the cinema festivals, including a standing ovation at De Niro’s Tribeca Film Festival, was not released for lack of funds. Their destinies intertwined again in 1995 when Robert De Niro and Al Pacino worked together again for the second time in Michael Mann’s film "Heat". One of them played the role of the robber McCauley, the other the policeman Vincent Hanna; an encounter / confrontation, since the policeman / criminal pairing, which has been expected for years because the two had never acted in the same scene since "The Godfather Part II". This experiment was repeated in 2008 with "Righteous Kill" by Jon Avnet, where both play two highly decorated detectives on the trail of a serial killer. A personality who is undoubtedly different; less physical but of equal impact, is that of the star Dustin Hoffman, who was born in a family of Jewish origin in Los Angeles, where he spent his youth among medical books, which he soon set aside to attend the Actor's Studio in New York. The first major award (a Golden Globe Award for Best Male Newcomer, and a nomination for best supporting actor) was won with the film "The Graduate"(1967) by Mike Nichols, the symbol of the New Hollywood, and with the subsequent "Midnight Cowboy"(1969) by John Schlesinger, in which Hoffman intensely plays the outcast Rizzo. Sensitive and versatile, ranging over the years from comedies like "Tootsie" (1982) to the historic "All the President's Men" (1976) by Alan J. Pakula, to the western “Little Big Man” (1970) by Arthur Penn and to the dramatic “Papillon” (1973) along with Steve McQueen. Hoffman won two statuettes, the first in 1980 (an Oscar for best actor) in the drama "Kramer vs. Kramer" by Robert Benton, and in 1989 for his intense interpretation of the autistic Raymond in "Rain Man". In 1996, two years after Al Pacino, it was his turn for a Golden Lion for Lifetime Achievement, along with director Robert Altman and the French actress Michèle Morgan. In 1997, the film director Barry Levinson, with whom he established a fruitful collaboration, directed him in the politically motivated play "Sex and Power", along with Robert De Niro. As the one hundred year old Jack, alias Dustin Hoffman, stated with foresight to the journalist William Hickey in the film "Little Big Man": "I am certainly the last old person on the Great Frontier."


IL SENSE OF WONDER DEL CINEMA CHE VERRÀ


di Barbara Nevosi

Dai primi effetti speciali che animarono le idee di Jules Verne e Fritz Lang alla computer grafica. Dai timidi esperimenti in 3D alla rivoluzione di James Cameron e Jon Landau in “Avatar”. Aspettando il secondo, attesissimo, capitolo della saga, una cosa è certa: la tecnologia cambierà il mondo.



In principio era la fantascienza. La fantascienza era parte del cinema e il cinema sembrava fantascienza. Si cominciò con il bianco e nero, il muto e con i modellini che permisero di rendere reale (per gli spettatori dell'epoca) le idee di Jules Verne sulla Luna e la visionaria carica rivoluzionaria di Fritz Lang. Poi irrompe il sonoro e King Kong emette i suoi versi in cima all’Empire State Building. Il colore successivamente rende reale “Il Pianeta Proibito” e l' “Odissea nello spazio” di Kubrick. Solo quando arriva George Lucas le cose cambiano: non è più il cinema a dettare il passo delle rivoluzioni, ma la fantascienza a cambiare il modo di fare il cinema. Gli effetti speciali della Industrial Light&Magic realizzano vere e proprie pietre miliari della storia del grande schermo: da “Star Wars” a “E.T.” fino a “Jurassic Park”. Comincia a farsi strada il digitale e la computer grafica, che rende tutto un po' più finto e un po' più reale, sfuma i contorni che definiscono verità e illusione, permette di esagerare, di strafare: ancora Lucas con la sua successiva trilogia, poi Peter Jackson cambia tutte le carte in tavola e compie autentici miracoli. Ma silenziosamente, all'inizio con molta difficoltà, inizia a emergere qualcosa di radicalmente nuovo: è il 3D, che permette di realizzare l'impensabile, di immergere quasi concretamente lo spettatore nel film. Gli esordi di questa tecnologia nel cinema sono lontani, ma solo negli ultimi anni i progressi sono stati tali da permettere al 3D di affermarsi come nuova frontiera del cinema. Nel 2009, James Cameron è riuscito così a portare a termine l'opera di una vita, la

