Dalla notte all'alba - Storia nr.32 tratta da "Storytelling di Volontariato"

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Per ripartire Insieme Storia nr.32



incontri Dalla notte all’alba È notte. Per te non è un problema, il buio che serpeggia fra i tronchi e le radure è la tua casa. Gli odori ti aiutano, i rumori ti guidano e tutti ti parlano dell’erba che sta spuntando, del sentiero che percorri ogni notte, del lupo che ieri è passato ma oggi è lontano. Avanzi, ti fermi. Un gufo vola via con un fruscio e tu procedi, più tranquillo. Gli alberi si diradano, arriva quell’odore strano, pericoloso, di quel sentiero duro ed immutabile che taglia il bosco. Niente erba lì, niente impronte. Ormai quell’odore lo conosci, non ti fa paura ma quando attraversi quel lembo scuro qualcosa ti inquieta sempre, è diverso dagli alberi, dal terriccio, dal muschio ed i tuoi piedi lo sentono. Esiti un attimo, alzi le orecchie alla brezza e lei mormora qualcosa: è quel brontolio arrabbiato, minaccioso, che a volte senti. Ma sempre e solo lì, su quel sentiero misterioso. Il rumore è ancora lontano. Certo si sta avvicinando, ma ancora è lontano. Il primo zoccolo è sull’asfalto. Il rumore è più vicino. Tu vuoi andare avanti, passerai come tutte le notti oltre quel buio sentiero ed all’alba vedrai il sole da quella radura da cui da anni ormai scacci ogni rivale. Il rumore è più vicino. Sei sul bordo della strada. Sei incerto, le tue sensibili orecchie fremono nervose. Teso come una ragnatela appena tessuta usi tutti i tuoi sensi per capire cosa sta succedendo. Ma qualcosa ti sfugge, non comprendi e fai un passo avanti. Un lampo improvviso nella notte scaturisce in fondo alla striscia d’asfalto: è una luce intesa, troppo, ti abbaglia e ti confonde, tu scatti in avanti perché vuoi passare. Devi andare al di là e ti lanci sull’asfalto, pensi solo a quello perché 156


incontri ormai i tuoi sensi sono soffocati e non ti guidano più. Un attimo, un secondo: la luce è troppo vicina, il rumore è vibrazione dentro le tue ossa. È tutto troppo vicino. È tutto troppo. Il botto è forte. L’adrenalina non ti fa sentire quasi nulla, almeno per ora. Pensi solo che devi passare, davanti agli occhi hai la radura ma ormai sei steso sull’asfalto. Qualcosa di caldo ed appiccicoso ti inchioda al suolo. Pensi solo che devi passare. Il cellulare suona nel cuore della notte. Sobbalzo, alzo una mano, lo afferro e rispondo. Dannazione, l’ennesimo capriolo. Mentre riattacco guardo l’ora, sono quasi le due e mezzo di notte. Sospiro, accarezzo l’idea di considerarlo un sogno scomodo e rimettermi a dormire, poi butto le coperte di lato e mi alzo. Mentre mi vesto chiamo un altro volontario, così siamo in due ad essere buttati giù dal letto nel cuore della notte. Non siamo mai soli, c’è sempre qualcun altro che durante il tuo turno si rende disponibile e dorme con una mano sul cellulare aspettando la tua chiamata. Odio il turno di notte, ma sapere che qualche viso amico, a qualunque ora, ti risponderà e verrà a spartire con te la tensione, l’amarezza e forse il sollievo, vuol dire molto. Mezz’ora o poco più e sono lì. Scendo dal furgone ed il sonno, la stanchezza e le imprecazioni svaniscono, lasciando il posto alla serietà che la situazione richiede. Nella luce dei fari si fanno avanti tre ragazzi: li saluto, sono pallidi, quello che era alla guida balbetta qualcosa “Non l’ho visto… l’ora… pensavo che non ci fosse nessuno…” Annuisco e mentre parla vado avanti, la fretta di farmi un’idea della situazione mi guida verso quel bozzolo riverso a terra. In questi momenti la tempestività è tutto. È un bel maschio adulto. Riverso a terra, quando mi avvicino lentamente alza appena la testa per guardarmi. Vedo un occhio sbarrato, espressione stessa di angoscia e sbigottimento, poi 157


