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Quaderni del volontariato 12
Edizione 2017
Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net
Edizione Dicembre 2017 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide
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Il coraggio della testimonianza Non soffermatevi adesso su questa breve introduzione. Tornateci dopo. Quando avrete colto senza mediazioni di sorta, il significato o i significati dei quali chi ha scritto il libro ha voluto renderci partecipi. In qualche caso anche senza troppa consapevolezza, il che, se possibile, rende questa trasmissione di saperi e conoscenze ancora più preziosa, in quanto naturale ed “istintiva”. Ma di cosa stiamo parlando? Di una scelta coraggiosa. Gli autori di questi testi, di questi racconti, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza. Ma in quale tipo di società? Una società per la quale forse queste esperienze rimangono tutt’altro che virali (usando un termine contemporaneo) e spesso rischiano di rimanere nell’ombra. Una società che ha fra i propri tratti dominanti dei suoi componenti una innegabile riduzione del senso di appartenenza alla comunità, ad un gruppo allargato che sia in grado di condividere non solo ideali e visioni, ma anche obiettivi e cose da fare insieme per il bene comune. Certamente il quadro è stato complicato ed accelerato dalla individualizzazione della comunicazione nella scatola dei social, che hanno creato di fatto una nuova forma di relazione, che per qualcuno integra la relazione pre-digitale, per altri l’ha completamente sostituita. Ebbene, quale sarebbe questa scelta coraggiosa? Questi autori non si sono limitati ad un inutile e sterile lamento che parlasse dei bei tempi che furono, di quando c’era la piazza, di quando il Welfare era in un certo senso il vicinato, la famiglia allargata, la comunità solidale per natura. Di fronte al nuovo adagio che “non c’è più nessuno o nessun organismo sociale e relazionale che sia in grado di restituire alla nostra 3
società la flebile speranza di quello che potremmo definire un umanesimo post-moderno” che “stiamo coltivando la cultura del nemico”, chi ha scritto questo libro ha capito che l’organismo sociale e relazionale in grado di ricomporre e tenere unito il tessuto connettivo più profondo delle nostre comunità può essere ancora il fare associazionismo. Mettersi in relazione con altre persone per condividere una certa visione della realtà, dare senso al proprio tempo valorizzando quello che ognuno sa fare per metterlo in circolo nella propria comunità, occuparsi del prossimo o, più laicamente, dedicarsi alla relazione d’aiuto. Sono tutte azioni possibili, visto che una certa fetta della popolazione, in Italia ed in Umbria, sembra dedicarsi con una certa continuità ad un qualche tipo di impegno “solidale” e di cittadinanza attiva. E lo fa traendo linfa vitale dalla “dotazione di base di ogni persona”, da quel patrimonio di umanità e di empatia che, ognuno porta con sé dalla nascita. Quella sorta di componente genetica di solidarismo, che non tutti hanno la fortuna di concretizzare per vicende personali o per altre esperienze del proprio vissuto che, ad un certo punto della vita, ci rendono forse troppo attenti a noi stessi, al nostro individualismo.. e ci fanno perdere di vista l’altro, l’affresco complessivo delle relazioni, il cosiddetto bene comune. E allora? Cogliamo il valore di queste esperienze dal racconto diretto di chi le pratica nel suo quotidiano. E’ uno dei modi possibili per apprezzare il significato sotteso di queste testimonianze e per prendere consapevolezza che oggi, più di sempre, dedicarsi al volontariato, all’associazionismo e, più in generale all’impegno di cittadinanza attiva resta una scelta, adesso sì, coraggiosa. Salvatore Fabrizio Cesvol Perugia I Quaderni del Volontariato 4
PRAESEPIUM RAPPRESENTAZIONE DI UN EVENTO DI DUEMILA ANNI FA
di Marida Cesarini
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Praesepium
La nascita di Gesù, l’evento che ha segnato la nostra storia, si ripete ogni anno nel presepe con il suo fascino antico e misterioso: “Non è Natale se in ogni casa non c’è il segno di una Natività.”
ADORAZIONE DEI RE MAGI Sandro Botticelli 1475 circa
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Praesepium
PRESENTAZIONE Il Natale, più che una data, è un fatto, un avvenimento con il quale si rintracciano “antiche speranze, utopie future, cronache dimenticate, leggende struggenti, simboli magici, tradizioni popolari, curiosità inattese, racconti, teatro, sceneggiature e poesie” (Francesco Grisi)
Ecco di nuovo davanti a noi il Natale. Un cielo, una notte, un giorno. Un cielo per la voce, una notte per la preghiera, un giorno per la speranza. (Francois Mauriac )
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Praesepium
Perché questo piccolo libricino sul Natale e sulla storia del presepe? Perché mi piace ricordare, scoprire, capire; perché ogni volta che arriva il Natale e si rinnova la tradizione del presepe mi piace condividere i pensieri, le emozioni, i sentimenti che riempiono il mio cuore. Perché mi piace vivere pienamente questa grande Festa. San Francesco d’Assisi la definiva “Festa di tutte le Feste”: infatti, se è vero che il centro dell’anno liturgico è il Triduo Pasquale, è pur vero che senza la venuta nel mondo del Verbo incarnato non ci sarebbero state né la Passione, né la Morte, né la Resurrezione di Gesù Cristo. Festa vissuta nel segno e nella nostalgia di una bontà a cui ogni persona tende con trepidazione, cercando di lasciare dietro l’angolo, almeno per un giorno, le sofferenze, le tristezze e i disagi quotidiani mettendosi in attesa di Gesù Bambino che nasce nella notte per superare ogni umana delusione, inserendosi nella devozione e nel rispetto verso la più grande ricorrenza dell’amore. Perché mi piace condividere la riflessione su ciò che significa la nascita di Gesù Bambino che continua a folgorare la storia del terzo millennio. Perché mi piace costruire il presepe, perché vivo nel paese dove la tradizione del presepe è molto sentita e particolarmente partecipata e vissuta.
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Praesepium
Queste poche righe e immagini vogliono semplicemente trasmettere il mio “sentire il Nataleâ€?, vogliono essere degli appunti da risfogliare e riguardare‌ sperando faccia piacere anche a voi.
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Praesepium
Oggi considerando tutte le fonti a disposizione, si è propensi a fissare la nascita di Gesù fra il 7 e il 4 a.C. rispetto al canonico “anno 0”. E’ importante considerare Cristo anche nella sua dimensione umana e collocare nel tempo la sua esistenza terrena. Tuttavia non è fondamentale sapere in quale anno preciso sia nato in quale determinato giorno: l’importante è che Lui sia nato. E’ anche affascinante il tentativo di Dionigi il Piccolo, seppur non del tutto esatto, di porre il Cristo al centro della storia cosmica, da classificare lo stesso tempo in due grandi epoche: prima della nascita di Cristo e dopo. Lui è veramente lo spartiacque della storia umana, il punto di riferimento, l’Alfa e l’Omega.
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Natale con le luci, gli addobbi, i regali, le case vestite a festa, le corse tra supermercati e negozi per gli ultimi acquisti …e poi i canti, gli auguri, la festa, la gioia. Per un attimo si ritorna bambini… Natale è un cuore felice, è un bimbo adagiato in una greppia, è essere avvolti dal profumo della pace. Insieme, da soli, con i parenti e in famiglia, sotto un ponte o sui cigli delle strade, comunque è sempre Natale. Perché in questo Natale cominci, veramente, qualcosa di diverso per tutti. “Dio viene ancora fra noi, piccolo fra i piccoli, escluso fra gli esclusi, debole fra i deboli, vivremo il Natale se impareremo a contemplarlo e accoglierlo.”