Il 30 Marzo 1933, il ministro della Propaganda in Germania, Joseph Goebbels, mi convocò nel suo ufficio [...] e mi propose di diventare una sorta di "Fuhrer" del cinema tedesco. Io allora gli dissi: «Signor Goebbels, forse lei non ne è a conoscenza, ma debbo confessarle che io sono di origini ebraiche» e lui: «Non faccia l'ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!».

In the beginning there was science fiction; science fiction was part of cinema and cinema seemed science fiction. It began in black and white, silent and with models that allowed making Jules Verne’s ideas on the Moon and visionary revolutionary charge of Fritz Lang look real (for viewers of the time). Then sound burst onto the scene and King Kong growled at the top of the Empire State Building. Colour then made "Forbidden Planet" and “Space Odyssey" by Stanley Kubrick look real. Only when George Lucas came onto the scene did things change: it was no longer cinema dictating the pace of revolution, science fiction was changing the way of doing cinema. The special effects by Industrial Light & Magic produced real milestones in the history of the big screen, from "Star Wars" to "ET" and "Jurassic Park". Digital technology and computer graphics started to develop, making everything a little more fake and a little more real, blurring the boundaries that define reality and illusion, permitting exaggerations, overdoing things: Lucas again with his trilogy, and then Peter Jackson turned it all around and performed true miracles. However, quietly, at first with great difficulty, something radically new began to emerge: it was 3D, which allows the production of the unthinkable, to almost truly immerse viewers in a film. The beginnings of this technology in cinema go way back, but only in recent years has progress been such as to allow the emergence of 3D as a new frontier in cinema. In 2009, James Cameron thus managed to complete the work of his life, the development of which took thirteen years. "Avatar," his latest film, wishes to establish a new yardstick and revolutionize the history of

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Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. Ăˆ tempo di morire.



cui gestazione è durata tredici anni. “Avatar”, il suo ultimo film, vuole stabilire il nuovo metro di giudizio e rivoluzionare per sempre la storia del cinema e della fantascienza. Cameron si è nutrito di fantascienza, con lei ha vissuto per anni: da “Terminator” (I e II capitolo) ad “Aliens” passando per “The Abyss”. Ma è con “Avatar” che decide di fondere tutte le suggestioni della letteratura e del cinema di genere allo scopo di ritornare ai “fondamentali”, all'abc della fantascienza: l'alieno, la colonizzazione, lo spazio, gli strani e nuovi mondi, la tecnologia, il sense of wonder. Soprattutto quest'ultimo è l' ingrediente che rende “Avatar” un prodotto completamente nuovo: il frutto di un laborioso progetto di “world building” che ha permesso a Cameron di dare vita nel senso proprio del termine a un mondo nuovo. Il mondo di Pandora infatti, non è un semplice sfondo ma ciò che deve colpire l'attenzione e l'immaginazione dello spettatore con un obiettivo di fondo: che tutto sembri assolutamente plausibile. Nella pellicola si verifica una vera e propria fusione tra attori reali e attori creati al computer, con un rapporto stimato 40 a 60 per cento. I 300 milioni di dollari (cifra approssimativa) spesi per “Avatar” budget immenso, il più grosso della storia del cinema sono stati assorbiti inevitabilmente dal settore effetti speciali per quasi la sua interezza. La più innovativa delle tecnologie introdotte dal regista nella realizzazione di “Avatar” consiste nella scelta di girare il film con una speciale macchina da presa digitale Fusion capace di ricreare, già nell'atto delle riprese sul set reale, l'ambientazione finale in cui lo spettatore sarebbe stato immerso nella visione della pellicola