incontri gli mancano le forze e la testa si riadagia. Il costato si alza ed abbassa a ritmo disperato, entrambi i posteriori sono spezzati ma tutto quel sangue mi dice che non sono l’unico problema. Ho visto abbastanza, non è passata che una manciata di minuti da quando sono arrivata. La tempestività vuol dire tutto. Mentre torno al furgone a recuperare i guanti e la vasca per il trasporto spiego velocemente ai ragazzi i pericoli connessi agli incidenti con la fauna selvatica e cosa sto per fare. Qualcuno chiede se si salverà. Mi stringo nelle spalle e rispondo semplicemente che temo di no. Si scambiano un’occhiata agitata e quasi provo tenerezza per loro, li ringrazio perché almeno ci hanno chiamati invece di scappare via come fanno quasi tutti. C’è una ragazza, scoppia a piangere. Intanto è arrivato l’altro volontario, mentre indossa i guanti a sua volta ci consultiamo per scegliere il modo migliore di muoverci. Con tutta la delicatezza e circospezione possibile carichiamo il capriolo nella vasca e poi nel furgone. Rapidi saluti poi via, verso l’ospedale veterinario. Non troppo di corsa, sia mai che un altro capriolo decida di attraversare all’improvviso. Il veterinario di turno mi accoglie sul retro della struttura, ci conosciamo e ci salutiamo con un laconico “È il terzo questa settimana vero..?” “Già…”. Dopo pochi minuti è sul tavolo per la radiografia. La luce è fortissima ma le tenebre avvolgono comunque quei venti chili di spirito della foresta. Esco, mi appoggio al furgone. Ora la stanchezza è tornata. Guardo in alto ma le stupide luci della città coprono le stelle. Mi arrabbio un po’. Cancelliamo le stelle con lampadine artificiali, la biodiversità con un mucchio di plastica, la vita con un “pensavo che non ci fosse nessuno”. Mi arrabbio un po’ di più. Mi chiedo per l’ennesima volta perché lo faccio. Di caprioli ce ne sono anche troppi, dannazione! Neanche stessimo parlando del gatto selvatico! Sospiro. Mi strofino gli occhi, penso a domani (in effetti ormai è oggi) che sarò uno straccio tutto il giorno perché ho passato metà della notte in giro ed io la mancanza di sonno proprio non la sopporto. Me ne 158


incontri vado, la mia parte è finita e so già come andrà a finire, con l’esperienza si impara a riconoscere una situazione disperata. Sono le cinque, più o meno. Il cielo inizia a schiarire laggiù, il colore è livido come il mio umore. Non vorrei, perché chiedersi qualcosa e darsi una risposta soddisfacente è più difficile che fare qualcosa e basta o farlo per qualche idealismo, ma mi chiedo ancora perché lo faccio. Perché all’università questi animali ho scelto di studiarli? Perché pensarli lì a soffrire sull’asfalto mi disturba? Perché quelle volte che va bene renderli sani e scattanti al loro bosco ripaga delle delusioni? Certo, ma non basta. Forse l’ho fatto per quella ragazza che è scoppiata a piangere? Per la speranza che le sue non fossero lacrime emotive ma di comprensione? Forse sì. Forse l’ho fatto per quei volti pallidi e quelle giustificazioni? Per la speranza che la prossima volta il pensiero alla guida non sia “tanto non c’è nessuno” ma “in un bosco è possibile che attraversi qualcosa, rallentiamo”? Forse sì. Forse l’ho fatto per la forza che mi trasmettono quei volontari che come me scelgono di offrire il loro tempo ed il loro sonno alla speranza di salvare una vita? Forse sì. Forse l’ho fatto per quello sguardo stupito e sconvolto, di un animale che un incidente d’auto, una recinzione che lo blocca, una tana distrutta da un colpo di pala proprio non può capirli? Forse sì. Un briciolo di luce scavalca l’orizzonte e trasforma il colore livido in una lama rossa che contorna le colline. La rabbia sfuma, e sorrido. È un sorriso stanco, a metà, ma è quel tipo di sorriso che può vincere ogni notte in bianco, ogni lacrima, ogni frustrazione. Un sorriso senza parole, perché non sono le parole la cosa importante. Dalla notte all’alba, dal bluastro della delusione al rosso della passione. Perché quello che conta, l’unico motivo per cui puoi offrirti come volontario, è la passione. Maria Vittoria Rosenbleck 159


incontri WildUmbria Servizi riguardanti il recupero, la salvaguardia e la gestione della fauna e il monitoraggio ambientale

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