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Praesepium
“E se non fossi ancora pronto al Natale?” Anche quest’anno penso di non essere ancora pronto al Natale. Se ci penso un attimo mi rendo conto che io non potrò mai essere pronto al Natale… se penso che questo dipenda da me! Un Dio che faccio fatica ad immaginare (beh, ovvio, Lui è infinito) che diventa una forma, una persona, diventa come me… aspetta! Come me? Con i miei difetti? Con i miei problemi, i miei dubbi, le mie debolezze e le mie sofferenze? Dio diventa così? Questa è una rivelazione che mi scuote: certo che io non posso prepararmi ad una cosa del genere! È una cosa tanto più grande di me: se mi soffermo a pensarci su capisco che è una cosa sovrumana! Perché Dio, che è Dio, dovrebbe farsi come me, che di divino mi sembra di avere ben poco? Bene… allora qualcosa per prepararmi al Natale lo sto facendo! Sto cominciando a prendere coscienza che non dipende da me la venuta del Signore. Che non sono io con tutto quello che posso fare che renderà possibile questo miracolo. Eh no! Però se faccio attenzione al Vangelo di questi giorni un messaggio chiaro arriva al mio cuore: Dio nel compiere questo prodigio vuole avere bisogno di me. Non si limita a donarmi Gesù gratuitamente, ma mi propone di fare parte, ancora una volta, del Suo progetto. Calma… Lui propone a me di aiutarLo? Ebbene sì! Non vuole fare da solo, ma mi lascia la libertà di scegliere e di metterci del mio. 14
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È per questo che ora voglio preparare il mio cuore per quella notte fondamentale: per ricordarmi di questo Dio buono, che mi dice di chiamarlo Papà, che viene nel mondo per me, per ricordarmi ancora una volta che Lui per me farebbe tutto, anche morire (Lui) in croce per poi risorgere con me! Come faccio allora a prepararmi degnamente? Penso che il migliore suggerimento sia di fare alcune cose molto pratiche e concrete, perché abbiamo bisogno di concretezza: – Ricordati queste parole: “Viene il Signore” e viene per te! Mentre fai i regali, mentre prepari la festa e il cenone e/o il pranzo ricordatelo… Dio viene per te! – Ritagliati 10 minuti per pregare: fallo in maniera semplice, magari leggendo il Vangelo del 25 dicembre così da essere pronto per quella data importante. – Sii felice! Qualunque sia la tua situazione ricordati che è il Signore che fa tutto… devi solo accoglierlo e per farlo ti basta dirgli di sì. Allora buon Natale e che il Signore che nasce silenziosamente nella grotta di Betlemme possa essere l’immagine concreta del tuo cuore che scopre e accoglie con gioia una bellissima novità: anche questa volta il Signore nasce proprio per me. (…) la grotta in cui arrivarono Maria e Giuseppe non era stata pulita, non era addobbata e neanche accogliente! Si sono dovuti accontentare perché nell’albergo non c’era posto per loro, era chiuso.
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Il Signore rinasce anche oggi… com’è il tuo cuore? Perfetto, ma chiuso come l’albergo? o con tante imperfezioni, ma gioioso di accogliere un grande avvenimento?” (da una riflessione degli Animatori Salesiani)
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IL NATALE
“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio…. …E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.” (Vangelo di Giovanni)
Quando si pronuncia la parola Natale, il pensiero volge al Bambino che giace in una capanna o in una grotta contemplato da Maria e Giuseppe. Per tutti i cristiani - non solo per i cattolici - il Natale, la festività che rievoca la nascita di Gesù a Betlemme, è con la Pasqua la data più importante dell’anno liturgico. 17
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E’ la festa dell’apparizione dell’amore salvifico di Dio per ciascun uomo. Ma è anche la festa della dignità dell’uomo. Dio non soltanto ci ha amato, ma ci ha fatto suoi figli in Cristo Gesù. Il Figlio di Dio “si è fatto ciò che siamo per renderci partecipi di ciò che è”. (San Cirillo d’Alessandria)
Nell’incarnazione del Figlio di Dio riconosciamo il nostro volto, la nostra identità di figli. Ascoltiamo l’invito che ci rivolge San Leone Magno: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non volere tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna”.
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Il Natale di Gesù è la “festa della fiducia e della speranza, che supera l’incertezza e il pessimismo. E la ragione della nostra speranza è questa: Dio è con noi e Dio si fida ancora di noi!” (Papa Francesco)
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Natale porta il pensiero alla meditazione di un avvenimento che trascende l’umanità dell’evento stesso. Se così non fosse, Natale sarebbe veramente una delle tante feste di compleanno che siamo abituati a “celebrare” in famiglia, tra amici. Natale, in realtà, è un avvenimento speciale in cui si celebra “un misterioso scambio tra Dio e gli uomini” (Prefazio di Natale,III). Per mezzo di Gesù che nasce, l’uomo diventa capace di accogliere la divinità e vedere con uno sguardo nuovo la propria quotidianità. L’avvenimento, letto attraverso la simbologia, permette all’uomo di approfondire gradualmente la conoscenza del Divino. Con la nascita di Gesù, per i cristiani Dio non è più un’entità distante, che si può solo intuire da lontano, ma è un Dio che si rivela ed entra nel mondo per rimanervi fino alla fine dei tempi. Per la fede cristiana, l’unico Natale è quello di Gesù: l’avvenimento decisivo della storia umana, in cui un bambino, figlio di Dio, nato da una madre vergine e deposto in una mangiatoia, appare sulla terra con la missione di salvare gli uomini dal male, attraverso il suo sacrificio e la sua morte.
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Natale acquista così il vero senso cristiano alla luce della Risurrezione come ci ricordano le parole di Francois Mauriac:
“ Se non avessi conosciuto il Cristo, Dio sarebbe stato un vocabolo vuoto di senso. Il Dio dei filosofi non avrebbe avuto alcun posto nella mia vita morale. Era necessario che Dio si immergesse nell’umanità, che in un preciso momento della storia un essere umano fatto di carne e sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi gettassi in ginocchio!”
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Ma al di là del significato e del messaggio che il Natale porta in sé, è molto interessante capire anche gli aspetti tradizionali e le consuetudini ad esso legati: in primo luogo le motivazioni che hanno indotto la Chiesa a fissarne la data al 25 dicembre. Sebbene le origine storiche della celebrazione di questa festività siano avvolte nell’incertezza, un elemento appare abbastanza evidente: il Natale è stato sin da subito messo in correlazione con la simbologia del sole e della luce e con il giorno del solstizio d’inverno. Nella Roma precristiana si celebrava la festa pagana del Sol Invictus - il Dio Sole Invitto, cioè “mai vinto” e quindi “invincibile”, che sempre sconfiggerà le tenebre - in coincidenza del solstizio d’inverno, che secondo i calcoli di allora cadeva il 25 dicembre, nel periodo un cui il giorno inizia ad allungarsi. Al solstizio, dopo aver raggiunto il suo punto più basso, il sole finalmente ricomincia a salire: …un sospiro di sollievo dopo l’ancestrale paura di una notte senza fine, di un sole che potrebbe rifiutarsi di scaldarci ancora, di un seme che potrebbe non germogliare più…
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Il Sole, in quanto fonte di luce, di calore e di vita, era adorato come divinità in tutte le culture arcaiche. Nei culti orientali ad esempio le celebrazioni del rito della nascita del sole prevedevano che i celebranti, ritiratisi in appositi santuari, ne uscissero a mezzanotte annunciando che la Vergine (in greco Kore) aveva partorito il Sole, raffigurato come un bambino, venuto a sconfiggere le tenebre. E ancora, antichissimi e diffusissimi erano i culti misterici di tipo iniziatico legati al dio indo-persiano Mitra (di cui si hanno tracce già dal 1.400 a.C.), associato alla volta celeste e al disco solare come dispensatore di luce intesa sia come vita (fecondità, fertilità) che come verità (era infatti preposto ai giuramenti e ai contratti e lo stesso nome Mitra significherebbe “alleanza”). Quando il culto di Mitra iniziò a diffondersi a Roma intorno al I sec. d.C. tramite soprattutto i legionari dell’esercito, esso si sovrappose gradualmente a quello del Sol Invictus e tale sincretismo portò a raffigurare Mitra come Sole con una “aureola” di raggi sul capo, simbologia che poi gli stessi imperatori fecero propria a significare il loro diritto divino a regnare. 23
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Un ruolo importante nella definizione della data del Natale si ebbe con l’imperatore Costantino I il Grande (274-337): con la sua (presunta) conversione - celebre l’episodio del sogno in cui una voce gli avrebbe detto “In hoc signo vinces”, con l’apparizione del simbolo della croce, propiziando la sua vittoria contro Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio del 312 - e con il famoso Editto di Milano del 313 con cui garantiva libertà di culto in tutto l’impero, favorì una forte diffusione del cristianesimo. Nel contesto in cui si trovava, Costantino, che sicuramente proveniva da una tradizione orientale legata al culto del Sole e che gradualmente si avvicinò al cristianesimo, mirò verosimilmente a creare una situazione di convivenza fra i vari credo dell’Impero, tendendo ad un monoteismo di base in cui a poco a poco la figura del Dio Sole/Mitra si fuse con quella di Cristo: infatti, consapevole della forte espansione della nuova religione nonostante le precedenti persecuzioni, l’imperatore cercò di favorirla per crearsi una solida base di consenso. 24
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Costantino, come anche altri imperatori, fece raffigurare il Sol Invictus sulla sua moneta con l’iscrizione “soli invicto comiti” e nel 321 stabilì che il primo giorno della settimana (Dies Solis) doveva essere dedicato al riposo.