Il tempo non è importante... solo la vita è importante.

cinema and science fiction for good. Cameron filled himself with science fiction, he has lived with it for years: from "Terminator" (Part 1 and 2) to "Aliens" and “The Abyss”. However, it was with "Avatar" that he decided to merge all the suggestions of literature and this genre of cinema in order to return to "fundamentals", to the ABC of science fiction: aliens, colonization, space, strange and new worlds, technology, a sense of wonder. Especially the latter is the 'ingredient that makes "Avatar" a completely new product: the result of a laborious "world building" project that has enabled Cameron to give life to a new world in the real the sense of the word. In fact, the world of Pandora is not a simple background but that which must strike the attention and imagination of the viewer with a basic objective: to make it all seem quite plausible. In the film there is a real fusion between real actors and actors created by computers, with an estimated ratio of 40 to 60 percent. The $ 300 million (approximate figure) spent on Avatar a huge budget, the biggest in the history of cinema were inevitably absorbed by the special effects industry almost in its entirety. The most innovative technology introduced by the director in the production of Avatar is the decision to shoot the film with a special Digital Fusion camera capable of recreating, during filming on the real set, the final setting in which viewers would be immersed when watching the completed film: the bursting of pure imagination into reality. Similarly, motion capture has become a real time technique: the actors are called upon to impersonate the Na'vi, the aliens from Pandora, who wear helmets capable of capturing every little facial expression, in


definitiva: l'irruzione della pura immaginazione nella realtà. Analogamente il motion capture è diventato in tempo reale: gli attori chiamati a impersonare i Na'vi, gli alieni di Pandora, portano caschi capaci di catturare ogni minima espressione facciale per riportarla sulla versione finale del loro personaggio, ricreato in computer grafica. Ma anziché effettuare un lungo lavoro di post produzione nel trasporre l'attore in carne e ossa nella sua versione artificiale, l'intero procedimento avviene in simultanea. In pratica la tecnologia degli avatar al centro della trama del film è diventata anche la tecnologia stessa usata per la sua realizzazione. Cos'è un avatar? Chi è pratico di internet saprà che l'avatar è l'immagine che l'utente sceglie per rappresentare se stesso in luoghi virtuali come forum e giochi di ruolo online. E a proposito di tecnologia, non sono pochi gli addetti ai lavori convinti che la grande evoluzione degli effetti speciali potrebbe essere pronta per uscire dalla nicchia dei film di genere, fantasy o fantascientifici per dare il proprio contributo al cinema tout court. “Le tecnologie arricchiscono il racconto spiega Landau, produttore di “Titanic” e “Avatar” ma sono i personaggi che ti portano in un viaggio fantastico ed emozionante. Volevamo stimolare la fantasia continua ma anche il cervello e lo abbiamo fatto con il 3D. Arriverà in tv, nella pubblicità, cambierà il mondo”. Landau, già ribattezzato Mr. Hollywood, e Cameron, i nuovi Re Mida dell'industria cinematografica sono già al lavoro per il prossimo progetto. “Faremo “Avatar 2” conclude Landau Non abbiamo fretta. Stiamo cercando la storia giusta e le idee buone”.

Manderanno un messaggio per dirci che loro possono prendersi tutto quello che vogliono ma, noi manderemo il nostro messaggio... Questa, questa è la nostra terra!

order to transfer them onto the final versions of their characters, recreated by computer graphics. However, instead of carrying out a lengthy post production in transposing actors in the flesh into their artificial versions, the whole procedure takes place simultaneously. In practical terms, the technology of "avatars" in the centre of the plot of the film has also become the same technology used for its production. What is an avatar? Those who know how to use Internet will know that an avatar is the image that a user chooses to represent himself/herself in virtual spaces like forums and on line role playing games. Speaking of technology, there are many professionals who believe that the great evolution of special effects could be ready to exit the niche of genre films, science fiction or fantasy to make a contribution to the cinema tout court. " technology enriches the story explained Landau, the producer of Titanic and Avatar but it’s the characters that take you on a fantastic and exciting journey. We wanted to stimulate the imagination he continued as well as the brain, and we did it with 3D. It will be used on TV, and in advertising; it will change the world". Landau, who has already been dubbed Mr. Hollywood, and Cameron, the new "King Midas" of the film industry, are already working on the next project. "We’ll be making Avatar 2 concluded Landau but we’re not in a hurry. We are looking for the right story and good ideas."



di Massimo De Luca

Cerimonia di consegna dei David di Donatello, gli Oscar del cinema italiano assegnati ogni anno ai nostri migliori attori, registi, sceneggiatori.

DAVID DI DONATELLO

Main sponsor David di Donatello edizione 2010



The assignment of the David di Donatello award for 2009 2010, the Italian Oscar awarded by the Conciliazione Auditorium in Rome was a challenge shared by five film directors. In pole position with fewer than 18 nominations was "La prima cosa bella” (The first good thing) by Paolo Virzì, followed by the movie " L'uomo che verrà” (The man of the future) by Giorgio Diritti with 16 nominations and "Vincere” (Winning) by Marco Bellocchio which obtained 15 nominations. Among the favourites there was "Baarìa" by Giuseppe Tornatore nominated for 14 statuettes and "Mine vaganti" (Loose Cannons) by Ferzan Ozpetek, which had 12 nominations. The awards ceremony was presented by Tullio Solenghi, broadcast live on Rai Sat Cinema (TivùSat and digital land based system) and re broadcast at 23.20 on the Rai Uno channel. The award went to Vincere by Marco Bellocchio, who won 8 awards for film directing (Bellocchio), photography, editing, set design, costumes, makeup, hair styles and special effects. After winning the two most important awards at the Rome Film Festival, L’uomo che verrà by Giorgio Diritti won a David for best film, best production and best live sound. La prima cosa bella by Virzi, the favourite in this 54th edition with as many as 18 nominations, won best screenplay (Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì, Giorgio Diritti and Giovanni Gavalotti), and best leading actors: Valerio Mastandrea and Micaela Ramazzotti, while Mine Vaganti, with its success at Robert De Niro’s Tribeca Film Festival, at which it won the special mention by the jury, took home the statuettes for both supporting actors: Ilaria Occhini and Ennio Fantastichini. A big disappointment for Baaria by Giuseppe Tornatore, which of the 14 nominations received only won a David for the music of Ennio Morricone and David Giovani. Valerio Mieli won with his first film, Dieci Inverni (Ten Winters), presented at last year's Venice Film Festival, the award for best new director, while Jovanotti won a David for best song with Baciami Ancora (Kiss me again). Inglorious Basterds by Tarantino was named best foreign film while The concert won the Best European Film award. La bocca del lupo (The mouth of the wolf) won a David for Best Documentary while Passing Time was chosen as best short film. During the scintillating ceremony four David’s careers award were assigned respectively to Tonino Guerra, Lina Wertmuller, Bud Spencer and Terence Hill. The history of the competition dates back to 1950, when the Open Gate Club was founded in Rome. Its symbol was a door being opened: in order to accommodate the new times and everyone, especially foreigners, who after the darkness cast by war were returning to Rome as their preferred destination, above all in cultural terms. In respect of the Open Gate, the Committee for Arts and Culture was founded in 1953, joined in 1954 by the Circolo Internazionale del Cinema. In 1955, the Circolo Internazionale del Cinema changed its name to the Club Internazionale del Cinema (International Cinema Club), established with the Open Gate policy, and the David di Donatello Awards for the best Italian and foreign film production: it uses the same criteria as the Academy Awards in Hollywood but its reference point is the much more prestigious David statue sculpted by Donatello in Florence, reproduced in gold by Bulgari. With these criteria, the following year the first David Awards were assigned: in Rome, at the Fiamma cinema, with the high Patronage of the President of the Republic. This award is currently sponsored by the BNL bank and Cesare Attolini.