Poi nel 330 ufficializzò la Natività di Gesù in coincidenza con la festività della nascita del Sol Invictus al 25 dicembre: la prima menzione della ricorrenza risale al 336 e si riscontra nel Chronographus, calendario illustrato accompagnato da testi redatto nel 354 a Roma dal calligrafo Furio Dionisio Filocalo. Celebrare la nascita di Cristo in coincidenza con il solstizio invernale diede origine a molte controversie. Da una parte, infatti, elementi comuni a più culti potevano favorire la diffusione del cristianesimo, ma dall’altra si affermava sempre di più l’esigenza di definire le simbologie proprie del messianismo biblico e quelle riferite direttamente a Gesù Cristo. Tertulliano scriveva già nel III secolo che “molti ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto noto che 25
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noi preghiamo rivolti verso il Sole sorgente e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia” - confusione senz’altro favorita dal fatto che Gesù era risorto nel primo giorno della settimana e che per questo i cristiani avevano l’abitudine di festeggiare proprio in quel giorno. E ancora, Papa Leone I, nel Natale del 460, scriveva: “E’ così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I Cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei”. La religione del Sol Invictus continuò per altro ad essere fortemente sentita fino al celebre editto di Tessalonica, emesso nel 380 dagli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II, in cui si stabiliva che l’unica religione di stato era il Cristianesimo di Nicea, bandendo di fatto ogni altro culto. Giustiniano, con la chiusura dell’ultimo tempio in onore di Iside in Egitto nel 536, diede il definitivo via libera all’affermazione del Natale cristiano in tutto l’Impero Romano. Il simbolismo della luce in relazione al Figlio di Dio è comunque presente in tutta la Bibbia, come ad esempio nel Vangelo di Giovanni e nelle Lettere di San Paolo. Nel Libro di Malachia (3-20) il Messia atteso dal popolo ebraico veniva indicato come nuovo sole di giustizia: “La mia giustizia sorgerà come un Sole e i suoi raggi porteranno la 26
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guarigione… Il giorno in cui io manifesterò la mia potenza, voi schiaccerete i malvagi…” Il Vangelo di Luca riporta il Cantico di Zaccaria, in cui il padre di Giovanni il Battista, con gli occhi dello Spirito Santo, vede già il Messia del Signore presente in questo mondo e lo annuncia come un sole che viene dall’alto per visitarci. È il sole di verità, grazia, misericordia, vera salvezza. È il sole di conversione e di vera speranza. Nasce la speranza solo per chi si lascia immergere in questo sole, rivestire e avvolgere da esso. Nello stesso testo la missione del Battista prepara la venuta del Signore, descritto come “un sole che sorge dall’alto”. Dunque i primi cristiani, per i quali era familiare il simbolismo della luce e del sole riferito a Cristo, hanno trasformato la festa pagana del sole invincibile nell’anniversario della nascita di Gesù di cui facciamo memoria nella notte di Natale, sentendo l’attualità di questo evento. E i primi esempi di iconografia cristiana raffigurano Gesù con elementi solari, come la corona radiata che resta un particolare proprio degli Ostensori.
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È nato oggi per noi il Salvatore. È sorto su tutto il mondo il vero Sole. Dio si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio.” (Sant’Agostino) Il Sole sorge per squarciare le tenebre di cui è ancora piena la nostra storia; è la stella più luminosa in assoluto, Gesù generato e non creato – che viene sulla terra per rivelare la salvezza dell’umanità.
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E’ Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano. E’ Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro. E’ Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società. E’ Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale. E’ Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza. E’ Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri. (Santa Madre Teresa di Calcutta)
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LE ORIGINI DEL PRESEPE Il Presepe simbolicamente evoca la Chiesa che si raduna per celebrare e vuole rappresentare visivamente la nascita di Gesù. La ricorrenza del Natale è talmente sentita e partecipata che nel corso dei secoli si è arricchita di segni e di simboli che la identificano, che la rendono unica e immediatamente riconoscibile: lo scambio dei doni, l’albero addobbato (di origine nord-europea) e naturalmente, per noi cattolici, il presepe. Il presepe è la rappresentazione concreta e realistica, nonché artistica, della nascita di Gesù, un modo simbolico a dimensione anche intima e “domestica” per meditare questo avvenimento umano-divino profondo e misterioso. Il termine “presepe” o “presepio” deriva dal latino praesepe o praesepium che significa recinto chiuso o mangiatoia; dal luogo in cui fu posto il bambino, oggi è passato a indicare l’intera rappresentazione della natività in tutte le sue sfumature. In definitiva il presepio è una rappresentazione statica e tridimensionale dell’adorazione della nascita di Gesù realizzata per mezzo di figure costruite in diverse tipologie di materiali e caratterizzazioni inserite in un contesto paesaggistico più o meno realistico o immaginario, a seconda delle tradizioni o dell’estro di chi lo realizza. Le prime fonti per la raffigurazione del presepe sono i Vangeli di Matteo e di Luca (nei 180 versetti cosiddetti “dell’in30
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fanzia”) che riportano la nascita di Gesù avvenuta al tempo di re Erode nel villaggio di Betlemme di Giudea, piccolo, ma nobile, in quanto aveva dato i natali a re Davide. L’annuncio della venuta di Cristo, secondo i due evangelisti, è affidato a persone semplici e umili, Maria e Giuseppe: Maria è descritta da Luca come colei che presenta il Figlio ai pastori e ai contadini, ovvero al popolo di Israele, che offrono in dono i frutti della terra e della pastorizia. In Matteo, Gesù viene adorato anche dai Re Magi, sapienti stranieri che presentano in dono gli elementi che simbolicamente sottolineano la regalità (oro), la divinità (incenso) e l’umanità (mirra, anticipazione della passione e morte) del Signore. Molti elementi del presepe, però, discendono dai Vangeli apocrifi e da altre tradizioni più o meno antiche. Il bue e l’asinello, ad esempio, simboli immancabili di ogni presepe, derivano dal cosiddetto protovangelo di Giacomo e da un’antica profezia di Isaia che scrive “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”. Sebbene Isaia non si riferisse alla nascita del Cristo, l’immagine dei due animali venne utilizzata comunque come simbolo degli ebrei (il bue) e dei pagani (l’asino). Riguardo al luogo in cui nacque il Messia, solo Luca cita i pastori e fa riferimento ad una mangiatoia in una stalla; a Betlemme la Basilica della Natività (sotto un’immagine della pala d’altare) sorge intorno a quella che è indicata dalla tradizione come la grotta ove nacque Cristo e anche quest’informazione si trova nei Vangeli apocrifi.
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I Magi sono menzionati non solo dal Vangelo di Matteo, ma anche dal Vangelo armeno dell’infanzia. In quest’ultimo si trovano informazioni sul numero e sul nome di questi sapienti orientali, identificati come tre sacerdoti persiani: Melkon (Melchiorre, forse il più anziano, il cui nome deriverebbe da Melech, che significa Re), Gaspar (Gaspare, per i greci Galgalath, ovvero signore di Saba) e Balthasar (Baldassarre, che deriverebbe da Balthazar, mitico re babilonese, quasi a suggerire la sua regione di provenienza), anche se non mancano interpretazioni in cui i magi sarebbero stati un persiano (recante in dono oro), un arabo meridionale (recante l’incenso) e un etiope (recante la mirra).
Una leggenda che fa parte della tradizione ortodossa parla di un quarto re di nome Artaban, sacerdote persiano che praticava il culto di Zarathustra (o Zoroastro), di cui abbiamo una trasposizione nel romanzo “Il quarto saggio” 33
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(1896) dello scrittore e pastore presbiteriano Henry Van Dycke. Si racconta che Artaban un giorno avvistò la stella cometa e decise di seguire i Re Magi nel viaggio verso Gerusalemme, ma non potè partire insieme a loro perché si fermò a soccorrere un ebreo gravemente ferito. Dopo averlo soccorso, Artaban ricevette dall’uomo una rivelazione che gli annunciava la nascita del Messia a Betlemme. Alla fine Artaban raggiunse la grotta della Natività, ma in ritardo, quando i Magi erano già da tempo andati via: si presentò a mani vuote e per questo chiese scusa a Gesù appena nato, che gli tese la mano. La storia dei re Magi è una leggenda che nasce molto lontano, in terre esotiche e ricche di antiche tradizioni, ispirata all’oracolo di Balaam, identificato sempre con Zarathustra/Zoroastro, che aveva annunciato che un astro sarebbe spuntato da Giacobbe e uno scettro da Israele. Così i Re Magi, con le loro ambientazioni misteriose, entrarono nel presepio incarnando le popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa. Anche il numero dei Magi fu piuttosto dubbio, andando da due a dodici, finché, basandosi sui doni citati nel Vangelo di Matteo, Papa Leone Magno nel V secolo stabilì con decreto papale che fossero tre. Per alcuni il numero tre avrebbe una forte valenza simbolica e indicherebbe le tre razze umane, discendenti dai tre figli di Noè: Sem, Cam e Iafet. Queste leggende si incrociano con quella della Befana che racconta come i Re Magi, durante il viaggio verso Betlemme, si fermarono alla casa della vecchietta e la invitarono ad unirsi a loro. La Befana declinò l’invito e lasciò partire 34
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i Magi da soli, ma poi ripensandoci decise di seguirli. Non riuscendo a ritrovarli, da allora, nel buio della notte, lascia a tutti i bambini un dono sperando che fra quei bambini ci sia Gesù. Meno conosciuta è la sorte dei Re Magi dopo la loro morte. Secondo la tradizione, i loro resti sarebbero stati rinvenuti da Elena, madre dell’imperatore Costantino, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa e successivamente traslati nella Grande Chiesa (l’attuale Santa Sofia). Le sacre reliquie, riposte dentro una cassa di legno, avvolte in tessuti intrisi di profumi e di mirra, vennero poi portate a Milano per iniziativa del vescovo greco Eustorgio e conservate in un’arca romana di marmo sormontato dalla stella e dalle tre corone, con l’epigrafe “Sepulcrum trium Magorum”. Nel 1164 durante l’assedio di Federico Barbarossa, i resti dei Re Magi furono trafugati e trasportati a Colonia, nella chiesa di San Pietro, oggi Duomo della città tedesca, dove tuttora sono venerati come sacre reliquie. Milano tentò più volte di riaverli, ma senza successo; solo nel 1906 il Cardinal Ferrari, Vescovo di Milano, riuscì a ottenere parte delle ossa, ora collocate in un prezioso tabernacolo sopra l’altare dei Magi.