E stata una sfida tra cinque registi quella per l'assegnazione dei David di Donatello 2009 2010, gli Oscar del cinema italiano assegnati all'Auditorium della Conciliazione di Roma. In pole position con ben 18 candidature c'èra “La prima cosa bella” di Paolo Virzì , seguita dal film di Giorgio Diritti “L'uomo che verrà” con 16 candidature e “Vincere” di Marco Bellocchio che ne aveva ottenute 15. Tra i favoriti c’era anche “Baarìa” di Giuseppe Tornatore in lizza per 14 statuette e “Mine vaganti” di Ferzan Ozpetek, per 12. La cerimonia di premiazione è stata presentata da Tullio Solenghi, trasmessa in diretta su Rai Sat Cinema (TivùSat e digitale terrestre) e in differita alle 23.20 su Rai Uno Ha prevalso “Vincere” di Marco Bellocchio che ha vinto ben 8 premi per regia (Bellocchio), fotografia, montaggio, scenografia, costumi, trucco, acconciature ed effetti speciali. “L'uomo che verrà” di Giorgio Diritti dopo aver vinto i due premi più importanti al Festival di Roma ha ottenuto il David come miglior film miglior produzione e miglior fonico di presa diretta “La prima cosa bella” di Virzì, il favorito di questa 54° edizione con ben 18 candidature, ha vinto per la miglior sceneggiatura (Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì), e per i migliori attori protagonisti: Valerio Mastandrea e Micaela Ramazzotti. Mentre “Mine Vaganti”, forte del successo al Tribeca Film Festival di Robert De Niro, nel quale ha vinto la menzione speciale della giuria, si è portato a casa le statuette per entrambi gli attori non protagonisti: Ilaria Occhini ed Ennio Fantastichini. Grande delusione per “Baarìa” di Giuseppe Tornatore che delle 14 candidature ricevute ottiene solamente il David per le musiche di Ennio Morricone. Valerio Mieli vince con la sua opera prima, “Dieci Inverni” presentata alla scorsa edizione del Festival di Venezia, il premio per il miglior regista esordiente, mentre Jovanotti ottiene il David per la canzone di “Baciami Ancora”. “Bastardi senza gloria” di Tarantino è stato premiato come miglior film straniero mentre “Il concerto” ha vinto come miglior film dell'Unione Europea. “La bocca del lupo” ha ottenuto il David per il miglior documentario mentre “Passing Time” è stato scelto come miglior cortometraggio. Durante la cerimonia sono stati consegnati quattro David alla carriera, rispettivamente a Tonino Guerra, Lina Wertmüller, Bud Spencer e Terence Hill. La storia del premio inzia nel 1950, quando a Roma venne fondato l'Open Gate Club. Il suo simbolo era una porta che si apriva: per accogliere i tempi nuovi e tutti quelli, soprattutto stranieri, che, chiusa la parentesi buia della guerra, tornavano a scegliere Roma come meta privilegiata, soprattutto dal punto di vista culturale. Nell’ambito dell'Open Gate, nasce nel 1953 il Comitato per l'Arte e la Cultura, affiancato, nel 1954, dal Circolo Internazionale del Cinema. Nel 1955, il Circolo del Cinema, assunta la nuova denominazione di Club Internazionale del Cinema, istituiva con l'Open Gate, i Premi David di Donatello, destinati alla migliore produzione cinematografica italiana e straniera: con gli stessi criteri dei Premi Oscar a Hollywood. Il premio sarebbe stata una riproduzione della statua del David scolpita a Firenze da Donatello, riprodotta in oro da Bulgari. Con quei criteri, l'anno dopo, venivano assegnati per la prima volta i Premi David: a Roma, al cinema Fiamma, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica.

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