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Come abbiamo visto, alcuni dei simboli legati al presepio provengono direttamente dal racconto evangelico: sono riconducibili al racconto di Luca la mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la presenza di angeli nel cielo. Altri elementi appartengono invece a una iconografia propria dell’arte sacra: Maria ha un manto azzurro che simboleggia il cielo, San Giuseppe ha in genere un manto dai toni dimessi (marrone o ocra) a rappresentare l’umiltà. È impossibile fissare una data di origine del presepe. Per comprendere la tradizione e la genesi del moderno presepe, alcuni pensano di trovarne le radici nel culto dei lari (lares familiares) della cultura etrusca e latina. Per gli antichi romani i lari erano gli antenati defunti che vegliavano sul buon andamento della famiglia: ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta di terracotta o di cera chiamata sigillum (da signum = segno, effigie, immagine). Queste statuette venivano collocate in apposite nicchie all’interno della casa e, in particolari occasioni, onorate con l’accensione di una fiammella. In prossimità del solstizio d’inverno si svolgeva la festa detta Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l’anno. In attesa della festa, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale era di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura. Nella vigilia della festa la famiglia si riuniva davanti al recinto per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole 36
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con cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati� dai loro trapassati nonni e bisnonni.
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Già a pochi decenni dalla morte di Cristo, la scena della sua nascita iniziò a essere rappresentata con pitture o bassorilievi su diversi supporti come decorazione dei luoghi di culto. Tali tracce sono numerosissime e anche molto importanti perché l’evoluzione della loro iconografia interesserà anche lo sviluppo del presepe. Una testimonianza significativa per stabilirne la storia è rappresentata dagli affreschi delle catacombe di Priscilla a Roma: qui si trovano le rappresentazioni pittoriche più antiche a noi pervenute dell’Adorazione dei Magi (II secolo, fig. 1) e della Madonna con il Bambino in grembo (III secolo, fig. 2) raffigurata con accanto il già citato Balaan che indica una stella. Successivamente in altre catacombe e poi nelle chiese i cristiani raffigurarono la nascita di Cristo con sempre maggiori particolari; furono introdotti il bue e l’asino (fig. 3), Giuseppe, i Magi, i pastori; nei secoli III e IV apparvero moltissime Epifanie (manifestazioni) affrescate con i Magi (fig. 4). Sempre nel IV secolo, in un affresco nelle catacombe di 38
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San Sebastiano comparve per la prima volta il Bambino Gesù in una mangiatoia tra due animali, il bue e l’asino, ma senza Maria. La “tettoia” di legno retta da tronchi d’albero che Papa Liberio (352-355) fece erigere a Roma nella primitiva Basilica originariamente intitolata a Santa Maria della Neve - e oggi nota come Santa Maria Maggiore sull’Esquilino - può essere considerata una prima “tipologia” di rappresentazione presepiale. Nel IV secolo Papa Sisto III fece edificare sulla precedente la nuova Basilica e all’anno 432 si attesta l’esistenza di un altro “presepio”, con la costruzione di una “grotta della Natività” simile a quella di Betlemme. Fin da allora, tra i due luoghi si stabilì un forte legame grazie ai pellegrini che attraversavano il Mediterraneo e facevano tappa alla tomba di Pietro e nelle basiliche patriarcali. Alla figura di Sant’Elena, si fa risalire la presenza all’interno della chiesa di preziosi frammenti del legno della Sacra Culla (cunabulum), oggi custoditi nella teca della Confessione. Si tratta di cinque assicelle di acero in posizione orizzontale conservate insieme con altre reliquie (tessuti e tituli) che un tempo, nel periodo natalizio, venivano collocate nel centro della navata principale ed esposte alla venerazione dei fedeli. Alcuni ipotizzano che le reliquie della Culla vennero invece inviate da San Sofronio di Gerusalemme a papa Teodoro I (642-649), di origine orientale, a seguito delle difficoltà provocate dall’invasione musulmana e fu proprio a quest’epoca che risalirebbe la denominazione Sancta Maria ad praesepem della stessa Basilica. 39
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Papa Sisto V fece collocare le reliquie della Culla sotto l’altare della cappella “sistina”, costruita a questo scopo. In quell’urna, che è quella attuale, figurano dei bassorilievi del presepe, l’adorazione dei Magi, la fuga in Egitto e l’Ultima Cena. Sull’urna c’è un Bambino Gesù d’oro che benedice. Figurano poi due cherubini, ciascuno con un vaso di cristallo che custodisce alcune reliquie (presumibilmente fieno del presepe e un frammento del velo di Maria). Papa Gregorio II (731-734) fece poi sistemare sotto la tettoia di Santa Maria Maggiore una statua d’oro della Madonna con il Bambino e in seguito anche in altre chiese vennero realizzati decori simili che ricordavano il Sacro Evento.
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Ma come tutti sappiamo è con il nostro Santo di Assisi che, dal punto di vista storico, si ha la prima vera rappresentazione del presepio, nel piccolo paese di Greccio (Rieti). Il desiderio di rievocare la nascita di Gesù venne a San Francesco durante un viaggio in Palestina e, quando nell’autunno del 1223 si recò a Roma da papa Onorio III, chiese al Santo Padre di poterla realizzare. Ottenuto il permesso, San Francesco tornò in quella Greccio che gli “ricordava Betlemme” e disse a Giovanni Velita, signore del luogo: “Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del Divino infante”. E così, il 24 dicembre 1223, venne messa in scena la nascita di Gesù Bambino. Tommaso da Celano, cronista della vita di San Francesco, descrive così la scena nella Legenda secunda:
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“Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme.” Il presepio di Greccio ha come antefatto le “sacre rappresentazioni” delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale. Nella rappresentazione preparata da San Francesco, al contrario di quelle successive, non erano presenti la Vergine Maria, San Giuseppe e Gesù Bambino, perché Francesco non voleva si facesse “spettacolo” della nascita del Signore; nella grotta c’erano solo una mangiatoia sulla quale era stata deposta della paglia e i due animali ricordati dalla tradizione. Nella Legenda prima Tommaso da Celano ci dà una descrizione più dettagliata della notte in cui fu allestito il primo presepio a Greccio; il racconto di Tommaso è poi ripreso da Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore: “I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. L’uomo di Dio [Francesco] stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia, il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli [...] chiama “il bimbo di Betlemme”. Un cavaliere virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia e si era legato di grande familiarità all’uomo di Dio, messer Giovanni di Greccio, affermò di avere veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo bimbo addormentato che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno.”
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Nel corso dei secoli le rappresentazioni artistiche della Natività si arricchirono di particolari, come ad esempio l’introduzione dei personaggi di San Giuseppe e dei pastori a partire dal IV secolo. Ma non si può però ancora parlare effettivamente di presepe come noi lo intendiamo, mancando il carattere della tridimensionalità. In questo senso, il più antico presepe a noi pervenuto con figure plastiche risale sempre all’epoca medievale (1289/1290, a pochi anni di distanza dalla notte di Greccio) ed è quello di Arnolfo di Cambio, realizzato non a caso nella già citata Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Fu l’ideatore della prima rappresentazione in pietra della Natività, con la collocazione delle statue dei vari personaggi in un complesso apparato architettonico e scultoreo che riproponeva l’intera grotta di Betlemme, purtroppo ormai perduto. L’opera fu commissionata all’artista fiorentino da Papa Niccolò IV, primo pontefice francescano della storia, sia per ricordare il primo presepio di Greccio, sia per dare risalto alla reliquia della mangiatoia venerata nella stessa chiesa. Le statue di Arnolfo di Cambio non sono tecnicamente a “tutto tondo”, ma ottenute in altorilievo su fondi marmorei dipinti secondo il “criterio di visibilità”, cioè scolpite solo nelle parti effettivamente visibili all’osservatore. Seppur rimaneggiate nei secoli successivi (sicuramente la Vergine non è più l’originale di Arnolfo), tali figure di foggia medievale si stagliano ancora nella loro commovente bellezza di fronte al visitatore. L’artista dispose originariamente tutti i pezzi del Presepe all’interno dell’intero spazio 43
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disponibile che fu creato appositamente per loro in una simbiosi perfetta tra scultura e architettura, per rendere partecipe della scena anche lo spettatore: è in questo senso che la realizzazione di Arnolfo di Cambio della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma diviene uno dei primi e più antichi esempi di presepi “viventi” della storia, secondo solo a quello di San Francesco (figg. da 5 a 7). Se il più antico è quello di Arnolfo, il primo presepe che conosciamo realizzato con figure scolpite a tutto tondo (più o meno nello stesso periodo, alla fine del ‘200) è l’Adorazione dei Magi custodita nella Chiesa della Trinità (o Martyrium) presso la Basilica di Santo Stefano a Bologna. Si tratta di un gruppo ligneo policromo con figure a grandezza d’uomo che rappresentano la Sacra Famiglia e i tre Magi: attribuito al cosiddetto Maestro del Crocifisso 1291, è un capolavoro dell’arte gotica italiana (fig. 8). Dopo San Francesco, un altro grande Santo fu protagonista della storia del presepe: San Gaetano di Thiene, nato a Vicenza nel 1480 e morto a Napoli nel 1547. San Gaetano, a Napoli, non è un Santo qualsiasi. La sua statua s’innalza nella piazza che oggi porta il suo nome e che fu l’agorà, il centro, della Neapolis antica. La grande chiesa dedicata ai Santi Pietro e Paolo è conosciuta da pochi come “chiesa di San Paolo Maggiore”: i più la chiamano “la chiesa di San Gaetano”. In ricordo del suo patrocinio a favore della città in occasione di una grave pestilenza, fu elevato al rango di compatrono di Napoli, tanto che il suo busto compare nella controfacciata delle porte urbiche napoletane, con un’iscrizione 44
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che ricorda la sua intercessione. In un libro del Settecento (che fa parte della biblioteca della chiesa di S. Maria della Sanità), San Gaetano è presentato come colui che diede origine alla tradizione di allestire il presepe nelle chiese e nelle case private in occasione del Natale, a seguito dell’episodio mistico in cui ebbe l’apparizione della Vergine nell’atto di porgergli Gesù Bambino fra le braccia. “Il Santo si sentì stimolato a costruire un presepe materiale, visibile a tutti, per rinnovare ogni anno il ricordo del grande privilegio ricevuto dalla Vergine Maria, la quale gli pose in braccio il bimbo appena nato, mentre, la notte di Natale, egli era assorto in orazione davanti al vero presepe (la mangiatoia) di Betlemme, trasportato nella Basilica di Santa Maria Maggiore, in Roma; e per rendere più vive nel suo spirito le fiamme dell’Amore divino, che poi intendeva diffondere nei cuori degli altri. Questa invenzione del nostro Santo meritò tanto gradimento da parte della città di Napoli, che negli anni seguenti la si vide introdurre anche in altre chiese, e, passando poi di luogo in luogo, oggidì questo uso si pratica quasi dappertutto, persino nelle case private”. Nel 1534 infatti San Gaetano allestì un Presepe in una cappella adiacente l’ospedale degli Incurabili (allora Santa 45
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Maria del Popolo). Il Santo opererà il primo di quei cambiamenti che caratterizzeranno la differenza fra i presepi “canonici” (quelli delle chiese) e quelli familiari: l’introduzione di personaggi vestiti non come i giudei all’epoca di Gesù, ma come persone dei suoi tempi. L’operazione ebbe un successo popolare tale da far ritenere che Gaetano di Thiene sia il vero “inventore” del moderno presepe napoletano, che forse non sarà il primo in ordine di tempo, ma sicuramente il più apprezzato nel mondo.
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IL PRESEPE NELL’ARTE Dalle prime rappresentazioni nelle catacombe, la scena della Natività ha continuato ad essere protagonista della storia dell’arte, in opere pittoriche, scultoree e musive. Celebri mosaici sono ad esempio l’Adorazione dei Magi nel ciclo di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna del V-VI secolo (fig. 9) o la Natività di Gesù e l’Adorazione dei Magi inseriti nel ciclo musivo “Scene della vita di Maria” nell’abside della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, opera di Jacopo Torriti (figg. 10 e 11). Torriti fu probabilmente un frate francescano che operò anche ad Assisi nella decorazione della Basilica Superiore di San Francesco accanto a Cimabue. Ma il primo maestro che vogliamo ricordare è sicuramente Giotto. L’evento di Greccio, così come raccontato da Bonaventura, ha ispirato l’artista toscano per una delle scene del ciclo di affreschi della nostra Basilica Superiore di San Francesco di Assisi, databile alla fine del XIII secolo (figg. 12 e 13), all’epoca dello stesso Papa francescano Niccolò IV che commissionò il presepe ad Arnolfo di Cambio; di Giotto e bottega sono anche gli affreschi nel transetto destro della Basilica Inferiore che narrano le storie dell’infanzia di Cristo, in cui figurano la Natività e l’Adorazione dei Magi (figg. 14 e 15). Altri due magnifici affreschi di Giotto con la Natività e l’Adorazione fanno parte del celebre ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova con le storie della Vergine e di Cristo (inizio XIV secolo, figg. 16 e 17). 47
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Da menzionare sicuramente il giottesco Taddeo Gaddi che, oltre alla Natività, ci tramanda anche la più antica immagine dipinta di Giuseppe come Santo a sé stante. Nel ‘400 e nel ‘500, in un’epoca di bellezze e di innovazione tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna, molti grandi maestri del Rinascimento raffigurarono la Natività e l’Adorazione dei Magi, consegnandoci in eredità dei capolavori assoluti. Ne citiamo solo alcuni a titolo di esempio, non potendo in questa sede approfondire ulteriormente: Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Gentile da Fabriano, Sandro Botticelli, Filippo Lippi, il Ghirlandaio, Raffaello, Piero della Francesca, Leonardo da Vinci, Lorenzo Lotto, Correggio, i fiamminghi ecc… (figg. da 18 a 24). Da ricordare in particolare due maestri umbri: il Pinturicchio, con l’Adorazione dei Pastori affrescata nella Cappella Baglioni a Spello (fig. 25), e il Perugino, con l’Adorazione del Bambino nella Sala delle Udienze del Collegio del Cambio a Perugia (fig. 26) o l’Adorazione dei Magi nell’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi a Città della Pieve (fig. 27). Verso la metà del Quattrocento si cominciò a introdurre uno scenario intorno alla grotta o capanna. Con il Rinascimento la mangiatoia fu sostituita da morbidi cuscini, la Vergine fu raffigurata in adorazione, mentre precedentemente era accostata al Bambino, il bue e l’asino finirono in un angolo buio mentre San Giuseppe non fu più rappresentato in disparte e dormiente, ma vicino a Gesù. Nella scultura, citiamo in primo luogo i Della Robbia - il 48
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capostipite Luca, suo nipote Andrea e il figlio di questi Giovanni - “inventori” fra ‘400 e ‘500 della tecnica della terracotta policroma invetriata, che li identifica distintamente nel panorama artistico tanto che ancora oggi le maioliche invetriate vengono chiamate “robbiane”.
Parrocchia San Pietro Apostolo Petrignano
Tra le molte loro rappresentazioni del presepe, ricordiamo quella del convento della Verna e quella con sfondo affrescato da Benozzo Gozzoli conservata nel Duomo di Volterra che raffigura i pastori e il corteo dei Magi. Nella seconda metà del XV secolo iniziarono a diffondersi grandi presepi a Napoli in legno con figure a grandezza naturale e in Emilia in terracotta. E fu proprio a partire dagli scultori Guido Mazzoni, modenese, e Giovanni Mer49
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liano, napoletano, che si accentuò sempre più negli artisti la tendenza a modellare il presepe con costumi e usanze del proprio tempo e della propria terra. Nel sud, particolarmente in Puglia, grandi scultori crearono presepi in pietra locale policroma. Degna di nota è l’opera dello scultore Antonio Begarelli che nel ‘500 realizzò un presepe in terracotta su commissione della famiglia d’Este, conservato in esposizione permanente nel Duomo di Modena. Le opere di Begarelli contribuirono al fiorire del Rinascimento nella città emiliana sotto gli estensi, elevandola a vivace centro culturale oltre Firenze o Roma. Anche nell’Oratorio di San Giuseppe a Urbino è possibile ammirare in esposizione permanente un pregevole presepe in pietra e stucco con figure a grandezza naturale inserite nel loro paesaggio, opera realizzata verso il 1550 dell’artista Federico Brandani.
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Nel corso del XVI secolo apparvero i primi accenni di paesaggio in rilievo in sostituzione del fondale dipinto; al bue e all’asinello - unici animali presenti nella rappresentazione - si aggiunsero via via cani, pecore, capre. Contemporaneamente alla diffusione dei grandi presepi stabili, veniva affermandosi l’uso di realizzare presepi con figure di dimensioni sempre più ridotte, sia nelle chiese che nelle case dell’aristocrazia, fino a giungere alla costruzione del primo presepe mobile a figure articolabili, allestito dai padri Scolopi nel 1627, che presenta anche un’altra importante novità: non era più un presepe “permanente”, ma smontabile, ovvero allestito solo nel periodo natalizio e poi riposto. Dal XVII secolo il presepe entrò gradualmente anche nelle case dei nobili sotto forma di “soprammobile” o di vera e propria cappella in miniatura - anche grazie al rinnovato fervore cattolico che seguì il Concilio di Trento (15451563) e quindi la Controriforma - come segno tangibile che potesse trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. E’ nella prima metà del ‘600 che nacque la figura dell’artista 51
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che si occupava specificatamente della creazione del presepe con tutte le sue figure. Il napoletano Michele Perrone fu uno di questi: si dedicò con notevole successo a questa attività e altrettanto bravi furono i suoi fratelli Aniello e Donato. Accanto al legno, comparvero pastori in cartapesta più piccoli rispetto ai precedenti e manichini di legno con arti snodabili e vestiti di stoffa. Furono proprio questi manichini che segnarono la svolta verso il presepe del ‘700, anche se spesso continuarono a convivere le due tipologie. In Sicilia si sviluppò un artigianato presepiale fortemente caratterizzato. A Palermo e nel siracusano, dove l’apicultura era molto diffusa, fin dal ‘600 si usò la cera per plasmare statuine di Gesù Bambino e poi interi presepi. In quest’arte si distinsero i cosiddetti “Bambinai” che operavano a Palermo nella zona della chiesa di San Domenico tra il ‘600 e il ‘700; famosi furono Giulio Gaetano Zumbo, del quale si può ammirare un presepe al Victoria and Albert Museum di Londra, e Giovanni Rosselli, ricordato da una sua opera al Museo Regionale di Messina, nonché Anna Fortino, Giacomo Serpotta e Anna La Farina. I Bambinelli sono di fattura raffinata, impreziositi da accessori d’oro e d’argento, ieratici nell’espressione e rappresentati con una croce in mano. A Trapani per la fattura dei presepi si utilizzarono materiali nobili come corallo, avorio, madreperla, osso, alabastro e conchiglie. Splendidi esemplari di presepi in stile d’epoca sono quelli esposti ai musei Pepoli di Trapani e Cordici di Erice. A Caltagirone, città produttrice di ceramiche fin dal ‘500, i presepi sono realizzati in terracotta e rappresentano 52
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come cornice alla Natività, scene di vita contadina e pastorale animate da personaggi tipici di quella civiltà come il pastore che dorme, lo zampognaro, il venditore di ricotta o il cacciatore. Più in genere nell’intero territorio isolano ebbe grande diffusione, a partire dal ‘600, il presepe costruito con la tecnica usata nella produzione di statue d’altare: statuine in legno rivestite di stoffe immerse in un bagno di colla per renderle rigide e dai colori brillanti. Tra i più noti presepisti del genere si ricordano il caposcuola Salvatore Matera, il Nolfo, il Ciotta, i Pisciotta e i Tipa. Il XVIII secolo fu il periodo d’oro del presepe. Carlo III di Borbone (1716-1788), re di Napoli e poi di Spagna, ebbe un ruolo importante nella capillare diffusione di questa usanza nel napoletano. Il sovrano mecenate riportò la città partenopea al livello delle più ferventi capitali europee, alimentando una meravigliosa fioritura culturale e artistica, testimoniata anche dalla magnifica produzione presepiale. Gli scultori napoletani diedero l’avvio a un vero e proprio genere artistico di gusto barocco con tendenza a una rappresentazione fortemente naturalistica. Cambiarono le tecniche di costruzione del “pastore” - termine con il quale s’individua qualsiasi personaggio presepiale - sostituendo la statua scolpita, la cui realizzazione richiedeva troppo tempo, con manichini con un’anima di fil di ferro, arti in legno e teste di terracotta ricavate da piccoli stampi, che avevano anche il pregio di poter essere articolati come richiedeva il personaggio, rappresentato nell’atto in cui veniva colto, dando l’impressione del movimento. Il 53
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“figurinaio” divenne una vera e propria professione - che coinvolse anche le donne di casa, adibite al taglio e al cucito delle vesti - con specializzazioni diverse nella realizzazione di pastori, animali, strumenti di lavoro e musicali, prodotti dell’orto e minuterie varie, tutti riprodotti in scala. Lo stesso re, abile nei lavori manuali e nella costruzione di congegni, si circondò di scenografi, artisti e architetti. E’ chiaro che il presepe settecentesco, non a caso definito cortese, di sacro conservava ben poco, assumendo una valenza soprattutto artistica, nonché “trasformandosi” in un’esperienza mondana per nobili e ricchi borghesi, l’avvenimento e il passatempo principale delle festività natalizie, quando il re e la corte visitavano i presepi più rinomati della capitale del regno che talvolta riuscivano a stupire anche la regina, come accadde a Carolina (nuora di Carlo III) nel 1768, alla visita del presepe allestito nella chiesa di Gesù Nuovo. Nel ‘700 quindi il presepio napoletano visse la sua stagione d’oro, uscendo dalle chiese dove era stato oggetto di devozione religiosa, per entrare nelle case dell’aristocrazia e divenire oggetto di un culto ben più frivolo e mondano. (figg. 28 e 29) Il re Carlo III aveva una tale predilezione per questa occupazione da partecipare personalmente e coinvolgere famiglia e corte nella realizzazione e vestizione di pastori e nel montaggio dell’enorme presepe del palazzo reale. Salito al trono di Spagna, praticò anche lì la sua passione, portandovi la tradizione dell’arte presepiale. I nobili naturalmente imitarono il sovrano rivaleggiando tra loro per sontuosità e ricchezza dei materiali utilizzati: gemme preziose e magnifiche stoffe per catturare l’attenzione 54
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del “popolino” - ammesso nelle case patrizie proprio per ammirare il presepio - forse più della scena stessa. Famosi i presepi allestiti per il principe di Ischitella, con i Magi abbigliati con vesti dove brillavano innumerevoli gioielli. Ma il presepio si diffuse anche presso il popolo partenopeo, naturalmente in forma meno sontuosa: ogni casa vantava il suo presepio seppure con pochi “pastori” raggruppati su un minuscolo “scoglio”, dentro la “scarabattola”, una teca da appendere al muro o tenere sul comò. Dopo il regno di Ferdinando IV il presepe cominciò a decadere. La maggior parte dei presepi furono definitivamente smontati, i pastori venduti o dispersi. Di questi fantastici presepi non è giunto fino a noi quasi nulla. Tra i pochi salvati, va ricordato il magnifico allestimento Cuciniello, donato dallo scrittore Michele Cuciniello alla città di Napoli e conservato nel Museo della Certosa di San Martino. Durante il periodo post-rivoluzionario e della dominazione napoleonica, il presepe attraversò momenti di “censura” a causa del suo chiaro legame con la tradizione religiosa e con “l’Ancien Régime”: tanto splendore fu oscurato, molti presepi furono distrutti o abbandonati e rovinati dai topi, dalle tarme e dalla polvere. Ma ci furono dei collezionisti che impedirono che molte rappresentazioni andassero irrimediabilmente perdute. Ne fu un esempio Max Schmederer, consigliere di commercio di Monaco, che raccolse presepi di tutto il mondo e lasciò in eredità ai suoi posteri una delle più grandi collezioni del mondo, che oggi è possibile ammirare al Museo Nazionale di Monaco di Baviera. 55
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Nel corso dell’Ottocento, lo spirito del Romanticismo ridiede “fiato e vita” alla tradizione, alla famiglia e alla riscoperta del “divino”, risanando il rispetto dei valori storici e artistici e restituendo quindi nuova dignità ai presepi dimenticati nelle chiese e nelle soffitte. Durante il XIX secolo, grazie alle descrizioni di viaggiatori stranieri, cominciò a formarsi quella letteratura sul presepe italiano da cui attinsero, alcuni decenni più tardi, i primi storici del presepe. Nella prima metà dell’800 nacque l’idea di riunirsi in associazioni di appassionati con lo scopo di tenere viva la tradizione: nel 1953, a Roma, si è costituita l’Associazione Italiana Amici del Presepio con lo scopo di far conoscere e diffondere il presepismo nel nostro paese.
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Il presepe è stato costruito con tutte i materiali che si possono immaginare. Nello stile, possiamo distinguere almeno tre tipi di presepio: storico, popolare e personale. IL PRESEPE STORICO Nel presepe storico il costruttore, basandosi su un’attenta documentazione, riproduce fedelmente l’ambiente della Natività caratterizzato da un paesaggio arido e brullo: le case, di colore chiaro, hanno muri grezzi sormontati da cupole semisferiche, poche finestre e porte molto basse. I personaggi sono vestiti con abiti di linea sciolta e teli sul capo. Le stoffe sono di solito di colore neutro tipico delle lane: ocra, avorio, marrone e bruno di tonalità diverse e, a volte, segnati da fasce o righe (fig. 30). IL PRESEPE POPOLARE Nel presepe popolare invece il presepista ambienta liberamente la Natività nello spazio e nel tempo in cui vive. Riproduce con molto realismo le strutture urbane o rurali, rappresenta i mestieri e cura con attenzione l’abbigliamento e il costume del tempo, propone una perfetta riproduzione della cultura materiale delle classi popolari. Il più famoso tra i presepi popolari è proprio il Presepe Napoletano (fig. 31). Oggi il presepe napoletano, o partenopeo, è diffuso in tutta l’Italia meridionale, a volte adattato alla tradizione locale, come in Puglia e in Sicilia. Si caratterizza per lo sfarzo, la spettacolarità, l’affollamento di figure, l’ambientazione urbana e la riproduzione di scene molto elaborate. Via San Gregorio Armeno, la strada del centro storico di Napoli, è celebre per le botteghe artigiane di presepi, tanto da essere conosciuta al grande pubblico come “via dei presepi” 57
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o “via dei pastori”. Qui si realizzano, ormai durante tutto il corso dell’anno, statuine per i presepi sia tradizionali che originali: gli artigiani più eccentrici creano statuine con fattezze di personaggi di stringente attualità che magari si sono distinti in positivo o in negativo durante l’anno. IL PRESEPE PERSONALE Il presepe personale è infine quello che ognuno di noi realizza dando libero sfogo alla propria creatività, ricercando nei ricordi elementi di nostalgie lontane, emozioni e sogni di un tempo che vorremmo far rivivere. È un po’ il presepe familiare, perché impegna tutta la famiglia nella raccolta di materiali poveri come sassi, rami, muschio, oppure nella ricerca di idee innovative e ambientazioni particolari; è un presepe semplice nel suo insieme, ma bello e fiero del suo essere “creazione unica e originale” e quindi “irripetibile” (fig. 32). La Chiesa ha sempre dato importanza ai segni, soprattutto liturgico-sacramentali, sorvegliando però che non sconfinassero in una sorta di superstizione. Alcuni gesti furono incentivati perché ritenuti adatti per la diffusione dell’annuncio evangelico come appunto il presepio, nella cui semplicità indirizza tutto verso la centralità di Gesù. Come San Francesco, ogni uomo e ogni donna hanno bisogno di segni: alcuni risultano ormai incomprensibili mentre altri per la loro tipicità e immediatezza hanno ancora un’efficacia. Tra questi possiamo porre il presepe e quindi ben venga la sua diffusione.
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IL PRESEPE VIVENTE Esiste anche un’altra forma per allestire il presepio: si tratta del presepe vivente, in cui agiscono persone reali e la cui tradizione, sulla scia della prima rievocazione francescana, è diffusa in tutta la penisola. Nel presepe vivente viene proposta una breve rappresentazione teatrale con attori non protagonisti che interpretano l’evento della natività; vengono mostrati e riproposti quei mestieri antichi, quegli ambienti e quello stile di vita cui appartenevano i valori semplici e primordiali della quotidianità. Il Presepe Vivente rappresenta un momento di aggregazione della comunità che collabora a un progetto comune; non è visto quindi solamente come rappresentazione sacra, ma anche come difesa dei valori storici, ambientali e culturali di una realtà umana viva nel passato e nel presente. In tutta Italia, e in particolare in Umbria, ci sono diversi presepi viventi degni di nota allestiti nelle città, nei paesi e nei borghi medievali. Nel territorio di Assisi molto suggestivi sono i presepi viventi di Armenzano, piccolo borgo sulle pendici del Monte Subasio, e di Castel San Gregorio, ambientato nell’omonimo castello. Ma naturalmente qui vogliamo raccontare il presepe vivente che dal 1978 viene organizzato nel nostro paese di Petrignano di Assisi. La rappresentazione di norma si snoda per tutta la zona del castello medievale fino al fiume Chiascio. In questi luoghi, a cominciare già dai primi giorni di dicembre, i molti volontari da sempre coinvolti nel progetto 59
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(di generazione in generazione!) cominciano l’opera di allestimento dell’ambiente e la preparazione e consegna dei costumi ai figuranti. Da Natale all’Epifania il castello si trasforma, diventa una “Piccola Betlemme”, con botteghe, mercati, il tempio, l’osteria, la reggia di Erode e, fuori dalla città, la capanna con un “bimbo che giace nella mangiatoia”. I figuranti - bambini, ragazzi, adulti, persone meno giovani - interpretano i vari personaggi seguendo uno schema con testi, musiche e danze. Le rappresentazioni dei mestieri non sono solo immobili rappresentazioni, ma davvero “il fornaio” impasta e cuoce il suo pane profumato e croccante, “l’arrotino” lavora alla sua mola per ridare l’affilatura a coltelli e utensili, “il calzolaio” ripara le scarpe, “la macina del mulino” muove i suoi ingranaggi per fare la farina, “il pastore” prepara il formaggio e “i contadini” vendono i prodotti della terra per pochi sesterzi (foto da pag.83 a pag. 86). Il visitatore passando guarda, ascolta, si immerge in quest’atmosfera vivendo lui stesso l’evento della Natività. L’iniziativa è forse la più antica nella regione Umbria e certamente nel territorio assisano. Ogni nuova edizione accoglie le idee e le iniziative che nascono durante tutto l’anno, permettendo di migliorarsi e di variare ambientazioni e tipologie dei personaggi, rinnovando la curiosità e la soddisfazione dei visitatori e trasmettendo sempre il messaggio universale di carità e fratellanza, così attuale. Nel corso del tempo ci sono state varie collaborazioni dell’associazione con la scuola, che hanno coinvolto insegnanti e alunni nelle rappresentazioni per tenere vive la 60
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tradizione e la memoria di questo nostro patrimonio culturale. E la voce del presepe vivente di Petrignano risuona ben oltre i confini paesani, fino a raggiungere il Vaticano, in cui negli anni varie delegazioni dell’associazione sono state ricevute in udienza dal Papa. Inoltre è stato stretto da tempo un gemellaggio con il Presepe Vivente del paese di Pezze di Greco in Puglia, a suggellare ancor di piÚ lo spirito di fratellanza del Natale.
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PRESEPI IN MOSTRA Oltre alla lunga tradizione del Presepe Vivente, a Petrignano in generale è molto sentita l’usanza di allestire il presepe, costruito nelle più svariate tipologie. Un esempio particolare è quello del presepe ideato dal nostro concittadino Bruno Batori nel 1963, allestito all’interno di un “bidone” metallico fatto arrivare a Roma “via fiume” (Chiascio e Tevere) fino al cospetto dell’allora Papa Paolo VI, che in seguito ricevette in udienza tutti i giovani di Petrignano che avevano partecipato al progetto. A ricordo e sull’esempio di questo, dopo oltre 50 anni, altri petrignanesi, su idea di Ennio Ridolfi, hanno voluto riproporre un presepe costruito all’interno di un fusto, che è stato donato dalla comunità di Petrignano a Papa Francesco il 14 dicembre 2016, in udienza alla Sala Nervi. La particolarità del nuovo allestimento sta nell’aver introdotto, accanto alla Natività, anche i personaggi di San Francesco e il lupo e del Papa stesso, per omaggiare e onorare il Pontefice che ha scelto - come segno distintivo del suo mandato - di chiamarsi come il nostro Santo di Assisi (foto pag. 87 ) Nel 2017, attraverso l’Osservatore Romano, la notizia di questo dono così particolare è giunta sino a un giornalista libanese collezionista di presepi, Issam Azouri, che ha richiesto e ottenuto in Vaticano di poter avere in prestito il presepe petrignanese per esporlo nella chiesa di Sant’Antonio nel villaggio di Kneisset-El-Metn. Villaggio che il giornalista-presepista vorrebbe far diventare nel 2019 un vero e proprio presepe, coinvolgendo in questa idea anche il paese di Greccio dove San Francesco ha voluto rievocare 62
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il primo Natale. Nel nostro paese più volte sono stati organizzati concorsi e mostre di presepi con il coinvolgimento delle famiglie, delle scuole, della Proloco e della Parrocchia. Dall’anno scorso la Proloco, insieme all’associazione Presepe Vivente e alla Parrocchia, ha “risvegliato” questa tradizione: Vivi la Proloco… Presepi di Petrignano in mostra (foto da pag. 88 a pag. 92).
Parrocchia San Pietro Apostolo Petrignano
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Lo scopo di questa piccola e semplice iniziativa è stato quello di inviare un grande messaggio: perpetuare nel tempo quei valori di pace, fraternità e amore che a volte nella frenesia quotidiana sembrano offuscarsi. Non importa con quali materiali sono costruiti i presepi, se sono nuovi o “rispolverati,” grandi o piccoli, tradizionali o “artistici”. L’obiettivo della mostra, oltre alla valorizzazione dell’estro e della maestria dei “presepisti”, è quello di attirare lo sguardo dei piccoli e dei grandi, già colpiti da altri simboli più vistosi, sul significato del Natale cristiano: la nascita di Gesù, il Messia tanto atteso, il Figlio di Dio.
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La notte santa - Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei. Presso quell’osteria potremo riposare, ché troppo stanco sono e troppo stanca sei. Il campanile scocca lentamente le sei. - Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio? Un po’ di posto per me e per Giuseppe? - Signori, ce ne duole: è notte di prodigio; son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe Il campanile scocca lentamente le sette. - Oste del Moro, avete un rifugio per noi? Mia moglie più non regge ed io son così rotto! - Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi: Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto. Il campanile scocca lentamente le otto. - O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno avete per dormire? Non ci mandate altrove! - S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove. Il campanile scocca lentamente le nove. - Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella! Pensate in quale stato e quanta strada feci! - Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella. Son negromanti, magi persiani, egizi, greci... Il campanile scocca lentamente le dieci. 65
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- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname? Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente? L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame non amo la miscela dell’alta e bassa gente. Il campanile scocca le undici lentamente. La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due? - Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta! Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue... Maria già trascolora, divinamente affranta... Il campanile scocca La Mezzanotte Santa. È nato! Alleluja! Alleluja! È nato il Sovrano Bambino. La notte, che già fu sì buia, risplende d’un astro divino. Orsù, cornamuse, più gaie suonate; squillate, campane! Venite, pastori e massaie, o genti vicine e lontane! Non sete, non molli tappeti, ma, come nei libri hanno detto da quattro mill’anni i Profeti, un poco di paglia ha per letto. Per quattro mill’anni s’attese quest’ora su tutte le ore. È nato! È nato il Signore! È nato nel nostro paese! Risplende d’un astro divino La notte che già fu sì buia. 66
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Ăˆ nato il Sovrano Bambino. Ăˆ nato! Alleluja! Alleluja! (Guido Gozzano)
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CONCLUSIONE Dopo questo breve excursus potremmo dire che il merito di aver portato il presepe fino a ciascuno di noi, fino a ciascuna delle nostre case, va dato sicuramente a San Francesco e a San Gaetano: senza l’uno o l’altro, non sarebbe concepibile il presepe così come noi lo conosciamo e come siamo abituati a “farlo”. Perché lo scopo di questo piccolo libricino non è solo quello di dare alcuni cenni sulla storia del presepe, ma soprattutto quello di suscitare la motivazione a “fare” il presepe, se ancora non si è mai fatto, o a “farlo meglio”, se già questa bella consuetudine è avviata.
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Lasciamo che i nostri cuori si aprano al Bambino del presepio, che nasce per farci rinascere. La pace del Natale attraversi la nostra notte e si apra sul giorno: il giorno nuovo! È questo l’augurio a tutti voi e alle vostre famiglie…
CHE IL MESSAGGIO DEL NATALE POSSA STIMOLARE IL DESIDERIO, IL CORAGGIO E LA VOLONTA’ DI COSTRUIRE FINALMENTE UN NUOVO MONDO, BASATO SU PRINCIPI DI AMORE, DI FRATELLANZA, DI GIUSTIZIA E DI PACE!!!
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“ La nascita del Signore Gesu’ porti pace al cuore di tutti gli uomini e al mondo intero!”
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BIBLIOGRAFIA Mensile “Medioevo”, nr.12(95)/dicembre 2004 Mensile “Medioevo”, nr.12(215)/dicembre 2014 “Alla ricerca del Natale perduto”, Giovanna Corni - Maria Ruata, Effatà Editrice “Fare il presepio”, Manuabili Pocket Giunti Gruppo Editoriale “Modellare il presepe”, Rosalba Silvestri, Fabbri Editori “La Bibbia di Gerusalemme”, Edizioni Dehoniane Bologna “La valigia dei misteri: viaggio alla scoperta delle feste cristiane”, Cecilia di Domenico, Panda Edizioni SITOGRAFIA PRINCIPALE www.wikipedia.it www.focus.it www.facciamoilpresepe.it www.treccani.it www.krippenmuseum.com www.letteratour.it www.famigliacristiana.it www.culturacattolica.it
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INDICE PRESENTAZIONE p. 9 IL NATALE p.17 LE ORIGINI DEL PRESEPE
p.30
IL PRESEPE NELL’ARTE p.47 IL PRESEPE STORICO p.57 IL PRESEPE POPOLARE p.57 IL PRESEPE PERSONALE
p.58
IL PRESEPE VIVENTE p.59 PRESEPI IN MOSTRA
p.62
CONCLUSIONE p.68 GALLERIA D’IMMAGINI
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p.75
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Il GRAZIE è doveroso al termine di un lavoro, grande o piccolo che sia, perché in ogni cosa che si vuol portare avanti c’è sempre bisogno del sostegno e della voce dell’altro. GRAZIE alla mia famiglia che mi sostiene sempre in tutte le iniziative e in particolare a mia figlia Marta Freddii che con la sua competenza ha reso possibile la realizzazione di questo piccolo libro.
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GALLERIA DI IMMAGINI
Fig. 1 - Adorazione dei Magi (II sec.), Catacombe di Priscilla - Roma
Fig. 2 - Madonna col Bambino in grembo (III sec.), Catacombe di Priscilla - Roma
Fig. 3 - L’asino e il bue della Natività (V secolo) affresco paleocristiano, ipogeo di Santa Maria in Stelle - Verona (Veneto)
Fig. 4 - Adorazione dei Magi, affresco paleocristiano, Sant’Urbano alla Caffarella - Roma
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Fig. 5 - Arnolfo di Cambio, La NativitĂ (1295), Basilica di Santa Maria Maggiore - Roma
Fig. 6 - Ipotesi ricostruttiva della disposizione originale delle figure della NativitĂ di Arnolfo di Cambio
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Fig. 7 - particolari della NativitĂ di Arnolfo di Cambio
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Fig. 8 - Simone dei crocifissi (Maestro del crocifisso 1291), La Sacra Famiglia e I Magi adoranti (1291), Basilica di Santo Stefano - Bologna Fig. 9 - Adorazione dei Magi (metà del VI secolo), Sant’Apollinare Nuovo Ravenna
Figg. 10 e 11 – Jacopo Torriti, Adorazione dei Magi (fine XIII sec.), Basilica di Santa Maria Maggiore - Roma 78
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Fig. 12 - Giotto, Presepe di Greccio, (1295-1299 circa) Basilica Superiore San Francesco d’Assisi - Assisi
Fig. 13 – Particolare Presepe di Greccio 79
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Fig. 14 - Giotto, Natività (1310) Basilica Inferiore San Francesco - Assisi
Fig. 15 - Giotto e Bottega, Adorazione dei Magi (fine ‘200 circa), Transetto destro della Basilica Inferiore di San Francesco d’Assisi - Assisi 80
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Fig. 16 – Giotto, Natività, Cappella degli Scrovegni - Padova
Fig. 17 – Giotto, Adorazione dei Magi, (1303-1305) Cappella degli Scrovegni - Padova 81
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Fig.18 - Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi, (1423) Galleria degli Uffizi - Firenze
Fig. 19 - Beato Angelico, Natività, (1438-1446) Museo di San Marco - Firenze
Fig. 20 - Benozzo Gozzoli, Viaggio dei Magi “ Il corteo guidato da Lorenzo il Magnifico” (1459) cappella dei Magi di Palazzo medici Riccardi - Firenze
Fig. 21 - Leonardo Da Vinci, Adorazione dei Magi (1481-1482) – Galleria degli Uffizi - Firenze
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Fig. 22 - Domenico Ghirlandaio, Natività e adorazione dei pastori (1483-1485), Santa Trinità - Firenze
Fig. 23 - Sandro Botticelli, Natività mistica, (1501) National Gallery - Londra
Fig. 24 - Lorenzo Lotto, Natività, (1523) National Gallery of Art - Washington 83
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Fig. 25 – Pinturicchio, Adorazione dei pastori e arrivo dei Magi (1500) Cappella Baglioni, Santa Maria Maggiore - Spello - Perugia
Fig. 26 – Perugino, Natività o Adorazione del Bambino, sala delle udienze collegio del cambio - Perugia
Fig.27- Perugino, Adorazione dei Magi, (1504) Oratorio Santa Maria dei Bianchi – Città delle Pieve - Perugia 84
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Fig. 28 e 29 - Presepi napoletani del ‘700 85
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Fig. 30 - Presepe storico
Fig. 31 - Presepe popolare
Fig. 32- Presepe personale 86
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